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AUTONOMIA, ATTENTI AL REBUS QUORUM
SE LA CONSULTA DIRÀ SÌ AL REFERENDUM

La COnsulta deciderà se il referendum si può fare

di PIETRO MASSIMO BUSETTA – Il primo passaggio per l’ammissibilità del referendum abrogativo della autonomia differenziata  si è consumato.

È stata infatti giudicata legittima la richiesta di abrogare l’Autonomia differenziata, anche se prima di indire il referendum sarà necessario un altro passaggio davanti ai giudici della Consulta.

Lo hanno stabilito i giudici dell’ufficio centrale del referendum che hanno in parte ribaltato quanto stabilito dalla Corte Costituzionale.

Con il suo solito stile  sprezzante il Doge di Venezia, Luca Zaia, dichiara: «C’è il referendum? Bene l’opposizione dovrà trovare i voti. Oggi abbiamo una novità, pare che ci sarà un referendum. Ora però avete un problema, cioè quello di trovare i voti». Così, rivolgendosi alle opposizioni di centrosinistra nell’aula del Consiglio regionale, ha commentato la decisione della Cassazione sul referendum abrogativo della legge Calderoli.

E poi ha aggiunto e non poteva smentirsi: «sull’Autonomia differenziata, noi andiamo avanti. Siamo capofila assieme alla Regione Lombardia, la Regione Liguria, la Regione Piemonte anche su questo fronte». Manifestando un rispetto per le decisioni della Consulta e della Corte a dir poco discutibile.

Ma anche se le dichiarazioni del Doge Veneto sono nella forma assolutamente sgradevoli, nella sostanza Egli ha ragione. Vi sono infatti due temi fondamentali perché il ricorso al referendum abbia successo: il primo riguarda il grande tema di portare a votare il 51% degli aventi diritto al voto. Si tratta di un numero enorme che in genere si mobilita per problematiche riguardanti i diritti civili come è stato per il divorzio e per l’aborto, ma che difficilmente va a votare per problematiche diverse.

In particolar modo quando si tratta di un argomento complesso e che semplificando viene ritenuto da molti settentrionali come un passaggio necessario per costringere un Sud che non vuole lavorare ad impegnarsi in maniera più decisa. Vi è in tale pensiero, in realtà, una forma di “invidia”, perché si ritiene che alla fine la qualità della vita che hanno i meridionali sia migliore di quella dei settentrionali e che se la possono permettere perché vi è qualcuno che si impegna e lavora e che alla fine contribuisce con i propri soldi a mantenerli.

Il pensiero che ognuno contribuisce in base alla quantità del proprio reddito, in maniera proporzionale e progressiva ai fabbisogni dello Stato nazionale non li sfiora nemmeno, dopo anni di propaganda leghista che lì ha indottrinati su un modello che li vede vittima di una sottrazione illegittima di risorse. E, quindi, che molti non si coinvolgano e che possano non andare a votare è un fatto assolutamente atteso.

Ma anche i meridionali sappiamo che non sono caratterizzati da una partecipazione attiva alla cosa pubblica tale da ritenere che possano in massa recarsi alle urne.  Anche se il numero di adesioni per indire il referendum ha superato abbondantemente il quorum richiesto di 1.500.000 firme, se non vi sarà un’opera di sensibilizzazione molto intensa e continua il rischio che il referendum diventi un flop annunciato è grande.

Ma, al di là del risultato certamente difficile da conseguire, se la Consulta seguirà la Corte di  Cassazione nella approvazione della possibilità di indire il referendum, si potrà verificare un momento di presa di coscienza importante e di consapevolezza da parte di un Sud, che finora ha sempre pensato che le problematiche che lo riguardano siano dovute ad una propria incapacità di autogestirsi, di utilizzare in modo appropriato le risorse che erano disponibili, conseguenti agli sprechi conseguenti alla presenza di criminalità organizzata, per cui il passaggio successivo era una autoflagellazione, e un’auto commiserazione, accettando un destino che vedeva lombrosianamente una incapacità dovute a mancanze genetiche.

Dimenticando che l’alta velocità ferroviaria come l’autostrada del sole si sono fermate a Napoli per una decisione del Governo Centrale, che la responsabilità di una dispersione scolastica che in alcune realtà meridionali arriva fino al 30% era di chi gestiva il Ministero della Pubblica Istruzione e il Ministero degli Interni, che la sostituzione della spesa ordinaria con i fondi strutturali rendeva questi inefficaci rispetto al cambiamento, che continuare con la spesa storica portava ad una spesa pro capite differente tra le varie parti del Paese, che sottraeva ogni anno 60 miliardi ai fondi destinati al Mezzogiorno.

Riuscire a far passare il messaggio che è necessario mobilitarsi per battere un nemico esterno che considera questa parte del Paese come colonia interna dalla quale estrarre giovani formati, energia, malati da curare per avere quel numero sufficiente per impinguare il conto economico o studenti da attrarre nelle proprie università non è facile.

Convincere a  consumare prodotti locali per supportare la propria industria alimentare è un messaggio complicato oltre che anti storico, soprattutto quando la maggior parte dell’informazione è monopolio dell’altra parte del Paese.

Per questo è necessaria che continui la mobilitazione di intellettuali e media meridionali che diffondano la consapevolezza di una condizione e facciano capire che un modello che preveda di spostare la gente dove c’è il lavoro prevede lo spopolamento e la desertificazione di alcune parti del Paese, così come la perdita di una cultura, di un’identità che potrebbe rappresentare un ulteriore forza per la crescita e la competitività di tutto il sistema Italia.

Vuol dire che il vero lavoro comincia adesso e che non siamo per nulla alla conclusione di un impegno, ma solo all’inizio di esso. Che quella che viene vista come la seconda locomotiva di strada da fare per recuperare il terreno perso ne ha tanta.

E che è ancora troppo presto per magnificare i risultati ottenuti che, pur se rappresentano un inizio di percorso, devono essere seguiti da un’attenzione sempre maggiore a che le risorse destinate dall’Europa col Pnrr non vengano sottratte, come peraltro sta avvenendo, per esempio con le risorse del Fondo Sviluppo e Coesione, destinate per un importo rilevante a finanziare un’opera importantissima per il Paese, come il ponte sullo stretto di Messina, ma che non deve pesare sulle risorse aggiuntive destinate alle regioni del Mezzogiorno. Insomma, il motto “nessun dorma” è sempre più attuale. (pmb)

[Courtesy Il Quotidiano del Sud – L’Altravoce dell’Italia]

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