In scena questa sera, a Villa San Giovanni, alle 18.15 e alle 21.00, al Teatro Primo, lo spettacolo ‘N Cielo e ‘N Terra di e con Carlo Gallo.
Lo spettacolo, una produzione del Teatro della Maruca, è arricchito dalle incursioni sonore di Emmanuele Sestito.
Sinossi
Un piede in cielo e l’altro in terra, uno nel mito e l’altro nella fiaba. Il sole sorge e inizia il racconto: personaggi biblici, strane creature della costa dei Dioscuri, esseri umani e animali si incontrano talvolta in un castello, nel regno dei cieli, nel ricordo e in luoghi indefiniti come in un sogno. Al centro della scena due storie rielaborate sulla base di memorie orali, riti, profezie, visioni e aneddoti nel movimento continuo fra tradizione e innovazione. Il cunto si apre con una storia di terra: “U Pruppu du re”. Una fiaba ricostruita sulla base di una filastrocca, uno stornello ipnotico quasi incomprensibile, che il protagonista ripete trepidante mentre attende l’esito del suo destino: o morte o re.
Intanto dal fondo di una riva lunghissima, nel riflesso accecante del sole, si compone l’immagine di un vecchio stregone di mare che avanza portando con sé un mostro con tre cuori. I personaggi si muovono su un regno diviso in due: è cielo dove sta il castello arroccato in alto con la principessa e i signori ricchi e benestanti del palazzo ed è terra, giù in basso, alla marina, dove gli uomini vivono in una favela tra baracche e case bombardate. Poi una storia di cielo: “U Patre Rannu”. Il grande Padre, che al cospetto di Gesù e la Madonna sceglie un pezzo di creta e crea l’uomo e la Calabria. Tutto sembra perfetto, ma il Diavolo ruba ai calabresi il “SI”, una delle sette note che “u Patre Rannu” gli aveva donato per cantare sui monti. Sulla terra è il caos totale, gli uomini non riescono più a intonare il canto, se la prendono gli uni con gli altri e scoppia la guerra. Incursioni sonore, battiti, gocce e canti ci giungono dalla notte dei tempi per annunciarci l’apocalisse del domani e il miracolo del presente su un mondo bagnato dallo Jonio e dal Tirreno.
Così in un cunto il povero di terra vuole salire in cielo e aspira a diventare re, varcando i confini dei ricchi e rendendo libero dal ricatto il popolo, nell’altro, l’uomo in terra è accecato dal potere, non ha bisogno del suo Dio, anzi si sente egli stesso un Patre Rannu e quest’ultimo in cielo osserva immobile, quasi come un comune mortale, incapace di agire dinanzi a tanta malvagità. La lingua è un impasto, un suono, un tumulto, restituisce testimonianza di un mondo, che è “centro a sé stesso”, universale e specifico, fonde immagini reali a quelle ermetiche e simboliche, scorre sotto i piedi da millenni, è lava che esplode nel presente, è incantesimo che trasforma la parola nella “roccia d’aria” del gesto, leggero e fresco come le nubi fumose sui monti della Calabria. (rrc)