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QUELLE ESTATI SUL TIRRENO APPENA 50 ANNI FA…

di GREGORIO CORIGLIANO

Non è da moltissimo tempo che si fanno le vacanze. Anzi. Fino a poco più di 50 anni fa, probabilmente, la parola vacanza era conosciuta da pochi. Nei mesi canonici di luglio e di agosto in Italia ed in parte in Europa, si rimaneva in casa. I fortunati erano coloro che avevano la casa di abitazione al mare o in montagna. I più la preferivano al mare perché così avrebbero potuto “cullarsi tra le onde o stendersi sulla spiaggia con la scusa del “sole per l’inverno” o per fare le c.d. “sabbiature” contro i possibili reumatismi. C’erano anche coloro che ritenevano di dover andare in Aspromonte, in Sila o sul Pollino per godere delle frescure dei boschi.
C’erano delle differenze,però. Chi aveva la casa di abitazione al mare, ricavava due ore per “prendere” il bagno e poi tornava a casa. Chi invece viveva in montagna, a meno che non fosse ricco ed avesse la casa di proprietà, o doveva viaggiare – ma era una faticaccia – oppure provvedere al fitto di un localino. Gli storico-statistici fanno risalire al 1967 l’anno di inizio delle vacanze. Era l’anno in cui si scendeva a mare e ci si portava dietro – racconta chi questa esperienza l’ha fatta – un lenzuolo bianco che si sistemasse a mo’ di ombrellone, ma anche di spogliatoio, i giochini dei bambini, rigorosamente un cocomero ed un paio di bottiglie d’acqua che si facevano rinfrescare a mare. I frigoriferi ancora non c’erano. A mare si sistemava anche il cocomero. Questo per chi rientrava a casa per l’ora di pranzo, perché, c’erano anche quanti restavano l’intera giornata a mare, viaggiando dai paesi vicini, in autobus.  In questo caso, le masserizie da portare sulla spiaggia erano davvero molte di più. Sedie e sedioline di tutti tipi, salvagenti, tovaglie, cibo preparato la mattina, vino e poi via al mare a sciacquettarsi. Poi, il pranzo luculliano, il sonnellino, rigorosamente, d’obbligo, da parte di mariti, mentre le mogli dovevano accudire i bambini che erano il motivo ufficiale della “calata” al mare. Perché, con la scusa dei ragazzini, anche mamma e papà godevano della frescura delle acque del Tirreno o dello Ionio. Naturalmente non c’erano lidi o stabilimenti balneari per cui tutto avveniva sulla spiaggia, compreso il cambio dell’eventuale pannolino. E dove finivano i c.d. “resti” della giornata a mare? Tutto sulla spiaggia, che era luogo di svago, luogo di sole, ma anche per nascondere i rifiuti. Già da allora il problema, croce e delizia,anche oggi degli amministratori. Ed il bello è che c’era più gente allora che non oggi. Anche se, essendoci maggiori disponibilità, oggi si va di quà e di là, anche per conoscere nuovi lidi, appunto. Quando non si va fuori provincia o fuori regione.


Allora era un arrangiarsi del quale nessuno si vergognava, probabilmente perché ci si conosceva tutti od anche perché le spiagge di un tempo erano talmente lunghe e pulite – come il mare “era una tavola blu” – che ognuno trovava spazi anche per tutelare la propria privacy. Suore e sacerdoti avevano i loro spazi privati. Nel luogo dell’anima, (San Ferdinando mare, un tempo ormai lontano frazione di Rosarno!) si ricavavano gli spazi per giocare al pallone, ai tamburelli o ai cerchietti (per le ragazze), le bocce o i piattelli sarebbero arrivati anni dopo.
Di motoscafi neanche a parlarne. Al massimo, la barchetta con i remi,senza motore, che ti prestava qualche marinaio,tuo compagno di scuola, giusto per il gusto di vedere il mare “turchino”, che era molto lontano dalla riva. E la mattina e la sera? Essendo, il luogo dell’anima, dove si aveva ( e si ha casa) avevi i compiti preassegnati dai genitori. La mattina si accompagnava il papà in campagna per i lavoretti di stagione, tra questi il problema dell’irrigazione che è stato sempre un dramma per la carenza d’acqua (come quest’anno), poi gli anticrittogamici per le malattie delle piante e se qualcuno aveva provveduto a piantare frutta di stagione a raccogliere i cetrioli, i peperoni, i pomodori o i cocomeri.
Alle undici, rigorosamente dopo il 29 giugno, perché una triste leggenda impediva di fare il bagno prima di quella data, il tuffo in mare. Nuotata di rito fino a quando le labbra non diventavano nere, poi sulla spiaggia, ad “arrenarsi” a buttarsi sulla “rena” che bruciava per il calore e cosi riscaldarsi per poi rituffarsi. Qualche volta si preparavano i sacchetti per i tuffi dall’alto, qualche altra la gara “alle calate”. Farsi spingere il malcapitato, cioè, dalla testa e possibilmente arrivare a toccare terra sott’acqua. Era una gioia se il mare era calmo. Perchè, ove mai fosse stato agitato? Ancora meglio, per i giovanotti che si dovevano far vedere dalle amiche che erano capaci di tuffarsi anche quando c’erano i cavalloni che incutevano paura. I più arditi,però,non ne avevamo e riuscivamo a sfidare la furia delle onde, qualche volta correndo il pericolo di non riuscire a venir fuori.
Eravamo costretti ad aspettare un po’ di “calmeria” che di tanto in tanto arrivava. Si era fatta l’ora di pranzo, si doveva tirar la bottiglia dal pozzo dove, legata con una cordicella, mio padre, la faceva rinfrescare, poi si preparava – d’obbligo – l’idrolitina, poi ancora si portava in cucina il cocomero che mia madre tagliava a fette. Nel frattempo aveva preparato i peperoni arrostiti sulla “fornacetta”! E poi? Poi c’era il rito della pennichella che precedeva i compiti che gli insegnanti ti avevano assegnato. Fino alle 18. Dalle 18 alle venti si tornava sulla spiaggia, giusto per non perdere l’abitudine. Si giocava, anche se c’era chi tornava a fare il bagno. Tamburelli o, sotto le barche, il gioco a carte napoletane. Senza soldi, anche perché non ce ne erano. Poi, il rientro per la cena. Ed infine, udite, udite, a parte quanti tornavano a mare, si stava seduti di fronte all’uscio di casa a “spettegolare” con genitori, parenti ed amici, con la scusa di prendere un po’ d’aria fresca. Naturalmente di condizionatori neanche a parlarne. Non c’era il frigorifero! C’era la spensieratezza, però! L’ansia non si sapeva cosa fosse, chi più chi meno. La compagna di vita era la gioventù che passa in fretta e non torna più. Memento!