Nino De Masi: riconoscere il valore di chi denuncia il malaffare

di ANTONINO DE MASI – Mi rivolgo alla classe politica calabrese, senza distinzione di colore e schieramenti, per rappresentare, dal mio punto di vista, cosa significa fare impresa in Calabria. La situazione socio economica della nostra Regione è sotto gli occhi di tutti; stiamo attraversando momenti molto importanti e delicati nei quali è in gioco il futuro della nostra terra; assistiamo ad una lotta costante tra lo Stato e l’antistato (la ‘ndrangheta e la cultura filomafiosa). La magistratura e le forze dell’ordine stanno facendo la loro parte, ma è indispensabile svegliare le coscienze dei calabresi (per molto tempo dormienti ed a volte omertose e colluse) e farli diventare attori protagonisti di una rivoluzione “culturale” che ha al centro la legalità. Sto facendo del mio meglio per essere da esempio, esponendomi e continuando a fare impresa in Calabria. Credo che la mia storia, quello che ho fatto e sto facendo, mi danno, forse, la competenza e l’esperienza per portare alla vostra attenzione questo contesto.

I fatti di cronaca che tutti i giorni siamo chiamati a vedere, leggendo quanto riportato dai media sulle importanti attività di indagine della magistratura, ci raffigurano un territorio in cui (cit. dr. Gratteri) “le organizzazioni criminali controllano il battito cardiaco dei cittadini”. Viviamo in contesti in cui si è normalizzato il male, ci siamo assuefatti al potere criminale, restando impassibili e non reagendo. L’impatto devastante di questo scontro lo stanno subendo in particolare gli imprenditori costretti per il loro ruolo a subire in prima persona aggressioni e pressioni in diverse forme.

L’imprenditore aggredito dalla criminalità si trova davanti a scelte molto forti: Pagare e subire l’estorsione, che significa sottomettersi al potere criminale, pagare un prezzo, riconoscere di avere “padroni e padrini”, illudendosi di avere la garanzia di poter operare sul territorio. Il “mettersi a posto” significa infatti pagare l’onere del “pizzo” ma poter poi continuare a lavorare, al di là del disvalore e del condizionamento che tale azione comporta, non rendendosi conto di aver “venduto l’anima al diavolo”; denunciare Denunciare, il che comporta un profondo cambiamento di vita, porta ad essere nel costante pericolo di subire minacce ed attentati, oltre al drammatico isolamento nel quale è costretto a vivere. Certamente lo Stato starà al fianco della vittima e gli garantirà tutte le possibili forme di tutela fisica, scorte, vigilanza ecc.. Ma dall’altra parte purtroppo il denunciare nel nostro contesto comporta anche la marginalizzazione, non solo sociale ma a volte anche economica, in situazioni in cui la cultura mafiosa occupa sovente anche spazi nella pubblica amministrazione”.

L’imprenditore vittima di aggressioni criminali per la sua mentalità pragmatica spesso si illude, sbagliando, di poter gestire l’estorsione, limitandone i danni, anche perché vede a volte nel sistema Stato incertezze ed incapacità di poter garantire la sua tutela e la salvaguardia della continuità dell’attività imprenditoriale. Queste considerazioni generano la mancata denuncia e l’accettazione del condizionamento mafioso. Statisticamente parlando, vi sono moltissime aziende vittime dei poteri criminali. Vittime di aggressioni che, dopo aver denunciato, sono state messe in serie difficoltà. Paradossalmente in molti casi le imprese vittime che hanno denunciato hanno continuato a subire privazioni e limitazioni che hanno portato molte di esse a chiudere l’attività o rischiare concretamente il fallimento. Oltre all’isolamento economico vi è quello sociale, conseguenza anche dei sistemi di tutela, che condiziona ancor più pesantemente e profondamente tutto il nucleo familiare e la vita quotidiana di ognuno. Si tratta in questo caso di prezzi molto alti, di sacrifici enormi e di privazioni che minano pesantemente la serenità familiare portandone spesso alla definitiva rottura.

La Calabria è una regione ad altissimo tasso di criminalità, ma è anche una terra dove vi sono i primi ed importanti segnali di resistenza, dove i cittadini e gli imprenditori, assumendosene i rischi e le paure, stanno cercando di resistere e reagire, ma occorre predisporre degli strumenti per poter dare loro speranza e certezza nelle loro scelte di legalità.

Sulla base di ciò mi permetto quindi di invitare la classe politica della mia regione ad intervenire realizzando un provvedimento, innovativo, che potrà essere anche da esempio per le altre Regioni in cui mettere al centro il valore “positivo “ della denuncia, riconoscendo dei “benefit” che in qualche modo possano supportare i grandi sacrifici patiti dalle vittime della criminalità. Chiedo dunque alla classe politica Calabrese di farsi promotrice di una norma che consenta di riconoscere in modo concreto e tangibile il valore positivo di chi denuncia concedendogli speranza e diritti (una forma di premialità).

L’ente Regione a nome di tutti i calabresi è chiamato ed esprimere concreta solidarietà adottando un provvedimento che metta in chiaro che “denunciare conviene ed è sinonimo di solidarietà e vicinanza e non di isolamento”. Abbiamo un obbligo morale e non solo di essere portatori concreti di speranza: dobbiamo chiedere ai calabresi di fidarsi di noi e per questo dobbiamo guardare oltre, dando e chiedendo coraggio. (adm)

[Antonino De Masi è un imprenditore sotto scorta]

L’OPINIONE / Nino De Masi: alla Calabria serve una nuova classe dirigente

di ANTONINO DE MASI

Avevo deciso di non parlare più di politica, né di occuparmene ma, sollecitato da più parti e visto gli avvenimenti attuali, ho deciso, da cittadino, di scrivere alcune mie considerazioni, libero da vincoli e richieste di consenso o di appartenenza.

Sicuramente, i contenuti di questa mia creeranno avversità in tutti i  luoghi di “potere”, ma rispondono solo alla mia coscienza.

Certamente, vedere il baratro, il fondo che ha toccato la mia, la nostra regione, mi stravolge l’esistenza. Nessuno di noi avrebbe immaginato il livello di “nefandezze e porcherie” in cui  siamo costretti a vivere e lo stato in cui è stata ridotta questa terra. Quanto sta emergendo è solo la punta dell’iceberg dei crimini ed abusi commessi ai danni della Calabria e dei suoi cittadini; situazione, questa, che non è certo figlia di un infausto “destino divino”, ma di ben chiare responsabilità.

Abbiamo una classe politica che, negli ultimi decenni, ha pensato esclusivamente al proprio tornaconto, distruggendo in modo indegno il futuro dei calabresi. Non c’è settore della Pubblica Amministrazione che è stato esentato da tali brutali comportamenti.

La “classe politica” sembra una parola astratta e, spesso, viene indicata nello scaricare responsabilità su soggetti impersonali, dimenticando, invece, che non sono soggetti “astratti ed indefiniti”, ma si tratta di quegli stessi soggetti che noi tutti abbiamo scelto, anche più volte, delegandoli a rappresentarci. Sono sempre quei soggetti, responsabili di tutto questo, ai quali ognuno di noi, che oggi protestiamo, sino a ieri come dei “pecoroni” abbiamo dato il nostro voto e le nostre speranze facendoci abbindolare con promesse ed impegni.

Mai potremo cambiare questo stato di cose se non acquisiamo la piena consapevolezza che, tutti noi, siamo pienamente e totalmente responsabili di ciò. Continuare a scaricare la responsabilità sugli altri non cambierà le cose, ma le aggraverà, perché null’altro succederà, se non che al prossimo giro di “carte” i soliti soggetti ritorneranno a dettare le regole del gioco continuando a massacrare ancora di più questa terra.

Forse, oggi, tutti noi omertosi cittadini (inutile ritenersi offesi da queste mie parole, perché questa è la verità!) siamo stati messi concretamente di fronte al risultato dei nostri errori, abbiamo visto che il male fatto a questa terra ci tocca direttamente, mettendo a repentaglio il nostro presente ed il domani nostro e delle nostre famiglie; non avere sanità, non avere diritti, ci dovrebbe fare avere la piena consapevolezza che dei criminali ci hanno condizionato la vita. Oggi la pandemia ci ha fatto scoprire che “il bene pubblico” è qualche cosa che ci riguarda, non è la “mucca da mungere o il bene da distruggere” ma è il nostro concreto domani.

Questa presa di coscienza collettiva, forse, potrebbe responsabilizzarci per il futuro, anche se di ciò, guardando a quanto accaduto in passato, ne dubito fortemente.

Io avrei voluto cambiare il mondo, mi sono speso per la mia terra e per la mia gente, sono un orgoglioso calabrese che ha pagato e sta pagando prezzi altissimi proprio per questo, ma non credo più nella mia gente; noi tutti abbiamo contribuito a normalizzare il nostro essere, le nostre bruttezze, il  vivere come un paese del terzo mondo privo di libertà e dei diritti primari, accettando i vari “padroni e padrini”. Siamo solo bravi a lamentarci per poi non fare nulla per cambiare.

L’emergenza derivante dal Covid ha fatto emergere, in modo drammatico, le nostre ferite aperte, i nostri drammi e le nostre povertà e ci ha dimostrato il male che noi, non altri, abbiamo fatto alla nostra terra, alla nostra gente ed ammazzato anche il domani dei nostri figli.

Nel merito di quanto sta succedendo, mi sono chiesto cosa farei, come agirei, se fossi colui il quale avesse potere e ruolo politico di intervenire, e quali sarebbero i temi sui quali attivarsi:

Parlerei alla gente, a tutti i calabresi, siano essi di destra o di sinistra, per dire che non è questo il momento delle divisioni e contrapposizioni  politiche; abbiamo il dovere di salvare la nostra terra e la nostra gente e per far ciò occorre unirsi e far emergere i nostri valori e la nostra dignità per affrontare la realtà in cui ci troviamo.

Individuerei figure, fuori dalla politica partitica, rappresentative di tutti i pensieri e ideologie chiamate ad intervenire su punti specifici, per creare insieme un momento di incontro per costruire una nuova classe dirigente.

Spiegherei, ai partiti politici che, oggi, il tema non è più quello di individuare un presidente a cui affidare il comando politico della regione e dove poi i partiti con il solito metodo “imbarcano” tutti i portatori di voti. Non è il nome del presidente che può cambiare le sorti della nostra terra, ma bensì una nuova classe dirigente che non può essere figlia di quei partiti e quei metodi che, sino ad oggi, hanno portato al disastro nel quale ci troviamo.

Continuare con l’apparente scelta di un nome, lasciando in mano alle segreterie dei partiti la formazione delle liste, figlie delle solite logiche del compromesso, non porterà a nessun cambiamento, anzi porterà certamente all’intervento della magistratura che sarà chiamata a fare, come ormai accade ciclicamente, nuovamente pulizia.

Stilerei un programma con dei punti da affrontare subito, che siano forti e chiari e senza possibilità di incomprensioni, spiegando ai calabresi che non si può certo promettere tutto, ma occorre concentrare tutta l’attenzione su alcuni temi specifici sui quali intervenire seriamente e prontamente: Sanità pubblica. Occorre attuare un programma di riapertura degli ospedali e di una sanità diffusa sui territori.

La sanità deve tornare ad essere, principalmente, una sanità pubblica e dove il privato se vuole competere deve farlo sul livello e qualità delle prestazioni e non certo per l’assenza totale della sanità pubblica. Concentrare, quindi, ogni attenzione e senza un minimo di esitazione sul sistema sanitario pubblico, bloccando gli spazi indebitamente lasciati occupare ad una sanità privata peraltro non sempre all’altezza.

Lavoro e sviluppo. Diventa obbligatorio individuare degli strumenti che possano generare immediatamente occupazione, non certo fra 10 anni ma ora e subito. Questo in una regione in ritardo su tutto è quasi impossibile: l’unico strumento è quello di una forma di compensatore di cui ho già scritto nel recente passato, dove a tutti coloro che fanno impresa in Calabria viene applicata un’esenzione fiscale, una forma di no tax area, un’area a tassazione di vantaggio che consentirebbe di attrarre investimenti e creare insediamenti produttivi nella nostra regione.

Questo strumento è l’unico che può dare risposte immediate, anche in presenza delle forti criticità che esistono e che verrebbero compensate dagli importanti vantaggi fiscali (strumenti già utilizzati con successo in Olanda, Irlanda, Madeira etc.).

Chiamerei il Governo alla realizzazione di un piano per la Calabria, con l’obiettivo di ripristinare la legalità. Questi territori devono essere liberati dalla presenza opprimente della mafia, ciò è una precondizione senza la quale non vi è futuro e tutti gli strumenti utilizzati risulterebbero vani. Lo Stato deve impegnarsi con un piano chiaro e forte, a rafforzare la lotta al crimine senza rinvii e tentennamenti.

Potenzierei, con azioni chiare ed immediate, alcuni settori che storicamente possono essere portatori di ricchezza quali, principalmente, il turismo e l’agricoltura, creando dei percorsi per valorizzare, partendo dal basso, il brand Calabria. Ciò anche con una politica di attenzione all’ambiente, con una serie di interventi atti a ripristinare le bellezze dei nostri territori e la loro fruibilità.

Queste, in estrema sintesi, sono le cose che farei se fossi chi non sono, un uomo stanco che ha già dato tutto.

Il mio invito ai calabresi, tutti, è quello di non commettere gli errori del passato e di individuare, uniti e non divisi, una nuova classe dirigente al di fuori della partitocrazia che è stata la causa di questi drammi, convergendo poi su una figura di garanzia, in Calabria ne abbiamo tante, che possa far rientrare tutti in questo progetto per la rinascita della Calabria.

Al momento, la Calabria è una terra distrutta che non interessa purtroppo a nessuno ed, anzi, per i tanti è un problema, e l’unico miracolo che può farla resuscitare è il profondo amore dei calabresi per la propria terra. Non c’è nessun’altra possibilità, se non quella data dalla forza e determinazione di ognuno di noi, ma dobbiamo capire che ogni centimetro di questa terra è casa nostra e abbiamo l’obbligo di tutelarla, cosa che non è mai avvenuta in passato. Il nostro futuro e quello dei nostri figli, certamente, non sarà tutelato da altri se non da noi stessi.

Questo è il mio pensiero che ho voluto rappresentare, scevro da interessi o forme di consenso che così come in passato sono lontani da me, il mio ruolo è quello di un imprenditore attento alla propria terra e che, nonostante tutto, è fiducioso o illuso del futuro.

Viva la Calabria.

La ricetta di Antonino De Masi per il “dopo”: fisco, compensazione legalità

Antonino De Masi è un imprenditore della Piana di Gioia Tauro, da anni nel mirino della mafia che lo vuole morto, da anni nemico giurato delle usure “autorizzate” delle banche. Nonostante tutto, De Masi continua a crederci, nel suo sentirsi calabrese che deve pensare alla sua terra e ai suoi conterranei. Una missione impossibile? No, sicuramente difficile e ardua, ma l’imprenditore – quando è tale – ha il rischio nel sangue e sa che deve osare se vuole riuscire in qualsiasi intrapresa.

Fortemente preoccupato per quello che succederà “dopo”, Nino De Masi ha indicato in una sorta di lettera aperta quelle che a suo avviso possono costituire serie proposte per una nuova rinascita del Mezzogiorno e, naturalmente della Calabria. Dalle «criticità e dalle povertà infrastrutturali» De Masi vede condizioni di vantaggio rispetto al Nord. (s)

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«Mi rivolgo ai calabresi e alla classe politica regionale – scrive Antonino De Masi –. Provo rabbia, amarezza e delusione per aver visto in passato tante sperate “rinascite”, proiettate da manovre “miracolose” che dovevano riallineare il Meridione al resto del Paese. Tutte fallite.

Può oggi il nostro Paese, ed anche l’Europa, permettersi le disparità dei propri territori? Possiamo noi tutti permetterci l’ennesimo fallimento? Possono delle manovre ordinarie riuscire a riavviare, in un contesto ancora più drammatico del passato, il motore del Sud?

Speriamo di aver ormai superato un periodo drammatico della recente storia del nostro Paese. Ora abbiamo il dovere di fare la nostra parte per ritornare ad una “normalità” che non sarà come prima.

In questi complessi e drammatici momenti abbiamo forse riscoperto l’orgoglio di essere Italiani, di essere una nazione e, aldilà delle speculazioni politiche, più o meno legittime e morali, ci siamo riappropriati della nostra umanità e della nostra civiltà. Ne usciremo diversi e forse migliori.

Io credo che anche in confronto con l’arroganza di altri Paesi, uniti solo, da come emerso, da “beceri” interessi economici in una comunità chiamata Europa, ne usciamo forti ed orgogliosamente portatori di quella “cultura umanistica” che è stata la base della civiltà e che ha messo prima l’uomo ed i suoi valori e poi le cose e non viceversa. Sembra di essere tornati nei millenni passati, quando le civiltà del sud (latini e greci) hanno civilizzato, scontrandosi con la barbarie e con i disvalori, il resto dell’Europa.

Oggi il coronavirus ha fatto anche emergere quelle primordiali differenze culturali e sociali.

Premetto che:

la Calabria e parte del meridione, già prima dell’epidemia, erano le regioni più povere d’Europa, con un’elevata arretratezza infrastrutturale che ha fatto venire meno diritti primari ai cittadini (salute, libertà, studio, trasporti et cetera);

questi territori sono caratterizzati da altissimi livelli di povertà, che portano a notevoli, costanti flussi migratori dei propri giovani, generando impoverimento anche culturale;

negli stessi territori si riscontra un tasso di disoccupazione, in particolare quello giovanile, tra i più alti dei Paesi sviluppati al mondo;

del disallineamento di questi territori si sono occupati tutti i governi dal dopoguerra in avanti e le politiche comunitarie destinando, o meglio, visti i risultati, sperperando ingentissime risorse pubbliche;

l’oggettiva arretratezza strutturale di questi territori non potrà mai consentire al sistema imprenditoriale di essere competitivo, pur, come avvenuto in passato, con l’utilizzo di forti incentivi pubblici (anche al 80% a fondo perduto);

tali condizioni di arretratezza, di scarso sviluppo e di povertà, sono state purtroppo l’humus in cui è cresciuta e si è radicata quella “cultura filo mafiosa” che ha fatto espandere il potere della più ricca organizzazione criminale al mondo, che oggi controlla e condiziona gran parte di questi territori e che è stata l’unico soggetto a trarre beneficio dagli ingenti interventi pubblici predisposti;

La presenza costante ed opprimente di questa organizzazione criminale ha fatto sì che una cd. “borghesia imprenditoriale e culturale” abbandonasse il Sud, trasferendo altrove le proprie attività e generando ulteriore impoverimento;

quel poco di economia presente in questi territori, aldilà di importanti realtà di nicchia, è legata al turismo ed all’agricoltura, che garantivano occupazione ed un minimo di sostentamento.

Economia in ginocchio

Quanto avvenuto con l’avvento dell’epidemia, ha di fatto bloccato l’economia di tutto il Paese, azzerando tutto. Ma va tenuto conto che:

il Nord Italia, che in questi anni ci ha consentito di essere una delle nazioni più ricche del mondo e che certamente è stato condizionato molto dalla serrata, con gli adeguati ed indispensabili interventi pubblici si riavvierà ritornando in tempi ragionevoli ai soliti livelli di competitività e ad essere la locomotiva del Paese;

in altri territori invece, e la Calabria in particolare, il blocco dell’economia e delle poche attività presenti, ha spento in modo quasi definitivo il motore produttivo del Sud, che già arrancava vistosamente;

la pandemia ha riportato in poco tempo il Mezzogiorno ad uno stato “di quasi irreversibilità”, accentuandone ancora di più le drammatiche povertà e criticità economiche e sociali;

le criticità oggettive qui rappresentate rendono preminente la necessità di mettere in campo gli strumenti necessari per far ripartire il sistema economico del Mezzogiorno, ma per sperare di ottenere dei risultati concreti occorre partire dall’analisi dei fallimenti del passato e intervenire con manovre e misure che diano risposte in tempi rapidi, visto il livello di povertà materiale e di criticità sociale;

per come rappresentato da importanti Istituzioni nel Mezzogiorno vi è una situazione nella quale il disagio economico, la povertà, insieme al forte radicamento della criminalità, possono innescare reazioni sociali molto gravi e radicalizzare ancora di più il ruolo e la funzione del sistema dell’“antistato”;

il Paese tutto, e di certo l’Europa, non si possono permettere che perdurino situazioni nelle quali queste diseguaglianze socio-economiche possano produrre ulteriori fenomeni sociali pericolosi.

La proposta

Da qui la mia proposta che intende contribuire a dare al tessuto imprenditoriale e socio-economico dei territori in palese difficoltà una possibilità di ripartire. A mio avviso è allora indispensabile:

individuare nel Mezzogiorno o in alcune regioni, intanto in Calabria, uno strumento che si potrebbe chiamare “compensatore” e che, partendo dalle criticità e dalle povertà infrastrutturali, possa consentire di avere condizioni di vantaggio rispetto ad altri, al fine di consentirne il riallineamento.

la mia idea di compensatore è quella che in altri luoghi d’Europa si è già realizzata anche per casi simili. Un territorio con una fiscalità ridotta, che compensi gli “handicap” infrastrutturali presenti. In questo modo, così come ad esempio avviene oggi in Irlanda, in Portogallo con l’Isola di Madeira, e nella famigerata Olanda, si avrà un luogo in cui attrarre imprese e generare ricchezza;

questo compensatore, questa area di fiscalità di vantaggio, consentendo al sistema produttivo importanti economie, restituirebbe in modo semplice ed immediato competitività al territorio, aldilà dei deficit infrastrutturali che potrebbero essere anch’essi sensibilmente ridotti in virtù dello sviluppo che si creerebbe. Abbattere la fiscalità significa ridurre i costi, dal costo del lavoro, al costo del fare impresa in generale, in modo che si crei uno sviluppo immediato, rendendo attraente il territorio alle aziende ed agli investitori;

questo strumento può innescare il cambiamento ed in un contesto come la Calabria ed il Porto di Gioia Tauro potrebbe cambiare le sorti del nostro Paese in pochissimo tempo; si pensi a quanto avvenuto ad Amsterdam dove intorno al porto si è creato un sistema economico tra i più efficienti del nord Europa. Tutti gli operatori della logistica delle merci saranno spinti a venire in Calabria, investendo grossi capitali.

A ciò andrebbero aggiunte piccole “leve” rivolte alle microrealtà imprenditoriali. Penso ad un sostegno da parte delle banche, con prestiti a tasso zero per 15 anni e con forme di garanzie semplificate, come pegni sulle quote aziendali, per garantire il capitale necessario alla partenza e, visto che la competitività sarebbe data dalla fiscalità di vantaggio, senza la necessità di finanziamenti a fondo perduto (e ciò eliminerebbe l’annosa problematica della gestione e dei controlli dell’utilizzo dei fondi pubblici). Oltre a ciò andrebbero individuati alcuni strumenti idonei ad incentivare la formazione e riqualificazione, pensando anche alla possibilità di una forma di obbligo di reinvestimento nel territorio di parte degli utili conseguiti dalle banche e società finanziarie che beneficeranno della fiscalità di vantaggio;

questa operazione potrebbe a mio avviso generare plusvalenze per il Paese, in quanto creerebbe ricchezza, farebbe emergere l’economia sommersa e consentirebbe con risultati tangibili l’allineamento dello sviluppo delle diverse aree.

Queste manovre infine devono essere accompagnate da una precondizione essenziale: la legalità, con una strategia da parte di tutto l’apparato statuale nelle sue varie articolazioni finalizzata a combattere la criminalità, adeguando gli strumenti legislativi a tali obbiettivi. Questa è una precondizione che non può venire meno.

Queste sono delle riflessioni, forse importanti, che se condivise potrebbero essere la base di un progetto politico comune per un rilancio immediato del Mezzogiorno e della Calabria in particolare».  (rrm)

L’ACCORATO APPELLO DI ANTONINO DE MASI AL “CORRIERE DELLA CALABRIA”

8 settembre – L’imprenditore Antonino de Masi ha affidato al “Corriere della Calabria” un amaro sfogo e un vibrante appello sulla situazione sempre più drammatica in cui sta finendo la Calabria, una terra che il coraggioso imprenditore antimafia della Piana ama incondizionatamente. È un messaggio che tutti i calabresi devono conoscere e, magari, condividere. È un messaggio accorato, ma racchiude qualche speranza: «La nostra rabbia – dice De Masi – diventi la nostra risorsa per dare un futuro ai nostri figli, in questa magnifica terra».

«Quale autunno ci dobbiamo aspettare, quante e quali foglie cadranno? Foglie che metaforicamente sono rappresentate dalle speranze di un territorio e della sua gente. Certamente la nostra regione ha già perso, temo definitamente, quelle foglie rappresentate dai giovani costretti ad andare via. Quanti ragazzi pieni di speranze hanno lasciato e stanno lasciando questa terra? tantissimi, troppi. Assieme ad essi abbiamo perso anche quel poco di speranza che rimaneva nella crescita, nello sviluppo e nel lavoro.
Abbiamo perso l’illusione delle tante promesse fatteci di grandi cambiamenti, di sogni, di prosperità.
Abbiamo perso la speranza di non vedere più morti ammazzati per le strade, di una terra affrancata dalla criminalità.
Abbiamo perso la speranza di essere uomini e donne libere dai potenti “padrini e padroni” che hanno ammazzato e distrutto questa terra.
Abbiamo perso la speranza di vivere in un luogo civile dove il “sistema paese” funzioni, dove vi sia una sanità che funzioni con un minimo di decenza, dove vi siano strade ed infrastrutture accettabili.
Abbiamo perso la speranza di avere una classe politica che abbia come unico scopo il bene collettivo e non certo quello delle proprie tasche o, peggio ancora, degli interessi di malfattori e criminali.
Queste sono alcune foglie che il tempo ha fatto cadere in modo irreversibile dall’albero della nostra terra.
Diversi critici hanno spesso descritto la Calabria come una terra persa, suscitando le contestazioni e lo sdegno di molti. Si è gridato all’offesa ed alla denigrazione di un territorio. Tanti pseudo intellettuali, ieri come oggi, hanno rappresentato la “fiaba” di una mafia buona con dei codici d’onore e quindi rispettabile, che rubava ai ricchi per dare ai poveri, ed una mafia nuova costituita da criminali. Si è cercato e si sta cercando di giustificare un fenomeno, distinguendo tra vecchio e nuovo, che ha alla base un unico elemento: essere organizzazioni barbare e criminali, in cui la sopraffazione e la violenza costituiscono il modo di agire.
Altro che nobili principi. Sono la criminalità e le sue organizzazioni che hanno rappresentato e rappresentano la causa principale dell’arretratezza culturale ed economica di questa terra. Come può un popolo sottomesso a tali organizzazioni essere libero di esprimersi, di agire e di creare prosperità per sé ed il prossimo? Come in contesti come questi si può esprimere un libero voto e quindi eleggere dei rappresentanti che rispondano ai bisogni reali di un popolo e di un territorio libero? La povertà – spesso anche morale – e la disperazione che ci circonda sono la drammatica risposta a queste domande.
La rassegnazione che ha portato ad una forma di omertà più o meno spinta, ed a volte a forme degenerate di collusione, ci ha progressivamente messo nelle condizioni di vivere ed accettare come normale “il male”.
Siamo purtroppo un popolo ed una terra persa, abbiamo perso la voglia di combattere, abbiamo perso l’orgoglio di essere calabresi, abbiamo perso la speranza. Ci siamo assuefatti ad essere “puzzolenti” portatori di male, ad essere trattati con disprezzo come “calabresi”.
Queste sono le foglie, le speranze, che sono volate via dall’albero della nostra vita.
Ci sarà mai una primavera interiore che possa far ricrescere quelle foglie?
Certamente no se aspettiamo gli altri, certamente no se speriamo che arrivi un cavaliere straniero con la bacchetta magica e risolva i nostri problemi. Certamente no se ognuno di noi continuerà a far finta di non vedere e sentire. Certamente no se non comprendiamo un elemento essenziale: che il nostro domani, il domani dei nostri figli, sta proprio nella nostra determinazione “combattere” per il nostro futuro. Oggi dobbiamo tutti capire che se non mettiamo al centro della nostra vita questo elemento essenziale non avremo mai un domani. Oggi dobbiamo riappropriarci del diritto dovere di essere parte di un sistema “pubblico”, di una società civile che ha proprio nell’interesse collettivo la ricchezza di ognuno.
Dobbiamo capire che una società civile, un sistema sociale ha nel suo essere e vivere insieme un elemento essenziale del proprio sviluppo; il bene pubblico, collettivo, rappresenta quindi la base di una società non solo moderna, ma funzionale e positiva che genera ricchezza. La piazza, la strada, l’ospedale, l’aiuola, sono beni di tutti, proteggiamoli. Ed un bene pubblico primario, che è il pilastro della società civile, è la legalità. La legalità infatti distingue una società evoluta, civilizzata, che punta per mezzo del rispetto delle regole (le leggi) alla prosperità. La legalità è quindi un bene pubblico e ciò dovremmo capirlo e fare di tutto per tutelarla.
Impariamo a vivere insieme rispettandoci, non solo con i sorrisi ed i saluti, ma rispettando anche noi stessi, vivendo dentro quei valori che garantiscono la nostra prosperità. Dignità, orgoglio, onore sono valori che sono insiti in ognuno di noi, in ognuno dei tantissimi – la stragrande maggioranza – calabresi per bene, risvegliamoli e giriamoci le maniche facendo quello che serve per far rifiorire le nostre speranze e – cosa principale – quelle dei nostri figli.
Solo da noi passa il riscatto della nostra terra e non certo dagli altri.
Questa credo possa essere la base della primavera che può far ricrescere le nostre speranze. Non più l’aspettare che altri facciano per noi, ma un mettersi in discussione per divenire attori principali del nostro domani, parlando di sviluppo, di lavoro, di legalità e di prossimo.
Occupiamoci, chiedendo conto, delle strategie sull’area industriale di Gioia Tauro, dove in altre sedi in questi momenti stanno discutendo il destino anche dei nostri figli. Cerchiamo di capire che il Porto non è solo un’attività produttiva come tante, ma può diventare invece con il lavoro che genera uno strumento di riscatto dalla criminalità.
Chiediamo e pretendiamo la prossima nomina all’Autorità portuale di persone competenti che abbiano al centro il solo interesse collettivo, e pretendiamo di conoscere i criteri di assegnazione dell’utilizzo di banchine a player che vorrebbero investire su Gioia Tauro.
Insomma rappresentiamo a tutti che il lavoro e lo sviluppo sono gli unici strumenti che possono sconfiggere la criminalità, liberando un territorio e la sua gente dalla sopraffazione criminale. Il lavoro in questa regione rappresenta, più che in altri territori, uno strumento di legalità, una politica per marginalizzare e sconfiggere un male, un fenomeno, che da decenni condiziona il futuro di questa terra e dell’intero Paese.
Chiediamo conto di tutte le positività e delle opportunità che ha questa Regione, dal Pollino sino allo Stretto, e facciamole diventare risorse; facciamo diventare risorsa la nostra rabbia, il nostro disperato bisogno di dare un futuro ai nostri figli in questa magnifica terra, diventiamo risorsa noi stessi e con rinnovato orgoglio diciamo “siamo Calabresi”». (rrm)

IL PROGETTO INNOVATIVO DI DE MASI PER FAR CRESCERE LA CALABRIA

7 luglio – Si può investire e innovare in una regione oppressa da mille problemi e legata a logiche di sottosviluppo e precarietà? La risposta, data ieri dall’imprenditore Nino De masi in un incontro aperto a Gioia Tauro, è certamente positiva. Secondo De Masi “restare al Sud si può, anzi si deve”, malgrado le intimidazioni, le minacce, e l’assoluta mancanza di credito alle aziende. Cosa che si staglia bene con la figura di imprenditore De Masi, costretto da anni a “subire” la scorta dell’esercito per proteggere la sua azienda e la sua persona, da sempre in lotta contro il malaffare e la ‘ndrangheta.
De Masi ha illustrato il suo progetto alla presenza del prefetto di Reggio Michele Di Bari, del questore Grassi, del colonnello dei carabinieri Battaglia e del tenente colonnello Carrieri, di imprenditori come Pippo Callipo, Saverio Greco, Mimmo Luppino, sindacalisti, i deputati cinquestelle Dalila Nesci, Anna Laura Orrico e il senatore pentastellato Auddino. Ma di rappresentanti della Regione nemmeno l’ombra.


È un personaggio scomodo De Masi, che non le manda a dire, e che crede nello sviluppo possibile, ma basato su cose concrete. E così rilancia la sua sfida all’indifferenza, o peggio alla trascuratezza dei politici locali, all’insegna dell’innovazione: «La mia – detto – è la storia di un pezzo del Sud che ha dimostrato la sua capacità di esistere e di lavorare anche in contesti difficili».
L’idea di De Masi è di creare prima di tutto una public company in grado di autoproteggersi dalla criminalità »perché è più difficile toccare un’azienda che è di tutti»: un’impresa etica che offra le opportunità che i giovani calabresi vanno cercando e che nessuno offre loro.
Un esempio concreto: il bioforno (capace di cuocere una pizza senza contaminazioni di fumi e ceneri di combustione) – un brevetto di De Masi che sta suscitando interesse in ogni parte del mondo – l’ha inventato un giovane ingegnere di San Giovanni in Fiore, Mario Iaquinta. L’opportunità di mettere a profitto la sua competenza gliel’ha data De Masi.
Ci sono tantissime risorse giovani sprecate: laureati che vengono “risucchiati” dal sistema produttivo del Nord o dell’Europa, o del mondo: gli altri sanno riconoscere e valorizzare le capacità dei nostri giovani, in Calabria un giovane che voglia aprire un’attività basata sulle sue competenze (nuove tecnologie, informatica, design, ecc) si scontra con le porte sbarrate di un sistema creditizio che dà soldi solo a chi li ha già. E quando li dà non si accorge di aver fatto morire in culla le idee e l’impresa.
L’idea di Nino De Masi si basa sulla sua infelice esperienza nella lotta contro l’usura bancaria e le ingerenze criminali nel sistema produttivo: bisogna creare dal basso una public company che faccia partecipe degli utili aziendali i suoi lavoratori, a qualsiasi livello. Ci sono molte idee di innovazioni, prodotti che da Gioia Tauro possono partire a conquistare grandi opportunità di mercato.
«Voglio creare – ha detto De Masi – un incubatore tecnologico che dia la possibilità ai giovani laureati calabresi di realizzare i progetti innovativi che hanno in mente. Voglio cioè creare un sistema di formazione che possa consentire ai giovani calabresi di formarsi, specializzarsi e trovare lavoro».
Un progetto è fatto anche di numeri. De Masi punta a triplicare i dipendenti nel giro di 4 anni, passando da 40 assunti a 152, con un fatturato previsto nel 2019 di 6 milioni a 26 milioni nel 2022. La formula sta in un “made in Calabria” che l’imprenditore ama pensare come un serbatoio di eccellenze, sia dal punto di vista progettuale che di quello realizzativo. La sinergia con le Università è fondamentale, ma servirà un cambiamento di mentalità. Imprenditori coraggiosi e lungimiranti in Calabria ce ne sono, il futuro, la crescita e lo sviluppo di questa terra dipende anche da loro. (rrm)

GIOIA TAURO: L’IMPRENDITORE ANTIMAFIA DE MASI ILLUSTRA IL SUO PROGETTO DI AZIENDA ETICA

6 luglio – L’appuntamento è per stamattina, nella zona industriale di Gioia Tauro. L’imprenditore Antonino De Masi, che si è contraddistinto per le sue battaglie contro la ‘ndrangheta e contro l’usura che mette in ginocchio le aziende, ha promosso un incontro per illustrare le attività di Ricerca e Sviluppo della sua azienda, ma soprattutto come si può operare in una regione difficile secondo le linee guida di azienda etica.
«Certamente – dice De Masi – in questi anni molti media si sono occupati di me per le mie battaglie sia contro lo strapotere delle banche che contro le aggressioni criminali della n’drangheta. Da imprenditore, ho cercato sempre di continuare a fare il mio lavoro, motivato dalle forti “convinzioni” frutto della mia competenza e della mia esperienza sul territorio. La consapevolezza delle criticità “ambientali” che bloccano e condizionano lo sviluppo dell’azienda (e del territorio) ma, dall’altra parte, con la certezza della bontà del proprio lavoro e della capacità di innovare, progettando e realizzando macchine e prodotti in grado di competere sui mercati mondiali, mi hanno spinto a pensare a delle soluzioni, cercando di immaginare un “antidoto” a tutto ciò. Con tale spirito ho cercato, convinto anche dell’importanza degli aspetti sociali, di muovermi su due fronti:
– Il primo è quello di rompere il muro, la contrapposizione tra capitale e lavoro, tra imprenditore e lavoratore, dove si è sempre immaginato che l’incremento dei profitti sia anche figlio dello “sfruttamento” della mano d’opera. Ho invece costruito un “mio modello di azienda” nel quale i miei lavoratori parteciperanno agli utili facendo si che l’azienda stessa rappresenti uno strumento che può produrre benessere per tutti e quindi una risorsa da tutelare e proteggere. Insomma l’azienda diventa un bene pubblico, che va tutelato perché garantisce un benessere ed una forma di libertà economica.
– Il secondo elemento, fortemente innovativo e mai applicato in Italia, è una forma di public company, una società collettiva con una partecipazione sociale non speculativa. Insomma una partecipazione della società civile nell’azienda che condivide i valori ed i percorsi dalla stessa rappresentati.
Questi elementi che hanno alla base una forma di governance non solo trasparente ma partecipata ha lo scopo di far diventare l’azienda un “bene collettivo” che tutti hanno l’interesse di proteggere. Credo che questi elementi siano un giusto antidoto alle criticità del territorio, ma cosa ancor più importante sono anche uno stimolo ad un ruolo attivo da parte della società civile.
Sono questi elementi che, partendo dal sud, possono essere anche un riferimento per le diverse aree critiche del Paese.
Voglio inoltre portare all’attenzione di tutti il mio diritto/dovere a continuare ad operare su questo territorio:
– Perché anche a Gioia Tauro ed in Calabria si può fare impresa, certamente con tante difficoltà, ma si può. Credo che la mia sia una storia di un Sud che ha dimostrato e dimostra una sua capacità di esistere di lavorare anche in contesti difficili, un Sud per il quale ho messo a repentaglio la mia stessa vita perché credo nei valori e per tale ragione ho scelto di restare. Sto pagando per questo prezzi altissimi, con la certezza che prima o poi le organizzazioni criminali mi faranno pagare “l’onta” di averli denunciati, perché colpire me significa “educare il resto”.
– Perché da imprenditore del Sud ho portato avanti progetti industriali importanti ed innovativi, ho fatto ricerca coinvolgendo team di affermati ricercatori ed importanti Università. Il progetto Home S2 realizzato anche con l’Università di Trento ed i laboratori dell’Enea ne è una dimostrazione. Ho progetti e competenze nel mio settore che mi consentiranno di essere presente nei mercati del mondo.
– Perché voglio realizzare il mio “Progetto su Gioia Tauro” con alcune iniziative dalle importanti ricadute occupazionali:
a) Voglio creare un’incubatore in cui dare la possibilità ai giovani laureati calabresi che hanno dei progetti di poterli realizzare, così come ho fatto con il progetto del Bio forno. Si tratta di valorizzare i nostri cervelli dando loro la possibilità di innovare e dando a noi imprenditori la possibilità di fare business.
b) Voglio creare sulla base delle competenze tecniche e dei “valori etici” un sistema di formazione che possa consentire ai giovani calabresi di formarsi, in ambienti tecnici , e trovare lavoro (visto il bisogno di mano d’opera specializzata)
c) Voglio creare una filiera produttiva sul progetto delle case (Home S2) che creerà ottime possibilità lavorative, oltre ad altri progetti in cantiere.
– Perché la mia “storia” ha avuto ed ha un interesse mediatico anche internazionale (BBC, TV Svizzera , El Pais, History channel etc, TV Francese), oltre a servizi molto approfonditi realizzati dalle testate del TG1 e della Rai. Inoltre molti importanti autori hanno dedicato alla mia vicenda alcuni capitoli nei loro libri.
– Perché credo che quanto intendo realizzare, l’innovativo rapporto con i lavoratori e la public company, siano strumenti mai utilizzati prima in Italia ed hanno significati ancor più rilevanti in un “contesto territoriale” come il sud. L’azienda diverrà un bene “collettivo”, una risorsa.
Questi sono i temi che sto cercando di rappresentare credendo che possano essere di interesse politico ed Istituzionale e per tale ragione ho organizzato una manifestazione pubblica nella mia azienda a Gioia Tauro per il 6 luglio a partire dalle ore 10,30.
Spero anche di riuscire a far capire che questa è una storia che “trasuda” dignità e valori ed il Governo potrebbe (dovrebbe) farsene carico come una dimostrazione di contrasto non solo alla mafia ma anche come segnale di un sud che, sfatando luoghi comuni, sa “combattere” e rigenerarsi con il lavoro e l’operosità, e che può diventare un modello di riferimento nella lotta al crimine.
Non voglio “pietire” attenzione, ma porre domande, prospettare delle opportunità e chiedere di essere sostenuto, nel nome di un “interesse generale” dato dal riscatto di questa terra». (rrc)