La presidente Giorgia Meloni: Fondi di Coesione strumento per combattere divario Nord-Sud

«I fondi di Coesione sono le risorse principe per combattere i divari tra Nord e Sud, Est e Ovest, anche all’interno dei territori. Strumenti che ci consente di investire per far sì che tutti i cittadini di questa. nazione abbiano tutti gli stessi diritti». È quanto ha dichiarato la presidente del Consiglio dei ministri, Giorgia Meloni, intervenendo a Gioia Tauro a margine della firma del Fondo di Sviluppo e Coesione.

«Quando siamo arrivati al governo ci siamo resi conto che queste risorse in molti casi non si spendevano nella totalità o con enormi ritardi. Non so se una nazione come la nostra può permettersi di non fare arrivare sul territorio fino all’ultimo centesimo che ha a disposizione», ha detto Meloni, ricordando che «il Decreto Sud riorganizza i fondi di coesione, istituisce questi accordi di coesione: i progetti sono proposti dalla regione e condivisi dal governo nazionale e questo ha fatto un po’ arrabbiare qualcuno, ma non perché vogliamo limitare l’autonomia di un singolo territorio ma perché vanno inseriti in una strategia. Per troppo tempo ci siamo mossi come monadi ma se non mettiamo in rete progetti e investimenti non ricostruiremo mai la strategia di cui il paese ha bisogno».

«La Calabria – ha detto – è la decima Regione che firma questo accordo, è la prima che firma nel Mezzogiorno. Noi mettiamo a disposizione 2,8 miliardi, se aggiungiamo quelle di altre fonti arriviamo a un investimento complessivo di 3 miliardi e finanzieremo 317 progetti, concentrati su poche priorità, per rispondere proprio al concetto di strategia».

«La priorità delle priorità che finanziamo – ha spiegato – sono le infrastrutture. Alle infrastrutture questo accordo dedica oltre un miliardo di euro, parliamo anche dei porti, ci sono 300 milioni destinati al Ponte. Molti dicono che non si farà mai, che è impossibile, ma secondo me la parola impossibile la usa chi non ha coraggio. Io sono d’accordo con Occhiuto, c’è un solo modo per combattere i divari territoriali, creare le condizioni a Regioni per combattere ad armi pari. Qui c’è una differenza nella nostra impostazione: leggevo un’intervista della leader dell’opposizione».

«Ci sono due modi per affrontare le problematiche del Mezzogiorno – ha evidenziato – le infrastrutture, quello giusto secondo me, e il reddito di cittadinanza che però era la risposta di chi considerava questi territori irrecuperabili e li manteneva in povertà. Ma questa non è la mia visione. A chi mi accusa di dividere l’Italia dico che l’Italia è già stata divisa. La sfida è quella di mettere le Regioni nelle condizioni di dimostrare quello che valgono investendo sulle infrastrutture. Voglio colmare il divario e con le risposte meno facili ma che possono dare davvero risultati».

«Ci sono dei gioielli, dei potenziali che senza infrastrutture non vanno da nessuna parte – ha ricordato – Porto di Gioia Tauro: non è un caso che siamo qui, è un gioiello, è il non porto europeo per traffico merci e il primo in Italia. Noi siamo una piattaforma in mezzo al Mediterraneo, in mezzo a quel mare che è il punto di contatto tra i grandi ambiti commerciali: Indo Pacifico e Atlantico. Noi abbiamo un’altra grande infrastruttura che non abbiamo mai, che è il mare».

«La scelta del governo è quella di diventare centrali nel Mediterraneo – ha ribadito –. Il nostro obiettivo è fare dell’Italia l’hub energetico dell’Europa: sono d’accordo con Occhiuto sul rigassificatore ma se riusciamo a fare investimenti in Africa, accade che il Mezzogiorno assume una centralità strategica. C’è un disegno di quello che stiamo facendo.  Quello che è mancato qui è stata la strategia, la capacità di mettere la forza dei cittadini di questi territori di competere ad armi pari. Noi abbiamo individuato la strategia, abbiamo individuato le risorse come questo Accordo e il Pnrr e altre risorse arriveranno».

«Ci sono le risorse per il termovalorizzatore, cofinanziandolo – ha detto – per vincere la sfida dei rifiuti su cui la Regione sta facendo un grande lavoro, e attrazione degli investimenti: qui c’è un’altra grande risorsa, siamo riusciti a fare una cosa che non ha fatto alcun governo prima, la Zona economica unica del Mezzogiorno, la sfida del governo è che tutte le Regioni del Sud diventano un’unica Zes, significa che tutti i nuovi investimenti che arrivano nelle regioni del Mezzogiorno possono vantare incentivi e semplificazioni significativi colmando così i problemi ereditati e creando l’uguaglianza».

La premier, poi, ha parlato dell’autonomia differenziata: «non funziona come qualcuno racconta “dò a una regione e non a un’altra”, significa che lo Stato in una regione virtuosa valuta di devolvere altre competenze, non è un tema di rapporti tra Regioni ma tra Stato e Regioni, non si crea un divario ma regioni del Nord e del Sud ma semmai è un divario che si crea tra amministrazioni capaci e no, e non mi stupisce a qualcuno fa paura».

«Non c’è affatto un tentativo di indebolire – ha sottolineato – ma di rafforzare consapevoli dell’enorme potenziale di questi territori, della sua gente, agendo su alcune leve: strategia, avere, risorse risorse a terra e che chi gestisce queste risorse sia responsabilizzato per spenderle al meglio, Con questi elementi penso che i cittadini che vivono in queste regioni non devono avere paura di niente, perché hanno affrontato di tutto, compreso la ‘ndrangheta, e possono e devono poter contare sulla sfida della responsabilità i cittadini non hanno paura di niente perché noi combatteremo la ‘ndrangheta così, dimostrando che lo Stato quando ti chiede qualcosa non ti chiede in cambio la tua libertà come fa la criminalità organizzata».

«Ma lo Stato dev’esserci e deve esserci con risposte serie ed efficaci come quelle che stiamo tentando di costruire», ha concluso. (rrc)

CARA GIORGIA, LA STAMPA SI È SCORDATA
DI CHIEDERLE DI MEZZOGIORNO E DI PONTE

di SANTO STRATI – Non abbiamo potuto partecipare per ragioni di salute alla conferenza stampa di fine anno (posticipata a ieri) della Presidente del Consiglio Giorgia Meloni e nel caso, probabilmente non avremmo avuto la fortuna di essere selezionati (per sorteggio) tra i 45 giornalisti ammessi a porre una domanda (senza diritto di replica). Ma una domanda fuori tempo massimo la formuliamo lo stesso: sul Ponte – che è l’evento clou dell’attività del Governo di quest’anno – non ha nulla da dire? Ha affidato al vicepremier Salvini l’intero onere di organizzare, pianificare, programmare e portare a termine la cerimonia di inizio lavori (luglio 2024) ma, fino ad oggi, non abbiamo mai trovato esposta a chiare lettere la sua posizione sull’Opera più colossale del Millennio. Lei è favorevole o perplessa (certo non contraria…) al Ponte? Perché non ha mai apertamente dichiarato che cosa pensa a tal proposito? Il sospetto – ce lo conceda cara Presidente – è che ci sia, sotto sotto, una furbata colossale: lasciando la patata bollente in mano a Salvini avrà la possibilità – in caso di successo – di ascriverne i meriti al Governo, in caso di flop potrà indicare nel vicepremier il responsabile del fallimento. È perfida, come considerazione, lo sappiamo, ma glielo avremmo chiesto senza alcuna indulgenza, pretendendo una posizione chiara, una risposta che dia il segnale di una precisa presa di responsabilità sulla questione Ponte dello Stretto.

Ancora, a malincuore, abbiamo dovuto osservare, nelle tre e passa ore di incontro, che nessuno dei 45 giornalisti che hanno posto altrettante domande ha trovato di qualche interesse chiederle cosa intende fare il Governo per il Mezzogiorno, soprattutto alla luce dell’entrata in vigore della Zes unica, ma in particolar modo dopo l’assurda gabella ETS che condanna i porti italiani (e in particolar modo quello di Gioia Tauro che sta mostrando segnali di grande crescita). Ma il Sud non è materia d’interesse dei giornali e i media italiani, più che altro sono impegnati a riempire di gossip le proprie colonne o gli schermi, dimenticando che «se non riparte il Mezzogiorno non riparte l’Italia».

Tant’è, ma l’unico accenno al Sud ha riguardato il grande dolore della tragedia di Steccato di Cutro. Ma in una conferenza stampa di fine anno i lettori (per mezzo dei giornali e dei giornalisti) non vogliono sapere di (pur apprezzabili) sentimenti di sofferta condivisione del dolore, bensì amerebbero capire quali sono le intenzioni di un Governo che aumenta le tasse sui pannolini e pensa che chi guadagna 20mila euro al mese sia un riccone da spennare in tasse.

No, si è parlato di futilità e tutto ciò a suo vantaggio. Con questa opposizione e gran parte della stampa italiana che chiede, con timidezza, quali sono gli obiettivi primari non ha da temere nulla: altro che spettro della crisi, a Palazzo Chigi ci starà per decenni.  (s)

PASTICCIACCIO BRUTTO DELL’AUTONOMIA
BOCCIATO DA UE MA “PIACE” A CALDEROLI

di FILIPPO VELTRI – Gran pasticcio dentro la maggioranza di Governo e dentro il Governo della Meloni su DDL Calderoli. Fratelli d’Italia e Lega ai ferri corti dopo il parere della commissione d’esperti del Senato, prima pubblicato e poi scomparso, denso di critiche e di osservazioni ma anche dentro la Lega non si scherza!

Evidentemente infatti Calderoli e Giorgetti, entrambi ministri dello stesso Governo di centrodestra ed entrambi della Lega, non si parlano, né si scambiano le carte.

Calderoli infatti ha confezionato una proposta di legge sull’autonomia regionale differenziata che dice esattamente il contrario di quanto sostenuto da Giorgetti perché prevede che i nuovi poteri della regione siano stabiliti da un patto a due, tra il governo e la regione interessata e le altre verranno al massimo informate.

Tanto è vero che il Parlamento sul patto tra governo e singola regione potrà esprimere solo un parere, probabilmente delle commissioni, di cui il governo potrà tenere conto oppure no. Di più, Calderoli per forzare i tempi ha previsto che le osservazioni dei Ministeri sulle materie oggetto dell’intesa a due arrivino entro 30/45 giorni, pena le sue dimissioni addirittura dalla politica! Il ministro dell’Economia Giorgetti, forse per la prima volta nella storia dei governi, non solo non è il garante/controllore degli aspetti finanziari del procedimento ma ha solo 30 giorni, come gli altri ministri, per rispondere. In altre parole non gli è riconosciuto il potere di fermare o correggere le decisioni del patto a due per garantire i conti pubblici. Se i ministri non rispondono entro i 30 giorni previsti Calderoli pretende il mandato a procedere comunque: questo afferma la sua proposta di legge.
Calderoli è l’unico firmatario della proposta di legge del governo, non figurano né la Presidente Meloni, né tanto meno il Ministro dell’Economia come avviene di solito.

Sembra una presa di distanza ma segnala anche un atteggiamento remissivo verso le pretese di Calderoli e dei presidenti delle Regioni, forse per rinviare lo scontro a tempi migliori. Non si capisce come si possa imporre ai ministeri e soprattutto al MEF un tempo oltre il quale Calderoli procederebbe comunque. Basta pensare alla Ragioneria generale dello Stato che ha l’obbligo di garantire il rispetto dei conti pubblici, approvati dal Parlamento, e questo non c’è nella proposta Calderoli. Solo quando tutto sarà stato deciso da Calderoli e dalla regione interessata il parlamento sarà chiamato ad approvare la legge che deve dare valore al patto a due, tra Ministro e Regione.

Calderoli ha, dunque, forzato la mano decidendo tutto da solo, accentrando poteri, con una colpevole sottovalutazione degli altri ministri e soprattutto della Presidente del Consiglio. Certo la premier firmerà i Dpcm sui Lep, i livelli essenziali di prestazione, perché è già previsto dalla legge, per il resto tutto è nelle mani del ministro Calderoli. I Lep non possono essere affidati ad una commissione a due che poi passerà al governo le sue proposte, le quali verranno trasposte nei Dpcm. Questo è un altro passaggio che impedirà di controllare la qualità dei servizi garantiti ai cittadini e non è questione tecnica ma una scelta politica.

Prima o poi la bolla scoppierà. Giorgetti, che ripetiamo è leghista come Calderoli, afferma pubblicamente che un patto a due non può superare Costituzione e Parlamento e ha ragione, per questo bisogna cambiare la proposta Calderoli portando il Parlamento a decidere su tutti i passaggi di fondo sull’autonomia regionale differenziata, iniziando con l’eliminazione del patto a due, governo/regione, che è il vero motore di tutto il percorso.

La legge deve essere il motore, non un patto tra due esecutivi. Altrimenti Calderoli e il presidente della Regione interessata sceglieranno insieme i poteri da decentrare tenendo all’oscuro il Parlamento fino a quando sarà messo di fronte al fatto compiuto e verrà costretto a votare a favore con il voto di fiducia.

Il tentativo è di tenere tutto il percorso sull’autonomia differenziata sotto controllo leghista, imponendo alla stessa maggioranza le scelte. Calderoli ha preparato una sorta di “supermercato” con il compito di offrire alle regioni interessate fino a 500 funzioni, senza che il Governo precisi fin dall’inizio quali è disposto a decentrare e quali no, facendo intendere che lo possono essere tutte.

Eppure dei ministri hanno già fatto presente che non sono disposti a concedere poteri, ad esempio nella scuola e nei beni culturali. Perfino Confindustria è preoccupata che si creino nuove barriere all’attività delle imprese, creando differenze tra le regioni che renderebbero più difficile l’attività economica.
Per ora Calderoli continua imperterrito sulla sua strada, ma il ministro Giorgetti e la presidente del Consiglio, e con loro la maggioranza, prima o poi dovranno pronunciarsi sul merito delle scelte. Finora hanno finto di non vedere e hanno lasciato fare, fino a quando potrà andare avanti senza compromettere l’unità di diritti fondamentali e dell’attività economica del nostro paese?

Intanto una buona notizia. Le firme raccolte in calce alla legge di iniziativa popolare promossa dal Coordinamento per la Democrazia costituzionale e dai sindacati della scuola per cambiare gli attuali articoli 116.3 e 117 della Costituzione, che Calderoli usa strumentalmente per le sue scelte per aiutare la “secessione dei ricchi”, sono oltre il traguardo delle 50.000 firme, il risultato finale sarà tra 60 e 70.00. La proposta di legge arriverà al Senato mentre ancora si discuterà la proposta del governo sull’Autonomia regionale differenziata e grazie al consenso che ha avuto potrà influenzare una discussione fin troppo sottovalutata. Esistono dunque le condizioni per una ferma battaglia parlamentare per bloccare chi vuole oggi dividere quello che prima il Risorgimento e poi la Resistenza hanno unito: l’Italia. (fv)

LA LETTERA / Giusy Caminiti: Presidente Meloni venga a Villa San Giovanni

di GIUSY CAMINITI – Presidente, è in discussione e approvazione alla Camera il disegno di legge di conversione in legge  del decreto 35/2023 recante disposizioni urgenti per la realizzazione del collegamento stabile tra la  Sicilia e la Calabria, quel Ponte sullo Stretto che cambierà per sempre il volto e il cuore della Città  che solo un anno fa sono stata chiamata ad amministrare, il primo sindaco donna al pari di Lei,  primo Presidente donna di questa meravigliosa Italia. 

Anche la mia Città Presidente è meravigliosa: magari non adesso, agli occhi di chi la vede solo come  luogo di attraversamento da e per la Sicilia, che la rende unicum mondiale per il traffico gommato  e ferroviario; ma è meravigliosa perché è la Città bagnata dallo Stretto (luogo dei miti di Omero e  della leggenda della Fata Morgana) con le sue correnti, i suoi fondali, i suoi pesci abissali, le rotte migratorie dell’avifauna, l’incontro dei due mari Ionio e Tirreno, i suoi sette chilometri di costa che  noi vogliamo valorizzare per la loro vocazione turistica, il suo naturale essere già oggi il luogo  deputato al diportismo nautico quale baricentro tra Taormina, Tropea e le Isole Eolie. 

Le dico questo perché io l’ho sentita parlare a Roma, ero lì di persona al Nuvola, in occasione della  manifestazione di Poste Italiane: mi sono emozionata quando Lei ha riconosciuto il valore e  l’importanza del lavoro quotidiano dei sindaci, “silenzioso e creativo” ha detto; ho sorriso quando  ci ha detto che le resta il rimpianto, pur essendo Presidente del Consiglio, di non aver fatto il sindaco  di Roma. 

Da qui voglio partire Presidente Meloni: io amo Villa San Giovanni e fino ad ora ho rappresentato  in ogni dove, anche in commissione parlamentare, le ragioni di una Città che vuole essere preparata  ad accogliere la più grande opera ingegneristica di tutti i tempi, per non diventare la Città sotto il  Ponte dello Stretto ma essere una Città trasportistica all’avanguardia e turistica di eccellenza, che  guarda al Ponte.

A Lei mi permetto di chiedere questo Presidente: aiuti Villa San Giovanni a vivere questo momento  di profondo cambiamento (che la impatterà oltre ogni misura sotto il profilo urbanistico, sociale e  anche economico) con serenità, permettendo a questa Comunità di essere responsabile e coraggiosa,  ma al contempo protagonista del proprio futuro.  

Non vogliamo essere snaturati della nostra identità di “Strettesi” che per noi, Presidente, è cuore,  habitat, cultura, continuità territoriale, vincolo viscerale con questo angolo di paradiso.  

Non ci servono sette milioni di euro per la comunicazione sul Ponte: servono opere preliminari utili  alla Città secondo la sua vocazione trasportistica ed eco-turistica; serve che nessun inizio lavori  avvenga senza che siano certi i tempi di realizzazione, le risorse destinate alla costruzione del Ponte  e senza che sia certo il collegamento sia stradale sia ferroviario. La cosiddetta “variante ferroviaria  di Cannitello”, prima pietra del Ponte posta a Villa nel 2021, è lì a testimoniare la ferita già inferta! 

Per questo chiedo a Lei di prendere a cuore e trasformare in azione e impegno politico tutte le  richieste fatte fin qui dalla Città di Villa San Giovanni (per mio tramite ma anche con un deliberato  unanime del consiglio comunale che Le invio integralmente): la presenza della Città (assieme a Messina), nelle forme giuridicamente possibili, al CdA della riattivanda società Stretto di  Messina SpA, non come precedente per le grandi opere ma come segnale preciso rispetto a un’opera  unica al Mondo; un accordo di programma quadro “decreto Villa San Giovanni” che promuova  la nostra Città come Città innovativa per i trasporti, la salvaguardia delle risorse culturali e  ambientali e lo sviluppo turistico, programmando grandi interventi: approdi a sud, aree di  stoccaggio, servizi di mobilità-intermodalità ed interscambio, viabilità congruente con le opere di  collegamento stabile e di mobilità dinamica – porto turistico e riqualificazione fronte mare – riqualificazione e valorizzazione delle aree collinari cittadine – interventi primari connessi alle reti  di servizi alla Città – arredo e viabilità urbana, parchi urbani e assi verdi, attività commerciali,  fieristiche, centri di studio e/o ricerca (a titolo esemplificativo biodiversità, correnti e maree,  sismologia e vulcanologia), musei tematici sull’identità dello Stretto e sul Ponte; l’approvazione  di una legge sulla continuità territoriale, attesa da sempre da tutta l’Area Integrata dello Stretto;  la rimodulazione della Zes al fine di estendere le superfici già individuate a ridosso del porto di  Villa San Giovanni alla contigua area industriale di Campo Calabro, Villa S. Giovanni e Reggio  Calabria.

Presidente venga a visitare lo Stretto e la Città di Villa San Giovanni per farla entrare nella sua già  ricca agenda politica.  

Mi appello al suo amore di mamma per ogni angolo di questa Italia, una mamma  che concede a ciascuno dei suoi figli l’opportunità di realizzarsi secondo la propria inclinazione e  vivere consapevolmente le scelte della vita: Presidente conceda alla mia Città l’opportunità di essere  protagonista di questa fase, per potersi preparare ad accogliere (se sarà!), quale unica Città sul  versante calabrese, il Ponte sullo Stretto. 

Presidente, noi la aspettiamo! (gc)

[Giusy Caminiti è sindaca di Villa San Giovanni]

ANCHE IL GOVERNO È “SBARCATO” A CUTRO:
«LOTTA ASPRA AI TRAFFICANTI DI MORTE»

di SANTO STRATI  – Nessuno slogan facile “basta tragedie in mare” con cui il Governo Meloni poteva lavarsi la coscienza, mondandosi dal peccato originale di aver ereditato due leggi infami sull’immigrazione (la Bossi-Fini e il decreto Salvini) di cui ha aggravato ulteriormente le conseguenze.  Invece, è stato varato un decreto immigrazione – votato all’unanimità – con un obiettivo preciso: inasprire la lotta ai trafficanti di morte, aumentando le pene (da 20 a 30 anni) ed estendendo la giurisdizione anche fuori delle acque italiane. Un impegno, a parole, encomiabile e degno di considerazione, anche se – duole dirlo – non si sconfigge la tratta di esseri umani aumentando le pene (che quasi sempre poi non vengono eseguite per varie ragioni), ma andrebbe affrontato il tema delle partenze alla radice.

Innanzitutto c’è da dire che gli scafisti sono altri disperati che prendono ordini da chi effettivamente organizza e gestisce i viaggi della disperazione. È come per il traffico di droga: il pusher è l’ultima ruota del carro, l’ultima pedina, dietro ci sono organizzazioni criminali che da questi traffici finanziano sicuramente terrorismo, guerre e altre losche attività di respiro internazionale. Chi scappa (da guerre, violenza, miseria) è costretto a sottostare agli infami ricatti dei trafficanti di morte che li tengono ostaggio del primo imbarco disponibile. Se non c’è un’intesa internazionale – come auspicato dal ministro degli Esteri Tajani – con i Paesi da cui partono i viaggi della disperazione sarà difficile, se non impossibile interrompere la tratta di esseri umani e il Mediterraneo continuerà a essere il cimitero dei migranti. Quante morti ignote, quanti scomparsi in mare, quanta sofferenza di cui si sa sempre troppo poco. Non bastano il cordoglio e la solidarietà alle vittime, il ringraziamento ai soccorritori (a Cutro è stata collocata una targa in memoria delle vittime), ma servono provvedimenti di altra natura. Il nostro compito – ha detto la Meloni – è cercare soluzioni ai problemi, fare quello che si deve fare. Aggiungiamo noi, “trovare” le soluzioni significa individuare intese anche trasversali perché l’opposizione non può solo stare a contestare le scelte, deve contribuire a indicare percorsi e alternative, in nome di quell’umanità che è un vanto del nostro Paese. E ai calabresi il premier ha espresso il ringraziamento del Governo e la vicinanza a tutto il Mezzogiorno, punto d’attracco preferito dei disperati.

Sostanzialmente il premier Giorgia Meloni esce benissimo da un imbarazzo che il suo staff le aveva provocato: una sua visita immediata a Cutro (prima di partire per l’India) sarebbe stata non solo auspicabile, ma avrebbe evitato le polemiche sulle dichiarazioni improvvide del ministro dell’Interno Piantedosi. Avrebbe mostrato una notevole sensibilità del Governo nei confronti della tragedia. In altri termini le avrebbe giovato in reputazione e si sarebbe evitata gli attacchi (strumentali, bisogna dirlo per onestà intellettuale) di una sinistra che non può vantare a suo favore una politica dell’immigrazione (negli anni in cui governava) degna di questo nome.

La convocazione del Governo a Cutro è stata una mossa tattica per recuperare terreno, «un segnale simbolico e concreto» – ha detto la Meloni – ma serve a marcare una linea politica di intransigenza che dichiara apertamente (ma con armi spuntate) una feroce lotta ai trafficanti di esseri umani del Mediterraneo. Pero, gira intorno al problema della disperazione. Forse, non sarebbe male che nei Paesi da cui partono le carrette del mare – previo accordi internazionali con gli Stati – si creassero di punti di ascolto e di contatto per venire incontro alle migliaia di disperati. Anche se in alcuni Paesi come l’Afghanistan – ha fatto presente il Presidente Occhiuto – non c’è nemmeno l’ambasciatore italiano.

Sia ben chiaro, l’Italia non è in grado di dare accoglienza a tutti, né la modifica del decreto flussi ridurrà il numero di quanti scappano pagando il doppio di un biglietto aereo di prima classe per una scommessa sulla vita. Né si può immaginare – come richiede il Governo Meloni – di selezionare solo chi ha fatto corsi di formazione per far arrivare risorse fresche in agricoltura e nell’industria: parliamo di Paesi sottosviluppati, spesso piagati da guerre, carestie, miseria: ma quale formazione professionale? Eppure, tra i migranti disperati ci sono medici, professionisti, tecnici che scappano utilizzando l’unica via possibile, quella illegale. La vera modifica del decreto flussi dovrebbe essere la possibilità di poter venire incontro – selezionando con criteri di sicurezza, ovviamente – chi scappa. Giacché la condizione di profugo è troppo genericamente affidata a una burocrazia insopportabile. Parliamo di rifugiati: tutti quelli che viaggiano per mare – tranne pochi criminali in cerca di fortuna in un Paese che applica male la legge e facilita l’impunità – sono rifugiati, non sono migranti clandestini. La loro clandestinità è una condizione necessaria per scappare, visto che per loro non ci sono visti di uscita né sufficiente spazio nei cosiddetti corridoi umanitari. E allora, il problema è duplice: salvataggio e accoglienza prima (quando necessari) e condizioni di vita dignitosa una volta arrivati sul suolo italiano. Questo non vuol dire spalancare le frontiere, ma sicuramente richiede di affrontare con occhio diverso il problema.

Le norme attuali – ancor più penalizzanti per chi ha l’onere del soccorso – sono stringenti, ma chi viene soccorso in mare e portato a terra non può essere accusato di immigrazione clandestina. Ma non può nemmeno essere “buttato” in uno dei tanti centri di accoglienza che hanno fatto la fortuna di alcuni avventurieri italiani che ne hanno preso in più occasioni la gestione. E bene ha fatto il ministro Piantedosi a sottolineare l’esigenza di poter ricorrere al commissariamento dei centri di permanenza temporanea .

La Meloni si è detta convinta che la lotta ai trafficanti sia il primo obiettivo: ribadiamo, non sono gli scafisti (che vanno comunque perseguiti e condannati pesantemente) ma occorre individuare e colpire i veri boss della migrazione clandestina. L‘intelligence serve proprio a scovare i responsabili: occorre un intervento internazionale, sotto l’egida dell’Onu, che scopra i centri veri del traffico di esseri umani. L’aumento delle pene per i trafficanti potrà intimorire appena un po’ gli scafisti (ripetiamo altri disperati, pur senza coscienza, al soldo dei veri trafficanti) ma non stronca il traffico. In buona sostanza, bisogna individuare e colpire i veri trafficanti, le menti di questo infame mercato di nuovi “schiavi”.

Il modello di inclusione Mimmo Lucano, da molti disprezzato e oltraggiato, in realtà è il percorso che si dovrebbe seguire ripopolando i borghi abbandonati, ripristinando le case diroccate, offrendo opportunità di inserimento e crescita sociale, perché la lotta – più che giusta annunciata dalla Meloni – ai mercanti di carne umana va fatta senza tregua, ma senza dimenticare l’obbligo cristiano dell’accoglienza e della fraternità verso chi fugge dalla propria terra.

Una curiosità: il Consiglio dei Ministri in Calabria non è una novità: l’aveva già convocato Giuseppe Conte, quando in pompa magna la ministra Grillo alla Prefettura di Reggio presentava, con malcelato orgoglio, sostenuta dalla truppa pentastellata calabrese, il decreto per la sanità calabrese che tanti guasti ha poi provocato. Come se già non fosse abbastanza disastrata la sanità calabrese, che il “buon” Occhiuto sta perigliosamente cercando di rimettere in sesto (e su cui si giocherà l’eventuale bis da governatore).

Ma oggi non parliamo di sanità, parliamo di umanità, che i calabresi hanno dimostrato di avere in quantità industriale e di come il Governo pensa di risolvere il problema. Il nuovo decreto immigrazione non è esaustivo e mostra diverse lacune. Il nuovo reato che va a integrare il testo unico sull’immigrazione prevede responsabilità precise a carico degli scafisti. È un deterrente, non una soluzione per interrompere i viaggi della disperazione. In attesa di una soluzione che pur appare lontana, questo provvedimento non distolga dagli obblighi di accoglienza. (s) 

Strage migranti, la Premier Meloni: «valuto prossimo Cdm a Cutro»

Ho valutato di celebrare il prossimo Cdm a Cutro sull’immigrazione». È quanto ha dichiarato il presidente del Consiglio dei ministri, Giorgia Meloni, in un punto stampa ad Abu Dhabi.

«La situazione è semplice nella sua drammaticità: non ci sono arrivate indicazioni di emergenza da Frontex», ha spiegato la premier ai microfoni, aggiungendo che «la rotta, inoltre, non è coperta dalle organizzazioni non governative e nulla dunque hanno a che fare con le politiche del governo. Nonostante noi lavoriamo per fermare i flussi illegali, abbiamo continuato a salvare tutte le persone. Questa è la storia. Io davvero non credo ci siano materie su cui esagerare così per colpire ciò che si considera un proprio avversario».

«Noi siamo molto abituati – ha detto ancora – ad accorgerci dei problemi quando c’è una tragedia ed invece c’è chi ne parla da quando è a palazzo Chigi nel disinteresse generale. Io cerco soluzioni, l’Italia non può risolvere la questione da sola, ma per evitare che altra gente muoia vanno fermate le partenze illegali. Un modo per onorare la morte di persone innocenti è cercare una soluzione».

Giorgia Meloni ha ribadito che il Governo «ha sempre fatto tutto quello che potevamo fare per salvare vite umane quando eravamo consapevoli che c’era un problema, in questo caso non siamo stati consapevoli perché non siamo stati avvertiti, voi avete tutte le evidenze a conferma di questo fatto e se qualcuno sa qualcosa di diverso è bene che ce lo dica».

«Noi, dall’inizio – ha spiegato ancora – continuiamo a fare tutto quello che possiamo per impedire che il lavoro degli scafisti continui a mettere a repentaglio le vite umane».

Il presidente Meloni, poi, ha detto di aver parlato con Bin Zayed (sovrano di Abu Dhabi ndr) di immigrazione, di come favorire flussi legali impedendo flussi illegali, di come fermare una tratta vergognosa e cinica che mette a repentaglio la vita delle persone e credo non sia passato un solo giorno senza che mi sia occupata di questa materia».

Meloni, poi, ha parlato della lettera scritta dal sindaco di Crotone, Vincenzo Voce, in cui ha scritto che se Meloni «non ha ritenuto di portare la sua vicinanza come presidente del Consiglio, venga a portarla da mamma».

«La lettera del sindaco di Crotone non l’ho letta tutta», ha spiegato Meloni, aggiungendo che «posso solo dire che io sono rimasta colpita dalle ricostruzioni di questi giorni. . Ma davvero, in coscienza, c’è qualcuno che ritiene che il governo abbia volutamente fatto morire 60 persone? Vi chiedo se qualcuno pensa che se si fosse potuto salvare 60 persone, non lo avremmo fatto. Vi prego, siamo un minimo seri». 

Il presidente della Regione, Roberto Occhiuto, ha giudicato «positivamente l’iniziativa del premier Meloni, che ha manifestato l’intenzione di celebrare il prossimo Cdm sul tema immigrazione a Cutro. Un gesto di grande attenzione per le vittime della tragedia di domenica scorsa, per la comunità cutrese, e per la Calabria intera».

«A caldo posso dire che se il governo viene qui solo per fare passerella, allora sarebbe meglio di no. Ma non credo», ha detto il sindaco di Cutro, Antonio Ceraso, all’Adnkronos.

«Io lo interpreto questo annuncio come un gesto di solidarietà a di attenzione», ha spiegato, ricordando che «è venuto nei giorni scorsi il presidente della Repubblica, vuol dire che non possiamo essere lasciati soli. Non si tratta solo dei morti, mi chiedo le mamme che hanno perso i figli o il marito, che vita faranno? Un dramma nel dramma. Lo ritengo un fatto positivo che il governo venga qui in massa, questa comunità è come se avessi perso i propri figli».

«Anche se io ritengo che non è solo un fatto di governo nazionale ma europeo…», ha detto ancora Ceraso, ribadendo che «non penso si tratti di una passerella».

«Io ho visto un Capo dello Stato molto provato e addolorato – ha concluso – credo che non la sia solita visita di rito. È la prima volta che un presidente del consiglio tiene sotto attenzione la nostra comunità, che non è solo ‘ndrangheta». (rrm)

L’OPINIONE / Gregorio Corigliano: Meloni ha vinto per abbandono di campo, e il Pd non è morto

di GREGORIO CORIGLIANOMeloni ha vinto. Ha vinto, secondo me, per abbandono di campo. Che vittoria è quella della Regionali in Lombardia e nel Lazio. Una vittoria con poche persone che hanno votato. Sempre vittoria è mi direte. Non è vero. Un conto è se avessero votato il 51 per cento degli elettori, un conto diverso è con elettori al minimo della storia. Manco negli Stati uniti, dove notoriamente, da sempre, non vota parecchia gente.

E che dire dei votanti Leghisti? Se non ci fosse stato il disegno di legge sulla c.d. devolution  o su quella che si chiama adesso autonomia differenziata, Matteo Salvini avrebbe fischiato alla luna. Non c’è ombra di dubbio. Da qui l’urgenza della Meloni e del Consiglio dei ministri di approvare il disegno di legge Calderoli. Senza questo la presidente del Consiglio avrebbe, come si dice oggi, cannibalizzato l’ex capitano. Invece si è salvato per il rotto della cuffia. Ai leghisti è bastata una promessa per votare il loro leader, che neanche Bossi, pur con la voglia di farlo, è riuscito a scavallare.

E Maroni è passato a miglior vita!  In Lombardia, a parte il candidato sbagliato del Pd, tal Majorino che sarebbe stato meglio chiamare Minorino, il PD avrebbe dovuto convergere sulla Moratti oppure non farla candidare, almeno avrebbe reso più voti. Soprattutto se il pd delle lunghe primarie, asfissianti, avesse trovato un candidato della società civile o avesse convinto il sindaco Sala. Non si può inventare un minorino e per di più all’ultimo istante, pur sapendo che Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia avrebbero sparato a cannonate.

Mentre il Pd, con un mortaretto bagnato. Nel Lazio, come si fa a correre sapendo che c’era la bravissima giornalista del mare, Donatella Bianchi, che comunque Conte, il leader di nulla, ha sbagliato a candidare. Non avrebbe dovuto. E non solo perché la scelta era stata fatta prima, ma perchè era stato scelto un candidato di esperienza politica e amministrativa riconosciuta.

Il Pd ha perso? Ha perso, è scontato. Ma ha vinto. E non perché abbia surclassato i Cinque stelle o il duo fasano Renzi-Calenda. Ha vinto proprio perché andato oltre ogni aspettativa degli stessi democratici. È al 20 per cento! Che, nelle condizioni date, è stato il miglior risultato possibile. Nonostante l’impegno di Letta a perdere. Quanti anni luce sono passati da quando si è dimesso? Ed ancora è qui, anzi e lì, pur bravissimo e di livello alto, a far danni! Come si fa a farlo ancora parlare, pur sapendo che non ha più le phisique du role? Per restare in Calabria, come si fa a dire che Oliverio, che non affascina più, non è del Pd, solo perché aveva presentato un’altra lista. La verità è che fin quando non arriva fine mese, e non avranno votato anche i non iscritti, il Pd non c’è. E pur non essendoci non è morto. Vedremo se vincerà il vecchio partito con Bonaccini, persona per bene, indiscutibilmente, ma sostenuto da tutto il vecchio armamentario oppure Elly Schlein che,pur avendo alle spalle Franceschini, che da tempo ha fatto il suo tempo, per non dire altro, raccoglie, pare i consensi di chi è fuori dalle logiche incomprensibili, oggi, del partito. La accusano di essere fluid. Ma chissenefrega. 

È ben vista, è capace, può creare un nuovo centro sinistra in grado di duellare coni fratelli d’Italia? Ed allora ben venga. Di Conte, che ancor è lì, non pensiamo il bene possibile, vive in un movimento che non si farà mai partito, perchè è bollato dalla nascita. E il duo Fasano? Non canta anzi non ha mai cantato e suonato bene: Renzi e Calenda non hanno fatto centro, anzi. Se Renzi sorride perché ha il fascino che tutti i partiti, o quasi, gli riconoscono, cosa diversa è per Calenda che si è alzato un mattino ed ha fondato un partito, con buona pace di quanti si sono arruolati, sperando di trarne vantaggio.

Solo per questo, diciamo la verità. I dirigenti fidavano sul successo di Azione, solo per conquistare un posto in Parlamento, non per fare politica. Da consiglieri regionali, che sono rimasti a destra-destra, e quanti non sono stati neanche rieletti consiglieri comunali. Non avrà futuro, detto oggi, la fusione, non per incorporazione, ma propriamente detta, tra Italia Viva ed Azione, che non agisce. E se si pensasse, tutti insieme, i tre partiti (!) della Misericordia, di farne uno come si deve?

È che ognuno, poco o niente, vuole contare da solo e non con gli altri. La fusione farebbe sparire le velleità singole – ed una finestrella al Tg1, ancora per poco- in favore di un raggruppamento nuovo in grado di fidelizzare quanti non stano con la Meloni. E non sono pochi credo. (gc)

L’OPINIONE / Massimo Mastruzzo: Il presidente Meloni vuole barattare l’autonomia con il presidenzialismo?

di MASSIMO MASTRUZZO – Giorgia Meloni nei suoi discorsi iniziali da prima ministra aveva messo in chiaro alcuni punti programmatici della sua azione di governo.

In particolare per quanto riguarda L’annosa questione meridionale, aveva sottolineato come la maggioranza volesse mettere al centro del suo operato:“Il Sud non più visto come un problema, ma come un’occasione di sviluppo per tutta la nazione”. 

A tal riguardo Meloni prometteva che lei e la sua squadra avrebbero lavoreranno sodo per colmare un divario infrastrutturale che definisce inaccettabile, eliminare le disparità, creare occupazione, garantire la sicurezza sociale e migliorare la qualità della vita. “Dobbiamo riuscire a porre fine a quella beffa per cui il Sud esporta manodopera, intelligenze e capitali, che sono invece fondamentali proprio in quelle regioni dalle quali vanno via. Non è un obiettivo facile”, ma il suo impegno su questo sarà “totale”.

Tra il dire e il fare c’è l’autonomia differenziata

La Repubblica è “una e indivisibile”, recita l’articolo 5 della Costituzione. Come sono indivisibili i diritti che spettano a tutti i cittadini a parità di condizione. L’autonomia differenziata messa in moto dal ministro Calderoli e preconfezionata dai governi precedenti, ribalta con un escamotage questi principi fondamentali della carta costituzionale disgregando di fatto i diritti dei cittadini del Sud Italia.

Difatto ci sarebbe un obbligo costituzionale di garantire in tutta Italia i Lep (Livelli Essenziali delle Prestazioni), ovvero si dovrebbero assicurare a tutti i cittadini italiani il godimento di tutti i diritti e servizi (per garantire i Lep servono naturalmente importanti investimenti soprattutto dove i servizi è i diritti sono più carenti). Ma tra le righe del provvedimento è stato inserita una parolina che aggira il preciso obbligo costituzionale: determinare.

Il modo infinito del verbo determinare inserito nella parte in cui si accenna ai Lep aggira di fatto l’obbligo costituzionale di realizzare le Prestazioni Essenziali per tutti i cittadini. Determinare le prestazioni da garantire per tutti i cittadini italiani infatti, letteralmente, non significa affatto realizzare. L’escamotage trovato da Calderoli&c., nell’indifferenza, a quanto pare, della presidente Meloni, sta proprio nella sostanziale differenza tra determinare e realizzare.

Giorgia Meloni ha barattato il Sud in cambio del presidenzialismo?

Giorgia Meloni, da capogruppo di Fdi, per correggere “il regionalismo differenziato”,  presentava, in data 15.1.2014, alla Camera dei Deputati  la proposta di Legge Costituzionale n.1953, con la quale proponeva, all’art. 2 comma 1, “L’articolo 116 della Costituzione è abrogato”,quindi l’abrogazione della famigerata Autonomia Regionale Differenziata. Cosa c’è allora dietro a questo cambio di rotta, forse la presidente del Governo Italiano vuole barattare l’Autonomia Regionale Differenziata, che penalizza una parte del territorio italiano, il Sud, con il Presidenzialismo?   (mm)

[Massimo Mastruzzo è del direttivo nazionale del Movimento Equità territoriale]

SOLE E VENTO E CON LA RIGASSIFICAZIONE
MEZZOGIORNO PIATTAFORMA ENERGETICA

di PIETRO MASSIMO BUSETTA – Una visione sistemica quella che traspare dal discorso che Giorgia Meloni ha fatto nell’ambito della XV Conferenza delle Ambasciatrici e degli Ambasciatori d’Italia nel mondo.  Che merita un apprezzamento per la visione, vista l’abitudine a sentire i nostri politici più pronti  a guardare agli interessi del back garden di ciascuno, soprattutto da quando rappresentanti di movimenti territoriali si sono impadroniti di parte del potere. 

Non deve stupire troppo questa posizione, considerato che  Giorgia Meloni prima di essere Presidente del Consiglio è leader del partito Fratelli d’Italia, che ha una vocazione unitaria e nazionalista. 

Ma va bene sentire che la vocazione del Paese è quella di essere centrale rispetto ad una visione di una Eurabia, fondamentale per gli assetti dell’Europa, considerato che l’allargamento ad Est, pur se necessario, sta provocando danni consistenti agli equilibri internazionali. 

Questa è la visione giusta, quella che vede, finalmente, la localizzazione geografica di uno stivale proteso verso il NordAfrica, quasi a toccarlo, che guarda il canale di Suez, via d’acqua fondamentale per unire l’Estremo Oriente alla Mittel Europa. 

In una visione che non sia quella estrattiva ma di collaborazione utile e opportuna, anche per evitare che la povertà di alcuni popoli porti a forme di emigrazione epocali che poi mettono in discussione gli equilibri sociali anche dei Paesi europei. 

Bene ha fatto  il Presidente del Consiglio a mettere in evidenza come l’Italia possa diventare la piattaforma energetica di tutta l’Europa, bene ha fatto a dire che un investimento in energie rinnovabili fatte nel Mezzogiorno ha un rendimento di oltre il 30% in più rispetto a quello fatto in altre parti d’Europa. 

E il Mezzogiorno è disponibile a mettere a disposizione le sue dotazioni  di sole e  di vento, nonché la sua vicinanza ai territori del Nord Africa per riuscire a contribuire allo sviluppo economico dell’Italia e dell’Europa.

Non è per una forma di egoismo però che il Mezzogiorno pretende che oltre all’osso, rappresentato dall’essere piattaforma energetica e dall’ospitare impianti di rigassificazione, solari, idraulici,  voglia anche quella carne rappresentata dalla valorizzazione della sua posizione geografica che lo vede frontaliero di Suez. 

Per questo saremo  grati alla Meloni se insieme alla  puntualizzazione della vocazione  ad essere batteria europea aggiunga anche quella di essere il punto di arrivo di una parte delle merci, che oggi, inopinatamente, attraversano tutto il Mediterraneo e parte dell’Atlantico,  per arrivare nei porti di Rotterdam, Aversa, Amburgo, lasciando in essi l’attività manifatturiera che serve per trasformare i semilavorati che arrivano dall’Estremo Oriente.

Augusta, Catania, Gela, Licata, Palermo, Trapani, Gioia Tauro, Napoli, Bari, Taranto, Brindisi, Reggio Calabria, Messina, devono diventare punti di arrivo delle merci provenienti da tutta l’area del Medioriente,  piuttosto che da quella cinese e indiana.

Questi territori sono vocati a ricevere le merci molto più di quanto non lo siano Genova e Trieste,  oltre che ovviamente Rotterdam, perché oggi è impensabile che grandi navi max porta container continuino a girare, inquinando con le emissioni di CO2 l’atmosfera, quando potrebbe la merce viaggiare  su treni veloci di alta capacità ferroviaria se solo il nostro Paese avesse la determinazione e il  coraggio, oltreché una visione sistemica, per collegare Augusta con il ponte sullo stretto costruito e l’alta velocità capacità ferroviaria alla rete nazionale esistente, per poter fare arrivare in tempi brevi e senza inquinamento le merci a Berlino o invece  a Colonia piuttosto che a Parigi. 

Ma non solo il Paese deve capire finalmente che, essendo frontalieri di un’Africa che vediamo ad occhio nudo, possiamo anche essere punto di riferimento per una sanità di eccellenza per la loro classe media, piuttosto che per la formazione dei loro quadri direttivi, che non devono per forza arrivare alla London School of Economics o alla meno prestigiosa Bocconi di Milano, ma che possono tranquillamente studiare, favoriti da un clima molto simile al loro, presso Atenei prestigiosi meridionali. 

Roma è stata centrale nelle dinamiche di potere solo quando si estendeva verso il Nord Africa, ma diventa periferica e  marginale se la proiezione è verso il Nord/Est  europeo. Ciò è avvenuto  grazie all’atteggiamento colposo anche di Romano Prodi, sotto la cui Presidenza della Commissione si attuò quell’allargamento ad Est, tanto desiderato dai cugini tedeschi per motivi molto comprensibili, ma senza un adeguato potenziamento delle risorse dedicate al Nord Africa per consentire la pacificazione e la crescita di quei territori. 

Mentre il nostro Paese dovrà smetterla di concentrare tutti gli organismi internazionali, come ha fatto anche con la richiesta fallita di Ema, l’agenzia del farmaco,  nella parte nord del Paese, nella quale peraltro vi è una carenza di risorse umane perché  si va verso il pieno impiego, con una  disoccupazione frizionale assolutamente non più diminuibile. 

La visione di Giorgia Meloni, che guarda il Paese nella sua interezza, è quella che serve e certo non può essere portata avanti se si continua  a giocare con i desideri repressi  di Calderoli, Zaia e Fontana o di Bonaccini.    

È necessario che prevalga finalmente una visione sistemica che guardi al futuro del nostro Paese, che non può certamente prevedere che il 33% del degli italiani e il 40% del territorio rimangano a fare da colonia rispetto a tutta l’altra parte.

Che abbiano come progetto di futuro quello dell’emigrazione di massa, come alcuni vorrebbero o quello dell’assistenzialismo diffuso come altri accarezzano. 

Questo Paese ha bisogno di più capitali. Non ne può avere una sola che si chiama Milano, perché, oltre a quella naturale che tutti ci rappresenta, ce n’è un’altra che si chiama Napoli certamente,  ed è un Paese di tanti campanili,  nel quale Bologna, Firenze, Palermo,  Bari, Catania, Torino sono altrettanti centri culturali e di attrazione che devono essere valorizzati. 

Per fare questo abbiamo bisogno di statisti non certo di giocatori che contemporaneamente vogliono fare gli arbitri, in una visione che non sia ferma e permeata da vecchi pregiudizi di appartenenze politiche, che hanno dimostrato nella loro azione tutta la loro inconsistenza. (pmb)

(courtesy Il Quotidiano del Sud – L’Altravoce dell’Italia)

L’OPINIONE / Pietro Massimo Busetta: Il discorso pieno di buone intenzioni e di dubbi della presidente Meloni

di PIETRO MASSIMO BUSETTAUnderdog: una perdente poteva essere la nostra Presidente del Consiglio, ma é riuscita a cambiare il suo destino. Possiamo dire che anche il Mezzogiorno è un underdog, per definizione, ma come il Presidente ha la voglia e l’orgoglio di essere  vincente, non solo per se stesso ma per tutto il Paese. 

Settanta minuti di intervento alla Camera per un progetto di Paese, quello di Giorgia Meloni, che guarda alle nuove generazioni, in un riequilibrio tra giovani  ed adulti. Il pensiero dominante, come afferma durante il suo intervento, è quello di stravolgere i pronostici ed in questo la Presidente é accomunata al destino che sembra avere questo Sud, in genere trascurato. 

Certo il limite che ogni Presidente del Consiglio ha sempre avuto rimane. Cioè quello di considerare il Paese come fosse uno. In realtà i Paesi sono due ed una ricetta unica per entrambi non funziona. Come sempre é stato, se guardiamo alla locomotiva 1 trascureremo quella che dovrebbe essere la locomotiva 2, che per partire ha bisogno di cose diverse rispetto alla prima. 

Ritorna il leitmotiv del Mezzogiorno batteria del Paese, “paradiso delle rinnovabili”  lo ha definito, sottovalutando il fatto che il servizio che la realtà meridionale dovrebbe rendere  sarebbe opportuno avesse un contraltare in investimenti produttivi, ad alta intensità di manodopera nel manifatturiero. In realtà, in linea con quello che è accaduto spesso nelle dichiarazioni dei Governi precedenti, in questo discorso iniziale di Meloni per la fiducia alla Camera, il Mezzogiorno è molto presente:

«Sono convinta che questa svolta sia anche l’occasione migliore per tornare a porre al centro dell’agenda Italia la questione meridionale. Il Sud non più visto come un problema ma come un’occasione di sviluppo per tutta la Nazione. Lavoreremo sodo per colmare un divario infrastrutturale inaccettabile, eliminare le disparità, creare occupazione, garantire la sicurezza sociale e migliorare la qualità della vita. Dobbiamo riuscire a porre fine a quella beffa per cui il Sud esporta manodopera, intelligenze e capitali». 

Cosa si poteva chiedere di più? Con la valorizzazione della sua posizione geografica, come piattaforma logistica per attrarre merci dai traffici internazionali che passano da Suez, e con l’esigenza  simmetrica di essere adeguatamente infrastrutturato per consentire che Augusta, Gioia Tauro e tutti i porti del Sud abbiano e completino la loro vocazione commerciale. Non cita il ponte sullo stretto di Messina. Evidentemente permangono ancora alcune timidezze malgrado il ponte é all’interno del programma di Governo 

 Timidezza che invece non ha avuto quando ha  parlato  delle autonomie differenziate, per le quali c’è stato un impegno a portarle avanti, non avendo forse completamente chiaro che tale attuazione non può che portare alla spaccatura del Paese, anche se parlando“ di un processo virtuoso in un quadro di coesione nazionale“, si trova in una contraddizione in termini. 

Come i due concetti di autonomia, quello di Meloni e di Zaia, possano essere compatibili è un mistero che presto saremo in condizioni di svelare, considerato che la Lega preme sull’acceleratore,  senza alcun possibilità di frenata e certamente non pensa ad un quadro di coesione nazionale. Anzi l’obiettivo è proprio quello di passare da i diritti individuali uguali per tutti a territori che trattengano la maggior parte delle risorse che producono.

Il riferimento poi  a “Sua Santità Papa Francesco“, che sostiene che la vera dignità si acquisisce non essendo assistiti dallo Stato ma con un lavoro, necessità di una chiosa sul fatto che  queste possibilità nel nostro Sud non esistono, e che il problema non è l’incontro tra domanda e offerta di lavoro, considerato che non esiste offerta mentre la domanda riguarda circa 3 milioni di cittadini, che dovrebbero avere un’occupazione per raggiungere quel rapporto esistente nelle realtà a sviluppo compiuto di uno a due, tra occupati e popolazione.

Se poi avere un lavoro significa obbligare la gente a spostarsi verso le realtà dove ancora vi è un’offerta consistente e allora non si capisce come tutto è compatibile con le affermazioni circa l’esigenza che i cervelli e le professionalità rimangano nelle realtà meridionali. 

Purtroppo la sensazione netta è che questa insistenza di quasi tutte le forze politiche sull’esigenza dell’abolizione del reddito di cittadinanza  sia in realtà una pressione per far si che riprenda in modo consistente il flusso migratorio verso Nord. Infatti recentemente si è interrotto perché evidentemente, per salari ridotti  e periodi contenuti,  come quelli estivi, molti lavoratori avendo la possibilità  di un reddito di sopravvivenza non accettano di essere sradicati e di tagliare i legami familiari.

Ma se si parla di “scommettere sull’Italia perché sia occasione di investimento ma anche di buoni affari”  bisogna considerare che le politiche devono essere differenziate per le due parti. E che se il cuneo fiscale deve essere diminuito in tutto il Paese, come è giusto, deve rimanere una differenza rispetto al cuneo fiscale esistente nelle zone economiche speciali, altrimenti la localizzazione di imprese avverrà sempre nell’area settentrionale, come recentemente è  avvenuto con la Intel. Insomma un discorso con tante buone intenzioni ma anche tanti dubbi. Ma non é poco.