8 settembre – Ci ha lasciati la “baronessa coraggio” (come l’aveva definita il quotidiano francese Le Figaro): Teresa Cordopatri di Malece, nobildonna di Oppido-Castellace, ha speso la sua vita contro la mafia e la mala-giustizia. Era il simbolo della lotta per la libertà dallo strapotere mafioso, da quel maledetto 10 luglio 1991 quando scampò ai sicari di suo fratello, il barone Carlo Antonio, che aveva avuto l’ardire di dire no ai signori della ‘ndrangheta che volevano le sue terre. L’arma che uccise il barone si era inceppata e la “sopravvissuta” baronesse avrebbe consumato fino all’ultimo respiro ogni attimo di vita per contrastare la sopraffazione e l’omertà. Ce l’aveva la baronessa Teresa con lo Stato che aveva lasciato inascoltate le tante denunce del padre Domenico e del fratello e ce l’aveva con la Giustizia che non seguiva il giusto corso per rintracciare e punire gli assassini di suo fratello. Sono epiche le sue giornate accampata davanti al Tribunale (venti giorni e venti notti) per chiedere giustizia. Sotto scorta, è stata comunque lasciata sola a testimoniare che contro la mafia ci si può ribellare, anche a costo della vita. Non per difendere un uliveto ma il principio di legalità, col desiderio di riscatto e il rifiuto di ogni intimidazione, ma soprattutto per combattere l’indifferenza.
La giornalista Angela Corica sul Fatto Quotidiano on line ne ha tracciato un vivido ricordo, ricordando le sue parole: «Il cammino della giustizia è faticoso: a volte offende ulteriormente che è già stato offeso per tanto tempo dalla violenza e dai soprusi della mafia. Sono una donna sola, impoverita dalla mafia, privata violentemente dell’unico affetto che sarebbe stato di conforto alla mia vecchiaia. Oggi sono una donna che ha dovuto privarsi degli oggetti personali più cari per sostenere il costo della giustizia».
Sulla sua vicenda lo scrittore Antonio Roselli su Facebook ha postato questa riflessione: «Teresa Cordopatri ha sovvertito i cliché della ‘nobildonna’ perfetta: ha impugnato gli arnesi agricoli quando la ‘ndrangheta imbracciava i fucili contro la sua famiglia, contro la sua terra e contro la sua stessa vita. Ha capovolto il senso di una cultura novecentesca, letteraria e non, che ha sempre esaltato quella denuncia etico-sociale che scaturiva dalle rivolte dei contadini dalle logiche padronali. Lei era la padrona e poi la contadina del suo “feudo”: la sua resistenza alla ‘ndrangheta è stata tutta intrisa dell’archetipo dell’eroina epica. È stata Bradamante, Marfisa, Clorinda… ha combattuto una lotta pacifica, veramente sofferta, contro l’onnivora avidità della delinquenza».
La morte si è portata via una donna sola, ma la baronessa Teresa lascia il testimone di quella Calabria che si ribella e cerca giustizia. I calabresi dovranno ricordarsene. (rrm)