Il possibile / Il concreto – di Franco Pietramala e Francesco Kostner

Arriva oggi (martedì 10 ottobre), in libreria, Il possibile – Il concreto, appassionante testimonianza dell’ex manager dell’Asp di Cosenza e segretario regionale della Dc Franco Petramala scritta con il giornalista Francesco Kostner per Luigi Pellegrini Editore.

È un libro-intervista di Franco Petramala, segretario regionale della Dc dal 1976 al 1979, e protagonista indiscusso di una delle
stagioni più positive dall’azienda ospedaliera bruzia e dalla sanità provinciale, destinato a far discutere per il contenuto, denso di originali riflessioni, e per il racconto di vicende che si agganciano – e consentono un proficuo confronto – ad alcuni temi tuttora al centro del dibattito politico, a livello regionale e nazionale. L’intervista è stata raccolta da Francesco Kostner.
È il presidente dell’Ordine dei medici di Cosenza, Eugenio Corcioni, che ha firmato la prefazione, a sottolineare le peculiarità dell’intervista, sia in rapporto al recente passato (determinato il richiamo di Petramala alla necessità di andare “oltre” le figure di Giacomo Mancini e Riccardo Misasi per ridare linfa alla politica nella città e nella regione) che in relazione a numerosi temi di attualità: “Fra gli elementi importanti citati nel libro”, scrive Corcioni, “c’è l’affermazione secondo cui il sistema privato convenzionato delle cliniche e dei laboratori dovrebbe essere considerato come servizio pubblico a tutti gli effetti e come tale da governare a cominciare dalla scelta delle discipline convenzionate: non più solo quelle convenienti, poco costose e comunque poco rischiose, lasciando tutto il resto al pubblico a gestione diretta. A mio parere si tratta di un segnale forte: se solo vedessimo realizzato questo punto, si potrebbe riconoscere finalmente un vero cambiamento di rotta a differenza delle varie dirette social di oggi, che sono spesso divisive e non consentono di instaurare quel clima collaborativo che fu la vera arma della gestione di Franco. E poi che dire della
coraggiosa presa di posizione nella segnalazione dell’anomalia della spesa per il personale, alta rispetto alla media delle altre regioni(cosa ricordata sempre nei verbali dei tavoli ministeriali di verifica!), ciò si spiega in gran parte con un numero enorme di “imboscati”: aggiungo che in Calabria abbiamo approvato anche leggi (o se si vuole emendamenti passati in finanziarie regionali)
che favoriscono gli imboscamenti, anomalie mai corrette dai vari commissari succedutisi. E questo tema si incrocia con l’altro che sottolinea con forza il contrasto al precariato, non solo come riconoscimento di dignità del lavoro ma anche come riduzione degli spazi di possibile corruttela”.
Significative e adeguatamente motivate risultano, infine, le riflessioni di Petramala sull’area urbana cosentina, sull’autonomia differenziata, oltre che sul futuro della sanità regionale. (dl)

IL POSSIBILE / IL CONCRETO (in politica e in sanità)
di FRANCO PETRAMALA e FRANCESCO KOSTNER
Luigi Pellegrini Editore
ISBN 9791220502412

Il Pci, la Calabria e il Mezzogiorno a cura di Lorenzo Coscarella e Paolo Palma

di MIMMO NUNNARIUna questione rimasta nell’ombra nell’Italia repubblicana riguarda il rapporto tra Pci – a lungo maggior partito d’opposizione – e il Mezzogiorno. Questione non da poco, in considerazione che il movimento comunista ha storicamente rappresentato classe operaia e ceti deboli e il Meridione non c’è dubbio che, in quanto parte di territorio italiano penalizzato dalle disuguaglianze e dalle trascuratezze dei Governi di prima e di dopo la liberazione dal fascismo, sarebbe dovuto rientrare nel perimetro di lotta del Pci. Ma il meridionalismo, è stato un tema presente, in maniera costante e concreta nell’agenda comunista?

La storia di questo rapporto Pci Mezzogiorno –  è controversa. Più di cinquant’anni fa Sidney Tarrow, allora professore di Scienze Politiche alla Cornell University e noto studioso di fenomeni dei movimenti sociali, affrontò la questione nel libro: “Partito comunista e contadini nel Mezzogiorno (Einaudi, 1972) spiegando come, il partito divenuto dopo le elezioni del 1948 il maggiore partito di opposizione, avesse in pratica voltato le spalle al Mezzogiorno. 

«Il problema di fondo del Pci, nel Mezzogiorno – secondo Sidney Tarrow – non era solo l’estrema difficoltà delle condizioni oggettive, ma la mancanza di una convergenza tra i presupposti empirici della sua strategia generale e tali condizioni oggettive. Qualsiasi azione intraprendesse il Pci, si veniva a scontrare con un dilemma: se fossero state previste due strategie fondamentalmente diverse, per il Nord e per il Sud, il partito avrebbe messo a repentaglio la sua stessa integrità in quanto partito leninista; e d’altro canto, se la strategia prevista per la Valle Padana e per le città industriali del Nord, fosse stata applicata meccanicamente al Sud, ne sarebbero conseguite certe sconfitte politiche. I dirigenti del partito furono restii ad operare una scelta, anche se sembrarono essere stati continuamente consci del loro dilemma».

Nel cuore della via italiana al socialismo è insita, concludeva Tarrow,  “una contraddizione di fondo”.  L’aver in sostanza tenuto separate le aree del non sviluppo dalle aree dello sviluppo, ha finito, perciò, stando al ragionamento dello studioso americano, col coinvolgere anche il Pci. Mezzo secolo dopo, sul rapporto tra Pci e Mezzogiorno, arriva un’altra analisi, approfondita e ampia, meritevole di attenzione, considerato il periodo di osservazione, che parte dalla nascita dello stesso movimento comunista, negli anni Venti, per arrivare al dopoguerra. Lo studio riprende le relazioni del convegno nazionale dell’Icsaic (Istituto calabrese per la storia dell’antifascismo e dell’Italia contemporanea) Il Pci dalle origini al partito nuovo in Calabria e nel Mezzogiorno 1921 – 1953 svoltosi all’Università della Calabria nel novembre 2021.

Nel volume dal titolo Il Pci, la Calabria e il Mezzogiorno (1921 – 1953), a cura di Lorenzo Coscarella e Paolo Palma, edito da Pellegrini (pagine 519, euro 25) la traccia seguita riguarda il “partito meridionalista e le sue contraddizioni”, quasi a spiegare perché, il più forte partito europeo dei lavoratori, abbia avuto una posizione mai chiara e decisa, nei confronti del Meridione. L’ambiguità è già in origine. Come spiegano Coscarella e Palma, nella presentazione del volume, il Pci, nato a Livorno nel 1921, fu una forza spiccatamente meridionalista solo da quando Gramsci ebbe il sopravvento su Bordiga, il segretario generale, nel 1924. Nella concezione bordighiana, non c’era infatti posto per una “questione meridionale”, come questione avulsa dall’unica – da Nord a Sud – “questione capitalistica”.

Fu Gramsci, dunque, a dare importanza alla questione meridionale, prima mai citata, nei programmi del partito a guida bordighiana. Naturalmente il meridionalismo del Pci rimase, per ovvi motivi, stante il lungo periodo di dittatura fascista, soltanto una componente culturale e ideologica e poi quando dopo la caduta del regime e l’avvento della Repubblica, i partiti cominciarono  a disegnare le strategie per la rinascita del Paese, Togliatti, nuovo leader del Pci, prese le distanze dall’impostazione gramsciana. La sua idea di lotta è infatti ecumenica, nel senso che guarda alla “solidarietà nazionale” ante litteram, di tipo sociale, che però comporta l’indebolimento della lotta, teorizzata da Gramsci, del partito della classe operaia a favore dei braccianti e dei contadini poveri. Sono sedici i saggi scritti da intellettuali, studiosi e politici, raccolti nel volume, che analizzato aspetti dell’attività del Pci al Sud in un trentennio e in particolare in  Calabria. Alcuni contributi documentano in particolare le difficoltà e le contraddizioni del Pci negli anni del “ribellismo contadino, culminato nell’eccidio di Melissa, nel 1949.

In particolare è Franco Ambrogio a mettere in risalto quella che può essere considerata una “mentalità insurrezionalista” del movimento comunista calabrese,  aspramente criticata da Togliatti, soprattutto dopo i fatti di Roccaforte del Greco e Caulonia. Fu in quel periodo, che alcuni leader calabresi, come Gullo e Musolino, al contrario di Togliatti, avrebbero preferito una lotta più incisiva e determinata, del mondo rurale meridionale. La sintesi della vicenda calabrese e meridionale dell’occupazione delle terre potrebbe essere racchiusa nelle parole di Mario Alicata, “amendoliano”, che in quegli anni scrisse che si era sviluppato al Sud uno dei più vasti movimenti di contadini poveri nella vita del Paese, ma non si era riusciti a trarne una spinta e un respiro democratico per un’azione politica più vasta. Il libro, che approfondisce le relazioni presentate a quel convegno all’Unical, rappresenta, oltre a una esplorazione documentata della vita del Pci nell’area del Mezzogiorno, in particolare in Calabria, un contributo importante alla narrazione meridionalistica che nonostante le numerose qualificate e fondamentali cose già scritte ha sempre bisogno di nuovi contributi che diano conto di come le politiche dei partiti, dei Governi, delle istituzioni tutte, abbiano inciso nel bene e nel male sulla società meridionale. (mnu)

Daniela Rabia torna in libreria con un quinto romanzo “Il lato sbagliato della porta”

Daniela Rabia torna in libreria con un quinto romanzo “Il lato sbagliato della porta”, edito da Pellegrini.

Un racconto fluido e davvero piacevole a leggersi che ci porta nel cuore di una famiglia che si sfalda per poi ricucirsi. La morte di Franco fa imboccare a Ilaria un’altra via e le fa incontrare un nuovo amore, il vero amore.

Si, non sempre il primo amore è quello che ci rende felici. La mia protagonista incontra dopo un matrimonio finito la sua vera fonte di gioia che nella storia tratteggio lasciando al lettore il gusto di immaginare.

Quale fonte ti ha ispirato?

La mia vita ma soprattutto le vite che osservo e quelle che leggo, tirandole dalle pagine dei libri.

Cosa lascia al lettore il tuo testo a tuo avviso?

La voglia di ricominciare sempre a ogni età e in ogni circostanza.

Una battuta sull’editore.

Innamorata della casa editrice che mi supporta in ogni richiesta. Grandi Walter Marta e Sara Pellegrini. Lino Palermo, editor, e Stefania Chiaselotti, grafica.

Grazie mille e buona fortuna.

Grazie a voi. (rcs)

Santiago. Dialogo tra un pellegrino e il suo amico giornalista

di PINO NANO – Libri d’estate, libri senza tempo, libri di viaggi e di pellegrinaggi di fede. L’ultimo della serie, questo Santiago. Dialogo tra un pellegrino ed il suo amico giornalista.  Il libro porta la firma di Gregorio Corigliano e Pietro Praticò, famoso giornalista RAI il primo, pellegrino di fede convinto ed instancabile il secondo.

Emozionante la prefazione che fa al libro di Gregorio Corigliano e Piero Praticò don Mimmo Battaglia, per la storia della Chiesa lui è l’Arcivescovo di Napoli, ma per chi lo ha conosciuto personalmente bene don Mimmo è rimasto un angelo dei poveri, un servitore di Dio in terra, un uomo di una semplicità disarmante e di un cuore senza confini. Benedetta sia la terra che lui calpesta, direbbero di lui i Padri della Chiesa contemporanea.

“Saint Jean de Port- Santiago de Compostela.780 chilometri. Fango, strada, sassi, terra, pioggia, sole, vento volti, occhi. Storie che si intrecciano tra loro. Vite che sanno di strada. Strada che parla di vita. Una vita – scrive don Mimmo Battaglia- come un cammino. Un cammino come la vita. Tra un passo e l’altro, la memoria che si fa storia, racconto, condivisione”.

Una sorta di diario di viaggio, quasi un diario di bordo, segreto quanto basta, ma che con la prefazione di don Mimmo Battaglia non è più di due soli pellegrini, ai primi due se ne aggiunge ora un terzo, che è lui, questo straordinario pastore di fede che un giorno viene espiantato dalla sua città di sempre, che era Catanzaro, e trasportato a Napoli a curare i mali di una grande diocesi ferita.

“Ricordare è riportare al cuore, ed è quello che Gregorio Corigliano fa nel suo libro – scrive don Mimmo Battaglia – In un dialogo tra amici, riporta alla mente ed al cuore di Piero Praticò i passi percorsi, le emozioni vissute, la storia e la curiosità di un cammino di cui tutti abbiamo sentito parlare almeno una volta nella vita”.

Ha ragione don Mimmo Battaglia: “Come non ricordare a questo proposito Paulo Coelho? che nel suo libro Il cammino di Santiago scrive: “le persone giungono sempre al momento giusto nei luoghi in cui sono attese” e sembra che queste pagine del libro di Corigliano e Praticò siano una strada che ti conduce dentro di te, che ti aiuta a riconoscere i tuoi punti forza, a scoprirti e ad accoglierti fragile, ad avere il coraggio di non fermarti e di continuare a camminare”.

«Quando Pietro Praticò – racconta Gregorio Corigliano- mi ha raccontato e fatto leggere la sua avventura di viaggio non potevo crederci. Il ragazzo, l’uomo che avevo un tempo conosciuto nel movimento giovanile della DC, a Reggio, negli anni ’70 e ’80, riflessivo, attento, curioso, si era imposto ed era riuscito, incredibilmente, a raggiungere quella meta che tutti o, meglio, in tanti, avremmo voluto scoprire. Non ci avrei giurato ma dalla lettura attenta ho colto, aggiunge, la volontà, la perseveranza, la forza, che, nonostante brevi momenti di scoraggiamento dovuti alla fatica, Piero ha vissuto per arrivare a Santiago, con gli occhi ed il cuore, sostiene mons. Battaglia, di chi sa stupirsi e mettersi in gioco».

Dall’altra parte, Pietro Praticò si sofferma, con particolari inediti e sconosciuti ai più, su San Giacomo, uno dei dodici apostoli di Gesù, fratello di San Giovanni l’Evangelista. E Santiago, spiega Praticò, “nasce dall’Unione di “Santo” e “Yago”, forme arcaiche della lingua spagnola che fanno riferimento, appunto, a San Giacomo”.

E Compostela, invece? «Secondo la Legenda aurea – ricorda Praticò – il corpo di Giacomo, decapitato in Palestina, fu portato dai discepoli sulle coste della Galizia. I resti furono trovati in un campo illuminato da stelle cadenti, denominato campus stellae, il campo della stella, dal quale deriva l’attuale nome di Santiago de Compostela, il capoluogo della Galizia».

Un giornalista ed un direttore di banca, dunque, questa volta insieme non per discutere di massimi sistemi o dell’andamento della crisi economica del Paese, ma per parlare del Cammino di Santiago, un’esperienza tutta da vivere.

Mi torna in mente il ricordo e il racconto che mi fece qualche anno fa, di questo cammino, un altro grande giornalista italiano, Lorenzo Del Boca, che ha sempre immaginato l’arrivo a Santiago di Compostela come l’arrivo in paradiso. Ma prima o poi, se il tempo ce lo permetterà, lo faremo anche noi. (pn)

Santiago. Dialogo tra un pellegrino ed il suo amico giornalista
di Gregorio Corigliano e Pietro Praticò
Città del Sole Edizioni – ISBN 9788882383589

Il libro di Montuoro “La Profezia del Santo Graal”

di ARISTIDE BAVA – Una serata di grande impatto culturale per presentare presso la Biblioteca Gaudio Incorpora, a Palazzo Nieddu di Locri, La profezia del Santo Graal scritto da Antonio Leonardo Montuoro, giornalista, vaticanista, analista di intelligence, esperto in finanza internazionale, economia forte di una esperienza direttamente vissuta nel mondo della fede Cristiana e precursore degli studi sulla Teo-Intelligence, una materia da analizzare nei contesti socio-spirituali, tra cause ed effetti  che si legano ai fenomeni religiosi.

L’incontro culturale è stato organizzato dai Lions Club di Locri, Siderno e Roccella con la presenza dell’Assessore alla Cultura  del Comune di Locri, Domenica Bumbaca, del presidente della XXV zona Lions Armando Alessi del Presidente della XI Circoscrizione Lions Giuseppe Ventra, ma soprattutto di un folto e qualificato pubblico richiamato dal grande interesse della vicenda riportata nel libro, giunto alla sua quarta ristampa e impregnato di tematiche legate amche ad eventi di estrema attualità oltre che ai misteri e alle leggende sul ritrovamento del Santo Graal il calice dell’ultima cena del Cristo.

Secondo l’autore, sulla base di documentate scoperte fatte attraverso la Teo intelligence il Santo Graal, non era stato mai perso, ma solo ben custodito nei secoli insieme alla Boccetta di Giuseppe d’Arimatea che, sul Golgota, raccolse il sangue che sgorgava dal costato trafitto di Cristo.

La Profezia del Santo Graal traccia la storia degli ultimi millenni, tra cristianità, monoteismo e altre fedi che tentano di ritrovarsi in un ecumenismo a tratti confuso e a tratti sincretico. I lavori, introdotti dalla cerimoniera del Lions Club di Locri, Giulia Arcuri, sono stati aperti dela saluto istituzionale dell’ assessore alla cultura di Locri, Domenica Bumbaca, che ha espresso il suo compiacimento per aver potuto ospitare nella rinnovata biblioteca di Palazzo Nieddu adesso intitolata al compianto Gaudio Incorpora, ben noto ed apprezzato uomo di cultura della cittadina locrese Poi i saluti di Lorenzo Maesano e Caterina Origlia in rappresentanza rispettivamente dei Club Lions di Roccella e Siderno e un significativo intervento del presidente di zona Armando Alessi . Il convegno è entrato, quindi nel vivo con una serie di domande poste all’autore del libro, Antonio Leonardo Montuoro.

È stato, quindi una susseguirsi di considerazioni slla base di un racconto che si è sviluppato sui misteri, sulle leggende e sulle realtà di una storia mixata tra antichiotà, passato e presente che si è sforzata di analizzare anche  la storia della fede nella criticità della caducità umana. Nella  Profezia del Santo Graal, si analizza anche il percorso della Fine dei Tempi descritto nelle sacre scritture con una impietosa analisi dell’Anticristo in tutte le sue odiose sfaccettature.

Il libro è forte anche della storia della Chiesa del dopo Concilio vaticano II, e ripercorre la vita degli ultimi pontefici, attraversata dalle  crisi che hanno avuto luogo  dentro e fuori le sacre mura vaticane, fino a giungere ai mea culpa degli ultimi papi.

Non mancano specifici riferimenti  al  Terrorismo, alle mafie e alle sette sataniche, nonchè ad oscure vicende come quella di Emanuela Orlandi. Insomma un libro molto “forte “ e una relazione, quella di Antonio Leonardo Montuoro, che ha polarizzato l’attenzione del qualificato pubblico. Prima delle conclusioni della serata, affidata al presidente di Circoscrizione Giuseppe Ventra, anche per questo alcune significative domande poste da alcuni dei qualificati presenti tra le quali anche quelle della scrittrice Palma Comandè, della poetessa Bruna Filippone e della presidente del Lions Club Reggio Calabria, Città del Mediterraneo avv. Ornella Attisani che hanno trovato nell’autore del libro puntuali risposte.

LA PROFEZIA DEL SANTO GRAAL
di Antonio Leonardo Montuoro

Edizione MediterraneiNews
ISBN 9788894375411

Roncalli in Calabria di Raffaele Iaria

Il nuovo libro del giornalista Raffaele Iaria riguarda Papa Roncalli. Giovanni XXIII, il papa “Buono” muore la sera del 3 giugno 1963, sessanta anni fa.

“Il segreto del mio sacerdozio sta nel Crocifisso che volli porre di fronte al mio letto, egli mi guarda e io gli parlo […] Quelle braccia allargate dicono che egli è morto per tutti; nessuno è respinto dal suo amore, dal suo perdono. Ut unum sint!”,  ha confidato due giorni prima al suo confessore. Roncalli viene sepolto prima nelle grotte vaticane e successivamente nella basilica di San Pietro.

Nel suo percorso di giovane sacerdote, prima di essere vescovo, cardinale e papa, Angelo Giuseppe Roncalli, ha guidato, come Presidente, il Consiglio Centrale per l’Italia della Pontificia Opera della Propagazione della Fede per sensibilizzare e ravvivare l’attenzione all’ideale e alle attività missionarie della Chiesa. In questa veste visita diverse città italiane. Tra queste anche diocesi e città calabresi ed ha modo di conoscere le molteplici sfaccettature.

Quel viaggio è raccontato oggi nel volume “Roncalli in Calabria”, edito da Tau e scritto dal giornalista Raffaele Iaria, originario di Scala Coeli (Cosenza) che pubblica pagine del diario del giovane Roncalli, lettere e anche testimonianze di alcuni vescovi calabresi che hanno incontrato Roncalli da Papa e parlato di quel viaggio. L’ultima visita nella regione la fa al santuario di San Francesco di Paola, il 29 novembre 1922. Il viaggio nella regione era iniziato il 3 novembre di quell’anno da Nicastro, poi Pizzo, Monteleone, Tropea, dove col vescovo Felice Cribellati tra l’altro visita  la nuova tipografia della diocesi al lumicino di una candela. E poi Nicotera, Gioia Tauro, fino a Reggio Calabria, che a distanza di 14 anni dal 1908 mostra ancora i baraccati del terremoto che aveva causato morti, feriti, chiese distrutte. E ancora Catanzaro, Squillace, Cariati, Rossano, Cassano, San Marco Argentano, Cosenza fino a Paola.  E’ stata l’occasione – dice l’autore del libro, Raffaele Iaria – per conoscere la Calabria e per incontri con tante persone “buone e generose” dai quali ha ricevuto anche tanti conforti spirituali che non dimenticherà… Ma anche la Calabria non dimentica: sono tante le targhe e le lapide in vari posti della regione che ricordano quella visita e che sono citate nel volume. (dl)

Il Pci, la Calabria e il Mezzogiorno a cura di Lorenzo Coscarella e Paolo Palma

di PINO NANO  –  L’on.Paolo Palma, Presidente dell’ICSAIC, lancia in Calabria un saggio che non mancherà di far discutere e di alimentare nuove riflessioni sulla nascita della sinistra in Italia e sul peso del Mezzogiorno nelle scelte ideologiche del Partito Comunista di allora.

«Riteniamo, che questo volume, porti un ulteriore mattone alla costruzione della narrazione meridionalista del Partito comunista italiano, che soffre però, a nostro avviso, di un eccesso di dispersione in mille rivoli. Esiste infatti una miriade di studi locali, per lo più saggi su riviste storiche, ma anche alcune monografie, ai quali bisogna aggiungere, come è stato rilevato di recente, i profili biografici dei dirigenti meridionali, ovvero che del Mezzogiorno si sono occupati» quali Amendola, Li Causi, Grieco, Chiaromonte, Sereni, La Torre e, più di recente, per la Calabria, Fausto Gullo nella biografia di Giuseppe Pierino. Chissà che prima o poi – è un augurio – non si riesca ad avere un’opera complessiva che dia conto di come e quanto la politica del Pci abbia inciso sulla società meridionale».

Così il Presidente dell’ICSAIC Paolo Palma, intellettuale e giornalista di grande tradizione cattolica, già parlamentare, e oggi alla guida dell’ICSAIC ha presentato l’ultima “creatura” del suo Istituto di ricerca, “Il PCI, la Calabria e il Mezzogiorno. Da Livorno al partito nuoto (1921-1953)”, saggio curato dallo storico Lorenzo Coscarella e dallo stesso Paolo Palma per Pellegrini editore, e che rientra nelle attività di ricerca e divulgazione dell’Istituto Calabrese per la Storia dell’Antifascismo e dell’Italia Contemporanea.

«In epoca di sovranismi, di emotività capace di evolvere in odio per ogni diversità, abbiamo bisogno di rinforzare quei valori capaci di promuovere socialità e democrazia della convivenza. Oggi – precisa un grande sociologo quale è il prof. Ercole Giap Parini , direttore del Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali dell’Unical – si riflette su un centenario importante per la storia di questo paese, la nascita del Partito comunista italiano, che, tra luci e qualche ombra, ha svolto un ruolo essenziale nella storia italiana e occidentale, soprattutto in senso emancipativo». 

Il testo – spiega il Presidente di ICSAIC Paolo Palma – raccoglie gli atti del convegno organizzato dall’Istituto in occasione del centenario di fondazione del Partito comunista d’Italia, e al suo interno presenta saggi di storici, docenti universitari e studiosi del territorio che analizzano ad ampio spettro aspetti di questa attività del Pci nel Sud Italia: Franco Ambrogio, Lorenzo Coscarella, Guido D’Agostino, Michele Fatica, Guido Liguori, Giuseppe Masi, Katia Massara, Prospero Francesco Mazza, Antonio Orlando, Paolo Palma, Christian Palmieri, Ercole Giap Parini, Martino Antonio Rizzo, Domenico Sacco, Pantaleone Sergi, e Francesco Spingola. 

Il volume – sottolinea il vecchio giornalista  «si propone di esaminare i connotati meridionalisti dell’azione del partito, con particolare attenzione alla questione contadina che esplose nell’immediato dopoguerra con occupazioni di terre ed eccidi».

Un lavoro di grande pregio e di grande interesse storico e scientifico, se non altro per la meticolosità e il rigore con cui studiosi locali ed esperti di storia contemporanea raccontano le fasi fondamentali della nascita del vecchio Partito Comunista in Calabria e nel resto del Mezzogiorno, un frammento di storia Repubblicana senza pari, e una esperienza politica che ha profondamente attraversato la vita del Paese e segnato la storia stessa di milioni di italiani.

Dopo i saluti del presidente della BCC Mediocrati Nicola Paldino e del presidente dell’ICSAIC Paolo Palma, sono intervenuti la storica Katia Massara, del Dipartimento di Scienze Umanistiche dell’UniCal e membro del Direttivo ICSAIC, Marta Petrusewicz, dell’Università della Calabria e della City University of New York, e il prof. Massimo Veltri, già senatore della Repubblica e docente UniCal. L’iniziativa, coordinata dal direttore scientifico dell’ICSAIC Vittorio Cappelli, ha visto la partecipazione dei curatori e di alcuni degli autori dei significativi saggi inclusi nel volume.

Fondamentale il lavoro del giornalista Pantaleone Sergi. «La voce del nuovo soggetto politico – scrivono nella prefazione Paolo Palma e Lorenzo Coscarella – veniva portata in Calabria da fogli e testate di impronta comunista, più o meno organiche al partito, che Pantaleone Sergi passa in rassegna con un approfondimento sulla stampa dei comunisti in regione tra il 1920 e il 1947. Già prima della scissione di Livorno, per fare un esempio, in Calabria si pubblicava il quindicinale Vita nuova che, alla ripresa delle pubblicazioni nel 1920 dopo la pausa bellica, si diede la testata di «quindicinale comunista» diventando poi ufficialmente nel 1921 Quindicinale del Partito comunista Italiano. Anche la stampa dei comunisti nasceva dunque in seno al mondo del socialismo, distaccandosene man mano che aumentava la percezione della necessità di un’azione politica più incisiva. I primi anni ’20 furono un periodo molto florido per il giornalismo politico locale e non solo, durante il quale, però, all’elevato tasso di natalità di testate corrispondeva una loro diffusione in un raggio d’azione meramente locale, che in pochi casi riusciva a coinvolgere un’area più grande del collegio elettorale di riferimento».

Il ruolo della stampa fu dunque fondamentale alla crescita del Partito. Da questo saggio viene fuori che in questa prima fase la provincia di Cosenza si caratterizzò come quella più attiva, e un certo fermento era riscontrabile anche nel Reggino, mentre nel Catanzarese non si segnalavano iniziative di rilievo. Durante il regime fascista- spiega nella sua analisi il giornalista Pantaleone Sergi, storico inviato di Repubblica con la chiusura dei giornali non allineati col governo, «molte testate chiusero e solo poche flebili voci riuscivano a circolare nella clandestinità, come l’edizione de l’Unità che si stampava occasionalmente a Palmi. La caduta del regime e la ripresa della vita democratica, fase della storia italiana caratterizzata da una eccezionale e comprensibile vivacità politica, portò a partire dal novembre ’43 alla diffusione di numerosi fogli di argomento politico. Le federazioni comuniste delle tre province si dotarono così dei propri organi di stampa che, con pregi e difetti, costituivano il cuore dell’informazione politica del partito». 

Un libro di storia contemporanea, dunque, che non mancherà di aprire nuovi dibattiti e nuove riflessioni, ma questo “è il bello della diretta”. (pn)

La ricerca artistica musicale – di Giusy Caruso

di PIETRO AMENDOLA – Quelli di marzo e aprile sono stati due mesi importanti per la pianista calabrese Giusy Caruso, che ha presentato il suo libro La Ricerca Artistica Musicale – Linguaggi e Metodi. Avevamo già parlato della musicista, residente a Bruxelles e docente del Conservatorio Reale di Anversa, e dei suoi spettacoli dedicati alla figura di Dante Alighieri, realizzati insieme all’archietto Mario Aloe. In particolare abbiamo raccontato le date di Danteum Immersive Performance a Villa Rendano e al Monastero dei Minimi di Cirella; entrambi gli spettacoli ebbero un successo importante. La narrazione del progetto di Giuseppe Terragni Danteum, che avrebbe dovuto rappresentare in una struttura architettonica la Divina Commedia del poeta, veniva accompagnata dalle note musicali di Giusy Caruso; tanti i compositori interpretati, da Chopin a Bach fino a Liszt.

La ricerca artistica e musicale-Linguaggi e Metodi è il nuovo progetto della cosentina, che illustra nel libro i temi e gli approcci di studio della ricerca artistica musicale. L’editore è “Libreria Musicale Italiana”, casa editrice toscana nata nel 1988, che ha collaborato con numerosi istituti importanti, come l’Università di Oxford e l’Universität Hamburg. A fine marzo c’è stata la presentazione presso il Conservatorio “Alfredo Casella” de L’Aquila. Ad aprile altro appuntamento a Cosenza, al “Museo dei Brettii e degli Enotri”, all’interno della rassegna “Primavera Mediterranea”, evento organizzato da Associazione Culturale Μεράκι. Il libro di Giusy Caruso è stato portato anche in tv, recentemente durante la trasmissione “FOCUS Cultura” per TEN-Teleuropa Network. Di seguito il comunicato stampa della presentazione dell’1 aprile, presso il “Museo dei Brettii e degli Enotri” di Cosenza:

Sabato 1 Aprile, la prima ospite della rassegna “Primavera Mediterranea”, organizzata de Museo dei Brettii e degli Enotri in collaborazione con l’associazione culturale Μεράκι, è stata la pianista ricercatrice Giusy Caruso. La pianista cosentina, residente a Bruxelles e docente del Conservatorio Reale di Anversa, è attualmente impegnata in un tour di presentazioni, workshop e performance nei Conservatori e nelle Istituzioni italiane per illustrare i temi e gli approcci di studio della ricerca artistica musicale. Il suo libro, “La Ricerca Artistica Musicale – Linguaggi e Metodi” (LIM 2022)  primo testo in lingua italiana pubblicato sull’argomento, è stato presentato in questa occasione in forma di seminario-performance anche a Cosenza, sua città natale. La tappa cosentina è stata introdotta dalla vice-presidente dell’Associazione Μεράκι, Claudia Milicchio. Sono intervenuti nei saluti iniziali la direttrice del Museo dei Brettii e degli Enotrii, Marilena Cerzoso, e il direttore del Conservatorio di Cosenza Francesco Perri.

La presentazione del libro si è svolta in forma di concerto raccontato,  in cui la pianista e ricercatrice ha guidato gli ascoltatori alla scoperta del suo personale percorso creativo e di studi di cui il libro ne è una testimonianza. Il testo della Caruso ad oggi è un unicum nel suo genere ed considerato un sussidio fondamentale per gli studenti e studiosi musicisti italiani che vogliono accostarsi al mondo della creazione di produzione artistica e di conoscenza artistica. Nella parte performativa, la pianista ha eseguito brani del compositore francese Jacques Charpentier tratti dalla raccolta dei 72 studi carnatici per pianoforte e le tre Danze Argentine del compositore Alberto Ginastera. A sorprendere il pubblico la performance multimediale Suspensions, ideata da Atau Tanaka, artista e professore della Goldsmiths London University: dei bracciali elettronici indossati dalla pianista permettono la trasformazione della tensione muscolare in suono elettronico in dialogo col suono acustico del pianoforte. La pianista ha anche mostrato le video proiezioni del suo ultimo lavoro Metaphase: Dialogo Contrappuntistico tra una pianista e il suo avatar nel metaverso, in collaborazione con la Società LWT3 di Milano, mostrando il futuro della sperimentazione musicale.

La ricca presentazione-concerto di Caruso ha dunque portato gli spettatori cosentini a conoscenza degli approcci più innovativi del connubio tra arte, scienza e tecnologia, che costituisce il nucleo delle nuove frontiere nella ricerca artistica musicale. (pa)

GIUSY CARUSO
LA RICERCA ARTISTICA MUSICALE
Libreria Musicale Italiana, ISBN 9788855431620

Nel ventre della Balena di Attilio Sabato

di  PINO NANO  – Esce in questi giorni il nuovo libro del giornalista Attilio Sabato, Nel ventre della Balena (Luigi Pellegrini Editore) interamente dedicato alla storia della Democrazia Cristiana con i riflettori puntati sulle vicende più scottanti e anche più importanti del partito in Calabria. Uno spaccato inedito di storia politica e anche di sociologia politica che farà molto discutere per i contenuti e i risvolti che lo scrittore ricostruisce.

Cosa è stata la DC in Calabria? Cosa ha rappresentato la DC per il Paese? Quanto è pesato sulla storia del partito il delitto Moro? Cosa ha rappresentato per la Calabria la morte dell’ex Presidente delle Ferrovie dello Stato Vico Ligato? Quanto ha contato la politica al Sud? Quanto ha contato invece sulla gestione del consenso la criminalità organizzata? E quanto ha contato la Calabria nei palazzi del potere romano? E soprattutto, chi dei politici calabresi ha contato di più nell’immaginario collettivo e nella prassi reale del sistema potere?

A tutti questi interrogativi prova a rispondere un giornalista navigato e bravissimo come lo è Attilio Sabato, storico direttore di Teleuropa Network, e storico corrispondente dell’ANSA dalla provincia di Cosenza, e lo fa con un saggio molto articolato, pieno di domande e di risposte, un colloquio diretto con Pietro Rende, vecchio deputato democristiano e in passato anche uomo di grande potere all’interno della DC, protagonista di primo piano della sinistra democristiana, la corrente che allora riuniva il fior fiore degli intellettuali italiani al servizio di un progetto di democrazia per il paese che non sempre nel partito ha trovato consensi unanimi. Una intervista serrata, senza rete, dove il grande cronista prova a capire meglio i mille segreti che la Balena Bianca si porterà forse dietro per sempre, e che Pietro Rende svela solo in parte, riconfermandosi in questo un “pezzo fondamentale” della storia del partito, per cui non tutto si può raccontare e alcune cose è meglio non raccontarle mai. Ma non per paura, forse per il rispetto assoluto che i vecchi politici di un tempo avevano per il proprio partito di riferimento.

Questo però non toglie nulla a questo saggio in cui Attilio Sabato ricostruisce alla sua maniera, con un linguaggio moderno e freschissimo, gli anni più belli ma anche gli anni più bui della vita della Balena Bianca, dentro mille ricordi personali, tutti quasi intimi e privati, che Pietro Rende trasforma in capitoli di storia, dando al suo racconto un carisma che solo un intellettuale ed un economista come lui avrebbe potuto fare. C’è dentro questo libro un tocco di classe che forse il lettore comune non si aspetta, un racconto felpato delicato e sereno delle cose e degli avvenimenti di quegli anni, nessun astio, nessun rancore, nessun sassolino da togliere dalla scarpa del passato, ancora meglio: nessun nemico da colpire o da ricordare come tale, tranne la dichiarazione pubblica di un rapporto difficile, quasi impossibile, con Carlo Donatt Cattin, leader di Forze Nuove, una delle correnti che più ha fatto penare la sinistra che allora faceva capo a Bodrato Marcora Pisanu Zaccagnini De Mita e Misasi.

Così come felpata e appena accennata è l’analisi che “l’intellighenzia economica della DC calabrese” -era così che il partito allora giudicava Pietro Rende– riserva al capitolo “delicatissimo” dell’Università della Calabria, e alle prime rivolte studentesche, ai primi moti terroristici, ai primi blitz della polizia, che Pietro Rende giudica come pure “ragazzate” frutto magari di giovani esuberanti e un tantino scapestrati, mentre invece viene fuori prepotente in questo suo racconto il sogno irrealizzato di poter insegnare in questo Campus universitario appena nato sulle colline di Arcavacata, alle dirette dipendenze di un grande maestro come lo era Beniamino Andreatta. Un sogno spezzato però dalla sua elezione alla Camera dei Deputati, ma probabilmente rimasto ancora vivo fino ai giorni nostri.

Dettagli, nomi, location, eventi e avvenimenti, regionali e nazionali, che danno in questo saggio l’immagine reale di un grande partito politico, alimentato da mille passioni, da mille pulsioni sociali, da mille progetti da realizzare, una ideologia forte quanto la speranza che solo gli uomini di chiesa sanno avere, e in questo saggio troviamo un’attenzione speciale verso la Chiesa calabrese, che in realtà della DC è stata per lunghi anni anche la “schiava più fedele”. Perché non dirlo? Un saggio coraggioso questo che Attilio Sabato sforna in questi giorni, e che riapre in Calabria il dibattito sulla politica, sul ruolo della classe dirigente, e sulla tradizione che legava l’anima popolare ai partiti di un tempo. Pietro Rende lo confessa apertamente, i partiti di un tempo non ci sono più, e al loro posto hanno preso il sopravvento altre logiche e altre dinamiche, e mentre un tempo i cittadini conoscevano bene i nomi dei candidati da votare al Senato o al Parlamento, oggi invece nessuno conosce più i nomi degli eletti. Una involuzione bestiale, il fallimento e la negazione di un romanzo meraviglioso che per molti di noi ha accompagnato la nostra vita personale e professionale.

Vi invito a leggere prima di tutto l’indice di questo saggio, è un indice strano, assolutamente atipico rispetto a quello a cui ogni lettori è ormai abituato, ma qui l’indice anziché citare i capitoli trattati cita le domande chiave che il cronista rivolge al vecchio “animale politico”, e questo aiuta ancora meglio il lettore nella ricerca dei tempi e dei soggetti che più predilige o preferisce.

Molti protagonisti della vera storia della Balena Bianca in Calabria non si ritroveranno in questo saggio edito da Pellegrini Editore, non sono neanche stati citati, o se ne parla a mala pena -anche questo va detto, e me ne scuso con gli autori- ma forse perché Pietro Rende li ha conosciuti poco, o ha preferito non parlarne, o ha scelto di proposito di sorvolare, e forse questo è il vero grande limite di questo suo racconto, perché chi ha vissuto quegli anni non poteva non conoscere il peso politico debordante e totalizzante che aveva allora Carmelo Puja e la sua corrente, che a Cosenza era Franco Pietramala, e nella locride la famiglia Laganà, e a Vibo Tony Murmura, a Catanzaro Ernesto Pucci e Mario Tassone, e a Reggio Calabria Franco Quattrone, e sullo Jonio Peppino Aloise, e sul tirreno cosentino Franco Covello, per non dimenticare il ruolo di Dario Antoniozzi Guglielmo Nucci e Pasquale Perugini a Cosenza, Vito Napoli che non aveva collocazione geografica perché appena arrivato da Torino. Per non parlare della guerra fredda e spietata tra Riccardo Misasi e Carmelo Puija in una certa fase del loro rapporto di potere. Pietro Rende cita con ammirazione e sentimento per esempio Peppino Reale, deputato di Reggio Calabria che in realtà contava molto poco, ma che era legato a lui da vincoli di grande affetto personale, e questo conferma che il racconto che Pietro Rende fa ad Attilio Sabato serve soprattutto al vecchio parlamentare per ricordare a se stesso forse gli amici più cari che con lui avevano condiviso battaglie ideologiche di prima piano e di prima grandezza. 

Ma forse è più giusto così, perché c’è un tempo per le guerre e un tempo per la riconciliazione, e questo racconto va letto anche in questa chiave. (pn)

NEL VENTRE DELLA BALENA
di Attilio Sabato
Luigi Pellegrini Editore, 2023

La disfatta e la rinascita del PD di Michele Drosi

di SERGIO DRAGONE – Michele Drosi è l’ultimo romantico del socialismo calabrese. La sua ostinazione a volere innestare a tutti i costi i valori del socialismo riformista nel “corpo estraneo” del Partito Democratico è degna di ammirazione, al pari del generoso sforzo di don Chisciotte di abbattere i giganti-mulini al vento. Qualche volta ha operato delle forzature, come quella di fare passare un vetero-comunista come Mario Oliverio per un riformatore liberale.

La verità è che il PD, nato dalla fusione a freddo tra gruppi dirigenti ex comunisti ed ex democristiani, non è stato, non è e non sarà mai un partito erede del socialismo democratico. E’ una questione di contenuti e non di forma e quindi non basta l’adesione del PD al Partito socialista europeo per affermarne una mutazione genetica in senso riformista. Non è un caso che molti socialisti, sentendosi estranei al nuovo soggetto, hanno preferito negli anni riparare sotto le rassicuranti bandiere berlusconiane.

L’ultimo lavoro di Drosi – un pregevole saggio sull’evoluzione del PD e sulla sua attuale e profonda crisi – è comunque un contributo importante al dibattito che si muove in quella che genericamente viene definita la “sinistra” italiana. Non a caso arriva nelle librerie nelle settimane in cui nel PD si consuma il rito delle primarie per la scelta del nuovo segretario.

Drosi nella sua analisi parte dalla sconfitta, anzi dalla disfatta, del PD alle ultime politiche. L’autore, che non ha mai rinnegato nemmeno per un attimo la sua formazione socialista e manciniana, analizza con profondità le cause della Caporetto democratica, con riferimenti rigorosi alla lunga vicenda del PD dalla sua fondazione ad oggi. 

L’autore è addirittura spietato nel suo giudizio finale che ci sembra utile riportare: “Il PD – scrive Drosi – è allo stato una forza politica senza ideologia e senza classi di riferimento, il cui unico tratto identitario sono state le primarie viste come strumento di un plebiscitarismo che incorona il capo per praticare una vocazione maggioritaria dal significato fumoso, proposta da Veltroni e sostenuta in una prospettiva di liberalismo radicale, il cui nemico è, paradossalmente, il conflitto sociale, relegato negli scantinati della storia. Un partito percepito come espressione di élite borghesi e del 19 mondo della finanza, lontano dagli interessi popolari e da quel conflitto sociale che consentì al movimento operaio, base politica e sociale della Sinistra del Novecento, di imporre severe regole al capitalismo e di ridistribuirne la ricchezza verso il basso, secondo l’efficace immagine non di un capo bolscevico dopo la presa del Palazzo d’Inverno in Russia, ma di un grande leader della socialdemocrazia mondiale: lo svedese Olaf Palme, che affermò: “il capitalismo va tosato e non ucciso”. Mentre dovrebbe caratterizzarsi come una forza della Sinistra con al centro il Mezzogiorno, che l’autonomia differenziata, sostenuta dalla Lega, ma non solo, tornata alle origini di partito del Nord, relegherà sempre più in una posizione marginale nello scenario economico e sociale nazionale.

Sottoscrivo in pieno questa analisi. Mi permetto solo di dissentire sulle prospettive. Drosi mantiene ancora una carica ottimistica sulla possibile mutazione del PD in partito socialista, riformista e garantista. Io penso, al contrario, che è il socialismo che deve adeguarsi ad un mondo che è profondamente cambiato, individuare soluzioni per affrontare gravi emergenze planetarie, prime fra tutte quella ambientale e quelle legate ai flussi migratori.

Occorre individuare cosa ancora resta di vitale in una cultura (“una civiltà”, l’ha meravigliosamente definita Claudio Signorile) che ha segnato tutti i progressi del mondo occidentale, soprattutto in materia di diritti civili e di riscatto delle classi subalterne.

Sarà capace di fare questo il nuovo PD che scaturirà dal congresso costituente? Saranno capaci di farlo Stefano Bonaccini o Elly Schlein che mi sembrano molto estranei alla cultura socialista? Forse la seconda mi sembra più pronta ad interpretare i mutamenti tumultuosi della società contemporanea, in particolare le problematiche poste da una crisi ambientale senza precedenti che modificherà la fisionomia del pianeta e produrrà nuove migrazioni.

Meno adeguato mi sembra Bonaccini anche perché è un paladino dell’autonomia differenziata (si ricordi il referendum promosso sul tema in Emilia Romagna) e punta tutte le sue chances su un “partito degli amministratori” che è cosa molto diversa da un partito della sinistra riformista.

Punti di vista. Resta il fatto che Drosi si conferma un osservatore attento e intelligente delle vicende politiche, convinto che la politica sia circolazione delle idee e non mercato delle tessere. Un libro da leggere, per riflettere. (sdr)

LA DISFATTA E LA RINASCITA DEL PD
di Michele Drosi
Edizioni Città del Sole, ISBN 9788882383411