Gioacchino Criaco incontra i Mattanza per firmare l’inno dei popoli a sud

“Siamo Oriente”, inno e manifesto dei popoli a sud, è il felice incontro artistico tra Gioacchino Criaco e Mattanza: parole, musica e voci che hanno l’intensità del respiro mediterraneo. Le pagine dense di suggestioni e poesia con cui Gioacchino Criaco apre “Il custode delle parole”, romanzo di grande successo che appassiona stuoli di lettori, sono state ispirazione per un testo, firmato dallo scrittore e messo in musica dai Mattanza, in un connubio di creatività e talento.

«Ci sono incontri che non sono intrecci nuovi ma ritorni. Come riavvolgersi, rimettere piede nei propri gusci. Accovacciarsi su un angolo di mondo qualunque e farne vigna. E scoprirsi in tanti a sorridere allo stesso modo, a lottare per quella zolla, chini sui disastri. Questo è incontrare Gioacchino Criaco, custode di quelle parole che ispirano e muovono le cose. A lui dobbiamo questo inno alla fratellanza, quella che non si vende al miglior offerente, quella che non si piega alla fragilità. “Siamo Oriente” non è un modo di dire, è sapere che siamo tutta quell’acqua che parte dalle sponde sorelle per tornare a casa» scrivono sui social i Mattanza, annunciando l’uscita del brano e del video, curato da Claudio Martino, insieme a Giuseppe Condemi.

«È l’inno di un sud sicuramente diverso. Una prospettiva nuova per chi non crede più alle corse sfrenate dell’Occidente, alle competizioni su tutto, alle gare, ai raffronti. È l’inno per chi non la vuole una vita sotto pressione, senza espressioni che non siano vittorie individuali. Un mondo più leggero, profumato. Il respiro infinito di un Oriente che abbiamo dentro» dice Gioacchino Criaco.

(Qui il link al videoclip https://www.youtube.com/watch?v=pSasmFdp0ug)

“Siamo Oriente”: testo Gioacchino Criaco, musica e voce Mario Lo Cascio, voce Rosamaria Scopelliti, mix e mastering realizzati da Tommaso Luzzi (Rokovoko Studio – Milano) per le edizioni Rokovoko Milano.

Al video, girato a Palizzi, Brancaleone e Pentedattilo, hanno partecipato, oltre allo stesso Criaco e ai musicisti, Nicola Tripodi (Arghillà) e Valentina Tripodi. (rrc)

REGGIO CALABRIA – Parte da Gallico il tour calabrese di Gioacchino Criaco

Con il romanzo Il custode delle parole (Feltrinelli), Gioacchino Criaco ha dato vita a una rappresentazione epica di un sentimento di appartenenza a una terra di forti radici come l’Aspromonte, segnata indelebilmente dalla sua stessa storia e depositaria di valori sedimentatisi nella memoria e nelle abitudini quotidiane delle comunità che nella “montagna lucente” hanno trovato casa: valori e riferimenti culturali condensatisi nella antica lingua dei padri, il grecanico, che un vecchio pastore si preoccupa di custodire – da qui il titolo – per preservarla dall’oblio fino a quando non ne scopre il senso profondo il nipote Andrìa, il trentenne co-protagonista del romanzo, fino ad allora ignaro di vivere dentro una storia plurisecolare e condannato a una vita senza passato e, dunque, priva anche di futuro.

Intrecciando passato e futuro, il romanzo muove dunque una ferma condanna di un presente che tutto travolge e mistifica, per difendere invece la montagna e gli eco-ambienti che ospita e il senso anche sacrale dei luoghi contro il predominio rapace di una logica economica che porta a uno sfruttamento indiscriminato delle risorse e al massacro del territorio e dei suoi paesaggi.

Appare dunque significativo il fatto che una letteratura così originalmente ispirata su tematiche ambientali e civili possa misurarsi e dialogare con le esigenze, i bisogni e le aspirazioni delle comunità che abitano quei luoghi e che cercano di opporsi alla logica dominante, alla spoliazione sistematica delle proprie specificità identitarie in nome di un progresso troppe volte fine a se stesso, capace di autoalimentarsi all’infinito incentivando a dismisura la crescita di bisogni artificiali. Ed è quanto succederà, dall’ 8 al 13 luglio, in una successione di incontri che porteranno Gioacchino Criaco in molti paesi dell’Aspromonte e dei territori circostanti.

Il primo appuntamento è l’8 luglio, ore 19,30, a San Giorgio Morgeto, all’interno della manifestazione “Cittu cittu l’Aspromonte fa rumore”, in cui Criaco dialogherà con Nino Princi, Rocco Romeo e Valentino Santagati, che sarà impegnato anche nel successivo concerto serale insieme a Maria Tramontana e Carlo Trimarchi. Santagati ha pubblicato per Squilibri Intrecci sonori. Tracce di un ecosistema acustico in Calabria, restituendo la percezione del paesaggio sonoro di pastori e contadini immersi in una concezione panica della natura, che è anche il cuore pulsante di buona parte dell’opera letteraria di Gioacchino Criaco.

Gli incontri proseguono il 10 luglio, ore 19, a Gallico, presso il Centro Sociale Cartella; l’11 luglio, ore 18, a Petrizzi, nelle Serre Catanzaresi, il 12 luglio, ore 18, a Reggio Calabria, al Caffè Malavenda, per concludersi il 13 luglio, ore 18,30, a Serrata, Palazzo Gagliardi.

L’auspicio dei promotori, tra i quali le amministrazioni di Petrizzi e San Giorgio Morgeto e diverse sezioni locali dell’Anpi, è di contribuire attraverso questi incontri alla gestazione di una società ecologica fondata sull’armonia tra i viventi e sulla giustizia tra gli umani, opposta all’attuale barbarie economica comunemente chiamata “crescita”. (rrc)

“Il Custode delle parole” di Gioacchino Criaco incontra i lettori: i prossimi appuntamenti in Calabria

La lingua madre come identità, cultura, unione e narrazione: Il custode delle parole (Feltrinelli) di Gioacchino Criaco continua il suo percorso di successo in un fitto programma di incontri con i lettori.

“Il custode delle parole” narra una storia antica e moderna, che intreccia passato e presente attraverso il valore eterno delle parole: la montagna e la difesa dell’ambiente, il lavoro precario, l’uguaglianza sociale negata, l’amore, la multiculturalità. I protagonisti si muovano in un contesto di quotidianità semplice, di diffusa identificazione, e per questo più significativa, portatrice di tante storie che danno vita alla grande storia di un popolo.

Gioacchino Criaco sarà: domani, 26 maggio, alle ore 19.00, a Taurianova Legge; 27 maggio, ore 17.00, alla Scuola superiore per mediatori linguistici di Catona; 28 maggio, ore 17.00, con Domenico Forgione e Mimmo Gangemi, nell’Aula comunale di S. Eufemia d’Aspromonte per Primavera di libri; 30 maggio, a Tropea, incontro promosso dalla Fondazione Carical; 1 giugno, ore 19.00, Mondadori Point di Palmi, incontro promosso da Kiwanis Club; 5 giugno, ore 19.00, al Circolo Polimeni, con il Rhegium Julii; 16 giugno, ore 17.00, al Circolo Cittadino di Catanzaro, per un incontro su “Emergenze sanitarie e sociali per i minori nel Terzo Millenio”.

Il 10 giugno, appuntamento a Termoli, in Molise, insieme a Marco Ciriello, per un incontro organizzato dall’associazione “Sopralerighe”. (rrc)

Il custode delle parole, di Gioacchino Criaco

di MIMMO NUNNARI – Scrittore di fiabe e romanziere (l’uno e l’altro insieme) Gioacchino Criaco è la “voce” di quel Mediterraneo (italiano) mescolato con l’Africa e l’Oriente erede della civiltà greca e di altre culture e tradizioni dei popoli delle terre di mezzo. Al centro, nel racconto raffinato di Criaco, c’è sempre l’Aspromonte: la montagna dei profumi, della bellezza, delle magie e dei destini, fatti di abbandoni e partenze. Nel nuovo libro da poco in libreria: Il custode delle parole (Feltrinelli) lo scrittore di Africo narra questo meraviglioso microcosmo mediterraneo mescolato di saperi e tradizioni che s’incrociano.

Lo spiega lui stesso, nell’incipit del nuovo libro, che cos’è l’Aspromonte e la sua gente: “Siamo Oriente e Africa negli enigmi dei volti delle donne a cui apparteniamo…”. Criaco conduce questa volta il lettore sui sentieri naturali, reali e spirituali della montagna-madre: crocevia di sintesi umane che conservano culture e valori e potrebbero nutrire la vita di tutti nella nostra babele moderna. La sobrietà espressiva del romanzo, la sostanza del racconto, la ricerca delle parole salvifiche, unite al senso di concretezza dei fatti narrati, all’interrogarsi per metafore, sui problemi estremi dell’esistenza, danno impulso allo stile di Gioacchino Criaco che abilmente mescola la dimensione reale a quella fantastica, per celebrare l’umanità dell’Aspromonte: “La nostra è una storia millenaria che ha forgiato le parole intingendole nel cuore, nella testa, nella pancia, nel miele e nel sale, nel sangue eroico e in quello codardo, nella punta delle spade e nel taglio delle zappe” scrive, e questo suo modo di narrare sembra un andare indietro per andare avanti, come gli antichi navigatori, che dopo avere perduto la rotta per traversie di mare, al momento di ritrovarla, spesso dal lato opposto, chiamavano la manovra “avanzare di ritorno”.
Avanza di ritorno Criaco, in un libro cammino nell’umanità e nella storia di un sud del mondo in cui si sentono gli echi, le malinconie, la robustezza del racconto di Alvaro e Strati (scrittori di dignità e dimensione europea con salde radici piantate nell’Aspromonte) dei quali è l’erede, o quantomeno lo scrittore che ha assorbito di più la loro lezione di narrazione. Nella resa letteraria del romanzo di Criaco, nelle tematiche in cui s’incrociano ragioni della letterarietà con questioni antropologiche e dimensioni umane negate, ci sono anche le risonanze lontane di grandi scrittori del panorama letterario mediterraneo e sudamericano, o meglio di narratori delle periferie del mondo, come il Luis Sepulveda del romanzo Il vecchio che leggeva romanzi d’amore, o il Nikos Kazantzakis di Zorba il greco. Non tanto per la trama del libro, e neppure per lo stile narrativo, perché quello dello scrittore di Africo è molto differente; anzi, è azzardato e fuorviante ogni accostamento, ma risonanze per l’affinità con la “lettura” di luoghi emarginati, sempre sotto il tallone di qualcun altro; per la somiglianza “nutriente” dei personaggi: il vecchio Antonio José Bolívar di Sepulveda, che viveva ai margini della foresta amazzonica ecuadoriana e l’Alexis Zorba, l’anziano geniale macèdone protagonista del romanzo di Nikos Kazantzakis, con l’Andrìa, il nonno pastore “custode delle parole”. Quei vecchi, appartenenti a mondi diversi, hanno in comune l’essere uomini veri che nel cuore custodiscono i segreti della natura, lo spirito della vita, i valori a cui abbeverarsi, nello smarrimento del presente fatto di inconsolabili ombre assetate. È nello spirito ereditato dai padri e dalle madri greche il custodire la parola del nonno Andrìa, che difende la lingua dei suoi avi come se conservasse fede, mito, Parola divina. Anche in questo intento salvifico della parola c’è un vicinanza spirituale tra la storia raccontata da Criaco e il personaggio del Kazantzakis che (nell’Odissea da lui riscritta) cerca tra i paesini di Creta le parole destinate a perire: nomi di fiori e piante, il lessico dei contadini e dei pescatori, della gente semplice. Kazantzakis nell’Egeo e Criaco nell’Aspromonte, narratori di epoche diverse, di stili differenti, hanno lo stesso obiettivo interpretato dai loro personaggi: salvare la parola, per salvare il mondo. Non ha importanza che Kazantzakis (morto nel 1957) abbia pubblicato il suo libro nel 1938 e Criaco abbia pubblicato Il custode delle parole nel 2022. C’è lo spirito della Madre Grecia a unire i pellegrinaggi alla ricerca di sé e delle proprie radici.
I protagonisti del romanzo di Criaco sono Andrìa il giovane, voce narrante, nipote dell’Andria “custode delle parole”, la fidanzata Caterina e Yidir, profugo africano arrivato sulle coste calabresi coi barconi dalla Libia. La figura del nonno, pastore e “sacerdote” della parola, domina su tutto. Andrìa il nipote, trattenuto nella sua terra dall’amore per Caterina, cambia la sua idea tenace di lasciare la sua terra e di partire, il giorno in cui salva dall’abbraccio mortale dello Jonio Yidir, sopravvissuto ad un naufragio, nelle acque dello Jonio. Anche lui, l’africano, sta cercando un futuro possibile. Quando il nonno lo prende clandestinamente con sé, come aiutante pastore, si accende una luce nella mente di Andrìa. Pian piano si riavvicina all’ambiente delle radici, alla Mana Gi, riscopre storia e cultura del suo popolo, lo stretto legame tra valore della vita e bellezza selvaggia dell’Aspromonte. Accetterà, così, il destino che è chiamato a compiere: custodire, come il nonno, le parole.
Questo nuovo romanzo di Gioacchino Criaco, con la narrazione minuziosa di fatti e cose, è una storia di identità e radici così forti da sfidare il futuro che ancora non conosciamo È romanzo ricco di metafore Il custode delle parole, di sottile ricchezza narrativa, di ritratti, di incontri, di figure che non si dimenticano. Le decisioni di Andrìa (simbolicamente del popolo dell’Aspromonte) richiamano alla responsabilità di doverci prendere cura di ciò a cui sentiamo di appartenere, di saper custodire un mondo e una lingua (il greco di Calabria) che stanno per sparire, ingoiati dalla falsa modernità̀.
Andrìa sente che nelle “parole” del nonno c’è il suo futuro, che quel territorio, l’Aspromonte, la Grande Madre, è la montagna lucente, bianca, non ostile, come è dipinta. Cosa rappresenta Mana Gi lo scrittore lo ha spiegato nell’intervista ad un giornale francese, nell’occasione dell’uscita Oltralpe di “La Maligredi”, il romanzo precedente a Il custode delle parole, il libro che apre definitivamente allo scrittore di Africo le porte della narrativa italiana migliore, dopo i successi di Anime nere, il primo romanzo pubblicato con Rubbettino.
L’Aspromonte, la Mana Gi, ha detto Criaco, è “la Grande Mère, comme est encore appelée la montagne, qui est femme, est l’archétype de la Calabre, du Midi. C’est ce que tout le Sud a été dans le passé. Il représente la dernière résistance d’un monde qui lutte pour ne pas mourir”. Non lo traduciamo questo passo dell’intervista, se non l’espressione “resistenza di un popolo che lotta per non morire”, che fa capire la storia passata e presente della Calabria nata greca. Andrìa, che alla fine accetterà̀ il destino di salvare le parole custodite del nonno, spiega, nella lingua dei padri greci, che ha la musicalità della tradizione orale, che cos’è l’Aspromonte: To Asprovunì anìghi te tthìre ti ston Thìo ppurrì. Anìghi t’arthàmmia apànu ston cosmo asce fata. Echi enan àthropo ti por patì pu, ston pròsopo cratì lagomata azze paleo pezò. Asprovunì ene mia fracti azze aklìese. Thire anictè ce to pedì (L’Aspromonte spalanca le porte al dio del mattino. Apre gli occhi su un mondo fatato. C’è un uomo in cammino che sul volto trattiene ferite di antico soldato. L’Aspromonte è una gabbia di perle. Porte aperte e il volo si perde. È distese di boschi che spengono il fiato. È una madre che sconta in eterno lo stesso peccato. (mn)
GIOACCHINO CRIACO
IL CUSTODE DELLE PAROLE
Feltrinelli, ISBN 9788807035043

Gioacchino Criaco: Calabria, il sotterramento dell’amore, la lezione della resa

di GIOACCHINO CRIACO – È scocciante parlare di Augias, è vero. Ma al di là dei giudizi su di lui, del suo valore intellettuale, resta il fatto che parli dalla tv pubblica, che scriva su giornali di ampia diffusione. Quello che dice non ha nulla di straordinario o nuovo. “Terra perduta”, “irredimibile”, “immutabile”, sono sentenze che si sentono da sempre in Calabria, che pure moltissimi calabresi pronunciano. Mettete me, che sono di Africo: “riottosi, ribelli e irredimibili”, diceva di noi Stajano in Africo, Einaudi; “bestie che dormono e mangiano con le bestie”, Strati, la Teda; “di quali delitti si è macchiata questa gente per vivere in condizioni così miserabili?”, Zanotti Bianco, Fra la Perduta Gente; “pane di ghiande e vieccia mangiano gli africoti”, Giorgio Amendola, il pane nero di Africo; e Besozzi insieme a Tino Petrelli hanno immortalato la disperazione degli africoti con i ragazzi del 48. Ho cominciato a preparare la valigia dopo aver letto la sentenza di Stajano: avrei voluto essere riottoso e ribelle, ma irredimibile puzzava di zolfo, un preannuncio d’inferno. Dopo ci ho messo 35 anni a realizzare che non avrei mai voluto partire, che le capre, il sogno più bello le avevo già. Invece tutti mi hanno insegnato la bruttezza dei caprai.

Nessuno mi ha spiegato la loro sfida, il coraggio, l’amore incondizionato per la natura: che capre, lupi e pastori erano i contraenti di una società antica, nobile. Della Calabria si provvede da qualche secolo a insegnare il brutto, il di meno, a inculcare un disamore rovinoso, matricida. Le parole di Augias, inconsapevolmente o meno, proseguono in quella lezione tragica che è l’insegnamento della resa, il sotterramento dell’amore. Non va sottovalutata in quanto provenga da lui, va confutata in quanto proveniente da scoraggiatori di professione, spesso assoldati a loro insaputa da chi ha l’interesse che questa visione, geneticamente, si infigga nella genetica calabrese.

Sono risorte Regioni e popoli molto più afflitti dai drammi calabresi, si sono capovolte situazioni ben più tragiche. La Calabria è sul pizzo del burrone, lo sappiamo tutti noi calabresi; molto probabilmente salteremo nell’abisso. Ma sarà perché non abbiamo lottato, non perché al momento sia impossibile lottare. Stiamo facendo quello che un gruppo di potere vuole: abbandonare il campo e lasciare tutto al nemico. È una lotta che si combatte da più di un secolo: un popolo che ha resistito a terremoti portentosi, maremoti, alluvioni, malattie, dominazioni. Capitola sotto le unghie smaltate di un potere locale che si prende tutto, con complice uno Stato centrale ignavo. Le parole di Augias, non lui, sono pericolose perché continuano a costruire la resa. E a noi serve la guerra, che è vero, è difficilissima da fare: i migliori dei nostri sono già morti in battaglia, noi non saremo combattenti irresistibili, ma neppure il nemico è granché. (gc)

[Gioacchino Criaco è uno dei più apprezzati scrittori italiani. Calabrese di Africo ha firmato diversi best-seller tra cui Anime nere, Il Saltozoppo, La Maligredi, L’ultimo drago d’Aspromonte]

L’ultimo drago d’Aspromonte, con Gioacchino Criaco e Vincenzo Filosa a Catanzaro

Oggi alle 18 al Centro Polivalente per i giovani di via Fontana Vecchia a Catanzaro presentano in anteprima L’ultimo drago di Aspromonte (Rizzoli Lizard). L’evento è organizzato dalla libreria Ubik di Catanzaro.

Un uomo vive confinato in una comunità di recupero nel cuore dell’Aspromonte. Affascinato dalla natura che lo circonda, comincia a vagare tra i boschi. Scopre piccoli segnali di vita: le tracce degli animali, l’intrico delle piante, ma anche gli incontri notturni degli abitanti del villaggio vicino. In questa atmosfera sospesa, l’uomo comincia a sentirsi accerchiato da forze a cui non riesce a dare un nome. Forze che esplodono quando, in casa di un pastore, trova dei vecchi giornali che parlano di un incidente che ha segnato la sua famiglia e che legano suo padre e sua madre a dei malavitosi locali. Che cosa nasconde il passato dei suoi genitori: terrorismo? ‘Ndrangheta? Nella mente dell’uomo tutto comincia a prendere fuoco, come nel petto del drago di roccia che regna da sempre sull’Aspromonte. La magia di questa bestia divina condurrà l’uomo lungo il sentiero di un’inattesa rinascita. (rcz)

CONTRO LA PIAGA DEGLI INCENDI D’ESTATE:
ASPROMONTE BRUCIA, VERDE IN PERICOLO

L’Aspromonte brucia, come ogni estate, il verde, i boschi, gli animali, tutto è in pericolo. L’Associazione Guide Ufficiali del Parco Nazionale dell’Aspromonte ha lanciato un appello a tutte le associazioni, agli escursionisti, a chiunque frequenta la montagna. Occorre stare vigili e segnalare qualsiasi filo di fumo sospetto. Se brucia l’Aspromonte non va a fuoco solo la Montagna, ma una grande parte di Calabria che non rinascerà più. C’è anche un prezioso contributo dello scrittore Gioacchino Criaco per mettere in guardia contro il fuoco. Questo è un accorato appello, corale, perché l’Aspromonte è tutti noi.

«Non sono nuvole. – scrivono le guide – Odore acre e pungente che travolge gli occhi e li riempie di lacrime.
Il fumo sovrasta l’Aspromonte, la nostra montagna, la nostra casa.
Monte Scafi, Croce Melia, Pesdavoli, Monte Antenna, Armaconi, Santa Trada, i boschi di Casalinuovo, Africo Vecchio, Samo bruciano.
Perché non è un’emergenza?
Non vediamo nessuno strappato al calore del suo letto ergersi a difensore dei boschi aspromontani e continuiamo a chiederci perché, mille volte perché.
Spesso, quando facciamo educazione ambientale, cerchiamo di svelare il valore delle cose che normalmente sembrano non averne. Un lingotto d’oro è universalmente un valore, ma una pigna? Un sasso, una corteccia, un albero? Spesso è una scoperta, per i bambini…
Ora che migliaia di piante sono in fiamme e molti habitat sono a rischio, non riusciamo a capacitarci di come questo valore, immenso, non sia percepito neanche dagli adulti.
Se qualcuno pensa che sia solo empatia ed amore per madre natura sbaglia. Non vogliamo solo sia protetto un albero o un fiore, vogliamo che sia protetto il diritto al futuro, l’economia che le aree protette generano con le conseguenti ricadute sul tessuto socio economico dei piccoli centri aspromontani, contribuendo a farli uscire dalla storica marginalità. Difendere l’Aspromonte dal fuoco, vuol dire anche difendere la sua gente ed il suo futuro.
Siamo in emergenza, l’Aspromonte brucia e le braccia per domare il fuoco sono poche e stanche e le ringraziamo con tutta la forza che abbiamo.
Non sta bastando. Ma nessuno pare preoccupato o almeno non lo dimostra.
Non esiste un solo problema, in Calabria, lo sappiamo molto bene.
Ma quando la terra sarà bruciata non avremo più nulla da difendere. Il rischio ed il danno per biodiversità, necessaria per l’uomo, rischia di essere pesantissimo. Ciò che potrebbe apparire lontano ci riguarda tutti, molto da vicino, perché la distruzione degli habitat porta ad un naturale impoverimento che colpirebbe tutti noi. Sarebbe come togliere da un muro un mattone per volta, prima o poi quel muro cadrà. Sotto ci siamo noi.
Chi deve fare qualcosa, la faccia, o ci dica cosa sta facendo.
Lo pretendiamo.
Noi vogliamo fare la nostra parte. Possiamo parlarne, dobbiamo parlarne.
Possiamo contribuire alle segnalazioni (lo stiamo facendo) e dobbiamo farlo ancora di più.
Noi vediamo, sentiamo, parliamo.
Questa è oggi la nostra priorità.
Non ci sarà Guida Parco che in questi giorni sarà per le montagne, che non avrà lo sguardo vigile e pronto per segnalare il primo pennacchio di fumo e tutto ciò che potrebbe essere utile a rintracciare chi quel fumo l’ha fatto partire.
Lanciamo l’appello a tutte le associazioni, singoli escursionisti ed a chiunque frequenti la montagna.
Segnalate, vigilate, sollevate il problema, gridate all’emergenza, pretendete un intervento.
Sta bruciando nostra madre, tutti dobbiamo contribuire a spegnerla con gli strumenti che abbiamo.
Chiediamo che per ogni ettaro di parco bruciato sia ampliata la superficie complessiva dell’area protetta.
Se bruciano mille ettari, che il nostro parco aumenti la sua superficie da 64 mila a 65 mila ettari.
Alla barbarie si risponda con la fermezza di chi ha una visione chiara, dell’Aspromonte lucente scrigno di biodiversità al centro del Mediterraneo».  (rrm)

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La Montagna brucia

di GIOACCHINO CRIACO – Chi dà fuoco al bosco brucerà all’inferno”, dicevano i padri, per i figli dei pastori era la minaccia più terribile, l’incendio eterno, ad arderli vivi; la profferivano sempre, dopo un rogo, con le facce antiche mascherate dal fumo, le braccia ustionate e le mani piagate con stretti i monconi dei rami di pino che erano l’unico, minimo, rimedio al fuoco. I pastori, quelli veri, non appiccavano fiamme, perché i roghi succhiavano la vita alla terra che non pasceva pascoli e quando, dopo anni, rispuntava l’erba, era freno di panza buono solo a gonfiare gli stomaci degli animali, ma inutile per colmare mammelle, e senza sostanza e senza profumo. I pastori veri chiedevano alla quercia uno dei suoi mille bracci, e si riscaldavano un inverno intero. L’acqua se la succhiavano dai capezzoli di roccia e a ogni stagione ringraziavano la grande madre per i suoi tanti frutti. I montanari veri non avanzavano pretese sulla montagna, gli appartenevano. È la città che vuole legna, acqua, terre libere da farci i cottage, gli hotel e gli affari. È la città che vuole farci le gite di domenica e a ferragosto, per ritrovarsi. La montagna è come l’India: quelli che ci stanno ci sopravvivono e quelli che vanno in vacanza ritrovano il Karma. E, sulla montagna, i cittadini raccontano un sacco di balle: che è bella, magnifica, rigenerante, -che è lì che si dovrebbe vivere. Ma dopo una notte, o una settimana scappano via, e fuori dalle casettine di Heidi ci stanno giusto il tempo di farsi venire la fame, poi una bella doccia, panni puliti e pronto in tavola. La montagna, per chi davvero ci ha vissuto, è stata zecche, pulci, pidocchi, freddo, fame, sudore e tanta tanta puzza, che l’acqua è ghiaccia pure ad agosto. La montagna non è mai tenera, ma per chi davvero la ama è l’amore di una madre, ed è, soprattutto, un essere vivente che ti ospita, tutto è suo e tu puoi accettarne i doni. E ogni montagna è un essere a sé, che non è che ne conosci una e le conosci tutte. Dentro il suo mondo ci stanno creature a miliardi: monti, alberi, animali, torrenti. Tutte creature animate. E con le felci dopo sei mesi ci parli, ma per vincere la ritrosia dei pini ci vogliono sette anni, e perché le querce ti prestino ascolto te ne servono dodici. La montagna non è la bestia feroce che potete guardare in sicurezza davanti alla gabbia dello zoo cittadino. La montagna è una fiera in libertà, se ci si scherza troppo si viene mangiati.
La Montagna brucia perchè tanti ignobili traditori ne vorrebbero fare il loro orto privato, per raccogliere solo loro pochi frutti avvelenati. Chi la brucia? Pastori finti, che non hanno idea di cosa significa essere pastori e credono che bruciando, alle prime piogge ricrescerà tanta erba. Disboscatori che vogliono fare affari con la legna. Spegnitori che hanno nell’antincendio i vantaggi. Quelli a cui servono spazi, materiali per le centrali a biomasse, radure per le pale eoliche. C’è una genia infinita di ammazzatori, che hanno per complici tutti quelli che dovrebbero difendere la montagna.
Che la montagna non è un giardino da tenere come cartolina. La Montagna è una mammella con un capezzolo da suggere con delicatezza. E’ vita, per questo è nata per dare vita ed essere vissuta. La Montagna è legna buona, acqua, ortaggi e frutti, e cammini faticosi. La Montagna si vuole e si deve dare, ma bisogna proteggerle i fianchi, pulirla, rimboschirla, fare armacere e briglie, accudire i sentieri e risanare le frane, smantellare cementi e dighe. Utilizzare ogni suo centimetro come fosse il lembo millimetrico della pelle di nostra madre. Non dissipare la sua ricchezza ma aumentarne il valore, i talenti. Metterci gente a lavorare, avere presenze continue, ripopolare davvero. L’Aspromonte è una bomboniera, ma non un soprammobile, non è il lume finto sopra il cammino, è una lampada che illumina la strada. Noi abbiamo una Montagna ma è come se non l’avessimo, perché non la utilizziamo per quella che è la sua natura. Noi abbiamo una Montagna, ma non abbiamo la Montagna. Quelli che la bruciano dovremmo prenderli a calci, anche se ci fossero compari, amici, fratelli. Sono traditori: di sè stessi, della nostra terra, di noi. Tradiscono tutti quelli che lottano perché la Montagna torni a darci vita e da vivere.

CATANZARO – Il festival delle “Parole Erranti”

12 ottobre – Prende il via oggi, a Catanzaro, presso il Museo Marca, la 15esima edizione del Festivaletteratura di Calabria “Parole Erranti”, organizzato dall’Associazione Culturale “La Masnada”.
Obiettivo della manifestazione, è valorizzare il territorio e potenziare i rapporti tra le varie realtà culturali attraverso gli incontri con gli studenti, reading letterari, e presentazioni di libri.
Il programma, molto vasto, comincia alle 11.00 presso il Museo Marca di Catanzaro, con lo scrittore Gioacchino Criaco che incontrerà gli studenti del Liceo Scientifico “L. Siciliani”.
Alle 17.30, Eliana Iorfida presenterà il suo libro “Antar”, edito da Vertigo Editore, mentre alle 18.30, Stefano Piedimonte, giornalista e scrittore, parteciperà al Festival con la presentazione del suo libro “L’uomo senza profilo”, edito da Solferino Libri.
Alle 21.30, il Marca ospiterà l’artista Ivan Talarico. (rcz)

ALLA SCRITTICE REGGINA ROSELLA POSTORINO IL PREMIO CAMPIELLO

16 settembre – È un grande motivo d’orgolio per tutta la Calabria. la scrittrice reggina Rosella Postorino col suo libro “Le assaggiatrici” ha vinto il Premio Campiello 2018. Anzi, ha stravinto, raccogliendo 278 dei 300 voti dei lettori per poi ricevere 167 voti nella votazione finale al Teatro La Fenice di Venezia. originaria di Reggio calabria, Rosella Postorino è cresciuta in Liguria e da17 anni vive a Roma.
Il suo libro “Le assaggiatrici” (Feltrinelli) racconta la singolare storia di un gruppo di donne chiamate ad un compito insolito e terribile: assaggiare il cibo destinato a Hitler. «Un privilegio e una condanna» dice la scrittrice. Che ha espresso con un largo sorriso la sua soddisfazione: «Sono felicissima. Voglio ringraziare tutti quelli che mi sono stati vicino mentre scrivevo questo libro. Grazie al Campiello che mi ha fatto fare un’esperienza bellissima».
Alla serata finale del Campiello hanno preso parte la Presidente del Senato, Elisabetta Alberti Casellati, e il ministro dei Beni Culturali Alberto Bonisoli. Se per la Casellati il Campiello è «una scommessa abbondantemente vinta» per il prestigio del Premio e la sua autorevolezza nel mondo della cultura, il ministro Bonisoli ha sottolineato che bisogna «lavorare insieme per la diffusione della scrittura e della letteratura tra i giovani. Abbiamo – ha detto il ministro – un problema enorme in questo Paese. Siamo sull’orlo di un distacco tra generazioni. Ai giovani basta cercare di far venire la fame di cultura. Siamo in un momento di cambiamento della storia in cui nessuno sa con precisione dove stiamo andando. La cultura è una soluzione per trovare la nostra strada».
Rosella Postorino per il suo libro si è liberamente ispirata alla storia vera di Margot Wolk che a 96 anni ha raccontato l’esperienza di “assaggiatrice” del Führer alla caserma di Karusendorf. Un libro straordinario e avvincente, scritto con mano sicura, capace di rapire il lettore e costringerlo a riflettere anche sugli aspetti meno conosciuti del nazismo e le sue brutalità anche a livello psicologico nella scommessa sulla sopravvivenza cui costringeva le sue vittime.
La scrittrice è stata introdotta da Gad Lerner che nel sottolineare le sue origini ha esaltato le virtù del libro: «Che cosa c’entra una giovane donna calabrese con la Germania 1943? Ho iniziato questo libro con diffidenza e poi lo ho divorato». La Postorino sarà festeggiata a Montecarlo il 12 ottobre ospite dell’Ambasciata d’Italia, e come da tardizione per il vincitore del Campiello mercoledì 19 presenzierà a PordenoneLegge.
È importante sottolineare come sia un momento particolarmente felice per la narrativa calabrese: la Postorino, a buon diritto, diventa la portabandiera della forte capacità degli scrittori calabresi (Gioacchino Criaco, Mimmo Gangemi, Domenico Dara, solo per citarne alcuni) che stanno conquistando un posto di rilievo nel panorama non solo nazionale (di Criaco è stato appena pubblicata la traduzione di “Anime Nere” negli USA). Un motivo di orgoglio e l’ulteriore dimostrazione, ma non ce n’è bisogno, che questa terra ha tante ricchezze in casa, ma spesso non se ne accorge nemmeno. (rrm)

LE ANIME NERE DI CRIACO IN EDIZIONE USA

10 settembre – Gioacchino Criaco, scrittore calabrese, autore del fortunato libro “La maligredi” nonché di “Anime nere” (da cui è stato tratto il film di Francesco Munzi) varca l’oceano: è in arrivo, infatti, l’edizione USA di Anime nere (Black Soul), con una suggestiva copertina che rende onore al romanzo. Lo scrittore è evidentemente soddisfatto: «Che dire, una piccola rivincita per noi ribelli, riottosi e irredimibili africoti. – ha scritto in un post di Facebook – Un miracolo tutto calabrese in una corsa a perdifiato, a due. Dieci anni di Anime Nere». Per noi calabresi un motivo d’orgoglio in più. Complimenti, maestro. (rrc)