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Mons. Vincenzo Bertolone

Memoria autentica: la riflessione domenicale dell’arcivescovo Vincenzo Bertolone

«Non si vuole essere padroni dell’avvenire che per cambiare il passato».
La settimana che si chiude si porta via le celebrazioni del “Giorno della Memoria”, col doveroso ricordo delle persone trucidate a milioni dai nazisti nei campi di sterminio. Una ferita ancora aperta e sanguinante, che l’urticante cinismo delle parole –qui citate- di Milan Kundera induce a considerare anche sotto una prospettiva diversa da quella consueta. Di norma, infatti, in maniera sempre più meccanica e per niente genuina, si tende ad esprimere impegno per evitare che il passato si ripeta, ritenendo che il sapere basti, di per sé, dopo averne definito comportamenti umani, a collocarsi dalla parte del bene, avendo acquisito i confini del male. Restano, però, quasi sempre sullo sfondo, perché mai esaurientemente affrontate, due questioni basilari:  comprensione del perché della demonizzazione dei gruppi finiti nel mirino e la conoscenza delle motivazioni dei carnefici.
Ne siamo testimoni in questo tempo e in questa società che hanno reciso le loro radici spirituali e culturali, facendo avvizzire menti e coscienze, tenute in vita artificiosamente con terapie basate su  banalità televisive, di vacuità, di chiacchiere: il ciclico riaffiorare del razzismo, il sopravvivere delle discriminazioni razziali e sociali, la trasformazione in strumento di lotta anche politico della demonizzazione, dimostrano che la lezione del passato non sono state trasformate in insegnamenti per il futuro e che, al contrario, l’unica battaglia eternamente in corso, per dirla ancora con la schiettezza di Kundera, è quella «per avere accesso ai laboratori dove si possono ritoccare le fotografie e riscrivere le biografie e la Storia». Così, spesso e volentieri, quella che vorrebbe essere la denuncia di derive temute perché indicate come capaci di portare alla ripetizione di crimini già perpetrati spiana piuttosto la strada all’egemonia della logica del nemico assoluto, che paradossalmente diviene poi il brodo di coltura dei genocidi, per come è stato proprio la Shoah, in cui invidia, avidità e complessi di inferiorità sono stati travestiti da rivendicazioni politiche e sociali, che sommate a presunte ingiustizie patite, hanno dapprima spalancato le porte al totalitarismo ed inaugurato poi la caccia mortale al nemico, ebrei su tutti, ritenuto responsabile dei presunti torti patiti.
Primo Levi ammoniva a diffidare della memoria «meravigliosa, ma fallace», angolo visuale ed emotivo personale, perciò soggetta a fenomeni di logoramento, rimozione, riscrittura. Non a caso, nell’appello lanciato in occasione del “Giorno” appena trascorso, papa Francesco ha invitato sì a ricordare, ma in una cornice di grande attenzione sulle cause e dell’inizio «di una strada di morte, di sterminio, di brutalità». Proprio per questo è necessario combattere la memoria artefatta che sempre in più campi s’impone, disseccando lo spirito e riducendo uomini e donne a scorze vuote, colme solo di prodotti commerciali e reality show: la sola cosa davvero importante, come scriveva Emile Cioran, «è l’amore. E se molti hanno finito per trasformare in banalità questa asserzione, è perché non hanno mai amato veramente».