Versace (Metrocity RC): Cambio climatico obbliga a gestione strategica delle risorse idriche

Per il sindaco f.f. della Città Metropolitana di Reggio Calabria, Carmelo Versace, «la trasformazione veloce cui ci obbliga il cambio climatico nella gestione istituzionale della risorsa idrica in ogni sua forma, sia per la potabilità e gli usi domestici che per l’agricoltura ed il territorio in genere».

Intervenendo al convegno dal titolo Acqua per la Vita organizzato dal Club Lions Reggio Calabria tenutosi nei giorni scorsi al Dipartimento Diceam dell’Università Mediterranea di Reggio Calabria, il sindaco facente funzioni della Città Metropolitana Carmelo Versace, rimarcando «il valore e la preziosità dell’acqua come bene comune ed universale».

«Sono stati accumulati ritardi notevoli, negli ultimi decenni, da parte di tutte le istituzioni rispetto a questa tematica – ha spiegato il rappresentante di Palazzo Alvaro – le alluvioni che hanno colpito il nostro Paese e gli eventi estremi, in genere, ci dicono a chiare lettere che il cambio climatico è più veloce di noi e che i nostri territori sono ancora assolutamente impreparati».
«Serve ogni sforzo necessario, collaborando proprio con le università ed ogni soggetto preposto, per una gestione oculata, strategica ed intelligente delle acque. Parlarne nella nostra città, che atavicamente vanta purtroppo una precarietà rispetto a questo settore, a fronte però di una serie di interventi effettuati e programmati in questi ultimi anni, ha un valore ancora più grande – ha concluso Versace – abbiamo il dovere di recuperare il tempo perso per bilanciare con interventi seri questa grande trasformazione del nostro clima, soprattutto dal punto di vista della sicurezza». (rrc)

TRA SPRECHI E PERDITE NON SI ATTENUA
LA GRANDISSIMA SETE DELLA CALABRIA

In Calabria è emergenza acqua. È quanto è emerso dai risultati del Censimento delle acque per uso civile 2020 dell’Istat, che ha delineato un quadro preoccupante per la nostra regione.

Dal censimento, infatti, è emerso come i calabresi hanno a disposizione non oltre di 227 litri di acqua pro capite. Un fatto causato probabilmente dalle continue perdite idriche comunali – ormai all’ordine del giorno – che, per l’Istat, si attesta al 45,1%. In sostanza, dell’acqua immessa in rete, un volume pari a 346.367 metro cubi, di quella erogata per uso autorizzato è soltanto di 190.324.

Andando ancora più nello specifico, a livello Provinciale, si può vedere come a Catanzaro, a fronte di un volume d’acqua messo in rete di 18.472 metri cubi (pari a 582 litri pro capite), 9.500 metri cubi (299 litri pro capite) vengono erogati per usi autorizzati, registrando una percentuale sui volumi messi in rete del 48,6%. Le perdite idriche vanno da 25 a 39 metri cubi al giorno per chilometri di rete. A Cosenza, dei 14.200 metri cubi di acqua messa in rete, 9.780 vengono erogati per usi autorizzati, con una percentuale del 31,1%. Le perdite idriche si attestano da 40 a 59 metri cubi al giorno. Crotone, insieme a Vibo Valentia, sono le due città calabresi in cui viene erogata meno acqua in rete: a Crotone è pari a 7.234 metri cubi, a Vibo 5.855. A Reggio la percentuale di volumi messi in rete è del 47,6%.

Questa è solo una piccola parte di quello registrato dall’Istat: «A fronte di un volume di acqua immessa nelle reti comunali di distribuzione dell’acqua potabile pari a 8,1 miliardi di metri cubi (373 litri per abitante al giorno) – si legge – a causa delle perdite gli utenti finali dispongono di 4,7 miliardi di metri cubi di acqua erogata per usi autorizzati (215 litri per abitante al giorno), comprendente gli usi sia fatturati sia non fatturati (tra gli altri, fontanili, lavaggio strade, antincendio)».

«I volumi distribuiti si riducono di circa un punto percentuale rispetto al 2018 – si legge ancora –. Le perdite totali in distribuzione (differenza tra volumi immessi ed erogati) sono pari a 3,4 miliardi di metri cubi, il 42,2% dell’acqua immessa in rete, rilevando una situazione pressoché stazionaria a livello nazionale (42,0% nel 2018). Nei distretti idrografici della fascia appenninica centro-meridionale e insulare, nonché nelle regioni del Mezzogiorno, le perdite sono superiori al dato nazionale».

Un altro problema rilevato è la questione dei depuratori: in Calabria, 50 Comuni ne sono sprovvisti, ossia il 5,3 % della popolazione. A livello nazionale, sono 296 i Comuni italiani a non avere un depuratore e, di questi, la maggior parte sono concentrati al Sud, ossia il 68%.

A livello nazionale, l’Istituto ha rilevato come «nel 2020 si stima che circa nove residenti su dieci (88,7%) siano allacciati alla rete fognaria pubblica, indipendentemente dalla disponibilità di impianti di trattamento successivi. Sono 6,7 milioni i residenti non allacciati alla rete fognaria pubblica; di questi 387mila (0,7% della popolazione) risiedono in 40 comuni completamente privi del servizio».

«Gli impianti di depurazione delle acque reflue urbane – si legge – in esercizio nel 2020 sono 18.042 e servono, in maniera completa o parziale, il 96,3% dei comuni italiani. Tali impianti, progettati per trattare potenzialmente 107 milioni di abitanti equivalenti, di tipo civile e industriale, hanno effettivamente trattato nell’anno un carico inquinante di poco superiore a 67 milioni di abitanti equivalenti. Gli impianti con trattamenti secondari e avanzati, pur rappresentando il 43,7% del parco depuratori, trattano più del 94% dei carichi inquinanti confluiti ai depuratori delle acque reflue urbane. Il restante 6% del carico è trattato da vasche Imhoff e impianti di tipo primario».

Per quanto riguarda il servizio fognario, l’Istat ha rilevato come «nove residenti su dieci (88,7%) siano allacciati alla rete fognaria pubblica, indipendentemente dalla disponibilità di impianti di trattamento successivi. Sono 6,7 milioni i residenti non allacciati alla rete fognaria pubblica; di questi 387mila (0,7% della popolazione) risiedono in 40 comuni completamente privi del servizio».

In Calabria, la copertura del servizio pubblico di fognatura è dell’89,9%. A livello provinciale, a Cosenza la copertura è dell’88,1%, a Catanzaro del 92,1%, Reggio 88,4%, Crotone 96,2% e Vibo 91,1%. (rrm)

 

Acqua e depurazione, Occhiuto: Oltre 75 mln per i comuni calabresi

Sono 75 milioni di euro la somma stanziata dalla Regione per finanziare 151 interventi per migliorare il ciclo integrato delle acque, e dunque per intervenire su reti idriche, su reti e collettori fognari, su impianti di sollevamento e di depurazione.

Il decreto – adottato dal Dipartimento Ambiente e territorio – è solo l’ultimo degli innumerevoli atti adottati dalla Regione. Prima di questo, infatti, c’è stata l’ordinanza del governatore Roberto Occhiuto numero 9/2022, con la quale sono state avviate le procedure per lo smaltimento dei fanghi giacenti negli impianti di depurazione di 12 Comuni della fascia costiera tirrenica compresa tra Tortora e Nicotera (per un importo di quasi 2milioni e 400mila euro), e dopo un’altra ordinanza presidenziale, la numero 10/2022, con la quale sono stati finanziati interventi urgenti sugli impianti di depurazione e sui sistemi di sollevamento per 32 Comuni della stessa area (per un importo di 3milioni di euro).

In particolare, per il comparto depurativo-fognario sono stati finanziati 94 interventi per complessivi 53.201.500 di euro, di cui 8 per 3.790.000 di euro ricadenti sulla fascia tirrenica, compresa tra Tortora e Nicotera (Comuni di Acquappesa, Belmonte Calabro, Santa Maria del Cedro, Briatico, Parghelia, Pizzo, Ricadi, Zambrone).

«Fino a questo momento, da novembre ad oggi – ha dichiarato il presidente Occhiuto –, abbiamo agito per gestire ed arginare le emergenze, e per garantire un mare quanto più possibile pulito e sicuro ai calabresi e ai numerosi turisti che in questi mesi estivi fortunatamente invadono la nostra Regione».

«Adesso, grazie a questi ulteriori fondi – ha proseguito – i Comuni potranno programmare gli interventi da fare nei prossimi mesi per ammodernare la rete idrica e il sistema di depurazione».

«Una importante opportunità per la Calabria – ha spiegato – una ulteriore dimostrazione del fatto che il governo regionale vuole pianificare e lavorare per costruire un territorio più accogliete per gli anni che verranno.

Mi aspetto una grande partecipazione da parte dei sindaci, che dovranno essere in grado, con il supporto della Regione, di cogliere le possibilità che queste risorse ci danno». 

«La tempistica, del resto, sarà molto stringente – ha concluso – e i Comuni dovranno affidare i lavori, improrogabilmente, entro il 31 dicembre del 2022». (rcz)

Abatemarco, Occhiuto: Ok a procedure per 50 mln, da Regione altri 80 mln per settore idrico

Il presidente della Regione, Roberto Occhiuto, è intervenuto in merito ai fondi regionali destinati al progetto idrico Abatemarco, il più grande acquedotto della Calabria e fornisce il 10% di tutte le risorse idriche degli acquedotti regionali.

«La Regione – ha spiegato – dopo un lungo periodo di inerzia ha, in questi primi mesi del mio mandato, fortemente accelerato sulle procedure di finanziamento relative ai Comuni, e attualmente tali procedure risultano essere andate a buon fine per oltre il 45% complessivo dei fondi: parliamo di circa 50 milioni di euro. Per il restante 55%, pari a poco più di 60 milioni di euro, le procedure non sono affatto ferme, ma oltre ad essere state avviate sono in via di aggiudicazione per quanto concerne l’affidamento dei lavori».

«L’Abatemarco – ha spiegato – è un’opera fondamentale per il nostro territorio, che prevede la realizzazione di un progetto a sistema unico che consentirà, una volta ultimato, di ridurre le perdite idriche sulla rete dei Comuni e ottimizzare il sistema di erogazione dell’acqua. Ma oltre a questo importante progetto, la Regione ha in messo in campo, dall’insediamento del nuovo governo regionale, ulteriori risorse pari a 80 milioni di euro per attività relative ad acquedotti e dighe e, nel complesso, per la ristrutturazione delle reti di distribuzione idrica».

«Sono investimenti in infrastrutture primarie – ha concluso – per la sicurezza dell’approvvigionamento idrico i cui finanziamenti risultano già in stato di attuazione per un valore di circa 39,5 milioni. La Regione, con i fatti, continuerà senza tentennamenti nella riorganizzazione complessiva del sistema idrico calabrese, che nel corso di troppi anni è stato pesantemente trascurato arrecando gravi danni alle nostre comunità e, tra gli altri, al settore dell’agricoltura calabrese». (rcz)

«FARE GLI STATI GENERALI DELL’ACQUA»
CGIL: OCCHIUTO NON PERDA L’OCCASIONE

di ANGELO SPOSATO e FRANCESCO GATTO – È bastato il lancio di un servizio, all’interno di una nota televisione nazionale, per far riesplodere indignazioni, attribuzioni di responsabilità e polemiche sulle ataviche disfunzioni che gravano come un macigno sulle sorti dell’acqua e della depurazione in Calabria.

Eppure, il servizio ha ripreso, seppur con tutta la sua gravità, elencando numeri, tempi, risorse perse e classifiche quello che si conosce da decenni ovvero, che in molte regioni del sud e, la Calabria è il punto più annoso, non esiste un sistema articolato del SII che riesca a contemperare la legge (legge galli n°36/94 e TUA 152/06) con il rispetto di un diritto di cittadinanza.
È altrettanto chiaro ed evidente che il mancato riordino del servizio ci pone nella condizione di non poter gestire, allo stato, tutta una serie di dotazioni finanziari europee e nazionali che potrebbero garantire il salto di qualità  alla gran parte delle regioni del sud.

Quindi, per il contesto sinteticamente descritto, il rischio di essere tagliati fuori dalle traiettorie di tutti i  finanziamenti pubblici è reale, ed in parte, purtroppo, questa condizione si è già concretamente realizzata proprio per effetto delle mancate riforme e per l’assenza di capacità e lungimiranza della nostra classe politica.

Basti pensare che, per la depurazione, segmento fondamentale del servizio che ha effetti anche su tante filiere, una su tutte quella dell’industria del turismo ma anche quella afferente all’economia circolare, produttiva etc etc, non si riesce a programmare e mettere a terra le risorse per l’adeguamento degli impianti coinvolti dalle procedure di infrazioni europee per le quali ogni anno paghiamo laute sanzioni.

E come non ricordare con sdegno la mancata opportunità di utilizzare proficuamente le risorse previste dal programma “React Eu” che ha visto sfumare l’impiego di ben 104 milioni di euro da investire sulle reti colabrodo di distribuzione dei Comuni con il conseguente balletto delle responsabilità istituzionali.

Per tali ragioni, la Calabria delle istituzioni, a tutti i livelli, è chiamata ad una prova muscolare non indifferente e tempestiva, diversamente, l’amara verità richiamata dal servizio televisivo sarà l’ennesimo colpo, forse quello definitivo, ad un settore quello idrico capace, se gestito e sistematizzato, di  essere volano di crescita e benessere ancorché garanzia di buona e stabile occupazione.

Crediamo fortemente che, per raggiungere gli obiettivi appena richiamarti andrebbero affrontati i nodi che bloccano la riforma e che a nostro avviso dovranno essere risolti dentro una celere  road-map per obiettivi che, schematicamente decliniamo in modo indicativo, prioritario ma non esaustivo ovvero:

1. Immediata attuazione delle norme in materia ambientale e SII TUA 152/06 e L.R. n° 10 del 20 aprile 2022 recante disposizioni sui cicli di Rifiuti e Acqua;
2. Dopo la “pubblicizzazione di So.Ri.Cal” 15 giugno 2022, avviare una fase di profonda riorganizzazione interna della Società  definendo i fabbisogni occupazionali e le relative assunzioni e, contestualmente lavorare all’uscita dall’attuale stato di liquidazione con  un piano di “exit strategy ”  approvato con delibera da parte della Giunta Regionale ed il successivo  passaggio presso il Tribunale competente. Infine costruire un serio piano industriale che metta al centro le potenzialità e il know how presenti in una visione di lunga prospettiva;
3. Ingresso nell’azionariato di Sorical da parte dei Comuni calabresi al fine di esercitare il cosiddetto contro analogo per come prevede la norma di riferimento;
4. Indire il prima possibile (Regione e Autorità Rifiuti e Risorse idriche della Calabria) le elezioni che definiranno l’organismo direttivo in seno all’Autorità e successiva nomina di una serie di importanti soggetti Direttore Generale e Revisori dei conti su tutti;
5. L’Autorità e/o Ente di Governo d’Ambito regionale dovrà discutere e decidere la forma di gestione per il SII  e allo stesso modo il cosiddetto “Piano d’Ambito” strumento necessario per costruire il piano industriale del futuro gestore e definire l’adeguamento del piano tariffario;
6. L’Autorità dovrà individuare il soggetto gestore (noi crediamo Sorical rilanciata e multiutility) a cui affidare il SII per l’intero territorio regionale dalla captazione alla bollettazione finale passando dalla depurazione;
7. La Multiutility (Sorical) dovrà avviare, per come previsto dalle norme in materia di servizio idrico, il percorso di integrazione formale e sostanziale in primis delle gestioni esistenti e successivamente tutte le gestioni che i Comuni gestiscono in forma diretta (non in linea con le norme)  che in gergo tecnico vengo definite “in economia”;
8. Le prime integrazioni che andranno affrontate riguardano le gestioni associate, riconosciute ed esistenti (ARERA) con lo strumento giuridico adeguato e con la garanzia dell’assorbimento dei lavoratori, secondo noi prediligendo lo strumento della fusione per incorporazione al fine di soddisfare meglio le prerogative economiche, giuridiche e occupazionali;
9. Integrazioni, dentro il gestore unico,  delle gestioni in mano ai Comuni  che è la fetta più significativa e per questa via più complessa (circa l’80%) soprattutto per quello che concerne la depurazione che oggi è polverizzata in mille gestioni pubblica (Corap), tanto privato affidata con gare, in proroga etc etc;
10. Gestione integrata e sistematizzata del Servizio Idrico Integrato che possa  avere una adeguata governance, una  significativa dote finanziaria iniziale, che sappia   gestire  e mettere a terra i finanziamenti del PNRR e non solo e, garantire qualità del servizio a tariffe adeguate;

Questa, secondo noi,  la road-map  in 10 tappe che la politica e le Istituzioni dovranno percorrere in un’unica direzione   ed in tempi celeri. Diversamente, crediamo, che la profonda riforma che attiene al diritto di cittadinanza per eccellenza “ la fruizione del bene acqua” ancor di più in un periodo di crisi idrica, resterà ancora una volta un’occasione perduta…forse l’ultima.

Per tali motivi, invitiamo il Presidente on. Roberto Occhiuto ad aprire, sul tema, una nuova fase riformatrice convocando “gli stati generali dell’acqua”  nella quale tutti i soggetti coinvolti, tra cui le parti sociali, potranno contribuire al rilancio di un settore strategico per la crescita, lo sviluppo ed il benessere dell’ intero tessuto produttivo e sociale  calabrese. Con questo atto lanciamo la sfida, noi siamo pronti. (as e fg)

(Angelo Sposato è segretario generale CGIL Calabria, Francesco Gatto è segretario regionale Filctem-Cgil)

PD contro Occhiuto per i 104 mln persi per risorse idriche

È un continuo botta e risposta, quello che sta avvenendo tra i consiglieri regionali del Partito Democratico e il presidente della Regione, Roberto Occhiuto, sulla questione dei 104 milioni del React Ue persi dai Comuni per le reti idriche calabresi.

I dem, infatti, hanno chiesto al Governatore di chiarire sulla perdita di tali fondi. Risposta arrivata immediatamente da Occhiuto, che ha accusato i democratici di aver «perso per strada le vicende degli ultimi mesi. Fatti, dichiarazioni, leggi, discussioni in Consiglio regionale», in particolare proprio sulla faccenda dei 104 milioni del bando React Ue per le reti idriche calabresi.

«L’Autorità idrica della Calabria – società costituita dai Comuni e presieduta dal sindaco Manna – presentò in modo errato – ha ricordato il Governatore – la domanda di partecipazione al bando, e il Ministero la rigettò senza appello. A seguito di questo grave evento ci fu in Calabria, giustamente, un dibattito pubblico: articoli sui giornali, servizi televisivi, mie dichiarazioni, interventi dell’opposizione, discussioni in Consiglio regionale».

«Quelli del Pd non ricordano nulla: loro la notizia l’hanno appresa l’altro giorno da Sky. Almeno si vadano a leggere i resoconti delle sedute d’Aula dedicate al tema, condite anche dai loro interventi – ha proseguito –. In seguito a questo legittimo polverone – è stato, infatti, inaccettabile perdere 104 milioni di euro – il mio governo regionale ha deciso di accelerare la riforma per avere anche in Calabria una Authority unica che si occupi non solo della grande adduzione ma anche della distribuzione, coinvolgendo la Sorical, che nel frattempo abbiamo acquisito».

«La riforma della gestione del sistema idrico, al quale abbiamo affiancato anche quella dei rifiuti, è legge regionale – nell’inconsapevolezza dei dem – dallo scorso 19 aprile, dopo due sedute del Consiglio nel giro di una settimana e raccogliendo in Aula numeri più ampi rispetto al perimetro della maggioranza che mi sostiene –. E proprio grazie a questa riforma e alla prospettiva che ci darà la nuova multiutility, il governo regionale è ottimista sul fatto che i 104 milioni del bando React-Eu persi a marzo dai Comuni possano in qualche modo essere recuperati dalla Regione entro la fine del 2022, e da mesi stiamo lavorando per questo: per rimediare agli errori altrui e per portare queste importanti risorse in Calabria».

«Gli esponenti del Partito democratico e soprattutto l’amico Domenico Bevacqua studino di più e siano propositivi – ha concluso – invece di parlare a vanvera con il solo obiettivo di dar fiato alle trombe. Mimmo caro, fare il capogruppo del Pd in Consiglio regionale non è come fare il consigliere comunale a Longobucco».

«È evidente che abbiamo colto nel segno», hanno commentato i democratici, sottolineando come «volta che una critica mette in luce una delle tante inefficienze del governo regionale, il presidente Occhiuto perde la testa e lo stile».

«Non potrebbe spiegarsi altrimenti la reazione spropositata del Presidente Occhiuto alla nostra richiesta legittima di riferire in Consiglio Regionale dopo la perdita di 104 milioni di euro denunciata e rilanciata  in questi giorni da importanti testate nazionali e su cosa si stia facendo per ottenere e spendere i fondi Pnrr».

«L’opposizione non siede in Consiglio Regionale per assecondare i silenzi e i ritardi della maggioranza ma, piuttosto – hanno proseguito i dem – per vigilare su quanto fa o non fa il governo regionale e per stimolare quest’ultimo a fare sempre di più. Invece di lasciarsi andare ad un’invettiva di serie b, il presidente Occhiuto si abitui a rispondere nel merito e scenda dal piedistallo da cui non si è mosso fin dal suo insediamento».

«E l’argomento relativo alla rete idrica e alla siccità (che colpisce anche agricoltori e comuni cittadini) non può essere, come vorrebbe Occhiuto – hanno detto – affidata all’imperatore che fa e disfa a suo piacimento. Occhiuto, dall’alto dei suoi 30 anni di vita politica che lo rendono l’unico dinosauro della politica calabrese, mostri di rispettare le Istituzioni e osservi lo Statuto e il Regolamento del Consiglio Regionale. Lo dimostri immediatamente venendo in Aula a rendere una integrale informativa su cosa si stia facendo in merito ai fondi del Pnrr». (rrm)

ACQUA, AMBIENTE, ENERGIA: DALLA SVIMEZ
INDICAZIONI PER UTILIZZO RISORSE PNRR

In Calabria, l’attivazione in termini di valore aggiunto della produzione delle utilities (ambientale, idrico ed energetico), ha un’incidenza dello 0,5%. È il valore minimo rilevato nelle otto regioni meridionali dal Rapporto Sud I servizi pubblici locali nell’Economia del Mezzogiorno, elaborato da UtilitaliaSvimez.

Un dato che preoccupa, ma che deve far comprendere come sia importante investire le preziose risorse del Pnrr per migliorare la qualità della vita dei calabresi, partendo dall’acqua, dall’ambiente e dall’energia.

Soprattutto sull’acqua, la nostra regione ha un problema serio: è tra le più colpite per l’irregolarità nel servizio dell’erogazione dell’acqua e il 28,8% delle famiglie si lamenta del problema. Grave disagio, poi, anche sui consumi: il 38,2% delle famiglie ha dichiarato di non fidarsi a bere l’acqua del rubinetto.

Quello presentato è, infatti, un prezioso documento che analizza e valuta gli impatti economici e occupazionali nei vari settori in cui operano le utilities (ambientale, idrico ed energetico) nelle regioni del Mezzogiorno. Vengono messe a fuoco sia le criticità, legate ad alcuni ritardi storici e all’incalzare della crisi climatica e per la cui risoluzione vengono effettuate alcune proposte, sia le opportunità, moltiplicate dalla destinazione del 40% delle risorse del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) alle regioni meridionali.

Secondo il rapporto, infatti, «i servizi di pubblica utilità, nello specifico quelli relativi alla gestione delle risorse idriche, ambientali ed energetiche, svolgono un ruolo particolare: sono vettori che possono accelerare il passaggio verso un’economia decarbonizzata, basata sulla circolarità delle risorse, sul miglioramento della qualità della vita e sul rafforzamento della resilienza dei sistemi economici e sociali».

«In quasi 290 mila gli addetti nel comparto delle utilities, di cui oltre 93 mila impiegati nelle unità locali situate nelle regioni meridionali. Il peso relativo del Mezzogiorno sull’Italia è dunque pari al 32%, in linea con il peso demografico di queste regioni e nettamente maggiore di quanto emerge da altri indicatori economici (la quota del PIL meridionale su quello nazionale, ad esempio, arriva a malapena al 22%). In termini di occupati, il peso relativo delle utilities sul totale dell’industria raggiunge l’8,9% nel Sud, ed è pari al 4,5% nel CentroNord».

«Passando, però – si legge – dal numero degli occupati alla produttività, l’equilibrio tra Nord e Sud viene ribaltato. Il valore aggiunto per occupato nelle utilities del Mezzogiorno è pari a circa 116 mila euro, mentre nel Centro-Nord si attesta a 166 mila euro, rispetto a valori pari, rispettivamente, a 48 e 67 mila euro per il totale dell’industria. Inoltre il Sud Italia è caratterizzato da una minore concentrazione di società rispetto al resto del Paese: delle 1.301 realtà a livello nazionale, soltanto 260 hanno sede nelle aree meridionali. Nel 2020, il valore della produzione (fatturato) dei servizi di pubblica utilità realizzato da 241 aziende con sede legale nelle regioni del Mezzogiorno ha sfiorato i 5 mld di euro, che corrisponde al 21% dell’intero fatturato prodotto su scala nazionale, nel medesimo anno, dalle aziende attive nei due settori considerati (idrico e servizio ambientale)».

«Il valore della produzione – viene spiegato – complessivamente attivato dalle utilities del Mezzogiorno qui considerate è pari, in valore assoluto, a circa 11 mld di euro a scala nazionale. Per offrire un termine di comparazione, quest’ultimo dato è pari a quasi lo 0,4% dell’intero valore della produzione nazionale al netto delle attività non market2 nel 2019. Per ogni euro di produzione realizzata nel Sud da parte delle utilities esaminate se ne attivano, in Italia, circa 2,2».

Tornando al discorso dell’attivazione in termini di valore aggiunto nelle otto regioni meridionali e la sua incidenza sul Pil, se la Calabria è quella che presenta il valore minimo, c’è la Puglia che, invece, presenta il valore più alto (1,6%).

Dunque, «In sei regioni su otto del Mezzogiorno, l’attivazione di valore aggiunto è uguale o superiore al punto percentuale (sul PIL regionale). Sono valori che indicano come, al di là delle funzioni di primaria importanza svolte da queste aziende (basti pensare a quelle attive nella raccolta dei rifiuti), esse presentano una “dimensione” economica non trascurabile. A fronte di un numero complessivamente esiguo di aziende, la loro capacità propulsiva appare comparativamente elevata».

Per Svimez e Utilitalia, poi, c’è un altro elemento da considerare, ossia che le aziende meridionali sono importanti attivatori di produzione e occupazione anche per le regioni del Centro-Nord. Se nelle regioni del Sud, per ogni milione di euro di produzione realizzata dalle utilities locali, si attivano dai 7 ai 10 addetti, la produzione totale attivata dalle aziende genera a livello nazionale da 2 a 3 posizioni lavorative aggiuntive che interessano le regioni del Centro-Nord. In altri termini, per ogni milione di euro di produzione realizzata dalle imprese meridionali, in media una quota prossima al 30% dell’attivazione complessiva di occupazione va a beneficio delle regioni centro-settentrionali».

Per quanto riguarda il settore idrico, è cosa nota che il Sud soffra di significativi ritardi sia sulla governance che sugli investimenti. Una condizione che aumenta il divario con il resto del Paese andando a creare quella che nel rapporto viene chiamata Water service divide.

«La presenza di piccoli operatori – si legge – spesso coincidenti con i singoli Enti Locali, e la mancanza di un ente di regolazione locale che coordini l’attività dei gestori sul territorio, hanno forti ripercussioni sulla pianificazione degli interventi e sulla determinazione delle tariffe: i gestori del servizio si ritrovano spesso in condizioni di difficoltà economica per cui l’obiettivo finale si focalizza più sulla necessità di contrastare eventuali squilibri di breve termine che su una pianificazione ottimale di lungo periodo che guardi all’efficienza della gestione. È dunque necessario garantire la piena operatività agli Enti di Governo d’Ambito, passaggio fondamentale per il superamento delle gestioni in economia (che al Sud servono il 26% della popolazione; vedi figura) e della frammentazione gestionale che rappresentano un freno allo sviluppo industriale e agli investimenti».

Per Svimez e Utilitalia, «sarebbe opportuno prevedere un’accelerazione nella realizzazione delle infrastrutture interregionali o comunque sovra-ambito (già previste nei piani di bacino e nel Piano nazionale di interventi infrastrutturali e per la sicurezza nel settore idrico) ecoerentemente, completare la costituzione di una nuova Società dello Stato (prevista dalla Legge di Stabilità per il 2018) che subentri all’EIPLI, ente definitivamente soppresso e posto ormai in liquidazione. Lo stallo sul destino di questo ente determina infatti un’elevata vulnerabilità del sistema di grande approvvigionamento di buona parte del Sud Italia, comportando un rischio significativo per l’uso civile dell’acqua ma anche per quello irriguo e industriale».

«Si tratta di interventi urgenti perché l’infrastruttura presente nelle regioni del Sud è stata in gran parte realizzata grazie alle risorse previste dalla Cassa del Mezzogiorno» viene evidenziato nel Rapporto, dove viene spiegato che il Sud deve fare i conti con la persistente scarsità della risorsa idrica.

Purtroppo, infatti, «in molte zone i problemi connessi alla disponibilità di acqua potabile costringono ogni anno le amministrazioni a emanare ordinanze di razionalizzazione delle acque, causando disagi alla cittadinanza soprattutto nel periodo estivo. Il quadro complessivo ha un impatto evidente sui consumi di energia elettrica: se da un lato il consumo di energia dell’acqua immessa in rete è abbastanza omogeneo, lo stesso non può dirsi in relazione ai volumi consegnati all’utenza».

E, proprio sulla dispersione dell’acqua, è stato rilevato come «in sei capoluoghi del Mezzogiorno si osservano perdite totali lineari sulla rete comunale di distribuzione dell’acqua potabile superiori a 100 metri cubi per chilometro di rete, che si traducono in perdite percentuali superiori al 50%. Basti pensare che la percentuale delle perdite di Siracusa è pari al 68% circa, mentre a Milano scende al 14%. %. Questa differenza è espressione del service divide che caratterizza il comparto idrico italiano, ovvero l’asimmetria in termini di qualità del servizio offerto tra Nord e Sud del Paese, che può essere riequilibrata solo con un piano di investimenti strategico per le regioni meridionali».

«Inoltre in 11 Comuni capoluogo di provincia/città metropolitana, localizzati tutti nel Mezzogiorno, si è fatto ricorso a misure di razionamento nella distribuzione dell’acqua potabile, disponendo la riduzione o sospensione dell’erogazione idrica. A 10 Famiglie e servizio idrico: nel Mezzogiorno maggiore irregolarità nel servizio e bassa fiducia nel bere acqua del rubinetto Attivazione complessiva degli investimenti nel periodo 2018-2023: in termini di produzione 3,2 mld € con 42mila ULA Enna, Pescara, Cosenza e Reggio di Calabria le restrizioni nella distribuzione dell’acqua potabile sono state estese a tutto il territorio comunale. Le situazioni più critiche si sono registrate ad Agrigento e Trapani, dove l’erogazione dell’acqua è stata sospesa o ridotta in tutti i giorni dell’anno, con turni diversi di erogazione estesi all’intera popolazione residente».

Da questi dati, dunque, emerge come le sfide più importanti per le utilities del Sud sono legate essenzialmente alla riduzione del service divide, soprattutto nei settori idrico e ambientale. L’obiettivo è migliorare i servizi erogati anche nell’ottica di aumentare il grado di resilienza di fronte agli effetti dei cambiamenti climatici.

A tal proposito dal rapporto emergono alcune precise proposte: è necessario sostenere e potenziare lo sviluppo industriale delle utilities nel Sud Italia favorendo le gestioni industriali per superare i problemi derivanti dalla frammentazione; migliorare e semplificare la governance, per garantire rapidità ed efficacia nel processo di evoluzione industriale, incentivando la completa realizzazione degli investimenti, e semplificare i procedimenti autorizzativi; completare il processo di costituzione di una nuova Società dello Stato, che subentri ad EIPLI, per garantire il riequilibrio della dotazione della risorsa idrica nel bacino distrettuale dell’Appennino Meridionale; incentivare il processo di digitalizzazione del comparto; e, infine, programmare lo stanziamento di nuove risorse destinate alle regioni del Meridione ed assicurare la realizzazione degli investimenti.

Nelle regioni del Sud inoltre – e in particolare in Sicilia, in Puglia e in Basilicata – è presente il maggior potenziale di sviluppo delle rinnovabili da solare ed eolico d’Italia. Ad oggi la produzione di energia rinnovabile da queste fonti, al Sud Italia, è pari a circa il 30% della produzione nazionale (dati Terna): un valore che può crescere sensibilmente, contribuendo al raggiungimento dei target previsti dalla normativa europea.

Per la Presidente di Utilitalia, Michaela Castelli, «l’unica strada percorribile per elevare il livello dei servizi pubblici al Sud è favorire una gestione industriale, ovvero una gestione unica che si occupi dell’intero ciclo dell’acqua come dei rifiuti. Come dimostrano le positive esperienze del Centro-Nord e quelle delle realtà industriali presenti nel Meridione, solo in questo modo è possibile ottenere un incremento degli investimenti e della qualità dei servizi offerti ai cittadini».

«Bisogna intervenire – ha evidenziato – nei territori in cui le amministrazioni locali non hanno ancora affidato il servizio a un soggetto industriale, con l’obiettivo di superare le gestioni in economia e la frammentazione gestionale. Per ogni euro di produzione realizzata nel Sud da parte delle utilities esaminate nel Rapporto se ne attivano, in Italia, circa 2,2: il comparto può dunque contribuire in maniera importante al rilancio economico del Meridione, anche dal punto di vista dell’impatto occupazionale diretto e indiretto».

Anche per il Direttore Generale della Svimez, Luca Bianchi «il comparto delle utilities risulta essere uno dei canali di trasmissione più idonei a mettere a terra con profitto le risorse del PNRR nel Mezzogiorno. La maggiore robustezza rispetto al resto dell’industria riscontrata nelle gestioni integrate idriche e dei rifiuti, così come la capacità progettuale e di governo del sistema dei Consorzi di Bonifica, sono gli elementi che lo studio mette in evidenza come leve cruciali per favorire la transizione digitale ed ecologica del Mezzogiorno».

«Puntare su modelli di governance – ha sottolineato – che si sono rivelati efficaci anche al Sud, rafforzandoli nei territori in cui ancora non si sono insediate le gestioni industriali e concentrandovi le maggiori risorse per investimenti del PNRR, può essere la soluzione per sopperire al deficit di capacità amministrativa che potrebbe compromettere l’efficacia del PNRR nel Mezzogiorno. Tanto più che l’impatto degli investimenti su questi settori risulta essere particolarmente incisivo nella formazione di nuova occupazione e riguarda gli ambiti più esposti alle sfide del cambiamento climatico».

«Gli investimenti sulla digitalizzazione delle gestioni idriche, dei campi agricoli, sulla depurazione e sul trattamento dei rifiuti possono produrre effetti a cascata (effetti spillover) nel lungo periodo di gran lunga superiori alle stime di impatto sul Pil e occupazione, peraltro già consistenti, elaborate in questo studio», ha concluso Bianchi. (rrm)

Lega: L’acqua calabrese deve essere difesa da tutti contro possibili speculazioni

Il commissario regionale della LegaGiacomo Saccomanno, ha ribadito la necessità, da parte di tutti, di proteggere l’acqua calabrese dalle speculazioni.

«Nessuno può pensare – ha evidenziato – di depredare ancora la nostra terra. Va eliminato il continuo lamento e affrontati i problemi con competenza e decisione. Bisogna essere propositivi per il bene comune. È noto a tutti che oltre il 50% dell’acqua immessa nelle condotte si perde per la vetustà di queste. Così come è noto che vi sono società non calabresi che vorrebbero gestire questo nostro patrimonio. Ecco la ragione per la quale è indispensabili, indipendentemente dai colori politici, che il problema dell’acqua, essendo una cosa molto seria, vada affrontato nella sua concretezza e con un tavolo comune per evitare l’evidente tentativo di derubare, ancora una volta, la Calabria».

«Sarebbe, quindi – ha detto – opportuno che questo problema venga affrontato e chiarito con una conoscenza reale della situazione. La nostra regione non può e non deve cedere alle sirene di gruppi affaristici del Nord o dell’Europa. L’acqua calabrese va difesa con i denti. Ci deve essere una unica società pubblica che gestisce le nostre fonti e che realizzi tutto quello necessario per rendere il sistema idrico adeguato ed efficiente. Allo stato non sembra che ci sia questa visione d’insieme».

«Ed allora – ha proseguito – le persone che vogliono bene alla nostra regione devono mettersi assieme per creare un gruppo di lavoro e presentare un progetto condiviso o business plan adeguato, che provenga anche dal basso, se necessario. Chi vuole il bene della Calabria deve unire su delle linee progettuali e non dividere per ideologie, che ormai sono lontane. Il bene comune al centro dell’azione politica. Insieme si può fare».

LA GRANDE IMMENSA SETE DELLA CALABRIA
OGNI ANNO 200 MLN DI METRI CUBI IN MARE

di ANTONIETTA MARIA STRATI – L’acqua è tornata nei campi del Catanzarese, ma la Calabria continua a essere ‘assetata’. Ogni anno, infatti, ci sono 200 milioni di metri cubi d’acqua che, inevitabilmente, finiscono in mare. Una gravissima situazione che è stata registrata dall‘Anbi – Associazione Nazionale dei Consorzi per la Gestione e la Tutela del Territorio e delle Acque Irrigue su indicazione del Consorzio di Bonifica Ionio Catanzarese e che, in parte, è stata risolta, almeno, per quanto riguarda il Catanzarese, grazie all’intervento della Regione Calabria che ha imposto alla società A2A, di rilasciare 155mila cubi d’acqua al giorno, anche per uso potabile, a valle della centrale idroelettrica di Magisano.

«È il quantitativo minimo, sufficiente ad evitare la perdita dei raccolti, già flagellati dalla siccità – ha ricordato Francesco Vincenzi, presidente dell’Anbi–. Siamo ancora lontani dai 280mila metri cubi, previsti dalla convenzione, ma è un primo segnale, frutto dell’impegno dell’assessore all’Ambiente della Calabria, Sergio De Caprio e della mediazione regionale, fortemente sollecitata dall’azione congiunta delle organizzazioni professionali agricole e del Consorzio di Bonifica Ionio Catanzarese, costretto addirittura a rivolgersi alla magistratura per vedere affermato un proprio diritto. È questo un aspetto fondamentale della vicenda, esempio per superare la logica dei commissariamenti senza fine in atto in Sicilia e Puglia: solo l’autogoverno è in grado di garantire le legittime aspettative dei consorziati, cui bisogna rispondere anche al Sud con crescente efficienza e determinazione».

Ma, se per il Catanzarese la situazione sembra essersi risolta – o almeno in parte -, nel Crotonese, invece, la situazione non è delle migliori: è lo stesso presidente del Consorzio di Bonifica Ionio – Crotonese, Roberto Torchia, a denunciare che, nella giornata del 18 agosto, «l’azienda A2A, dalle 13,00 circa di mercoledì 18 agosto, ha interrotto gli scarichi idrici nel fondo Tacina, a valle dell’invaso di Orichella».

Il consorzio ha tuttavia ricevuto rassicurazioni sulla riapertura dell’acqua, veicolata “dall’erogazione con la tagliola degli anticipi rispetto ai rilasci del prossimo anno”, ma per Torchia “si sposta, così, la cultura dell’emergenza ai prossimi anni che, tra l’altro, verranno sempre più colpiti dai cambiamenti climatici”.

«I coltivatori – ha detto Torchia – sono privi della fornitura così come tutte le altre utenze servite dagli impianti che, così come oramai arcinoto, non riguardano “solamente” il settore agroalimentare. Il disagio e l’allarme sociale è elevatissimo».

«Il territorio, gli agricoltori e le utenze – ha detto ancora – risulteranno devastati e gravemente compromessi dall’assenza di acqua”, prosegue Torchia che continua facendo riferimento agli accordi presi “nel corso dell’ultima video conferenza anche alla presenza dei rappresentanti Regionali e del Prefetto di Crotone», ai quali non sarebbero «seguiti fatti concreti».

A Reggio, la situazione è ancora peggiore: ad Arghillà, così come in molte altre zone della Città Metropolitana, l’acqua fatica ad arrivare, creando non pochi disagi ai cittadini.

Giuseppe Votano, del coordinamento di quartiere di Arghillà, alla Gazzetta del Sud ha parlato di «zona franca” e di un territorio in cui l’acqua non arriva».

«Ai piani alti l’acqua se la sognano ormai da mesi – ha aggiunto –. Tantissima gente sta soffrendo e se non hanno l’autoclave l’acqua non arriva. Il problema è strutturale, perchè il serbatoio non sopporta il fabbisogno di un quartiere che nel frattempo ha avuto una forte espansione demografica e nel quale abitano 6mila persone».

«La situazione è drammatica – ha proseguito Votano – e non si è mai riusciti a risolvere il problema. Ci hanno detto che saranno stanziati dei soldi per fare un nuovo serbatoio, ma da mesi ormai il problema perdura. Ripeto, il problema è strutturale perchè il serbatoio Alfieri, vicino al carcere, servito dai pozzi di San Cono e di Petto Gallico non riesce alla necessità di un quartiere nato per mille persone. Ora l’aumento di persone, tra abitazioni abusive ed assegnate irregolarmente, fa di Arghillà un vero e proprio comune nell’arco di un km quadrato».

Sulla crisi idrica, è intervenuto anche Franco Germanò, già assessore ai Lavori Pubblici del Comune di Reggio Calabria che, su un post su Facebook, spiegando che «rispetto alla drammatica e colpevole carenza idrica a Reggio, credo che l’assessore Rocco Albanese disconosca alcuni fatti importanti. Asserisce, infatti, l’assessore, a nome immagino del Sindaco e dell’intera Giunta, che purtroppo la rete idrica è vetusta, i tubi registrano continue perdite e quindi anche l’acqua del Menta che arriva a pressione alta paradossalmente provoca più disagi che benefici».

«Ritengo opportuno – ha scritto ancora – fare alcune precisazioni e puntualizzazioni rispetto a tale assunto. Quasi tutta la rete idrica è stata rifatta in ghisa con i fondi del decreto Reggio. Iniziò la giunta di Italo Falcomatà con l’assessore Giuseppe Falduto e completammo poi noi con la prima giunta di centro-destra. Con un progetto fatto quando ero assessore ai lavori pubblici e con la consulenza del geometra Sera, già responsabile dell’ufficio acquedotti, provvedemmo a realizzare gli allacci alle nuove condotte. Il progetto naturalmente prevedeva la contestuale dismissione delle vecchie condotte».

«La mia esperienza, come ai più noto – ha proseguito – terminò in anticipo e quando i lavori non si erano ancora conclusi e, da quel che mi risulta, le dismissioni delle vecchie condotte non furono realizzate, con la dispersione dell’acqua in due condotte e con le perdite che si verificano nelle condotte vecchie non dismesse. A nulla è servito negli anni esporre questa situazione ai vari assessori e consiglieri delegati e per ultimo al sindaco in carica. Del perché penso sia facilmente intuibile. Ora si proclamano lavori di rifacimento di condotte già sostituite anziché chiedere conto ai responsabili dei lavori passati e verificare la reale situazione. Non è la prima volta purtroppo che a Reggio si finanziano lavori per opere peraltro già realizzate, duplicando le spese senza risolvere il vero problema. Esistono poi altri due problemi».

«Il primo sono gli allacci abusivi nelle aree periferiche per innaffiare orti e giardini – ha detto ancora –. Non bastano le belle parole, servono fatti, serve cioè realizzare un’intesa con Prefettura, Questura e Magistratura e avviare una reale ricerca di tali situazioni procedendo agli arresti dei colpevoli. Ai miei tempi così facemmo e in un mese le forze dell’ordine arrestarono quasi 50 persone con il risultato che in quelle zone l’acqua tornò abbondante».

«Il secondo – ha detto ancora – riguarda i manovratori, ai quali non dovrebbe essere lasciata alcuna autonomia decisionale su come e quando aprire e chiudere le saracinesche, ma dovrebbero eseguire precise disposizioni dei vertici amministrativi e politici. Inoltre andrebbero ruotati e destinati ognuno in zone diverse da quella di residenza. Questo è il mio pensiero e spero che possa essere utile a chi oggi ha responsabilità di governo della Città perché ognuno deve assumersi le proprie responsabilità, se ne è capace, altrimenti abbandoni il campo».

«C’è una grande questione culturale sul futuro delle risorse idriche e l’insensibilità, che denunciamo in Calabria, è lì a dimostrarlo: si può per mero profitto penalizzare risorse vitali come il cibo e l’ambiente?» ha chiesto Francesco Vincenzi, che chiede, ancora, «per il bene della collettività e nel rispetto delle normative di legge, di cui chiediamo l’applicazione».

Anche Massimo Gargano, presidente direttore generale Anbi, ha ribadito come «le normative sull’utilizzo del bene pubblico acqua attribuiscano priorità all’uso agricolo dopo quello per fini umani», dando «piena disponibilità e consapevolezza a ricercare le necessarie compatibilità fra i crescenti interessi gravanti sulle risorse idriche».

«Per questo, già da tempo – ha concluso – le progettualità dei Consorzi di Bonifica ed Irrigazione rispondono a criteri di multifunzionalità in sintonia con le esigenze del mondo agricolo: dalla produzione idroelettrica alla fruizione ambientale e turistica. E’già così per gli 858 progetti definitivi, presentati da Anbi per essere inseriti nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza; al Sud ne sono previsti 277 per un investimento di quasi 1 miliardo e 900milioni di euro, capaci di attivare circa 9.500 posti di lavoro».

A ribadire la necessità di lavorare «ad una strategia per l’acqua» è Franco Aceto, presidente di Coldiretti Calabria, spiegando che ciò si potrebbe realizzare «ottimizzando la distribuzione dei grandi invasi esistenti e finanziando la realizzazione di invasi più piccoli per accumulare la risorsa quando è troppa e per distribuirla quando manca e distribuirla in modo razionale ai cittadini, all’industria e all’agricoltura, con una ricaduta importante sull’ambiente e sull’occupazione».

«I Consorzi di Bonifica – ha concluso – sono la punta di diamante nella gestione e realizzazione. Ormai, non si può più parlare di rischio di cambiamento climatico. Siamo già dentro un cambiamento cronicizzato. Le risorse europee del Pnrr – conclude -servano ad affrontare questi tempi nuovi e ad innescare percorsi virtuosi, evitando di finanziare speculazioni come il fotovoltaico sul suolo fertile». (ams)

LA SVIMEZ: INVESTIRE NELL’ACQUA AL SUD
PER FAR CRESCERE IL PIL E L’OCCUPAZIONE

Nel Mezzogiorno, soprattutto in Calabria, le perdite idriche e lo spreco dell’acqua sono un gravissimo problema. Eppure, se si investisse nel settore idrico, con un finanziamento aggiuntivo di 3 miliardi di euro da destinare alle imprese meridionali, si «genererebbe un incremento del Pil dello 0,3% in Italia, con un significativo recupero del Mezzogiorno: nel triennio 2021-2023 la maggiore crescita cumulata del Pil del Sud sarebbe +1,1%, contro +0,1% previsto per il Centro-Nord».

È quanto è emerso dal rapporto redatto dalla Svimez con il supporto di Utilitalia, che è stato presentato nel corso di un webinar sul tema Pnrr: Investimenti e nuove politiche per un moderno servizio idrico nel Mezzogiorno, a cui hanno partecipato il direttore Luca Bianchi, il presidente di Utilitalia, Michaela Castelli e il ministro per il Sud, Mara Carfagna.

Dal report, è emerso che «lo spreco dell’acqua, in particolare nelle regioni meridionali, è sempre troppo elevato: al Nord mediamente le perdite idriche si attestano intorno al 28%, al Sud superano il 47%, con picchi del 60% in alcuni capoluoghi siciliani e campani» e che «a fronte degli evidenti divari di qualità riscontrati, le tariffe mediamente non sono così difformi sul territorio nazionale: anzi, in alcune aree del Mezzogiorno sono perfino sensibilmente superiori rispetto a quelle del Nord, dove una parte dell’efficientamento del servizio si è riflessa in minori costi del servizio stesso oltre che nell’incremento della qualità».

Secondo il Report, «appena il 7% delle famiglie del Nord è poco o per niente soddisfatto del servizio, contro il 21% delle famiglie del Mezzogiorno, con una punta del 36% in Calabria».

«Rispetto a un investimento medio degli altri Paesi europei di 90 euro per abitante – si legge – l’Italia ha investito molto meno, circa 39 euro (dati 2017). Gli investimenti nel Mezzogiorno si attestano a meno, circa 26 euro, rispetto ai 39 del Centro-Nord. Per di più, nelle gestioni comunali in economia, significative in molte Regioni meridionali, l’investimento medio (2015-2016) scende tra i 4 ed i 7 euro per abitante. Per riequilibrare il divario di investimenti tra Nord e Sud, in base alla clausola del 34%, per la quale si è battuta a lungo la Svimez, e che è ormai legge, occorrerebbe un finanziamento aggiuntivo di quasi 3 miliardi da destinare alle imprese meridionali. Se, poi, si volesse riequilibrare in termini pro-capite il valore cumulato degli investimenti realizzati a partire dall’anno 2000, la misura di tale compensazione sfiorerebbe i 4 miliardi, con impatti maggiori in Sicilia, Campania e Calabria».

In base al Report, «il livello di fatturato per addetto è significativamente più elevato al Centro-Nord (circa 260mila euro) rispetto al Mezzogiorno (circa 184mila euro), così come la produttività lorda, misurata dal valore aggiunto per addetto, che al Centro-Nord si colloca intorno ai 134mila euro per addetto, contro i quasi 95mila del Sud. In base alle stime elaborate con il modello Nmods della Svimez, un piano di investimenti aggiuntivi per 3 miliardi nel settore idrico genererebbe un incremento del Pil dello 0,3% in Italia, con un significativo recupero del Mezzogiorno: nel triennio 2021-2023 la maggiore crescita cumulata del Pil del Sud sarebbe +1,1%, contro +0,1% previsto per il Centro-Nord».

«Sotto il profilo occupazionale – si legge – nel periodo di realizzazione degli investimenti, i posti di lavoro aumenterebbero di quasi 45mila unità, in gran parte, circa 40mila, concentrate nel Mezzogiorno, ma con una consistenza non trascurabile anche nel Centro-Nord (circa 5mila). Secondo il Report, serve nel Mezzogiorno una maggiore aderenza alle strutture d’impresa adottate al Nord, promuovendo aziende medio-grandi. Al Sud la dimensione media delle imprese supera di poco i 30 addetti, mentre al Centro-Nord raggiunge i 50. Inoltre, più di un terzo del valore delle gestioni idriche è privo di un soggetto industriale al Mezzogiorno, contro il 7,2% del Centro-Nord, con picchi in Molise, Calabria, Sicilia e Basilicata, dove oltre la metà del servizio idrico è in forma diretta».

«L’aver mantenuto in capo ai Comuni la gestione diretta del servizio idrico integrato nel Mezzogiorno, disapplicando sistematicamente la legge Galli, ha generato i ritardi rispetto al Nord. Nelle regioni dove la resistenza dei Comuni è stata maggiore nel cedere gli impianti a un gestore industriale, vi sono livelli più bassi d’investimenti e peggior qualità del servizio coniugata a tariffe più alte, proprio là dove le condizioni finanziarie e reddituali delle famiglie, in particolare al Sud, sono più precarie. La lievitazione dei costi, sommata alla mancata crescita delle tariffe, o alle blande riscossioni delle tariffe stesse pur se adeguate, rende insostenibile la resistenza dei Comuni».

Il Report contiene alcune proposte di policy per affrontare il problema: «Promuovere una gestione imprenditoriale; Allineare la governance agli standard nazionali; Individuare i gestori unici per ogni ambito ottimale; Imporre ai Comuni che erogano direttamente il servizio di cedere gli impianti al gestore individuato o di adottare il sistema regolatorio vigente e applicare tariffe coerenti con esso nel caso in cui non vi sia un gestore individuato; Garantire la capitalizzazione del gestore, realizzando una parte degli investimenti con un contributo pubblico, in modo da non scaricare sulle tariffe tutti gli oneri».

«Alla radice del divario di cittadinanza “idrico” ci sono scelte miopi della politica locale che hanno consegnato in molte parti del Mezzogiorno un servizio di pessima qualità, con perdite sulla rete anche del 70% e inesistenza di impianti di depurazione delle acque reflue” – ha commentato Luca Bianchi, Direttore Svimez –. Con il mantra illusorio dell’acqua pubblica è stata disapplicata la normativa nazionale, non sono stati fatti crescere i gestori industriali e si sono bloccati gli investimenti. Adesso bisogna accelerare per raccogliere la sfida della transizione ecologica e allineare le gestioni idriche del Mezzogiorno a quelle del Nord».

«Ridurre il gap infrastrutturale del sistema idrico al Sud – ha dichiarato la presidente di Utilitalia, Michaela Castelli – tutela i diritti dei cittadini ad usufruire di un servizio di qualità uniforme su tutto il territorio nazionale e, al contempo, può innescare una positiva dinamica di sviluppo economico e sociale. Occorre recuperare rapidamente il ritardo accumulato nelle regioni meridionali rispetto all’implementazione del quadro normativo e regolatorio nazionale. Nei territori in cui la riforma risalente a più di 25 anni fa non è stata ancora portata a compimento, servono interventi che permettano di superare le gestioni in economia, rilanciare gli investimenti e promuovere la strutturazione di un servizio di stampo industriale». (rrm)