di MARIACHIARA MONACO – L’altra parte di me, questo è il titolo del libro scritto da Maria Lato Faraca, presentato al Museo del Presente di Rende.
Un volume che racconta le tre vite di uno dei ciclisti più amati e conosciuti nell’intero panorama nazionale, Giuseppe Faraca, per tutti Pino, che con le sue pedalate, ha portato in alto un’intera regione, e ha fatto sognare la sua città, Cosenza.
Egli vinse il Giro della Campania del 1980, e stabilì il record nella scalata della Bologna-Raticosa che resistette fino al 2001. Poi partecipò a diverse corse rosa e, nel 1981 (anno del suo debutto al Giro d’Italia), gli venne assegnata la maglia bianca quale miglior giovane esordiente.
Le due ruote per il giovane rappresentavano una vera e propria passione, che pedalata dopo pedalata, lo portarono a raggiungere risultati molto importanti nella sua carriera.
Ma sotto la maglia del ciclista, c’erano anche i pennelli del pittore, due dimensioni che hanno sempre convissuto, come due cuori nello stesso petto che hanno continuato a pulsare, e che continuano a tenerlo vivo, nella memoria di ognuno di noi.
Quando si ritirò dalle corse a causa di un brutto incidente, continuò a dipingere le due ruote, nel suo studio – galleria d’arte, nel centro storico della città, con la stessa pazienza e passione di sempre, qualità indissolubili che gli hanno permesso di scalare montagne, e di rituffarsi a perdifiato per ripide discese dei percorsi ciclistici di quel Giro d’Italia di cui sarebbe potuto essere protagonista, per tanto tempo ancora.
Quello di Pino Faraca è un mondo nuovo, tutto da scoprire, composto da colori solari, caldi, mediterranei, pronti a dar vita alle forme più disparate e uniche tratteggiate delicatamente su tela.
Venne folgorato dai colori all’età di dodici anni, da lì iniziò a ritrarre volti, facendo posare anche i familiari che rimanevano immobili per ore. Un destino che ha dipinto, visto che il primo ritratto su tela ritraeva proprio il suo idolo di sempre, Gimondi, con la maglia arcobaleno.
Innamorato del cubismo di Picasso, e affascinato da Klimt, a soli sedici anni, dipinse alcune scene del tragico terremoto in Friuli, tele che proprio nel 1981, vennero premiate sul palco del Giro d’Italia.
Ma nella sfera più privata, chi era il ciclista pittore?
La moglie, Maria Lato Faraca, lo racconta, attraverso degli aneddoti e delle storie, che lasciano trapelare la genuinità dell’uomo, e dei tanti cuori che possedeva.
«Pur essendo simili, in realtà eravamo molto diversi. Lui era paziente, calmo, concentrato, io sono l’opposto, non riesco a stare per un attimo ferma – confessa – tutto era un’eterna sorpresa, un gioco continuo. Quando andavamo in bicicletta insieme, ogni volta era una sfida».
Un amore il loro, nutrito da piccole attenzioni, e tanto affetto. Simbolo cardine, erano i biglietti che Pino scriveva alla moglie, una tradizione, che continuò fino agli ultimi giorni della sua vita, con queste parole, che Maria Lato ha dato il privilegio di scoprire: «Buongiorno vita, anche oggi mi sveglio con la felicità nel cuore e nei pensieri, sono vivo e spero di restarlo in eterno. Lascerò le mie tele a parlare di me e la luna ad illuminare la tua strada buia. Fa che ogni giorno della tua vita non sia un giorno inutile».
Parole che lasciano trasparire desiderio di un tempo futuro, da vivere insieme.
I suoi tre cuori, come le sue tre vite (familiare, artistica e sportiva), s’intrecciano, come radici di un albero, che cresce e dà vita, regalando ossigeno a chi lo circonda.
«Un giorno siamo andati a Napoli, lui adorava Klimt e voleva assolutamente vedere le sue opere esposte. C’era molta fila, e per non farmi pesare l’attesa, mi fece ridere molto. Fu un pomeriggio piacevole, che ancora ricordo bene».
Quello di Maria e Pino, era un amore terreno, che ha avuto il potere di scavare un solco profondo, fatto di parole, scherzi, complicità, e momenti difficili.
Amore, speranza e fede, come tre tappe da percorrere: la prima rappresenta “l’altra parte”, quella mancante, spazzata via da una morte crudele, e che allo stesso tempo, rimane dentro di noi anche se non la vediamo. La seconda è la speranza, ingrediente fondamentale per affrontare la malattia, e per dare forza a sé stessi e agli altri. La terza tappa è della fede, l’unico modo per affrontare il dolore, che proprio come l’amore, toglie fame e sete.
Pino Faraca era tutto questo, un uomo, un campione, un marito, un padre, che anteponeva il bene degli altri al suo, senza chiedere nulla in cambio. (mm)