TUTELA DI MINORI E SUPPORTO A FAMIGLIE
A RC: NON VOLTARSI MA «FARE QUADRATO»

di ANTONIETTA MARIA STRATI – A Reggio i minori e le loro famiglie invocano aiuto, Save the Children, il Tribunale per i Minorenni e il Centro Comunitario Agape rispondono. E lo fanno rinnovando un accordo che attiva ulteriori azioni concrete a tutela dei diritti dei minori e delle famiglie in difficoltà.

Un impegno, quello del Centro Comunitario Agape reggino – guidato da Mario Nasone  – e del Tribunale per i Minorenni – guidato da Marcello D’Amico – continuo. A giugno, infatti, parlavano di «adolescenza e infanzia ferita» e chiedevano delle strategie d’intervento coinvolgendo  le diverse istituzioni ed agenzie che si occupano dei minori per una riflessione a più voci.

Lo stesso Garante regionale per l’Infanzia e l’Adolescenza, Antonio Marziale, aveva ribadito la necessità di «fare «quadrato attorno ai bambini», e, oggi, lo si fa assieme a Save the Children, dove si chiede una maggiore assunzione di responsabilità da parte delle Istituzioni e delle Associazioni.

E, con questo spirito, il Presidente del Tribunale per i minorenni, Marcello D’Amico, ha accolto la disponibilità di Save The Children e del Centro Comunitario Agape, di rinnovare un accordo di collaborazione che ha dato importanti risultati negli anni scorsi e che si ora si prefigge di attivare ulteriori azioni concrete a tutela dei diritti dei minori e delle famiglie in difficoltà. Save the Children, l’Organizzazione che da oltre 100 anni lotta per salvare i minori a rischio e garantire loro un futuro, e Agape, con consolidata esperienza nell’ambito minorile, vogliono essere una risorsa per il Tribunale per i minorenni che continua ad essere un presidio fondamentale per la tutela degli interessi dei minori. 

A raccontare l’importante lavoro che svolte il Tribunale, è stata Tiziana Catalano, psicologa e giudice onorario al Tribunale per i minorenni di Reggio Calabria: «diversi ruoli entrano in gioco perché si entra nella vita di persone, e sappiamo già che abbiamo bisogno di diverse competenze».

«Dobbiamo anche qui però – ha proseguito – dirci la verità: L’intervento dentro le mura di casa è il più doloroso, e sapete che accade? Che la società fa muro.Ci stiamo dimenticando del bambino che soffre,  La società all’intervento come risponde? Ah ma lo stato è duro, è violento… ma com’è possibile sostenere questo? Quando la società dice così, dimentica il bambino. È proprio nel momento dell’intervento che la società deve insistere, non dimenticare. Al Tribunale quindi, si lavora in punta di piedi. Lo stato allora deve entrare, ma il villaggio deve essere solidale, non battersi il petto poi quando accade il fatto increscioso».

Il nuovo protocollo, curato dal giudice onorario Giuseppe Marino e alla cui ratifica erano presenti il magistrato minorile Paolo Ramondino, la rappresentante regionale dei programmi di Save the Children, Carla Sorgiovanni e  la volontaria avvocata Elisabetta Martelli di Agape, che curerà con il Giudice onorario Marino il servizio di ascolto e coordinamento dell’intesa e che sarà operativo da settembre, prevede collaborazioni diverse.

Ad esempio la realizzazione, a cura di Save the Children e dei propri partner, nei territori di San luca e Locri, del progetto Buon Inizio, crescere in una comunità educante che si prende cura, già finanziato dall’impresa sociale Con I Bambini e rivolto alle famiglie, con la partecipazione a livello consultivo del Tribunale per i Minorenni, la realizzazione di momenti formativi e/o di approfondimento sulla protezione e ascolto dei Minori Stranieri Non Accompagnati (Msna rivolti al personale del Tm  e a tutti gli attori – istituzionali e non – che a vario titolo si occupano della protezione dei minori migranti e operano nel territorio di competenza del Tribunale. 

Inoltre, l’accordo include la realizzazione di momenti formativi e/o di approfondimento sulla legislazione in materia di responsabilità genitoriale e sulla valutazione della capacità genitoriale rivolti agli operatori dei progetti socio-educativi che Save the Children ed Agape promuovono sul territorio ed ai rappresentanti dei servizi  sanitari servizi sanitari, sociali ed scolastici.                         

Il Centro Comunitario Agape garantirà, avvalendosi di volontari qualificati, l’apertura di un punto di ascolto c/o il Tribunale per i Minorenni per la consulenza alle persone in difficoltà ed ai cittadini che hanno esigenza di rivolgersi al Tribunale per i Minorenni, lo stesso servizio sarà svolto presso la sede del Centro Comunitario Agape e sarà, inoltre, istituito un servizio telefonico attraverso il quale potranno essere raccolte le richieste di assistenza e di aiuto  per le famiglie, gli insegnanti, le associazioni impegnate nella tutela dei minori.Verranno garantiti, su richiesta delle scuole interessate, incontri formativi e di consulenza con gli insegnanti e le famiglie c/o i presidi scolastici,  e si collaborerà all’esecuzione dei provvedimenti adottati dal Tribunale per i Minorenni a sostegno dei minori appartenenti a nuclei familiari in difficoltà.

Tra questi anche il consultorio per adolescenti Spazio Zeta, promosso all’interno del progetto Orientamento al futuro, lo Spazio genitori ed un servizio di orientamento legale a cura degli avvocati volontari della Marianella Garcia

Secondo le prescrizioni dell’autorità giudiziaria minorile in sinergia con i giudici togati, onorari e con i curatori, il Centro Comunitario Agape collaborerà con proprio personale qualificato al monitoraggio dei minori del distretto allontanati dalla propria famiglia d’origine mettendo a disposizione risorse e servizi, curerà infine  uno sportello informativo sull’affido etero familiare e iniziative di sensibilizzazione e formazione delle famiglie interessate d’intesa con il Tribunale.

 Tutte azioni, queste, volte esclusivamente alla tutela dei minori e delle loro famiglie. Sicuramente il recente Piano di sostegno alle fragilità approvato dalla Giunta regionale – e plaudito dal Coordinamento regionale Affido e Adozione – è un primo passo per la vera tutela dei più piccoli, che «che necessitano di azioni di sostegno e di accompagnamento».

Ma non solo: è fondamentale, anche, «promuovere un ambiente educativo sicuro, rispettoso e inclusivo», come avevano ribadito i ragazzi e le ragazze del progetto Altavoce promosso da Save the Children e realizzato a Reggio dal Centro Comunitario Agape. Un intervento, il loro, a seguito dell’aggressione che ha coinvolto due studenti del Liceo Scientifico “Leonardo da Vinci”, in cui hanno ribadito la necessità di «creare un ambiente scolastico e comunitario in cui ogni ragazzo possa sentirsi al sicuro, rispettato e sostenuto. La prepotenza e la violenza non hanno spazio nella nostra società, e dobbiamo lavorare insieme per prevenirli e affrontarli con determinazione e coraggio».

Ma non è solo la comunità a doversi impegnare. Ai primi di luglio, Lucia Lipari, del Centro Comunitario Agape e Claudio Venditti, del Forum Famiglia, si sono rivolti ai parlamentari affinché seguissero, con forte impegno, l’iter della riforma sui tribunali per i minorenni, «rappresentando a livello di Governo e del parlamento la situazione degli uffici giudiziari della regione coinvolti».

L’attenzione, in particolare, era da rivolgere al Tribunale per i Minorenni di Reggio e di Catanzaro, che operano  in contesti dove la criminalità organizzata, le sacche di povertà e la debolezza del sistema del Welfare producono fenomeni gravi e diffusi di disagio sociale e di devianza, veri e propri avamposti di legalità che rischiano di essere  privati della loro funzione di tutela dei minori  per la mancanza di risorse a cui si unisce la complessità del nuovo quadro legislativo».

«L’attività svolta dal Tribunale per i Minorenni finora è stata cruciale – hanno evidenziato – per salvaguardare in particolare i diritti dei minori vittime di crimini domestici, inseriti in quei contesti in cui il paradigma offensivo si sviluppa quotidianamente. Si deve fare pertanto  di tutto per  scongiurare possibili disfunzioni nel sistema giudiziario».

«Per questo è necessario considerare che, oltre allo slittamento – hanno concluso – il Ministero della Giustizia provveda alla destinazione di fondi per l’assunzione di personale, anche di carattere amministrativo, che possa supportare la  riforma  che sin dalla sua stesura non ha ritenuto di prendere in considerazione le effettive realtà degli uffici giudiziari e dei territori». (ams)

LA ZES UNICA E LA GRANDE BEFFA AL SUD
SÌ AL CREDITO D’IMPOSTA, MA SOLO AL 17%

di PIETRO MASSIMO BUSETTA  – Tutto come previsto. I vantaggi estesi a tutto il Mezzogiorno con la Zes Unica man mano devono essere limitati. Come era prevedibile  per due ordini di motivi: uno perché l’Europa tende ad evitare di concedere la possibilità di vantaggi estesi a territori troppo ampi di una singola Nazione e secondo perché lo stesso Stato nazionale, quando prevede dei vantaggi per territori troppo estesi, li limita per evitare che diventino insostenibili per il bilancio nazionale. 

Per la prima motivazione  la permanenza dei vantaggi ha un periodo sempre estremamente contenuto. La ragione  è evidente, e riguarda la volontà di eliminare gli aiuti di Stato, per cui  si vuole trovare il momento opportuno per contenere le condizioni favorevoli, la cui cancellazione trova ovviamente, nel territorio e nelle forze politiche che lo rappresentano, molte resistenze. 

 Nel caso per esempio del cuneo fiscale, introdotto dal Secondo Governo Conte, Ministro per il Sud Giuseppe Provenzano, provvedimento generalizzato per tutta l’area, la promessa di doverlo estendere indefinitamente nel tempo, fatta dal Governo di Giorgia Meloni, manifesterà presto la sua mancanza di concretezza, sia perché l’Europa non lo consentirà, ma anche perché si dimostrerà un vantaggio troppo oneroso. 

La motivazione sottostante al provvedimento era di rendere le aree del Mezzogiorno competitive nel costo del lavoro rispetto a quelle, per esempio,  polacche, rumene o ungheresi, che possono offrirne uno più basso. Cioè parliamo dei vantaggi che alcune altre Zes, esistenti in Europa, danno a coloro che vogliono investire nelle loro aree.

In realtà si tratta di condizioni aggiuntive rispetto a quelle indispensabili perché un qualunque investitore consideri possibile insediarsi in una zona. Ma dare la ciliegina quando non c’è la torta è velleitario. Infatti con la Zes Unica si vorrebbe attrarre investimenti dall’esterno, che non arriveranno mai, non offrendo le condizioni di base. 

Che sono prevalentemente due, la prima che le aree siano ben collegate, via mare, aria, terra. Inserire nella Zes unica, la Provincia di Agrigento, assolutamente irraggiungibile, è un modo per prenderci in giro, o forse per consentire dei vantaggi per la localizzazione del rigassificatore di Porto Empedocle, facendolo entrare tra gli investimenti attratti, per far dimenticare invece che si vuole  attingere ai fondi per il Mezzogiorno, senza lasciare sul territorio nulla, per un’interesse che riguarda il Paese, in particolare la cosiddetta locomotiva,  che ha bisogno di gas, dopo la chiusura dei rubinetti russi.   

Niente di nuovo rispetto a quello che  é avvenuto  con la prima industrializzazione, quella del petrolchimico, che ora sta lasciando territori inquinati, porti inagibili come quello  di Augusta. Industrializzazione promossa sempre con le risorse destinate al Mezzogiorno per il manifatturiero  pulito. 

E adesso, per bonificare le realtà di riferimento, come è accaduto a Bagnoli, con grande disappunto e tanta giusta contestazione del Governatore De Luca i fondi saranno sempre prelevati da quelli destinati al Mezzogiorno,

La seconda condizione è che vi sia un controllo adeguato della criminalità organizzata, che è probabilmente possibile se le aree considerate sono limitate come territorio, per cui si può pensare a forme di vigilanza  particolare, anche elettroniche, come l’utilizzo intensivo di telecamere, confini controllati che non permettano l’ingresso e la permeabilità alle organizzazioni criminali  e di poter pubblicizzare le aree come territorio criminal free.

Azione impraticabile se riguarda tutto il Mezzogiorno, dove l’azione delle Forze dell’Ordine è meritevole, ma ovviamente lascia spazi di agibilità a coloro che delinquono e che non possono essere controllati  in tutta l’area, considerato che parliamo del 40% del territorio del Paese. 

Dopo di che, senza aver offerto le condizioni di base, forniamo quelle di vantaggio che riguardano il costo del lavoro e la tassazione degli utili di impresa.  Distribuendo tali vantaggi su una platea di fruitori numerosa, avendo a disposizione risorse limitate, per cui alla fine si diminuisce il vantaggio per singola impresa.

Tutto come previsto,  adesso il Direttore dell’Agenzia delle Entrate, Ernesto Maria Ruffini, con un provvedimento  dal titolo  “Determinazione della percentuale del credito d’imposta effettivamente fruibile per gli investimenti nella Zona economica speciale per il Mezzogiorno – Zes unica, di cui all’articolo 16 del decreto-legge 19 settembre 2023, n. 124, convertito, con modificazioni, dalla legge 13 novembre 2023, n. 162 degli utili di impresa”, comunica che esso  sarà pari al 17,6668 %. 

Il ragionamento è semplice poiché l’ammontare complessivo dei crediti d’imposta richiesti, in base alle comunicazioni validamente presentate dal 12 giugno 2024 al 12 luglio 2024, è risultato pari a 9.452.741.120 euro, a fronte di 1.670 milioni di euro di risorse disponibili, che costituiscono il limite di spesa, si dà poco a tutti. 

E lo si dice chiaramente “Pertanto con il presente provvedimento si rende noto che la percentuale del credito d’imposta effettivamente fruibile da ciascun beneficiario è pari al 17,6668 per cento (1.670.000.000 / 9.452.741.120) dell’importo del credito richiesto”.

 Tale è l’importo riconosciuto come contributo sotto forma di credito d’imposta per le imprese che effettuano investimenti dal 1° gennaio 2024 al 15 novembre 2024, relativi all’acquisizione di beni strumentali, destinati a strutture produttive ubicate nella Zes unica. In realtà il Ministro Fitto aveva richiesto al Direttore dell’Agenzia delle Entrate, con nota del 17 luglio scorso, alcune informazioni indispensabili per l’implementazione della misura. Vedremo come andrà a finire 

Ma non ci dobbiamo stupire che poi i veri insediamenti industriali si vadano a localizzare a Novara o alle porte di Milano e provochino una guerra tra ricchi, nella quale Zaia si distingue, chiedendo al Governo e al Ministro Urso di avere tutti gli atti per cui un’azienda sceglie Novara invece che Vigasio in provincia di Verona. 

Ma tutto questo quando si decise di fare l’annuncio, urbi e torbi, della grande Zes unica di tutto il Sud  non era prevedibile? Ma i collaboratori del Ministro Fitto sono così poco avvertiti? O  visto che le otto Zes stavano cominciando a funzionare si è voluto castrare un strumento utile?  Diceva Giulio Andreotti che a pensar male si fa peccato, ma ci si azzecca. (pmb)

[Courtesy Il Quotidiano del Sud – L’Altravoce dell’Italia]

CON L’AUTONOMIA LA CALABRIA PERDERÀ
5,34 MLD: COSÌ MUORE LA SANITÀ PUBBLICA

di CARLO RANIERIPremesso che, il tallone di Achille dell’autonomia differenziata (n. 86/2024) è la distinzione fatta tra materie tra Lep e non Lep, la normativa approvata il 26 giugno 2024,  prevede un doppio canale (quelle non Lep concedibili subito), ma   l’art. 116 Cost. parla di 23 materie devolvibili alle Regioni.

La distinzione tra materie Lep e non Lep è un’invenzione del governo Meloni, il prof. S. Cassese, ebbe a dire “che la distinzione è stata complicata ed in alcuni casi impossibile”. Il Presidente Emiliano in audizione ha detto che  «i Lep non sono altro che la vita sociale e civile dei cittadini ed è impossibile determinarli senza fare sperequazione».

I Lep si sa, non saranno mai determinati, in quanto non compatibili con il quadro della finanza pubblica per come delineato dall’art. 119 cost., e anche se determinati, vanno  a incidere sui principi di  eguaglianza e  solidarietà tra i cittadini della Repubblica Italiana, con gravi squilibri territoriali  e unitarietà  dello Stato Italiano (artt. 2, 3 e 5 Cost.).

Bloccando il trasferimento (con richiesta di referendum di abrogazione parziale) delle materie non Lep di fatto si blocca la legge Calderoli.

Altra contraddizione, per determinare i Lep la norma prevede il decreto legislativo, mentre demanda ad una commissione tecnica (Ctfs) la determinazione dei costi e fabbisogni standard, questo diverso modo di procedere può essere impugnato alla Consulta per un’abrogazione parziale, che di fatto bloccherebbe le intese del 2018 riesumate dall’art. 11, c.1.

Disastro autonomia per la Calabria

Con l’autonomia differenziata (AD) sarà fine dello stato unitario. Dal 2027 ogni Regione dovrebbe mantenersi con i tributi incassati sul territorio (D.Lgs n. 168/2011 per come modificato dalla legge n. 197 del 2022, art. 1, comma 788 governo Meloni). 

La Calabria incassa il 51% di quello che spende

Lo Stato grazie al surplus fiscale del Nord versa quale trasferimenti erariali alla Calabria circa 5,34 miliardi (il bilancio della Regione è circa 5,5 miliardi). Con l’autonomia differenziata cesseranno. Senza questi fondi chiuderanno: ospedali, scuole, trasporto pubblico locale  e servizi sociali.

La spesa primaria netta calabrese  (ovvero la spesa pubblica nominale al netto della spesa per interessi), quale valore pro-capite:  spesa primaria € 12.941, entrate € 8.364 (saldo negativo di € 4.307 )  per ogni cittadino calabrese.

Per coprire questo saldo negativo interviene il residuo fiscale della altre regioni (Piemonte, Lombardia, Veneto, Friuli e Venezia Giulia, Emilia Romagna, Toscana, Lazio) alla Calabria, che cesserà quando saranno devolute le materie non Lep. Per un abitante della Valle d’Aosta (RSS) la spesa primaria netta è il doppio di quella di un calabrese € 23.905.

Sanità Calabria – Gli effetti collaterali dell’autonomia differenziata

Su una spesa storica (Dpcm 30 agosto 2021) di oltre 3miliardi (complessiva 4,5miliardi) vengono dati 1,6 miliardi quale perequazione (art. 119 costituzione), senza  questo trasferimento dovremmo comprare le medicine – chi non ha soldi muore – fine della sanità pubblica. Nell’anno 2022 per ogni abitante dell’Emilia Romagna la spesa sanitaria pro-capite è stata  di  2.495 euro l’anno (747 euro in più), per un calabrese  1.748  euro, con l’autonomia differenziata saranno 839 euro (908 euro in meno a testa).

Diminuirà il personale sanitario e scolastico in quanto nelle materie non Lep (Livelli essenziali delle prestazioni) già chieste dalle Regioni del Nord si possono differenziare gli stipendi sino  a  raddoppiarli con fondi regionali (tramite contratti integrativi). 

Andranno via migliaia di medici, infermieri e professori, saremo costretti a trasferirci la Nord per qualunque tipo d’intervento e per  studiare. La Calabria spende circa 280 milioni l’anno, per cure fuori regione con l’Ad non ci saranno più i fondi per il rimborso. 

Per anziani e fragili non esisteranno più i fondi per comprare costosi medicinali (una scatola di cp. antitumorale costa sino  a 10.000 euro al mese), potranno morire.

Nel 2022 il 52% degli interventi oncologici (n. 3.100 dati Svimez) di calabresi sono stati fatti fuori regione. La vita è una sola e non si può morire per la cattiva sanità nostrana (in piano di rientro da 2008) e commissariata dal 2009 sia per disavanzo di bilancio che LEA sotto la soglia mix di 60.

Scuola e autonomia differenziata (Preintese tra Governo tre regioni del Nord del 28 febbraio 2018)

Sarà la Regione a stabilire i programmi scolastici complementari e la quantità  personale da assumere (più professori rispetto a quanto stabilito dalla Stato), ci sarà un sistema integrato d’istruzione, per cui un diplomato o laureato del Nord sarà meglio formato e quelli del sud non troveranno lavoro.  

La programmazione delle università del nord sarà finalizzata per favorire lo sviluppo sociale di quelle regioni con corsi di studi ad hoc (quindi i laureati nel sud saranno molto meno qualificati). Ci sarà un fondo integrativo regionale per la didattica, molto più mezzi (strumenti di laboratorio etc…).

Per il trasporto pubblico locale ci saranno meno fondi per comprare autobus e pullman

Le regioni come la Calabria compra i mezzi del trasporto pubblico in conto capitale con il fondo perequativo (cioè soldi del Nord trasferiti al sud), senza di questi dovremo viaggiare con il ciuccio-bis o a piedi.

L’autonomia differenziata  non è altro che trattenersi il surplus fiscale delle regioni del Nord: Piemonte, Lombardia (53 miliardi), Veneto, Liguria – Emilia Romagna – Lazio, complessivamente sono circa 93 miliardi di cui circa 43 miliardi  sono trasferimenti erariali verso le Regioni a Statuto Ordinario Rso  più svantaggiate (Umbria – Marche – Abruzzo – Molise – Campania – Puglia – Basilicata e Calabria). 

Questa legge non riguarda le regioni a statuto speciale (RSS) che hanno una legislazione speciale (come Sicilia – Sardegna – Valle D’Aosta – Friuli Venezia Giulia – Trentino Alto Adige), in quanto trattengono già nei territori una  parte dei proventi (generati sul territorio: IVA – Imposte erariali – proventi del lotto, Irpef – Irpeg …).

Con la legge Calderoli le regioni firmatarie d’intese (cioè un contatto tra le parti Governo e Regione) saranno di fatto Regioni  a Statuto Speciale (RSS) che tratteranno sul loro territorio sino ai 9/10 del gettito fiscale maturato,  fine del surplus fiscale – fine della perequazione – fine trasferimenti erariali in Calabria. Saranno  disapplicate le leggi dello Stato nelle materie devolute, si osserveranno le competenze legislative e amministrative delle intese (art. 7. comma.5 legge) come per le Rss

Senza l’accordo di entrambi le parti (Stato e Regione) le intese saranno irreversibile in quanto non potranno essere  modificate prima di 10 anni (art. 7, comma 1), non esiste come in Germania o negli altri stati federali la clausola di supremazia dello Stato sulla Regione, nonostante l’Italia non sia uno stato federale ma regionale.

Poiché la legge Calderoli prevede l’invarianza di bilancio, non si possono fare spese aggiuntive. I Lep (livelli essenziali delle prestazioni) sono il mix delle prestazioni concedibili, in campo sanitario dal 2001 si chiamano Lea (Livelli essenziali delle Prestazioni), la scala che li misura va da 0  a 100 il mix è 60 (Calabria è inadempiente meno di 60 nella distrettuale Asp siamo a 47,51%, l’Emilia Romagna 95,96%). Nonostante 15 anni di gestione statale (commissario) e leggi speciali, non si riesce: a superare il punteggio di 60 e chiudere con i debiti e  i bilanci pregressi (2013-2018 Asp RC– 2018-2019 Asp Cs).

Nella riforma del 2001 i livelli equivalenti dei diritti sociali e civile: istruzione, sanità, pensioni, previdenza sociale (in caso di malattia, gravidanza, disoccupazione), servizi socio-assistenziali  in tutto il territorio nazionale, sono diventati da equi  a essenziali delle Prestazioni Lep (art. 117 lettera m), cioè diritti minimi che non si faranno mai in quanto servono oltre 100 miliardi.

Che i Lep non siano sufficienti a superare le diseguaglianze territoriali è esplicitamente riconosciuto dalla legge Calderoli, infatti all’art. 10 impone allo Stato di stanziare risorse aggiuntive al fine di “garantire l’unità nazionale, nonché la promozione dello sviluppo economico, della coesione della solidarietà sociale, dell’insularità, della rimozione degli squilibri economici e sociali”.

Ma l’art. 10 è in netto contrasto con l’art. art. 9. (Clausole finanziarie) – comma 1. Dall’applicazione della presente legge e di ciascuna intesa non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.

Qualora le regioni più ricche riuscissero ad accumulare risorse in eccesso rispetto a quanto necessario per finanziare i Lep, nonché a trattenere tali risorse sul proprio territorio. (la norma rimanda alle regole di funzionamento delle commissioni paritetiche fra lo Stato e le singole regioni); regole la cui definizione è affidata alle singole intese. Certamente le Regioni con un eccesso di risorse le vorranno trattenere in questo caso (basta non modificare l’intesa), si avrebbe una sottrazione di risorse a danno o del bilancio dello Stato o delle altre regioni.

Si sottolinea il rischio concreto che lo Stato sia privato delle risorse finanziarie che sono necessarie per svolgere un compito essenziale, quale è quello della stabilizzazione ciclica a fronte degli alterni andamenti dell’attività economica.

Al momento la legge Calderoli non esclude che possano materializzarsi scenari assai preoccupanti sia per il buon funzionamento delle pubbliche amministrazioni sia per i conti pubblici.

Materie non Lep acquisibili subito art. 4 comma 2 Legge Calderoli 

L’organizzazione della giustizia di pace (lettera l art. 116 3c. e 117 c.2) la protezione civile;  la previdenza complementare e integrativa;  professioni (modificate dalla  L. Cost. n. 1/2022); protezione civile; rapporti internazionali e con l’Unione europea delle Regioni; commercio con l’estero; coordinamento della finanza pubblica  e del sistema tributario; valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e organizzazione di attività culturalicasse di risparmio, casse rurali, aziende di credito a carattere regionale, enti di credito fondiario e agrario a carattere regionale.

Complessivamente sono 184 sotto materie. (cr)

[Carlo Ranieri è un ex funzionario del Consiglio regionale della Calabria]

IL PARADOSSO IN CALABRIA SUL BIOLOGICO
PRIMEGGIA MA È ULTIMA PER LE VENDITE

di GIOVANNI MACCARRONENel 2023 in Italia sono stati stimati 395 mila nuovi casi di tumore: 208.000 negli uomini e 187.000 nelle donne.  L’incidenza negli ultimi anni è in aumento soprattutto fra i giovani. 

Nel 1962 venne pubblicato negli Stati Uniti il libro della biologa marina Rachel Carson “Primavera silenziosa” (riproposto con una nuova introduzione di Al Gore nel 1999)., in cui si affronta un’analisi panoramica del danno che i pesticidi chimici stavano causando all’ambiente, alla fauna e agli esseri umani. Il libro denunciava il Ddt come causa del cancro e nocivo nella riproduzione degli uccelli dei quali assottigliava lo spessore del guscio delle uova. 

La International Agency for Research on Cancer – agenzia internazionale per la ricerca sul cancro di Lione (in sigla Iarc), dopo uno studio sui pesticidi e gli erbicidi il 22 ottobre 2018 ha reso pubblico sulla rivista scientifica medica Jama Internal Medicine. che molti di essi sono cancerogeni.

In particolare, la Iarc (legata all’Organizzazione Mondiale della Sanità), ha indicato tre pesticidi – glifosato, malathion e diazinon – come probabili cancerogeni, 

A partire dal 1993, lo studio “Agricultural Health Study” condotto da Epa, Nih e Niosh ha evidenziato un aumento dei seguenti tumori negli agricoltori: leucemie, linfomi, sarcomi, stomaco, cervello, prostata, pelle. 

Quanto sopra, dovrebbe in qualche modo allertarci sul fatto che l’esposizione ai pesticidi ha effetti negativi sulla salute.

Invece, nonostante ciò, in Italia (così come nel resto del mondo), l’impiego di sostanze chimiche nocive, utilizzate per combattere piante infestanti, insetti, funghi e prevenire il possibile sviluppo di malattie biotiche (malattie infettive delle piante), è ancora estremamente diffuso.

Lo conferma l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (Ispra) che nell’edizione 2022 dell’ultimo Rapporto nazionale pesticidi nelle acque  realizzato con i dati raccolti fra 2019 e 2020 “dal monitoraggio svolto dalle Regioni e dalle Agenzie regionali per la protezione dell’ambiente, sulla base dei programmi di rilevazione previsti dal decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152” (il cosiddetto Testo Unico ambiente) ha evidenziato che “Il dato 2020 rileva nelle acque superficiali presenza di pesticidi in 1.012 punti di monitoraggio (55,1% del totale) e in 4.171 campioni (44,0% del totale).

Nelle acque sotterranee i pesticidi sono presenti in 595 punti di monitoraggio (23,3% del totale) e 810 campioni (19,4% del totale). Rispetto al 2019 si osserva un incremento dei ritrovamenti. I risultati del biennio non comprendono i dati della regione Calabria e, solo per le acque sotterranee, i dati di Puglia, poiché non disponibili”

I pesticidi, sono prodotti chimici concepiti dall’uomo per la protezione delle piante e per la conservazione dei prodotti vegetali. Detto in altre parole, sono tutte quelle sostanze che permettono di eliminare dalle piante ogni tipo di parassita e insetto (tutta la grande famiglia dei pesticidi, è identificabile dal suffisso “cida” che deriva dal latino “cœdere“, che significa “uccidere” o “abbattere”. Quindi i pesticidi, secondo l’etimologia sono dei sterminatori di “pesti”, dal latino “pestis” che indica un flagello o una malattia contagiosa.

Ecco perché nel mondo industriale, si evita accuratamente di parlare di pesticidi, preferendo la dicitura prodotti fitosanitari, o l’ancor più edulcorato, prodotti fitofarmaceutici). Inizialmente, colpiscono alcune parti della pianta per, poi, comprometterne l’intera struttura. Se non si interviene tempestivamente, i parassiti possono essere letali per le piante.

Secondo la FAO (Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura), ogni anno dal 20 al 40 per cento delle colture vengono distrutte da erbe infestanti, parassiti e malattie. I giganti del settore sostengono che in mancanza di prodotti specifici per la protezione delle piante, queste perdite “ammonterebbero al doppio”.

Ed infatti, ogni anno, parte della produzione agricola globale è danneggiata dai parassiti e dagli agenti fitopatogeni. 

Per evitare la perdita dei raccolti e, soprattutto, per distruggere erbe infestanti e parassiti, si è sempre di più fatto largo uso dei pesticidi chimici di sintesi. Nel corso del tempo si sono rivelati molto più efficaci rispetto alle sostanze disponibili in passato. Inoltre, riducono enormemente il carico di lavoro degli agricoltori. Una volta, per evitare erbe infestanti e parassiti, si faceva ricorso a determinate tecniche colturali, come la rotazione e la consociazione delle colture. Oggi questa opzione è praticamente improponibile, dato, tra l’altro, che porterebbe con sé costi di produzione più alti, meno raccolto e difficoltà nell’accedere a mercati più grandi.

Ecco perché si fa largo uso dei pesticidi. Queste sostanze chimiche sono state progettate proprio per prevenire tutte le problematiche descritte. Tuttavia, come si è sopra potuto notare, danno origine a nuove problematiche soprattutto per la salute umana.

Nel frattempo, per limitare la quantità di pesticidi che ingeriamo, si può pensare all’agricoltura biologica. La ricerca indica una riduzione del rischio di tumore quando ci si nutre con continuità di alimenti biologici Per fortuna alcuni agricoltori calabresi si stanno muovendo in questo senso, altri, invece, continuano ad usare pesticidi su alcuni terreni oppure sperimentano con dosi minori rispetto a prima.

Devo dire che la cosa più grave è rappresentata dal fatto che – come è stato ben rappresentato – «sui banchi di un qualunque mercato ortofrutticolo di Milano hai buone probabilità di trovare l’eccellenza dei prodotti biologici calabresi. Se vivi in Calabria invece fai molta più fatica a trovarne. La regione che primeggia per ettari e numero di aziende nel biologico è tra le ultime per venduto e consumo. Il biologico calabrese insomma viene in buona parte spedito fuori regione oppure venduto come non biologico».

Sono le solite contraddizioni della nostra terra, anzi sono il simbolo delle contraddizioni che investono tutta l’Italia e non solo. Si pensi, ad esempio, alla proposta di Regolamento avanzata dalla Commissione nel giugno 2022 per dimezzare l’uso dei pesticidi chimici entro il 2030 e limitarne fortemente l’utilizzo nelle aree sensibili urbane e nei siti Natura2000, a eccezione di quelli autorizzati per l’agricoltura biologica. Ebbene, tale proposta, è stata di fatto respinta con il recente voto del Parlamento europeo in seduta plenaria a Strasburgo.

Per cui, le istituzioni nazionali e internazionali, anziché impegnarsi molto di più per garantire che l’uso di queste sostanze chimiche venga fortemente limitato o, meglio, vietato, puntano sull’agricoltura basata sulla chimica per sostenere il reddito degli agricoltori.

Invece, l’impegno a livello nazionale e, soprattutto, locale dovrebbe essere quello di «promuovere e diffondere a tutti i costi l’agricoltura biologica» nel giro di pochi anni, per scatenare una «rivoluzione nell’uso dei fertilizzanti». L’idea è sostanzialmente quella di convertire i terreni agricoli al solo uso di concimi organici, oltre che di fornire agli agricoltori fertilizzanti organici e inorganici a titolo gratuito o, comunque, a basso costo.

La politica agricola della nostra regione dovrebbe, quindi, essere totalmente a favore di un’agricoltura ecologica e focalizzata sul solo uso dei fertilizzanti organici. Per far questo, però, gli agricoltori vanno aiutatati con la riduzione dei costi dei concimi organici oppure con contributi provenienti dall’Unione Europea. 

Come si sa, il maggior prezzo del biologico non garantisce ai coltivatori un proporzionale aumento di ricavi e, quindi, di reddito, perché le rese produttive (cioè le quantità prodotte per unità di superficie coltivata) col biologico sono nettamente inferiori. 

Pertanto, gli agricoltori hanno bisogno di un contributo da parte di tutte le istituzioni per far fronte ai costi e, per quelli calabresi, sarebbe opportuno prevedere una certificazione obbligatoria per potersi avvalere nella vendita del marchio biologico.

Tra l’altro, questo è anche il modo per incentivare l’acquisto dei nostri prodotti provenienti dall’agricoltura biologica e invertire il trend attuale, comportando anche la diminuzione dei prezzi a seguito dell’aumento della relativa domanda di mercato.

Il cosiddetto valore aggiunto e, quindi, il mantenimento di più alti prezzi rispetto a tutti gli altri prodotti agricoli, verrebbe in questo modo a ridursi fortemente. 

Speriamo bene. (gm)

 

IN CALABRIA TIMIDI SEGNALI DI RIPRESA
MA SERVE FARE DI PIÙ PER L’AGRICOLTURA

di ANTONIETTA MARIA STRATI – Sono solo timidi segnali, ma la Calabria, lentamente, si sta riprendendo. È quanto ha rilevato la Svimez nel rapporto Le regioni italiane nel 2023, evidenziando come la crescita del Pil della Calabria sia abbastanza sostenuta e omogenea (+1,2%) grazie soprattutto all’incremento di valore aggiunto delle costruzioni (+7,4%) ha sostenuto la crescita regionale insieme al terziario (+1,7%), nonostante il netto calo del settore industriale (-4,8%).

Importante, poi, i numeri per quanto riguarda le presenze turistiche: +11,7% in totale, di cui 25,9 sono stranieri e 9,0 italiani. La presenza di stranieri, in particolare, sono tipicamente associati livelli di spesa significativamente più elevati. Male, invece, per il valore aggiunto in agricoltura, che ha registrato un -0,5%; e -4,8% per il settore terziario. Preoccupa, in particolare, il dato dell’agricoltura, considerando l’impegno della Regione e del suo assessore, Gianluca Gallo, ad aiutare le aziende agricole a crescere e ad ammodernarsi. Ma non solo: La Calabria è la seconda regione d’Italia per incidenza del numero di aziende agricole guidate da giovani. Questo fa capire «l’interesse dei giovani per l’agricoltura», ma evidentemente nella nostra regione bisogna fare di più.

Positivo, invece, il valore aggiunto per quanto riguarda le costruzioni e i servizi, che sono a +1,7%. Nel complesso, nell’intero periodo 2019-2023, i servizi nel Mezzogiorno hanno visto un incremento di valore aggiunto inferiore alla media nazionale (+3,6 contro il +4%). La Puglia è la regione meridionale che ha registrato nel periodo la crescita più sostenuta del terziario (+5,4%).

Il calo del valore aggiunto industriale meridionale del 2023 (-0,5%), si somma alle dinamiche poco soddisfacenti del biennio 2021-22, determinando un dato cumulato del -2,4% nel periodo 2019-2023. I fattori climatici avversi che hanno caratterizzato gran parte dell’anno hanno penalizzato l’agricoltura. Il valore aggiunto del comparto è diminuito in tutte le macroaree del Paese nel 2023, con l’eccezione del Nord-Ovest (+6,4% dopo la forte flessione del 2022): -6,1% al Centro, -5,1% nel Nord-Est, -3,2% nel Mezzogiorno.

Nel 2023, i consumi delle famiglie, la componente quantitativamente più importante della domanda, sono aumentati del +1,1% nel Mezzogiorno, appena due decimi di punto percentuale in meno che nel resto del Paese (+1,3%). In generale, la spesa delle famiglie presenta un’elevata variabilità territoriale, al Sud in particolare, dove più elevata è la dipendenza della congiuntura dalla domanda interna. Specularmente, nelle regioni meridionali gli andamenti della domanda estera incidono meno sulla dinamica del Pil. In Calabria la spesa per consumi finali delle famiglie è +0,6%, gli investimenti fissi lordi sono stati +8,7% e, infine, positivo anche il dato delle esportazioni di merci al netto di prodotti energetici, che è +22,5% rispetto al 2022 e +102% rispetto al 2019.

Gli investimenti sono stati la componente più vivace della domanda interna nel 2023, crescendo del 5,5% nel Mezzogiorno e un punto percentuale in meno nel Centro-Nord. Ancora più favorevole al Mezzogiorno si è mostrata la dinamica degli investimenti nell’intero periodo 2019-2023: +29,6%, contro il +25,2% delle regioni centro-settentrionali. Soprattutto, è stata più sostenuta al Sud la crescita degli investimenti in costruzioni, una variabile rivelatasi cruciale nel determinare l’andamento favorevole della congiuntura post-Covid. Ciò soprattutto nel biennio 2021-22, per effetto del superbonus, che ha mostrato una notevole capacità di attivare produzione e valore aggiunto nel resto del sistema economico.

Nel 2023, gli investimenti in costruzioni complessivi, pubblici e privati, sono aumentati in termini reali del 4,0% nel Mezzogiorno e del 2,8% nel Centro-Nord. Guardando all’intero periodo 2019-2023, la crescita è stata del +40,7% nel Mezzogiorno, oltre 5 punti in più della media del Centro-Nord.

Ma come sta andando il 2024? Per la Svimez «l’economia italiana sta registrando andamenti che sono sostanzialmente in continuità con le tendenze dei trimestri precedenti, sia in termini di entità della crescita che dal punto di vista delle caratteristiche del ciclo, sia riguardo all’evoluzione delle componenti della domanda che alle performance dei settori produttivi. Nel primo trimestre, la crescita del Pil è stata dello 0,3% rispetto all’ultimo trimestre dello scorso anno; in termini tendenziali è stata invece pari allo 0,7%».

«Negli ultimi mesi – si legge – è proseguita la fase di ripresa del clima di fiducia dei consumatori. In particolare, risultano in ripresa le attese sulla situazione economica delle famiglie, in fase di stabilizzazione le aspettative sui prezzi e resta solida la percezione del mercato del lavoro, anche sulla base degli andamenti positivi dell’occupazione registrati nei primi mesi dell’anno», anche se «i dati sul clima di fiducia nel Mezzogiorno sono sembrati disallineati «negli ultimi trimestri da quelli delle altre macroaree: a fronte di una dinamica dell’occupazione che è rimasta vivace anche al Sud».

Segnali misti per l’inizio del 2024 provengono, invece, dalle indagini qualitative riguardanti il clima di fiducia delle imprese. Rispetto a quanto osservato nel corso del 2023, la f iducia delle imprese industriali risulta in leggero miglioramento, insieme alle attese sugli ordini e sulla produzione. Per il momento si tratta di miglioramenti modesti, che segnalano più che altro una fase di stabilizzazione della produzione. Anche i dati sulle esportazioni hanno evidenziato una relativa stabilità dei livelli recenti, con un andamento leggermente più positivo nelle regioni del Mezzogiorno. I dati di inizio anno confermano inoltre la crescita della domanda di lavoro, anche nei settori industriali, e parallelamente le inchieste congiunturali mostrano che le attese sull’occupazione non si sono deteriorate. La fase ciclica sfavorevole non sembra avere modificato i piani dell’industria italiana, i cui fabbisogni professionali sono anche legati all’esigenza di un rafforzamento del capitale umano che va al di là delle necessità di breve, legate alle oscillazioni dell’attività economica.

Per quanto riguarda il settore delle costruzioni, invece, «le indagini congiunturali presso le imprese mostrano una confidence in peggioramento nei primi mesi dell’anno. Tuttavia, i dati sull’occupazione sino al primo trimestre hanno confermato un andamento ancora crescente», mentre per i servizi è stato rilevato che la confidence «del comparto si mantiene a inizio anno ancora su livelli positivi».

La Svimez, poi, ha rilevato come nel 2023, si conferma l’andamento positivo dell’occupazione del biennio post-Covid su scala nazionale, con una crescita del +2,1% e di come «l’aumento dell’occupazione è risultato più accentuato, per il terzo anno consecutivo, nel Mezzogiorno (+3,1%), seguito da Nord-Est (+2,0%), Nord-Ovest (+1,6%) e Centro (+1,5%).

In Calabria, si registrano -15,5% di occupati in agricoltura, -2,0% per gli occupati nell’industria in senso stretto, -1,6% nelle costruzioni, mentre nei servizi il dato è positivo: +5,8%. Nel complesso, tuttavia, la percentuale di occupati per settore è +1,9%.

è risultato più accentuato, per il terzo anno consecutivo, nel Mezzogiorno (+3,1%), seguito da Nord-Est (+2,0%), Nord-Ovest (+1,6%) e Centro (+1,5%). ). L’aumento del tempo pieno è più marcato nel Mezzogiorno (+189mila), seguito da Nord-Ovest (+113mila), Centro (+83mila) e Nord-Est (+61mila). La crescita del part-time è interamente ascrivibile alla componente volontaria, per una migliore conciliazione dei tempi di vita e di lavoro: gli occupati con part-time involontario sono invece in calo in tutte le macroaree (-23mila nel Mezzogiorno).

In Calabria i dipendenti con tempo determinato sono -3,4%, mentre è positivo per quelli a tempo indeterminato: +3,8%. Di questi, +3,2% è a tempo pieno,  mentre scende il part-time: -4,1%. Importante flessione per il part-time involontario: è -4,5%. Facendo una suddivisione per genere, in Calabria è cresciuta solo l’occupazione maschile +2,0% gli uomini e solo +1,8% le donne.

Si può dire, dunque, che l’aumento dell’occupazione del 2023è stato omogeneo dei tempi di vita e di lavoro: gli occupati con part-time involontario sono invece in calo in tutte le macroaree (-23mila nel Mezzogiorno). A livello regionale, al Nord, la componente femminile prevale in Liguria, Lombardia, Trentino e Veneto, mentre nelle regioni del Centro, meno le Marche, prevale la crescita dell’occupazione maschile. Nel Mezzogiorno, solo in Campania e in Calabria cresce maggiormente l’occupazione maschile (+1,7% le donne, +3,1% gli uomini in Campania).

La scomposizione del recupero occupazione nel post-Covid per carattere dell’occupazione evidenzia lo sbilanciamento favorevole al tempo indeterminato. I dipendenti permanenti crescono decisamente rispetto ai livelli del 2019, con aumenti di 173mila unità nel Nord-Est (pari al +5,1%), 212mila nel Nord-Ovest (+4,5%), 140mila al Centro (+4,4%), 218mila nel Mezzogiorno (+6,1%). A livello territoriale, i dipendenti a termine si riducono in tutte le regioni del Nord, ad eccezione della Liguria (+7,9%), mentre crescono dovunque al Centro e nel Mezzogiorno, meno che in Calabria (-5,8%) e, soprattutto, Sardegna (-19,7%). Il tempo indeterminato cresce in tutte le regioni, ad eccezione del Molise (-1,4%), con particolare rilievo in Puglia (+9%), Umbria (+7,7%) e Liguria (+8,9%).

Il triennio post pandemia si è dunque caratterizzato per una significativa ripresa dell’occupazione, che si è accompagnata con la positiva evoluzione di alcuni aspetti qualitativi, quali gli incrementi che hanno interessato le fasce di lavoratori con contratto a tempo indeterminato e a tempo pieno. Il triennio post pandemia si è dunque caratterizzato per una significativa ripresa dell’occupazione, che si è accompagnata con la positiva evoluzione di alcuni aspetti qualitativi, quali gli incrementi che hanno interessato le fasce di lavoratori con contratto a tempo indeterminato e a tempo pieno. Tuttavia, accanto agli indicatori tradizionali, va segnalato quello di due misure “allargate” di mancata partecipazione al mercato del lavoro: il tasso di mancata partecipazione e lo slack Svimez, entrambi in calo soprattutto nel Mezzogiorno, dove d’altra parte partivano, e restano, su valori strutturalmente più elevati rispetto al resto del Paese e della media europea.

Il tasso di mancata partecipazione è una misura di sottoutilizzo del lavoro che prende in considerazione, oltre ai disoccupati, anche gli “scoraggiati” (persone disposte a lavorare che non svolgono attività di ricerca attiva) e i “sottoccupati” (gli occupati che sarebbero risposti a lavorare più ore). Tra il 2019 e il 2023, il tasso di mancata partecipazione si è ridotto dal 34,1 al 28% nel Mezzogiorno. Così la distanza dall’analogo indicatore nazionale si è ridotta da 16 a 14 punti percentuali. Il labour slack della SVIMEZ è calcolato, per dar conto delle peculiarità del mercato del lavoro italiano, aggiungendo agli “scoraggiati” e ai “sottoccupati”, il 50% dei lavoratori in part-time involontario. Questo indice, che può essere definito un tasso del “non lavoro”, tra il 2019 e il 2023 è calato nel Mezzogiorno dal 39,3 al 33%. Al di là di questa favorevole tendenza, però, il “non lavoro” nel Mezzogiorno resta su valori più che doppi che nel resto del Paese: nel 2023 lo slack è pari al 12% nella media del Centro-Nord. Le tre regioni meridionali con i tassi di “non lavoro” più elevati sono Sicilia (38%), Campania e Calabria (entrambe 36,8%). (rrm)

REATI AMBIENTALI, CALABRIA PRIMEGGIA
È LA QUARTA IN ITALIA CON 2.912 CRIMINI

La Calabria si conferma tra le regioni con più crimini ambientali. È quanto emerso dal report Ecomafia 2024 – Le storie e i numeri della criminalità ambientale in Italia di Legambiente, presentato nei giorni scorsi, posizionando la nostra regione al quarto posto con 2.912 reati ambientali.

Preoccupano, anche, i dati provinciali: Nella classifica nazionale, nelle prime venti posizioni, Cosenza occupa l’ottavo posto con 697 reati. Al sedicesimo posto troviamo Crotone con 515 reati a cui seguono Reggio Calabria con 513 e Vibo Valentia 507. Invece Catanzaro, con 315 reati, non rientra nelle prime venti.

Nel dettaglio, nel ciclo illegale del cemento la Calabria è al quarto posto con 1.046 reati di cui 266 a Cosenza; 182 a Reggio Calabria; 143 a Vibo Valentia; 110 a Catanzaro e 84 a Crotone.

Nel ciclo illegale dei rifiuti è terza la nostra regione con 828 reati di cui 201 a Vibo Valentia; 177 a Crotone; 138 a Reggio Calabria, 119 a Catanzaro e 92 a Cosenza.

Per quanto riguarda i numeri sull’illegalità contro gli animali, la Calabria si posiziona sestacon 424 reati di cui 137 a Reggio Calabria; 124 a Crotone; 78 a Cosenza; 65 a Vibo Valentia e 20 a Catanzaro.

Infine, nella classifica dell’arte rubata, la Calabria è al quindicesimo posto con sei furti.  Troppo poche le demolizioni eseguite, anche se non mancano le buone notizie, come quella dell’abbattimento, avvenuto nel dicembre del 2023, di Palazzo Mangeruca, l’ecomostro di Torre Melissa, in provincia di Crotone. In provincia di Catanzaro, a Stalettì, invece, le ruspe demolitrici sono entrate nuovamente in azione per demolire una delle villette costruite illegalmente su demanio marittimo.

Dati preoccupanti per la presidente di Legambiente Calabria, Anna Parretta, sottolineando come i dati calabresi «rivelano un preoccupante aumento dei crimini ambientali in quasi tutte le filiere illegali analizzate da Legambiente nel dossier. La nostra regione, infatti, non solo sale dal quinto al quarto posto della classifica generale delle illegalità ambientali, ma ben quattro delle cinque province, con la sola eccezione di Catanzaro, rientrano tra le prime venti province per reati ed illeciti amministrativi».

«I settori che destano maggiore preoccupazione – ha spiegato – sono quelli del ciclo del cemento e, ancora di più, quello dei rifiuti, ambito dove la Calabria è tristemente terza nella classifica nazionale. Si tratta di una recrudescenza criminale che avviene in un momento storico nel quale la tutela dell’ambiente è di vitale importanza».

«È essenziale che in Calabria, con l’apporto di tutti, amministrazioni, imprese, associazioni e cittadini – ha concluso – si rafforzino quei principi di legalità indispensabili per uno sviluppo socio economico sano della nostra regione».

Ma non è solo la Calabria a preoccupare. Dal report, infatti, è emerso come nel 2023 i reati ambientali sono stati 35.487, registrando +15,6% rispetto al 2022, con una media di 97,2 reati al giorno, 4 ogni ora.  Illeciti che si verificano soprattutto nel Mezzogiorno e in particolare nelle quattro regioni a tradizionale presenza mafiosa – Campania, Puglia, Sicilia e Calabria – dove si concentra il 43,5% degli illeciti penali, +3,8% rispetto al 2022. Tutto il mercato illegale nella Penisola è valso agli ecomafiosi nel 2023 ben 8,8 miliardi.

Continua l’applicazione della legge 68/2015 sugli ecoreati che nel 2023 ha superato la quota 600, anche se registra un lieve calo rispetto all’anno precedente quando era stata contestata 637 volte. Un calo dovuto al calo dei controlli, passati da 1.559 a 1.405. Il delitto di inquinamento ambientale resta nel 2023 quello più contestato, 111 volte, portando a ben 210 denunce e 21 arresti.  Altro dato riguarda i comuni commissariati che sono attualmente 19.

«In questi tre decenni il Rapporto Ecomafia – ha dichiarato Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente – è diventato sempre più un’operaomnia per analizzare i fenomeni criminali legati al business ambientale, grazie anche a contributi istituzionali di rilievo, come dimostra l’edizione 2024. Dalla nostra analisi, emerge però che c’è ancora molto da fare nel nostro Paese, dove continuano a mancare norme importanti, come quelle che dovrebbero semplificare gli abbattimenti degli ecomostri – assegnando ad esempio ai Prefetti l’esecuzione delle ordinanze di demolizione mai eseguite nei decenni passati –, l’inserimento nel Codice penale dei delitti commessi dalle agromafie oppure l’approvazione dei decreti attuativi della legge istitutiva del Snpa per rendere più efficaci i controlli pubblici delle Agenzie regionali e provinciali per la protezione dell’ambiente».

«Dal Governo Meloni ci aspettiamo un segnale di discontinuità – ha ribadito –. Serve approvare quanto prima le riforme necessarie per rafforzare le attività di prevenzione e di controllo. Ne gioverebbero molto la salute delle persone, degli ecosistemi, della biodiversità e quella delle imprese sane che continuano ad essere minacciate dalla concorrenza sleale praticata da ecofurbi, ecocriminali ed ecomafiosi».

 «La voce più pesante dell’illegalità legata al ciclo del cemento, come denunciamo ogni anno con forza, e quella dovuta alla miriade di abusi edilizi che viene realizzata nel nostro Paese. Con il decreto “Salva casa” – ha aggiunto Enrico Fontana, responsabile Osservatorio Ambiente e legalità– a cui Legambiente ha presentato una serie di emendamenti, si corre il rischio di alimentare nuovi abusi».

«Ma deve preoccupare molto – ha sottolineato – anche la crescita dei reati nella gestione dei rifiuti, con pratiche illegali che minacciano l’economia circolare. Così come seguiremo con attenzione quanto sta accadendo nella raccolta dei Raee (i rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche), dove diminuisce la quantità di quelli avviati al riciclo e aumentano le esportazioni illegali, verso Asia e Africa. E manterremo sotto osservazione il mercato illecito degli F-gas, i gas refrigeranti, che vede l’Italia tra i paesi più esposti».

Come si combattono le ecomafie, dunque? Legambiente, per far fronte a questo fenomeno, ha lanciato 15 proposte al Governo per avvicinare il quadro normativo ai principi sanciti in Costituzione, di queste sei sono i pilastri su cui lavorare in maniera prioritaria:1) Recepire quanto prima la nuova direttiva europea in materia di tutela penale dell’ambiente, approvata dal Parlamento europeo il 27 febbraio 2024, che introduce nuove fattispecie di reato rispetto a quelle già previste dal nostro Codice penale e prevede l’adozione di strategie nazionali contro la criminalità ambientale; 2) Introdurre nel Codice penale i delitti contro le agromafie; 3) Introdurre nel codice penale i delitti contro gli animali; 4) Restituire ai prefetti pieni poteri per la demolizione degli immobili che i Comuni non hanno abbattuto, a partire dall’ultimo condono edilizio; 5) Inasprire le sanzioni contro i reati nel ciclo dei rifiuti; 6) Completare l’approvazione dei decreti attuativi del Sistema nazionale di protezione ambientale e potenziare gli organici delle Agenzie regionali, per garantire controlli adeguati sul Pnrr e sulle Olimpiadi Milano-Cortina 2026. (rrm)

CONTRO FAKE NEWS SUL PONTE SI SVEGLIA
L’AD CIUCCI: BISOGNA FARE CHIAREZZA

di SANTO STRATI – Permetteteci di dirlo: era ora! Da tempo abbiamo stigmatizzato la scarsezza di informazioni e una strategia di comunicazione troppo blanda da parte della Società Stretto di Messina. Con il risultato di dare spazio ai quattro gatti di no-ponte favorire la crescita di bufale un tanto al chilo, a proposito del Ponte sullo Stretto, molto spesso per sole finalità partitiche.

La posizione di Calabria.Live sul progetto del Ponte è chiara sin dal primo giorno: siamo favorevoli all’opera e riteniamo che serva una corretta informazione (abbiamo dato e continuiamo a dare spazio al dissenso e a tutti coloro che sono contro – purché ci siano basi scientifiche) perché il Ponte – checché se ne pensi – è un’opera formidabile che darà un’ulteriore mano di smalto al genio italico e alla creatività e professionalità dei nostri progettisti, stimati e apprezzati in tutto il mondo. Non è un’opera per i calabresi e per i siciliani soltanto, ma è il giusto raggiungimento del sogno del corridoio Ten-T (Transport European Network) che vuole collegare Berlino con la Valletta (Malta).

Il problema è, purtroppo, di natura politica e la voglia di riacquistare spazio era una tentazione troppo forte per lasciarsela scappare: i no-tutto, assecondati – sempre per evidenti ragioni di partito – da Cinque Stelle e Sinistra estrema hanno saputo, grazie alla mancanza di reazione della SdM, conquistare un’attenzione insperata. Diamo massimo rispetto alle opinioni e alle prese di posizione – da qualunque parte vengano – ma abbiamo l’impressione che ci sono troppe parole al vento e valutazioni gratuite prive di qualsivoglia fondamento scientifico.

Qui non si tratta di progettare un passo carrabile (che qualsiasi geometra sarebbe in grado di schizzare in un baleno), qui stiamo parlando di un’opera colossale che alle spalle ha un rigoroso e certificato background di competenze scientifiche: lasciamo parlare i tecnici e smettiamola con le osservazioni che ogni giorno – campate sul nulla – ci vengono propinate: scenari apocalittici, l’acclarata impossibilità di realizzazione (ma chi l’ha detto?) la “sofferenza” di uccelli e pesci e altre amenità che, purtroppo, non fanno più nemmeno sorridere.

Quindi accogliamo con simpatia le dichiarazioni di Ciucci in risposta a una banalissima serie di osservazione del WWF che non hanno alcun riferimento scientifico e speriamo segni l’inizio di un nuovo modo di approcciare il territorio e la sua gente. Un’osservazione, vogliamo però farla: quando si è trattato degli espropri per il Ponte Morandi a Genova nessuna forza politica si è schierata accanto ai poveri esodati costretti a lasciare la propria casa; per il Ponte, invece, gli espropri (che, a quanto pare, sono abbastanza generosi) costituiscono motivo di lotta “politica” con toni quasi insurrezionali, a difesa di diritti che devono venir meno a fronte di esigenze di pubblica utilità.

E torniamo a ripetere: il Ponte è sicuramente una pubblica utilità e su una cosa concordiamo con la battagliera sindaca di Villa San Giovanni, Giusy Caminiti, non possiamo correre il rischio di vedere iniziare e lavori per perpetrare, poi, il dramma delle centinaia di opere incompiute a cui ci hanno abituato nel Meridione.

Le varie osservazioni richieste dal Comitato Tecnico guidato dal prof. Alberto Prestininzi (correttissime e dovute) sono diventate “Insuperabili impedimenti” e le quintalate di documenti prodotti dalle varie imprese coinvolte nel corso dei tanti tentativi falliti, non vengono prese in alcuna considerazione dai no-tutto ad ogni costo.

Se l’opera si può fare, lo deciderà il Cipess a ottobre: non è il Ponte di Salvini né di Salini o di chiunque altro: è il Ponte dell’Europa, teniamolo sempre a mente. (s)

CORIGLIANO ROSSANO È POCO ATTRATTIVA
SERVONO SOLUZIONI PER INVERTIRE TREND

La campagna elettorale è ormai terminata da oltre un mese. È tempo di consuntivi e analisi relative a quello che è stato il messaggio che le urne di Corigliano-Rossano hanno consegnato alla storia. È insindacabile che il popolo abbia bocciato quella parte elettorale che rappresenta il filo conduttore con i poteri centralisti. La sconfitta elettorale del centrodestra non è stata soltanto una debacle di una specifica parte, piuttosto la condanna di una fazione politica che la popolazione ha percepito come addentellata ad un sistema di potere e che ha, inequivocabilmente, bocciato.

Anche la sortita del Presidente della Regione all’apertura della campagna elettorale, che in altre realtà ha comunque avuto un appeal non indifferente, in riva allo Jonio non ha rilasciato le aspettative attese. Chiaramente, tale dato non va sottovalutato dal centrodestra. Parimenti, però, è necessario che la controparte, quella vincente, non sopravvaluti l’esito dell’urna. Sarebbe sciocco, infatti, pensare ad indicazioni sommarie e liquidare l’esito dell’urna come la bocciatura del “vecchio” e la promozione del “nuovo”. Perché se “il vecchio” non è garanzia d’affidabilità, non è detto che “il nuovo” sia certezza d’innovazione. L’esito elettorale, invero, potrebbe rovesciarsi se quei timidi gemiti d’autonomia politico-istituzionale professati dai palchi, non dovessero tramutarsi in atti ed azioni concrete. Riteniamo sia giunto il momento che la Classe Dirigente e la Società Civile si rimbocchino le maniche e lavorino per trasformare Corigliano-Rossano in una città vibrante.

L’Amministrazione Stasi, seppur frenata dalla pandemia nell’ultimo quinquennio, ha ora l’opportunità di concentrarsi su progetti ambiziosi e di lungo termine. È necessario affrontare questioni rimaste irrisolte e dare un nuovo impulso allo sviluppo economico e sociale della città.

Le prime settimane dopo l’esito elettorale non sono trascorse nel migliore degli auspici: le principali arterie delle aree urbane di Corigliano-Rossano, così come i Centri storici, rimangono deserte o parzialmente tali. La condizione commerciale della Città, spiccatante in area bizantina, è drammatica. Poco meno della metà degli esercizi commerciali posti sul corso principale risultano con le saracinesche abbassate. Non va meglio sul litorale dove lidi e attività ricreative si presentano svuotate e gli esercenti registrano perdite di cassa dell’80% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente.

È necessario rivitalizzare gli spazi per renderli attrattivi; sia per i residenti che per i turisti. Interventi mirati di riqualificazione urbana, eventi culturali e promozione del commercio locale potrebbero trasformare le aree in centri pulsanti di attività economica e sociale.

Ad oggi, la Città non attrae! È necessario studiare soluzioni per invertire questa tendenza e farlo immediatamente.

Focalizzare l’attenzione sulla questione Psa (Piano Strutturale Associato)

Tra le varie iniziative lasciate in sospeso, va riaperto il dibattito circa il Psa (Piano Strutturale Associato). Uno strumento, quest’ultimo, fondamentale che necessita di essere rivisitato e implementato per pianificare un futuro sostenibile e ordinato del territorio.

Avviare iniziative politiche volte all’elevazione della città a Capoluogo per riequilibrare il bilancio di gettito statale

Un altro progetto ambizioso che richiede attenzione è l’elevazione della città di Corigliano-Rossano a Capoluogo. Questo status potrebbe portare non solo un riconoscimento politico-istituzionale, ma anche risorse e opportunità economiche aggiuntive, rafforzando l’identità e l’influenza della Città nella Regione. Bisognerà, contestualmente, inserire nell’agenda di Governo civico azioni volte al ripristino e alla implementazione delle attività di pubblico impiego parametrate alle esigenze demografiche della Città e del territorio. Dovranno essere creati i presupposti, con progettualità che possano realmente elevare l’offerta di lavoro, affinché si ponga un freno al dilagante esodo demografico e fuga di cervelli dallo Jonio.

Per affrontare queste sfide, sarà essenziale implementare politiche che favoriscano lo sviluppo economico locale: attrazione di investimenti, incentivi alle imprese, programmi di formazione professionale, potrebbero essere strumenti chiave per creare posti di lavoro stabili e ridurre l’emigrazione.

Concretizzare i progetti Cis

L’amministrazione Stasi ha avviato il Contratto istituzionale di sviluppo (Cis) che rappresenta una grande opportunità per accelerare la realizzazione di progetti strategici e valorizzare il territorio. I progetti presentati, se realizzati, potrebbero avere un impatto trasformativo sulla Città. Dalla riqualificazione di aree costiere e storiche alla creazione di infrastrutture per il turismo e la mobilità sostenibile, si potrebbero generare interventi catalizzatori di nuovo sviluppo.

Guardare al futuro con speranza per comprendere dove si vuole andare

La comunità jonica è oggi ad un bivio. Da un lato bisognerà capire se sia stato saggio rompere gli schemi della filiera istituzionale, per avviare processi di naturale elevazione del territorio atti a sganciarsi dal cappio centralista. Dall’altro, se pentisi di aver scelto una nuova strada e ritornare verso un sistema che, negli ultimi decenni, ha prodotto soltanto diseconomie e sperequazioni. (Comitato Magna Graecia)

LE AREE VERDI E BLU SE USATE BENE
SONO EFFICACI CONTRO GLI INCENDI E L’EROSIONE

DI MARIO PILEGGI – Il recente convegno Arpacal  su “il buon uso degli spazi Verdi e Blu per la promozione  della Salute e il benessere del Progetto VeBS, finanziato dal Ministero della Salute, pone l’attenzione sulle specificità del Territorio. E quindi sulla necessità di prevenire l’estendersi del degrado idrogeologico che mette a rischio popolazioni e risorse naturali.

Specificità che rendono la “Calabria una delle regioni con le più vaste aree verdi e blu d’ Europa. Ma sempre con la fragilità del noto “sfasciume pendulo sul mare” di Giustino Fortunato.

Tra le specificità da considerare: la notevole varietà di rocce e suoli, le ingenti disponibilità d’acqua e il diffuso e articolato reticolo idrografico superficiale. Queste, ed altre specificità idro-geomorfologiche, rendono l’insieme del Territorio calabrese un Mosaico di aree verdi e blu

Un prezioso mosaico ricco di geo-diversità e biodiversità, nel centro del Mediterraneo, con un clima molto favorevole e pieno di risorse naturali. Come, ad esempio, i vari giacimenti minerari con oro, argento, rame e tanti altri minerali, noti ed utilizzati fin dall’antichità. 

E come la grande disponibilità di acqua, di ottima qualità, per uso potabile ed anche per uso termale. Sono 20 mila le sorgenti censite nella Regione, con una portata complessiva di oltre 43 mila litri al secondo; disponibilità notevole, che corrisponde ad 1 miliardo e 300 milioni di metri cubi d’acqua.

Nel passato, dal buon uso di queste risorse blu e dal buon uso delle circostanti aree verdi e, quindi, dal mantenimento dell’equilibrio idro-geomorfologico tra i vari tasselli del mosaico, le popolazioni hanno tratto benessere e ricchezze. 

Invece, quando non c’è stato un buon uso delle stesse aree, e si è alterato l’equilibrio tra i tasselli del mosaico, si sono avuti disastri, morti e misera ovunque.

Un esempio della ricchezza e del benessere derivanti dal buon uso delle aree verdi e blu è quello che, a partire dagli ultimi decenni dell’VIII secolo a.C., ha portato allo straordinario sviluppo socio-economico, culturale e artistico nelle numerose città-stato della Magna Grecia sul Tirreno e sullo Jonio dell’attuale Calabria.

Basta ricordare la opulenza e la ricchezza di Sibari, le sue straordinarie produzioni ed esportazioni di prodotti agricoli come: vino, olio, frutta, legname per la costruzione di navi, ecc. 

Produzioni e ricchezze legate alla ingegnosa capacità di realizzare diffusi sistemi di irrigazione, di canali e di aree verdi e blu, in perfetto equilibrio con gli assetti naturali del territorio costiero, collinare e montano.  

Purtroppo i periodi e gli esempi anche recenti di cattivo utilizzo e distruzione delle aree verdi, e delle rovinose conseguenze, sono molti di più e ricorrenti

Mi limito soltanto a richiamare alla memoria la mappa della diffusione della malaria lungo tutte le coste della Regione. Malaria che, fino ai primi decenni del secolo scorso, era endemica su tutto il perimetro costiero.

Va ricordato che la salubrità e il benessere sulle stesse coste sono ritornate solo dopo le opere di bonifica. Dopo la raccolta e regimazione delle acque. In pratica, solo dopo la realizzazione e il buon uso di tante aree blu e verdi come i preziosi boschi litoranei.   

Una salubrità, riconosciuta anche dai 3 mila medici pediatri italiani e stranieri che, da anni, assegnano alla regione Calabria il primato del maggior numero di bandiere Verdi della Penisola. Un primato che è stato confermato anche per l’attuale stagione. E non solo per l’ampiezza e sicurezza delle spiagge, ma soprattutto per la qualità delle acque marine in gran parte classificate di qualità eccellente.

Qualità confermata dalla ricca biodiversità marina e dalle tantissime specie rare sottoposte a protezione dalle Direttive europee e Convenzione di Rio de Janero

Specie rare rilevate anche: nella Riserva Naturale Foce del Crati”; nell’“Area Marina Protetta Capo Rizzuto”; e nei 5 Parchi marini regionali: “Baia di Soverato”; “Riviera dei Cedri”; “Costa dei Gelsomini”, “Scogli di Isca” e “Fondali di Capocozzo S. Irene Vibo Marina Pizzo Capo Vaticano Tropea”. 

E confermata anche dalle analisi ufficiali effettuate sulle acque di balneazione. Analisi che hanno certificato l’idoneità su ben 650 Km di spiagge. Una disponibilità che supera l’insieme di sette regioni.    

In pratica, la lunghezza delle aree idonee per fare un bagno in sicurezza, in Calabria supera quella dell’insieme delle regioni: Veneto, Emilia-Romagna, Friuli, Abruzzo, Molise, Marche e Basilicata.

Ampie spiagge naturali, che si alternano a tratti di costa frastagliata, con baie e calette formate da rocce di tutte ere geologiche. Dove, ad esempio, è possibile toccare i fossili marini che documentano la presenza nei nostri mari di specie tipiche di mari freddi e caldi e, quindi, dei cambiamenti climatici del passato geologico.

Una grande varietà di spiagge in un contesto caratterizzato: – da estesi rilievi collinari e montuosi; – da suoli fertilissimi e abbondanti disponibilità di risorse idriche che ospitano e nutrono la straordinaria varietà di esseri viventi presenti: nei 3 Parchi Nazionali:  dell’Aspromonte, del Pollino e della Sila;  nei 2 Parchi Regionali: delle Serre e della Valle del Coriglianeto;  nelle Riserve Naturali Regionali: “Vergari”; “Valli Cupe”,  “Foce del Fiume Mesima ”; e in particolare nelle preziose aree blu sul fiume Crati, il più grande della Regione, le Riserve Naturali Regionali  “Lago di Tarsia” e  “Foce del Fiume Crati” dove  nei giorni scorsi è stata registrata anche la presenza di un Cigno Reale.

Contesto nel quale sono stati individuati e delimitati i 131 habitat marini e terrestri riportati nella “Carta Natura” della Calabria 

Sulla straordinaria varietà dei paesaggi costieri è da ribadire che alcuni di essi sono formati da rocce granitiche generate dallo stesso magma che ha generato le più note e ambite coste della Sardegna, e dalle quali sono state separate, a causa dei rilevanti movimenti della crosta terrestre, iniziati circa dieci milioni di anni fa con l’apertura del bacino del Mar Tirreno.

Questi tratti costieri con spiagge bianche simili a quelle della Maddalena, si osservano nel Sito d’Interesse Comunitario: “Zona Costiera fra Briatico e Nicotera” e nella Zona Speciale di Conservazione “Scogliera di Staletti” con le rinomate spiagge di Copanello, Caminia e Pietragrande.

Altri tratti di costa, formati da rocce di antichissima formazione e unici nel resto della Penisola, si trovano in corrispondenza di altre Zone Speciali di Conservazione come i “Fondali di Iscae i “Fondali di Scilla”.

Caratteri geomorfologici e colori differenti caratterizzano le spiagge di altre “Zone Speciali di Conservazione” come quella di “Capo Colonna” e del “Promontorio di Capo Rizzuto”. Spiagge ancora diverse sono presenti nelle Zone Speciali di Conservazione, come la gariga costiera su ciottoli di “Montegiordano Marina”, l’Oasi di Scolacium e le varie Dune come: le “Dune Marinella”, le “Dune di Guardavalle”, le “Dune dell’Angitola”

Di grande interesse naturalistico e storico-scientifico anche gli habitat di altre aree blu come la laguna retrodunale della Zona Speciale di Conservazione di “Saline Ioniche”; della “Palude di Imbutillo” e del “Lago la Vota”. 

Può favorire il buon uso delle aree verdi e blu considerare che, sulle rocce che le ospitano, si possono osservare i segni e la evoluzione del paesaggio circostante. Come i terrazzi marini, formati dalle antiche spiagge che, dal livello del mare, sono state sollevate e spinte fino a quote superiori ai mille metri, durante l’ultima era geologica.

Come si possono osservare gli effetti dei cambiamenti climatici più recenti e storicamente documentati. Effetti che hanno condizionato fortemente la qualità della vita delle popolazioni.

Di rilevante interesse Storico e Scientifico, e ben documentati sulle nostre coste, sono gli effetti dei cambiamenti climatici registrati negli ultimi 3 mila anni. Effetti importanti nei periodi con clima più caldo-arido come quello Medioevale che va dall’anno 1.000 al 1.300 e il precedente detto dell’Età romana.  

Effetti ancor più rilevanti nei tre periodi di clima più freddo-umido e piovoso. In particolare, durante quello più recente della “Piccola Età Glaciale, dal 1500 al 1850, con effetti disastrosi su coste e tutti i centri abitati della Regione proprio a causa del cattivo uso delle aree verdi e blu. 

Così come va ricordata la specificità della composizione mineralogica di varie spiagge e habitat dove sono state rilevate concentrazioni significative di minerali anche d’interesse dal punto di vista industriale come, ad esempio, Magnetite, Granati, Ilmenite, Rutilio; e anche di altri minerali di interesse nucleare come: ortite, zircone e Monazite.  

In alcune spiagge come, ad esempio, quelle di Capo Vaticano e del comune di Montauro è abbondante la presenza della Monazite che è un minerale ricco di elementi di terre rare e che altera i valori di radioattività senza alcuna rilevanza sanitaria.   In proposito è da ribadire che, al contrario di quanto percepito e sospettato a seguito di allarmanti e fuorvianti servizi televisivi, non esiste alcuna contaminazione radioattiva di tipo artificiale o antropica. Come evidenziato nel Rapporto dell’Arpacal del 2017.

E non esiste alcuna contaminazione nel resto della Regione. Come certificato, nel 1997 dall’Agenzia Nazionale per la Protezione dell’Ambiente, nel rapporto “La Radioattività̀ Ambientale sulle coste delle Regione Calabria”. Redatto dopo approfondite indagini e controlli, eseguiti dalle massime autorità militari e scientifiche nazionali su tutte le spiagge, sul pescato e le acque marine della Calabria. 

Va ricordato che a decidere queste indagini fu Mario Signorino, primo Presidente dell’Agenzia Nazionale per la Protezione dell’Ambiente, ora Ispra, e fondatore di “Amici della Terra Italia”.

Paradossalmente, chissà perché, c’è ancora qualcuno che sospetta la presenza di contaminazione, proprio nell’unica Regione d’Italia nella quale è stata dimostrata e certificata l’assenza di contaminazione nei mari, nelle spiagge e nel pesce pescato sull’intero perimetro costiero.

Un’ultima considerazione sul buon uso delle aree blu e la necessità della loro implementazione per contrastare la piaga degli incendi che distruggono aree verdi, foreste e boschi, cioè quella vegetazione necessaria per stabilizzare il suolo,  prevenire l’erosione e per favorire l’infiltrazione delle acque piovane per la ricarica delle falde acquifere.

In pratica, il buon uso degli spazi Verdi e Blu, utile ovunque per promuovere Salute e benessere, per il mosaico di verde e blu della Calabria è anche una necessità per mettere in sicurezza le popolazioni e promuovere l’uso sostenibile delle ingenti risorse naturali disponibili. (mp)

[Mario Pileggi è geologo del Consiglio nazionale Amici della Terra]

G7, LA CALABRIA È PRONTA A NUOVE SFIDE
L’AMMIRAZIONE DEL MONDO CHE PRODUCE

di SANTO STRATI – Il G7 Trade in Calabria, che ha riunito i ministri degliEsteri o del commercio dei sette Paesi più industrializzati del mondo, lascia una traccia importante per la nostra terra: la Regione è stata per due giorni al centro dell’attenzione mondiale, ma non si è trattato solo di dichiarazioni di intenti. L’obiettivo principale (anche se non potevano dichiararlo) di Tajani e Occhiuto) era quello di far conoscere il territorio dello Stretto e da lì far partire l’attenzione a tutta la regione, sia sul piano della cultura e delle bellezze paesaggistiche (che contano molto come attrattore turistico) sia su quello, non meno rilevante delle attività produttive. Infatti, il B7 (B sta per business) che, prima del G7 ha tenuto a Reggio un’affollata sessione è servito a presentare alle delegazioni ospiti del G7 la grande capacità di intrapresa dei nostri imprenditori. Là dove emergono competenza, capacità e la determinazione tipica dei calabresi che quando si impuntano riescono negli obiettivi prefissati. L’incontro, ricordiamo, non riguardava solo i sette “Grandi” ma anche altri Paesi invitati.

È bene ricordarli tutti : India, Australia, Brasile, Turchia, Kenia, Cile, Nuova Zelanda, Corea del Sud e Vietnam. Non c’era la Cina («è un nostro competitor» – ha voluto sottolineare il ministro Tajani), ma chiusa l’esperienza non positiva della Via della Seta si possono trovare per il futuro sicuramente importanti punti di confronto).

Per la Calabria, dunque, è una vittoria a tutto tondo: i delegati sono rimasti ammaliati e sbalorditi dal fantastico spettacolo che si gode dal Castello di Alta Fiumara sullo Stretto e non avevano ancora raggiunto con le navette il Museo dei Bronzi: un viaggio lungo la Statale 18 che ha lasciato senza fiato chiunque non conoscesse lo Stretto e il suo incanto visto dalle coste calabresi. Un’emozione in più, in attesa di restare rapiti dalla maestosità dei Bronzi al Museo, testimonianza “fisica” della civiltà millenaria della Magna Grecia e l’ammirazione è cresciuta propor zionalmente alla scoperta delle tantissime ricchezze che lo stesso Museo riserva al visitatore.

Non solo dichiarazioni programmatiche e impegni sottoscritti, il G7 del Commercio mondiale è servito ad alimentare nuove amicizie e relazioni, a cementare rapporti preesistenti, a creare un collegamento che non si interrompe con la chiusura del Meeting. E questo obiettivo è decisamente stato raggiunto.

I documenti firmati esprimono la soddisfazione dei partecipanti di aver fatto un buon lavoro, gettando le basi per rafforzare il sistema multilaterale del commercio, che poi è alla base di qualsiasi idea di sviluppo sia per i Paesi industrializzati che per quelli emergenti.

Il nodo cruciale di questi incontri è rappresentato dalla diffidenza con cui – abitualmente – i delegati affrontano l’obiettivo di un risultato comune, in nome di equilibri mondiali da mantenere o da ripristinare. Una diffidenza che a Santa Trada di Villa San Giovanni pare si sia dissolta in un attimo, complice anche l’atmosfera da sogno che la location è stata in grado di offrire. E non per niente, il ministro degli Esteri giapponese Yōko Kamikawa, affacciato dal terrazzo di Santa Trada che domina lo Stretto, ha lasciato trapelare – tramite la sua portavoce Mariko Kaneko, intervistata da StrettoWeb – che c’è una grande possibilità di collaborazione delle aziende giapponesi nel contesto del progetto del Ponte (ovviamente il Governo giapponese non può parlare a nome delle aziende), ma è un’indicazione importante delle partnership internazionali che il Ponte potrà trovare.

Quale migliore opportunità, quindi, per la Calabria, di costruire nuove importanti e prestigiose relazioni dirette, con Paesi in grado di sostenere e promuovere scambi non solo commerciali nell’import-export, ma anche valorizzare relazioni industriali e puntare a reciproche occasioni di interscambio.

Basti solo pensare al turismo: per due giorni gli occhi del mondo sono stati puntati sullo Stretto, sul G7 di Santa Trada, che non ha certamente suscitato le emozioni dello straordinario funambolo estone Jaan Roose che ha attraversato lo Stretto su un filo di resina di appena due centimetri, ma ha stimolato suggestioni di grande respiro per la straordinaria bellezza dell’area dello Stretto. Suggestioni che saranno riportate in patria, crediamo con grande enfasi. Tutti i delegati hanno espresso positive reazioni che i nostri governanti –regionali e nazionali – dovranno portare a profitto per la Calabria e il suo futuro sviluppo turistico e commerciale.

Da questa esperienza si capisce che è fondamentale creare le basi per la realizzazione di centri congressi (il cui turismo porta grande ricchezza al territorio) e allargare la ricettività che risulta molto debole se si gioca la carta dell’attrazione: c’è il turismo religioso (importantissimo e mal gestito, con numeri che potrebbero sbalordire), quello artistico-culturale (e non mancano certo tesori di grandissima attrattiva), quello dell’escursionismo e del cicloturismo (non dimentichiamo i tre parchi nazionali che la Calabria può vantare: Pollino, Sila e Aspromonte) oltre naturalmente a quello balneare o degli amanti della montagna.

Il problema numero uno, però, rimane la mobilità: manca un piano strutturale per le vie di comunicazione. Ci sono intere zone della Calabria impossibili da raggiungere con tempi “umani” e degli del terzo millennio. Le infrastrutture viarie sono alla base di qualsivoglia idea di turismo si intenda sviluppare. Il nuovo assessore Giovanni Calabrese avrà da lavorare parecchio e non solo sul piano della promozione dell’offerta turistica, ma dovrà batterei pugni in Regione perché si sviluppi una rete stradale in grado di sostenere la domanda di turismo. Diversamente, ci ritroveremo, come al solito, in una situazione che non smetto mai di rimarcare: la Calabria è un grande negozio ricco d’ogni ben di dio e per qualunque esigenza, solo che ha le saracinesche abbassate. In questo caso devo, per completezza, aggiungere che il “negozio Calabria” è anche troppo spesso irraggiungibile.

Servono sì guide competenti (e abbiamo fior di laureati che non chiedono altro di poter raccontare il territorio ai forestieri e ospiti) ma è necessario immaginare (e creare) una rete di collegamenti strutturali che consentano di visitare in lungo e in largo ogni angolo suggestivo della Calabria (cioè l’intero territorio).

Abbiamo un set cinematografico naturale che risulta incantevole non solo per le produzioni che – meritoriamente – la Calabria Film Commission attrae), ma per chiunque viene a scoprire questa terra.

Chi viene in Calabria se ne innamora, spesso perdutamente, e questo i governanti lo devono tenere a mente. Ma qualsiasi amore, se non ricambiato, si deteriora e finisce.

Aspettiamo i turisti, ma dobbiamo offrire loro tutte le commodities necessarie, aggiustiamo le strade, teniamo pulite le città, valorizziamo i borghi, offriamo accoglienza e ospitalità, come tutti i calabresi hanno nel dna. Ma non è impresa facile, nè veloce: serve visione.Quella che fino a qualche anno fa era assente e che il Presidente Roberto Occhiuto sta mostrando di avere. Offriamo un nostro suggerimento gratuito: dia molta attenzione alla reputazione. Il turista che riparte felice è un traino per nuovi ospiti. Le maldicenze e gli stereotipi sulla Calabria “brigante e mafiosa” sono in via di sparizione – grazie al cielo – ma serve giocare sugli affetti e le sensazioni.

C’è una conferma in tutto ciò: l’amministratore delegato di RyanAir si è innamorato della Calabria e sta investendo sui nostri aeroporti: è bastata una visita a Scilla ed è scoccata la scintilla della passione. La Calabria è in grado di ripetere all’infinito questa emozione, ma serve determinazione e professionalità tra chi governa e gli operatori turistici, affiancata da una grande campagna di comunicazione che non può essere fatta con gadget da pochi spicci da regalare alle fiere del turismo che si fanno nel mondo. (s)