L’AUTONOMIA DIFFERENZIATA, A SCUOLA
SI RIVELERÀ UN VERO E PROPRIO DISASTRO

di SERGIO DRAGONE – A subire in Calabria gli effetti devastanti dal progetto di autonomia differenziata sarebbe, più di altri, il sistema scolastico. Se passasse nell’attuale stesura il progetto Calderoli, la nostra regione non potrebbe, per via di una spesa storica molto elevata in materia di istruzione, chiedere ulteriori risorse e dovrebbe perfino pensare di ridurre quelle esistenti per adeguarsi alla media nazionale. All’orizzonte ci sarebbero tagli, accorpamenti ulteriori e inevitabili chiusure di istituti ritenuti poco “produttivi”. Un disastro, insomma.

Un freddo ragionamento tecnico porterà a dire che il sistema scolastico calabrese costa già troppo, ci sono troppe scuole e pochi alunni, ci sono troppi docenti e peraltro con anzianità di servizio che determina maggiori costi in fatto di stipendi. Mentre, ad esempio in Lombardia, con una spesa storica pro capite inferiore alla media nazionale e con una maggiore efficienza del sistema (un numero maggiore di studenti per classe, docenti più giovani e meno costosi) il sistema potrebbe essere ulteriormente potenziato con un allineamento delle risorse.

La comparazione sugli effetti che l’autonomia differenziata potrebbe avere in Calabria e Lombardia in materia di istruzione è contenuta nell’interessante tesi di laurea brillantemente discussa all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza dal catanzarese Giuseppe Tallini, dal titolo “Autonomia differenziata: evoluzione normativa, implicazioni pratiche e focus sull’istruzione”, nell’ambito del corso di laurea in Gestione d’Azienda.

Si parte da un dato fondamentale, la spesa storica in materia di istruzione che in Calabria è di 949,07 euro per abitante, mentre in Lombardia è di 653,70 euro/abitante. Ecco come lo spiega Giuseppe Tallini.

Potrebbe ravvisarsi quale primaria motivazione la diversa conformazione orografica dei due territori che, in Calabria, è tale per cui maggiore è la dispersione geografica degli abitanti residenti sul territorio. Riprendendo qualche concetto già espresso in precedenza, infatti, un già basso valore di densità della popolazione della Calabria, contro quello della Lombardia, più di tre volte alto rispetto a quest’ultima, promuove seppur non da solo la crescita della spesa storica; stante la necessità di garantire un adeguato accesso all’istruzione in una regione dove non sempre ampie distanze sono colmate da un servizio di trasporto adeguato, è necessario accrescere le scuole esistenti che, quindi, per quanto troppo numerose rispetto alla popolazione studentesca e, per tale motivo di minori dimensioni, comunque impatteranno sul fabbisogno finanziario della Regione in materia di istruzione.

Nello studio si evidenzia che il numero medio di studenti per scuola è 999,48 in Lombardia, mentre in Calabria è di 708,41, più basso della media nazionale che è di 889,45. Il numero di studenti per classe è di 21 per la Lombardia, mentre in Calabria è di 17 a fronte di una media nazionale di 20. Sintomi di scarsa efficienza, dunque.

Una considerazione che è possibile trarre dalle risultanze di cui sopra è che, avendo la Calabria un numero medio di studenti per scuola inferiore rispetto alla Lombardia, il cui KPI è maggiore alla media nazionale, per garantire alla popolazione studentesca calabrese l’accesso all’istruzione sarebbero sufficienti in Calabria un minor numero di scuole rispetto a quelle esistenti ove, però, venissero raggiunti maggiori livelli di efficienza che alla luce delle caratteristiche orografiche del territorio sarebbe possibile perseguire adottando misure quali, per esempio, accorpamenti e miglioramento del servizio di trasporto.

A conferma delle considerazioni alle quali si è giunti, conseguono in Calabria, dunque, rispetto alla Regione Lombardia, ma anche alla media nazionale italiana, un maggior numero di scuole con un esiguo numero di iscritti e, conseguentemente classi numerose nella quantità ma non nel numero di frequentanti, come dimostra anche il numero medio di classi per istituto che in Calabria è nettamente inferiore alla Lombardia e alla media nazionale. Tale frammentazione, laddove maggiore, implica necessariamente, sebbene con una minore incidenza, un aggravio di spese strutturali per la manutenzione e, non solo, di ciascun edificio e di costi strettamente correlati al personale scolastico, docente e non docente, necessario al funzionamento di ciascuna scuola, come accade per la Calabria. Se, dunque, preponderante è la spesa per il personale sul complessivo fabbisogno finanziario in materia di istruzione è evidente come, un “obbligata” numerosità delle strutture scolastiche, a cui corrisponde, prima di ogni altra cosa, un maggior fabbisogno di risorse umane, contribuisca ad una sostenuta spesa storica rispetto alla Lombardia.”

Un altro elemento che emerge dalla ricerca è l’impatto sugli stipendi del personale.

Oltre quanto appena concluso, non può essere tralasciato un altro aspetto che impatta sulla spesa storica, ovvero l’età anagrafica dei docenti. A tal proposito giova attenzionare la situazione economica e sociale attuale che vede i giovani emigrare per ragioni professionali verso il nord e, i lavoratori più anziani a rimanere al sud; se, dunque, l’anzianità di servizio implica un maggior stipendio per i docenti è evidente come inevitabile sia, anche a parità di personale, una maggiore spesa per le regioni meridionali e, quindi, anche per la Calabria.

Esiste anche un notevole divario dal punto di vista qualitativo e dei risultati in questa comparazione Calabria-Lombardia.

Se, dal punto di vista quantitativo quindi, si rileva in Lombardia un minor fabbisogno necessario a finanziare la funzione istruzione, ovvero una minore spesa storica pro capite, dal punto di vista qualitativo una minore dotazione di risorse non preclude migliori risultati rispetto alla Calabria in cui, da una valutazione dei risultati scolastici perseguiti dagli studenti si è rilevata una minore qualità dell’istruzione. Il divario, se poco significativo, emerge nei primi anni di scuola e, dunque, nella scuola dell’infanzia, segue un trend crescente man mano che gli studenti avanzano nel grado e ordine di scuola, divenendo particolarmente significativo negli ultimi anni del percorso scolastico. Tra le motivazioni sottostanti, pertanto, rilevano senz’altro le diverse dotazioni strutturali delle scuole a beneficio degli studenti (in Calabria, per esempio, solo il 20% delle scuole ha in dotazione una mensa e, addirittura, solo il 17% una palestra) oltre che un contesto economico e sociale differente e fenomeni diffusi quali la dispersione scolastica e una minore offerta di attività extra scolastiche da parte delle istituzioni.

E dunque cosa potrebbe accadere se l’impianto di Calderoli restasse immutato?

Ritornando all’istruzione, a parità di età i ragazzi del sud sono di qualche anno indietro rispetto a quelli del nord, il che rappresenta una seria problematica nell’ambito di una stessa comunità nazionale; si pensi, a tal proposito, a cosa potrebbe accadere se ogni Regione potesse gestire autonomamente e, sulla base del proprio gettito, l’ordinamento scolastico e, più in generale, l’intero comparto. Ne conviene, dunque, un problema non solo economico e finanziario; sebbene le Regioni che ad oggi detengono nella spesa storica di alcune funzioni un trend maggiormente crescente rispetto ad altre, alla luce dell’autonomia differenziata potrebbero subire tagli nella dotazione di risorse tali da peggiorare ulteriormente la qualità e quantità dei servizi offerti, a scapito della popolazione in essa residente. La questione diviene, per tale ragione, anche e soprattutto sociale al punto da suscitare l’interesse della Chiesa che, fin dalla fine degli anni novanta sostiene un’idea di sviluppo che metta al centro le persone, le risorse e le peculiarità dei territori e non solo indicatori economici.”

L’analisi di Tallini arriva a giudicare “insostenibile” il progetto di autonomia differenziata nell’attuale stesura.

Viene ritenuto insostenibile il progetto di autonomia differenziata attualmente proposto poiché nella sostanza distante da una crescita unitaria coerente con i principi di solidarietà, sussidiarietà e coesione sociale stante una serie di peculiarità che, piuttosto, promuovono l’individualismo e una crescita difforme; basti pensare alla volontà di procedere alla determinazione dei costi e fabbisogni standard che rendono impossibile la valorizzazione delle potenzialità di un territorio o, ancora, all’impossibilità di sovraccaricare il bilancio dello Stato di ulteriori costi e oneri che, implicitamente, rende impossibile il perseguimento dei livelli essenziali delle prestazione. A distanza di anni, quindi, dall’introduzione di una tale riforma sarebbe, dunque, opportuno pensare ad interventi che, prima di ogni cosa, possano colmare le differenze attualmente esistenti tra le regioni, tra nord e sud in particolare e, poi, coerentemente con quanto sancito dalla Costituzione della Repubblica italiana, riconoscere maggiori e ulteriori forme di autonomia alle Regioni. Se opportunamente applicato e gestito, infatti, tale progetto potrebbe rivelarsi un adeguato volano ad una maggiore crescita e sviluppo, uniformi, del paese tutto”. (sda)

TRA BLOCCO ASSUNZIONI E DIRITTI NEGATI
STA SPROFONDANDO LA SANITÀ CALABRESE

di ANGELO SPOSATO, ALESSANDRA BALDARI, CARMELO GULLÌ E FRANCESCO MASOTTI – Sul Sistema sanitario nazionale si è scatenata la “tempesta perfetta” e i “segnali” del suo graduale ma inarrestabile declino sono tanti: il persistente definanziamento (37 miliardi di euro di tagli negli ultimi 10 anni), le disuguaglianze e le divisioni create da 20 diversi sistemi sanitari regionali, il crescente invecchiamento della popolazione e la riduzione progressiva del personale per la fuoriuscita anticipata di decine di migliaia di medici e operatori sanitari, con la difficoltà, quindi, di riuscire a tenere aperti i reparti ospedalieri o di assicurare l’assistenza di base ai cittadini.

Secondo i dati dell’Osservatorio nazionale sulla salute, nei prossimi dieci anni il Ssn si troverà con circa il 25% di personale in meno e a niente servirà “importare” medici stranieri o richiamare in servizio medici in pensione.

In un Paese dove aumenta la vita media e crescono le malattie croniche il problema diventa l’assistenza e la cura della persona. Senza investimenti e risorse adeguate il Ssn pubblico ed universale non potrà sopravvivere. Serve, invece, come sosteniamo da tempo, un piano straordinario di riordino dei servizi, di assunzioni e di investimenti nella sanità pubblica con un incremento stabile del finanziamento del SSN che lo riporti in linea con la media degli altri paesi europei e l’eliminazione dei vincoli del tetto di spesa per il personale degli enti dei Servizi Sanitari Regionali.

Una nota a parte merita la grave situazione della Calabria che, già a distanza di dieci anni dalla regionalizzazione della sua sanità, è piombata all’interno di un pesantissimo piano di rientro, con ricadute negative in termini di blocco delle assunzioni e di mancate risposte ai bisogni di salute dei cittadini.

Ad oggi siamo all’attuazione del quinto Programma Operativo senza alcun risultato concreto: livelli essenziali di assistenza sotto la soglia della sufficienza e una migrazione sanitaria che mette in serie difficoltà i cittadini e svuota le casse regionali. Situazione che, negli ultimi quattro anni e mezzo di guida della Regione da parte del centrodestra calabrese, è peggiorata. Lo attestano i cittadini che chiedono assistenza e cure ed è certificato dal sistema di monitoraggio dei Lea dall’Agenas e da organismi indipendenti come la Fondazione Gimbe.

E, intanto, la Calabria continua a non spendere per garantire l’assistenza sanitaria ai suoi cittadini, a tal punto che i tecnici dei ministeri della Salute e del MEF nell’ultimo verbale dello scorso 22 gennaio scrivono che «l’avanzo che si osserva dopo le coperture nell’anno 2022 è collegato al ritardo degli interventi, come anche evidenziato dai numerosi accantonamenti delle risorse del Fondo sanitario regionale indistinto e vincolato, che avrebbero dovuto essere messi in atto per il potenziamento dei Lea, auspicati dalle numerose iniziative legislative nazionali a sostegno della Regione Calabria intervenute negli anni e dall’iscrizione dei contributi dello Stato a sostegno del Piano di rientro della Regione Calabria che appaiono non utilizzati».

Sembra di rileggere l’ultima relazione annuale della Corte dei Conti che parla di “contributi dello Stato a sostegno del Piano di rientro della Regione Calabria che appaiono largamente non utilizzati” e di “ritardo degli interventi che avrebbero dovuto essere messi in atto per l’erogazione dell’assistenza sanitaria attraverso il potenziamento dei Lea. L’avanzo al 31 dicembre 2022, (chiosa la Corte dei Conti), non fotografa in maniera veritiera e corretta la situazione del sistema sanitario calabrese”.

Rilanciamo con forza l’impegno assunto dalla presidenza di Giunta regionale, ad oggi disatteso, ad attivare tavoli di confronto continuo di livello regionale prima e delle Aziende Sanitarie Provinciali a seguire in cui operare la contrattazione socio-sanitaria territoriale, quale aspetto di fondamentale importanza nel complesso lavoro di riorganizzazione del Sistema sanitario regionale.

Se l’impegno assunto non sarà rispettato mobiliteremo lavoratori e i cittadini a difesa e tutela del diritto a curarsi ed essere assistiti nel territorio in cui vivono per fermare i processi di emigrazione sanitaria, di privatizzazione e per rilanciare un Sistema sanitario regionale pubblico e un sistema socio-sanitario che garantisca tutte le comunità, con particolare attenzione a quelle delle aree interne e contribuisca ad evitarne lo spopolamento.

Diritti rispetto ai quali, il disegno di legge per l’attuazione dell’autonomia differenziata delle regioni, il cosiddetto ddl Calderoli, non solo non risolverebbe le gravi problematiche della nostra regione, ma ne accentuerebbe le disuguaglianze e il divario rispetto alle altre regioni italiane. (as, ab, cg, fm)

[Angelo Sposato, Alessandra Baldari, Carmelo Gullì e Francesco Masotti sono rispettivamente Segretario Generale Cgil Calabria, Segretaria Generale Fp Cgil Calabria, Segretario Generale Spi Cgil Calabria e Fp Cgil Medici Calabria]

NUOVI DISTRETTI INDUSTRIALI INNOVATIVI
AMBIENTE PER FARE IMPRESA IN CALABRIA

di DAMIANO SILIPOIl 19 e 20 aprile 2024 si è svolta a Soveria Mannelli la I Conferenza programmatica del Partito Democratico Calabrese, nella quale si sono definite le proposte del Partito Democratico per la Calabria di domani. Una conferenza molto partecipata, con discussioni qualificate, che ha dimostrato la voglia di costruire una Calabria diversa. 

La Calabria oggi è una regione poco sviluppata, pur avendo un notevole potenziale di sviluppo in termini di disponibilità di risorse naturali, umane e culturali. 

Oggi vivere in Calabria è ancora più difficile di ieri, perché le possibilità di lavoro nel settore pubblico si sono fortemente ridotte ed in quello privato ci sono solo opportunità di lavori poco qualificati o poco remunerati. D’altra parte, fare impresa in Calabria è più che una impresa, tra vessazioni della ‘ndrangheta e della burocrazia e il comportamento delle banche, tutt’altro che disposte a condividere i rischi d’impresa. 

Oggi i giovani calabresi hanno perso anche la speranza di poter costruire il loro futuro in questa regione ed emigrano sempre più in massa. D’altronde, l’uso dei fondi pubblici negli ultimi 30 anni non ha rafforzato la speranza che valga la pena investire su sé stessi in questa regione. 

Di recente l’Istat ha certificato che, nonostante la realizzazione di tre Por-Calabria, negli ultimi 20 anni la percentuale di persone che lavorano in Calabria era il 42,8% nel 2000 e si è addirittura ridotta al 42% nel 2021, 16 punti percentuali in meno della media italiana e 26 punti percentuali in meno della media europea. Poi, il tasso di occupazione femminile tra 15-64 anni si attesta al 28,60%.  Inoltre, per le condizioni della sanità calabrese, si sta affermando sempre più la convinzione che conviene emigrare anche per ridurre la propria probabilità di morte, di fronte ad un problema di salute. 

Per dare una qualunque prospettiva di crescita alla Calabria occorre contrastare il decremento demografico ed allargare la base produttiva della regione, aumentando di almeno venti punti percentuali in 10 anni il tasso di occupazione e di 30 punti quello femminile. 

Il Partito Democratico è consapevole che o si determinerà oggi una svolta o mai più. infatti, l’autonomia differenziata avrà due effetti sullo sviluppo della Calabria: non consentirà più di avere le risorse per lo sviluppo, ad iniziare dalla sanità, e spingerà molti occupati qualificati ad emigrare in altre regioni, dove saranno meglio retribuiti. 

Per costruire una prospettiva di sviluppo per questa regione occorre: capire su quali risorse interne puntare, tenendo conto delle dinamiche in atto nell’economia; capire cosa ha impedito finora a queste risorse di essere volano di sviluppo; agire per far sì che i comportamenti individuali e collettivi consentano a queste risorse di generare sviluppo. 

Finora le università calabresi hanno svolto bene la funzione di creare il capitale umano di questa regione. La sfida del futuro è se le università calabresi, da luogo di alta formazione e ricerca, diventeranno motori di sviluppo. Se giovani laureati, utilizzando brevetti e ricerca prodotti nelle università, diventeranno gli imprenditori di domani. Informatica e telematica, attività legate allo sviluppo dell’intelligenza artificiale, biotecnologie, nuovi materiali, ma anche tutte le attività legate alla transizione ecologica, potrebbero allargare la base produttiva regionale e offrire la possibilità a giovani laureati calabresi di sviluppare le proprie capacità imprenditoriali. 

I punti di eccellenza però possono diventare sviluppo solo se c’è una convergenza d’interessi e di risorse tra imprese, banche, istituzioni pubbliche e università, per costruire uno-due distretti industriali innovativi, dove veramente ci sia un ambiente favorevole per fare impresa in Calabria. 

Nuovi distretti industriali si possono creare se si realizza un sistema integrato d’interventi, che va dagli investimenti nelle infrastrutture materiali e immateriali più adeguate a questo scopo, agli incentivi per la creazione di nuove imprese innovative, alle agevolazioni fiscali finalizzate a questo obiettivo, alla condivisione del rischio tra banche, imprese e Stato. 

A questo scopo, l’azione pubblica per essere efficace deve essere in grado di scegliere, superando uno degli ostacoli più importanti che ha impedito finora alla Calabria di svilupparsi: la mancanza di scelte, per non scontentare nessuno e poter promettere a tutti. Da cui ne è scaturita la parcellizzazione delle risorse finanziarie in mille rivoli e la loro inefficacia. Il nuovo PR Calabria 2021-27 è un ulteriore esempio di questo tipo. 

Scegliere comporta definire delle priorità. Per il Partito Democratico Calabrese le priorità per creare sviluppo sono: 1) La creazione di un sistema sanitario pubblico in grado di rispondere ai bisogni di salute dei calabresi; 2) La realizzazione di alcuni distretti industriali attorno alle università calabresi, ai porti di Gioia Tauro e Corigliano-Rossano e all’aeroporto di Lamezia Terme; 3) lo sviluppo di un tessuto imprenditoriale diffuso, basato su turismo, agricoltura e ambiente; 4) investimenti nelle zone interne per creare lavoro nei settori dell’agricoltura, forestazione e ambiente e per incentivare il ripopolamento; 5) investimenti per migliorare la capacità amministrativa delle amministrazioni pubbliche ed accrescere la legalità in questa regione.  

Stabilire delle priorità potrebbe non essere conveniente per vincere le prossime elezioni, ma è la strada migliore per governare in modo efficace e vincere le elezioni nel lungo periodo. 

Una sanità pubblica efficiente non è solo un fattore di equità ma anche di sviluppo.  A questo scopo, occorre rafforzare la sanità pubblica, attraverso un aumento dei posti letto e del personale e attraverso una riorganizzazione dei servizi; aumentare i posti di specializzazione offerti dalle facoltà mediche esistenti in Calabria sulla base del fabbisogno di personale nella sanità calabrese ed usare il PR 2021-2027 a questo scopo. 

La Calabria non ha mai avuto un vero sviluppo industriale. I pochi investimenti industriali promossi dallo Stato si sono rivelati fallimentari, per la totale estraneità delle scelte alla realtà regionale. Per converso, molte competenze artigianali esistenti in vari settori nella regione sono rimaste tali o si sono disperse. Alcuni motivi del mancato sviluppo sono la mancanza di infrastrutture e servizi, un ambiente ostile e una burocrazia inefficiente e opprimente, che scoraggia anche i più audaci. 

Il Partito Democratico ritiene che sia possibile costruire ipotesi di sviluppo industriale in Calabria, attorno ai punti di forza indicati in precedenza. 

Il settore turistico costituisce un altro punto di forza dello sviluppo regionale.  Si tratta, quindi, di superare i limiti dello sviluppo turistico regionale e di fare un salto di qualità in questo settore, estendendo l’offerta alle zone interne, ai percorsi tematici che possono andare dalla religione alla gastronomia, coprendo anche piccole aree di interesse che sommate possono fare buoni numeri. 

A tal fine, è necessario migliorare la qualità dei beni pubblici esistenti in Calabria, ad iniziare dall’ambiente e dai servizi offerti, come i servizi di trasporto e per il tempo libero. 

La Calabria negli ultimi decenni ha subito un notevole degrado ambientale, che compromette anche il suo sviluppo turistico. Il Partito Democratico ritiene che tra gli obiettivi prioritari vi è quello di predisporre un grande progetto di recupero paesistico-ambientale, per realizzare in modo definitivo entro il 2027 l’eliminazione in tutta la regione dell’inquinamento del suolo, del mare e delle acque. 

Al riguardo, è indispensabile realizzare un servizio idrico integrato efficiente e puntare sull’economia circolare, trasformando i rifiuti da problema a risorsa, creando così anche tanti posti di lavoro. 

Fermare lo spopolamento e ripopolare le zone interne è una priorità per lo sviluppo calabrese. A questo scopo, il PD Calabrese ritiene che se si creassero occasioni di lavoro anche per gli immigrati nelle zone interne non sarebbe dannoso per l’Italia e la Calabria. il potenziamento dell’offerta turistica nelle zone interne, un piano straordinario di rimboschimento, lo sviluppo dell’agricoltura biologica sono fattori su cui puntare per lo sviluppo delle zone interne. Ma se in queste zone si chiudono i servizi, come scuole e sanità, perché si sono spopolate è come condannare le zone interne alla morte. 

La burocrazia è considerata dagli imprenditori calabresi il principale ostacolo allo sviluppo. E la recente creazione di una Zes unica nel Mezzogiorno non farà altro che aumentare gli ostacoli burocratici e scoraggiare gli investimenti delle imprese calabresi. 

La costruzione di una Calabria moderna passa quindi da un processo di semplificazione legislativa e burocratica, e da un rapporto diverso tra politica e burocrazia, ad iniziare dal processo di selezione della burocrazia regionale. Tra l’altro, un numero eccessivo di progetti e obiettivi d’investimento associato ad una scarsa capacità amministrativa, può dilazionare oltre ogni misura o vanificare la stessa realizzazione dei progetti. 

Lo sviluppo della Calabria richiede che i governi regionale e nazionale facciano subito chiarezza su quali progetti sono allocati i fondi PNRR e PR-2021-2027 destinati alla Calabria ed i tempi di realizzazione. Ogni ulteriore ritardo è un atto doloso del Presidente Occhiuto e della sua giunta verso i calabresi, perché significa disperdere queste risorse.

Ma se la Conferenza Programmatica di Soveria Mannelli è un inizio per costruire la Calabria di domani dipende da quanto il PD Calabrese sarà in grado di cambiare sé stesso per cambiare la Calabria. (ds)

[Damiano Silipo è docente all’Unical]

 

L’AUTONOMIA FA A PUGNI COL PREMIERATO:
NON CONCEDE COMPETENZE MA SOVRANITÀ

di NINO FOTIQuesto disegno di legge ci traghetta verso una subdola rottura della Costituzione con la creazione di un Grande Nord in opposizione ad un Piccolo Sud, e la creazione dunque di una specie di due Stati all’interno della Repubblica senza bisogno di alcuna secessione, esattamente al contrario di quanto ci ha richiesto l’Europa con il Pnrr, ovvero la riduzione delle disuguaglianze e l’aumento della coesione sociale, anche e soprattutto nel Mezzogiorno, grazie al prestito di 200 miliardi. 

Non vedere tutto questo, ovvero ciò a cui ci stiamo pericolosamente avvicinando, significa essere miopi o corresponsabili di una strategia confezionata dalla Lega dato che, dopo l’approvazione al Senato, è previsto che il provvedimento vada in Aula alla Camera il 29 aprile p.v. con un presunto accordo, non scritto, che non prevede che la maggioranza possa fare emendamenti di modifica. Lo Stato italiano inconsapevolmente non sta per cedere competenze, ma sovranità in totale contraddizione paradossalmente con il Ddl costituzionale del Governo sul premierato.

L’aggiramento della Costituzione, che il Ddl “Disposizioni per l’attuazione dell’autonomia differenziata…” vorrebbe mettere in atto, parte dall’elusione del vincolo dei Lel previsti dall’articolo 117. Esso trova il suo inganno nell’art. 4 del Ddl, specificamente nei due commi che disegnano un’insana meccanica per cui se dapprima (comma 1), con retorica ostentazione di difesa costituzionale, si afferma che nessuna intesa tra Stato e Regione (se non dopo loro definizione) possa assoggettare le funzioni che prevedono il rispetto dei Lep, in totale contraddizione, immediatamente dopo nel comma 2, si consente l’immediata stipula di intese circa le altre materie a legislazione elencate nell’art. 117, oltre al trasferimento di tutte quelle funzioni, con annessi e connessi, “nei limiti delle risorse previste a legislazione vigente all’entrata in vigore della presente legge”.

In questo quadro, dunque, queste intese, siglate dalle singole Regioni, soprattutto del Nord, e lo Stato, diventano irrevocabili ed inemendabili, e conseguentemente la spesa storica non solo non può più essere cambiata, ma viene costituzionalizzata! Una costituzionalizzazione, di fatto, della eliminazione della legge del 34% di investimento della spesa pubblica nel Sud – che poi non è mai stata rispettata -, per cui ognuno sarà portato a tenersi “il suo”, per gli altri “sono affari loro”.

Non a caso il Governo Draghi aveva stanziato 4 miliardi del fondo di perequazione del Mezzogiorno, confermati nella legge finanziaria del Governo Meloni, purtroppo poi ridotti a soli 800 milioni…

Tornando alla questione delle intese, queste non possono essere soggette a referendum perché è come se ciascuna intesa fosse una legge di bilancio, una specie di trattato tra l’Italia e la Germania per cui non è possibile nemmeno sottoporlo a referendum. In aggiunta, le Regioni con una legge regionale, senza che lo Stato possa dire niente, creano organismi comuni, un parlamento, per gestire interessi comuni, le intese appunto. E quali sono le materie interessate?

Il rapporto con l’estero, i rapporti con l’Europa, la legislazione sulla sicurezza del lavoro, la valorizzazione dei beni culturali, i musei, le autostrade, in teoria c’è tutto… Oltretutto, la Regione più ricca potrà attivare incentivi agli investimenti molto più alti di una regione più povera. Altro che politiche dello sviluppo, queste sono politiche di sottrazione delle risorse! È chiaramente una manovra per eludere la Costituzione ed attuare il 116 comma 3 come elusione della Costituzione, non come adempimento della Costituzione… Ed è proprio in quell’articolo 4 comma 1 e comma 2 dove è insito una specie di imbroglio!

Ad avvalorare la poca, se non del tutto assente, genuinità della riforma attualmente all’esame della Commissione affari costituzionali della Camera, vi è la preoccupazione espressa da Bankitalia che ha sottolineato come già dall’art. 11 si vada delineando una corsia preferenziale per quelle regioni, come Lombardia, Veneto e Emilia Romagna, che, guarda caso, si erano già preventivamente attivate con delle intese nel 2018 (quindi prima della proposta di legge attuale).

Intese ed accordi che, a mio avviso, sanno di anti democraticità e anti costituzionalità poiché si basano su un insano principio per cui i cittadini italiani abbiano bisogni e necessità diverse a seconda di dove vivano, e soprattutto che l’italiano ricco nella regione ricca, paradossalmente, abbia bisogni e necessità maggiori in ogni ambito, semplicemente perché “più utile”, “più produttivo”.

L’unica differenziazione allora consisterà nel fatto che le “Regioni povere”, scevre da ogni intesa, potranno contare meramente su Lep calcolati su criteri della spesa storica totalmente inadeguati ai costi reali… In effetti, però, tutto questo si incardina in un sistema in cui non vi è una volontà lungimirante di concedere Lep uguali per tutti, anche e soprattutto per ragioni di insostenibilità di costi (la spesa ammonterebbe a 100-120 miliardi annui, come calcolato da Banca d’Italia, Svimez, Confindustria e Commissione Cassese).

Questa riforma, se definitivamente approvata, non potrà che condurre ad un terremoto costituzionale, le cui conseguenze, inevitabili, non potranno che portare ad una legalizzazione della disparità e discriminazione dei cittadini italiani, sulla base della loro Regione di provenienza. (nf)

[Nino Foti è presidente della Fondazione Magna Grecia]

LA CALABRIA È PENULTIMA NELLA LETTURA
L’AMORE DEI LIBRI DEVE NASCERE A SCUOLA

di GUIDO LEONEIl 23 aprile, come ogni anno dal 1996, si celebra in tutto il mondo la Giornata  Mondiale Unesco del Libro e del Diritto d’Autore. È l’occasione per celebrare solennemente i molteplici ruoli del libro nella vita della società umana e per proporre una riflessione seria sulle politiche culturali,dove centrale resta l’educazione alla lettura e l’importanza delle biblioteche, intese non solo come luogo di conservazione e di accumulazione, ma come centri vivi di rielaborazione e di produzione di cultura.

Per tradizione l’Italia è un paese dove si legge poco e finiamo in fondo alla classifica. I dati infatti non sono incoraggianti. Tra gli stati europei il nostro è quello con la più alta percentuale di non lettori il 58,6%(e di questi il 25,1% di laureati e il 39,1% di dirigenti) contro il 37,8% della Spagna e il 30,3% della Francia.

Tra le grandi potenze mondiali, vanno ricordati il settimo posto della Russia, il nono della Francia, il ventiduesimo della Germania, appena davanti a Stati Uniti e Italia.
Il nostro paese conferma del resto quello che già si sapeva, siamo in un paese che continua a preferire altre attività rispetto alla lettura, ad esempio seguire la televisione. Gli Editori sanno qualcosa al riguardo.

Il principale ostacolo all’allargamento del mercato dei libri e dei quotidiani deriva dalle scadenti competenze alfabetiche degli italiani, ovvero di quell’insieme di strumenti che consentono capacità autonome di lettura, comprensione e interpretazione di un testo. Il libro, dunque, oggetto silenzioso, insostituibile strumento di cultura, in Italia muore di freddo.

Non arrivano buone notizie, insomma, dall’ultima indagine Istat.

Si stima che il 39,3% delle persone di 6 anni e più abbia letto almeno un libro nei 12 mesi precedenti per motivi non strettamente scolastici o professionali.  Il valore si è ridotto rispetto a quanto rilevato nei due anni precedenti, quando i lettori di libri sono stati rispettivamente il 41,4% (2020) e il 40,8% (2021) e di molto il 46,8 nel 2010. 

Sono i giovani tra gli 11 e 19 anni ad avere le quote di lettori più elevate con un picco del 57,1 per cento degli 11-14enni; seguono i ragazzi tra i 15 e i 17 anni con il 51,1 per cento dei lettori e quelli tra i 18 e i 19 anni con il 49,9 per cento.

Contrariamente a quanto accade per i quotidiani, la quota di lettori di libri nel tempo libero diminuisce al crescere dell’età e le donne, in tutte le fasce di età, mostrano un interesse maggiore degli uomini per la lettura con oltre 10 punti percentuali di differenza (in totale il 44,0 per cento donne lettrici contro il 34,3 per cento di lettori maschi). Si segnala tuttavia una diminuzione significativa anche delle lettrici di 1,7 rispetto al 2021; per gli uomini la diminuzione è pari al 1,6 per cento. Tra i lettori forti  si distinguono gli adulti dai 55 anni in poi (la percentuale supera la media nazionale) con un picco del 22,7 per cento tra i 65 e i 74 anni, e le donne (17,5 per cento contro il 14,7 per cento dei maschi) di tutte le età.

Si conferma la distanza tra Nord e Sud nell’abitudine alla lettura che si amplifica quando si considerano i libri: si dichiarano lettori di almeno un libro negli ultimi 12 mesi il 27,9 e il 28,0 per cento dei residenti, rispettivamente, nel Sud e nelle Isole.

La Calabria si trova al penultimo  posto nella graduatoria delle regioni per percentuale di lettori: il 24,5%. Di questi , il 46,6% ha letto da 1 a 3 libri, e il 12,8% da 12 o più libri.

Pesante il dato complessivo, sempre per la nostra regione, della percentuale delle persone di 6 anni e più che non hanno letto libri negli ultimi 12 mesi il 71,6% o quotidiani il 74,8% e che portano la Calabria all’ultimo posto nelle graduatoria regionale.

Negativi anche i dati complessivi che l’Istat fornisce sulla percentuali di calabresi che nell’ultimo anno non hanno fruito di spettacoli e intrattenimenti fuori casa: l’84,8% nei musei, l’84,4% nei siti archeologici, l’89,1% nei concerti, l’87,6% nei teatri, il 73,7%  nei cinema, l’81,0% negli sport, l’86,6 nelle discoteche.

La situazione trova riscontro  nel 19° Rapporto annuale di Federculture 2023 in cui si evidenzia che l’analisi della spesa media mensile delle famiglie nelle regioni denota come siano costanti i divari territoriali tra Nord e Sud del Paese. Rispetto al capitolo Ricreazione, sport e cultura è di 85 euro la differenza tra la spesa massima del Nord (Trentino Alto Adige 127,8 euro) e quella minima del Sud (Calabria 42,4). Con le Regioni del Sud e Isole che sono tutte al di sotto della media nazionale sia in termini di spesa assoluta che di incidenza percentuale sul totale della spesa media mensile familiare.

E con l’avvento della riforma per l’autonomia differenziata il vuoto culturale tra Nord e Sud si accentuerà sempre più.

È necessario, dunque, allargare il mercato e i consumi culturali se vogliamo che il libro sopravviva e cresca nelle biblioteche, nelle librerie e nelle case degli italiani.

L’obiettivo è capire come si impara a leggere e come il nostro sistema scolastico, soprattutto nelle fasi iniziali, riesca a produrre lettori.

La scuola è perciò chiamata in prima persona a costruire un rapporto tra il giovane allievo ed il libro come momento positivo e di crescita spirituale e culturale.

Si è rilevato in questo senso che lo strumento principale senz’altro capace di dare una base a qualunque attività di promozione della lettura è lo sviluppo di un moderno e efficiente sistema di biblioteche. Secondo l’Anagrafe delle Biblioteche Italiane in Calabria al 31 dicembre 2023 ve ne sono 460, su 13203 biblioteche di varia tipologia amministrativa in Italia. Sono 79 a Catanzaro, 209 a Cosenza, 31 a Crotone, 90 a Reggio Calabria e 51 a Vibo Valentia. Molti passi in avanti sono stati compiuti, ma la situazione rimane nel complesso deficitaria.

Così come deludente è la percentuale dei frequentatori in Calabria delle biblioteche, solo 5,2%. Di contro, gli studenti italiani in numero sempre maggiore frequentano le biblioteche scolastiche (41% nel 2023), ma a questa crescita di attenzione non sempre corrisponde un appropriato adeguamento delle strutture e del patrimonio librario.

Secondo un’indagine condotta da Pepe Research per Aie la frequentazione delle biblioteche scolastiche è passata dal 26% del 2018 al 41% del 2023. Nella fascia 4-6 anni si passa dal 5% del 2018 al 47% del 2023. Tra i 7 e i 9 anni si passa dal 10% al 33%. Tra i 10 e i 14 anni dal 33% al 53%.

Il livello di istruzione si conferma invece, ancora una volta, invariabilmente un fattore discriminante che condiziona in modo sistematico e trasversale i comportamenti legati alla lettura, compresi quelli legati alle nuove tecnologie digitali. 

La lettura è condizionata dalla capacità degli individui di comprendere e interpretare in modo adeguato il significato dei testi scritti, una competenza di base indispensabile per garantire un’effettiva capacità di accesso, gestione e valutazione delle informazioni, e quindi di crescita individuale e collettiva; questa capacità in Italia è molto bassa. 

Nella scuola e negli studenti manca l’abitudine al leggere. Non basta studiare testi ,bisogna leggerli, commentarli, discuterli. I libri vanno “vissuti” nell’ambito scolastico perché lettori si diventa. È in questa palestra mentale che i docenti dovrebbero far esercitare  gli allievi. Ed è questa sola la palestra dove si fortificano i muscoli e le nervature che sostengono democrazia e vivere civile. Imporre la lettura come un dovere è soltanto un disincentivo:leggere deve essere un piacere.

In molti paesi la narrativa è obbligatoria, invece noi la stiamo perdendo. Servono pratiche didattiche legate al libro: visite frequenti nelle biblioteche e nelle librerie, il recupero della biblioteca di classe collocata dentro al piano dell’offerta formativa d’istituto, non chiusa dentro i confini della scuola.

La biblioteca, sia essa d’istituto o pubblica,  non è un museo. È un organismo che vive solo aprendosi al territorio sul quale si trova, creando i lettori, piuttosto che limitandosi ad aspettarli.

Così come resta indispensabile mettere a sistema l’intero arcipelago di biblioteche esistenti, collegare in maniera interattiva tutti i centri di lettura, aggiornare i titoli e avviare un programma annuale di iniziative ed attività perché l’educazione alla lettura e l’accesso all’informazione si inseriscano a pieno titolo tra le opportunità formative che devono essere garantite al giovane lungo l’area di tutta la carriera scolastica e a ciascun cittadino nel contesto dell’educazione continua.

C’è da scommettere che l’anno prossimo avremo ancora meno lettori. La sola possibilità di creare una controtendenza sarebbe quella di intervenire in modo drastico nella formazione dell’obbligo. E introdurre per esempio, sulla scia di altri paesi europei, un’ora dedicata alla lettura in tutti i gradi di scuola, dall’asilo alle primarie alle medie alle superiori, facendo tesoro di quelle che sono ormai centinaia di esperienze sulla pedagogia della literacy.

A questo punto una domanda va posta alle amministrazioni pubbliche per sapere se condividono la necessità di un progetto per un autentico investimento civile e sociale che contribuisca a creare cittadini più liberi, più liberi dai pregiudizi, più liberi dai condizionamenti, più liberi dalle omologazioni. (gl)

[Guido Leone è già dirigente Tecnico Usr Calabria]

CATANZARO LANCIA LA SUA SFIDA: ESSERE
LA CAPITALE DELL’ARTE CONTEMPORANEA

di ANTONIETTA MARIA STRATI – Catanzaro vuole diventare la Capitale Italiana dell’Arte Contemporanea. Una sfida, quella lanciata dal sindaco Nicola Fiorita, che rappresenta un grande valore per il capoluogo di Provincia e per tutta la Calabria, spesso sede di importantissimi eventi artistici di livello internazionale, oltre che essere terra di artisti conosciuti e apprezzati in tutto il mondo.

Basti pensare al Materia Festival che viene organizzato ogni anno a Tropea – e che quest’anno partirà a giugno a Soverato e poi a settembre a Tropea – all’Altrove Festival che, ogni estate, anima le vie di Catanzaro con la sua street art, oltre alla presenza di «tre assi nella manica», come ha detto il sindaco Fiorita, ossia: «la Città di Mimmo Rotella, che dell’arte contemporanea è stato uno dei protagonisti indiscussi sulla scena mondiale, il Parco internazionale della scultura – il museo a cielo aperto del Parco della Biodiversità così ricco di opere contemporanea – e la presenza di una prestigiosa Accademia delle Belle Arti».

«Non sarà facile salire sul podio – ha detto il primo cittadino – perché ci saranno altre candidature autorevoli, ma credo che Catanzaro meriti questo riconoscimento che porterebbe non solo onore e gloria, ma anche sostanziosi finanziamenti economici da parte del Ministero».

Ma non è solo questo: Se Catanzaro riuscisse a vincere questa ambiziosa sfida, la Calabria deterrebbe un importante record: Quello di avere due città, che sono Capitali” della Cultura e dell’Arte Contemporanea.

Per questo il sindaco ha già avviato le interlocuzioni con la Provincia, l’Accademia di Belle Arti e la Fondazione Rotella, con cui ci metteremo subito al lavoro per predisporre un progetto serio che possa portare all’attribuzione del titolo.

«Punteremo, ovviamente – ha detto – sulla figura del maestro Rotella, esponente di movimenti artistici internazionali come i Nouveaux réalistes, la Mec-art e i suoi celebri décollages. Sarà notevole l’apporto del Parco Internazionale della Scultura, intuizione di Michele Traversa, che propone opere di artisti del calibro di Tony Cragg, Mimmo Paladino, Jan Fabre, Michelangelo Pistoletto, Daniel Buren e tanti altri ancora. Ma penseremo anche ad un’idea originale per realizzare una grande “residenza” in grado di ospitare artisti da tutto il mondo, privilegio che il Ministero assegnerà alla città vincente».

«Attendiamo la pubblicazione del bando e poi ci tufferemo in questa bella ed esaltante avventura», ha concluso il primo cittadino.

Quella di Catanzaro Capitale dell’Arte Contemporanea «è una sfida stimolante», per il direttore dell’Accademia di Belle Arti di Catanzaro, Virgilio Piccari, accogliendo «con vivo entusiasmo l’intenzione del sindaco Fiorita di includerci tra gli attrattori artistico-culturali della città capaci di catalizzare l’attenzione su Catanzaro nel percorso che porterà alla scelta della città italiana fulcro dell’arte contemporanea per il prossimo anno».

«È per noi motivo d’orgoglio e certificazione della qualità del lavoro svolto dai docenti e dagli studenti dell’Accademia nell’aprirsi al territorio e nel promuovere lo stesso attraverso una produzione artistica varia e apprezzata», ha detto Piccari, ricordando come «l’Accademia è impegnata da tempo nella “contaminazione artistica” del territorio calabrese».

La proposta di Fiorita, infatti, giunge a pochi giorni dall’approvazione, da parte del Ministero dell’Università e della Ricerca, del progetto “Perfoming”, finanziato con 3,7mln di euro a valere sui fondi del Pnrr, che vedrà l’Aba Catanzaro guidare undici tra Accademie, Università e Conservatori nazionali: «Siamo in continua crescita – ha aggiunto Piccari –, non solo nei numeri degli iscritti (che aumentano sempre di più, di anno in anno), ma anche nella qualità delle proposte progettuali, nella capacità di relazionarci con Enti e Istituzioni prestigiose, nella credibilità sotto il profilo della capacità di produrre arte e di formare i nostri iscritti: queste competenze, che affiniamo giorno dopo giorno, sono frutto dell’incessante e quotidiano lavoro di una squadra di docenti entusiasti, di un comparto amministrativo capace, di tanti studenti in gamba».

«Saremo ben lieti di mettere a disposizione della città il nostro know-how anche nella sfida – ha concluso – per portare Catanzaro a essere la capitale dell’arte contemporanea per il 2025».

Quella di Catanzaro, dunque, è sicuramente una bella sfida e che, se vinta, porterà ovviamente degli importanti benefici non solo alla città ma anche alla regione, in termini di turismo e di immagine. Per raggiungere l’obiettivo, tuttavia, è necessario che si creino delle importanti sinergie istituzionali, capaci di realizzare quel progetto che Fiorita ha auspicato porti al tanto atteso traguardo.

Sicuramente, il sostegno della Regione sarà fondamentale in questo percorso in cui la Calabria, ancora una volta, si mette in gioco per mostrare all’Italia non solo le sue bellezze e il suo inestimabile patrimonio artistico, culturale, archeologico ed enogastronomico, ma anche la sua continua voglia crescere e migliorare, per un futuro migliore per i suoi figli. (ams)

LA BELLA CALABRIA DEL VINO E DELL’OLIO
DAL VINITALY UNA NARRAZIONE ORIGINALE

di SANTO STRATIÈ un segnale decisamente importante quello che viene dal Vinitaly appena conclusosi a Verona. Il segno di una forte maturità a proposito dell’identità regionale e del cambiamento di strategia nella narrazione di una terra fino a oggi troppo malraccontata.

Dall’esperienza dell’expo veronese, che ha finalmente registrato una partecipata unità di aziende di tutta la regione, emerge la volontà di cambiare registro nel processo di recupero reputazionale ormai non più rinviabile. La Calabria non è più solo oggetto di titoloni e servizi di media per delitti di mafia, per ‘ndrangheta e malaffare, ma comincia a essere protagonista di un inesauribile interesse sul suo patrimonio di eccellenze: nel capitale umano, in quello archeologico, paesaggistico, artistico e culturale, in quello ambientale.

Abbiamo sempre sostenuto su queste colonne la necessità di una narrazione diversa delle tante ricchezze inesplorate e mal utilizzate, indicando anche l’agro-alimentare come uno dei settori chiave per la crescita e lo sviluppo del territorio. L’eno-gastronomia, i prodotti tipici, il vino, l’olio, i prodotti biologici di una terra costantemente baciata dal sole, è l’elemento che può davvero fare la differenza.

Se si escludono le ferriere di Mongiana (ai tempi dei Borboni) e qualche timida iniziativa sul territorio mai decollata in termini di ricchezza, la Calabria non è una terra a vocazione industriale manufatturiera nel senso tradizionale del termine: è semmai una terra che deve coltivare e promuovere l’industria della cultura, del turismo e del cibo, quella che può (e deve) portare sviluppo e occupazione. Il cibo, il buon cibo – garantito dalla super qualità dei prodotti della nostra terra – è un attrattore turistico formidabile al pari delle bellezze naturalistiche e dei patrimoni della testimonianza magnogreca e delle varie dominazioni sparsi dovunque. Bisogna, perciò, investire sulla terra (la Calabria, peraltro, primeggia in Italia per l’agricoltura biologica) e utilizzare le risorse naturali del territorio trasformandole in “prodotto industriale”.

Ovvero, passando da una specie di artigianato bello ma modesto, a un ciclo “industriale” che valorizzi la produzione, la faccia conoscere, ne curi l’export fuori dai confini nazionali, senza trascurare gli interessi da coltivare all’interno del Paese. Troppe tipicità sono presenti nei supermercai del Nord soltanto per la lodevole intraprendenza dei singoli produttori, ma si vedono negata una adeguata accoglienza a livello nazionale dalla Grande distribuzione organizzata. E questo perché è mancata, fino a oggi, una seria pianificazione e programmazione di interventi di marteking territoriale che non può limitarsi alla straordinaria bellezza dei borghi, ma deve valorizzare il “prodotto Calabria”: vino, olio, frutta e – ancor più – il Bergamotto di Reggio Calabria che non è una tipicità bensì una unicità mondiale.

Queste premesse inducono all’ottimismo, dopo quel che si è visto e registrato a Verona al Vinitaly, dove un gigantesco padiglione di 1400 metri quadrati ha ospitato 83 aziende vinicole e 40 olearie. Il meglio della produzione regionale (ma ci sono ancora piccole aziende da far crescere e valorizzare) che ha offerto un’immagine non solo positiva della Calabria in termini di qualità della produzione del comparto agricolo e alimentare, ma anche della capacità di fare la tanto agognata rete in grado di modificare e compattare l’offerta.

La modernizzazione dei processi produttivi ha permesso, peraltro, in questi ultimi anni di affinare coltivazioni e portare a livelli di eccellenza la qualità: i vini calabresi hanno un mercato straordinario (oggi si producono 16 milioni di bottiglie l’anno) e raccolgono un consenso sempre più ampio. È il risultato di impegno, investimenti e forte determinazione dei produttori calabresi di vino e olio che guardano con giustificato ottimismo ai mercati ancora da scoprire (basti pensare ai modesti numeri di export verso i Paesi europei) e da sottrarre ai cugini d’oltralpe e agli avvantaggiatissimi siciliani e pugliesi che fanno numeri stellari nel comparto olio e vino.

La tendenza sempre più in crescita premia la qualità: è un obiettivo in gran parte raggiunto con soddisfacenti risultati e convinti apprezzamenti del mercato. Si tratta, dunque, di “industrializzare” il settore alla stregua di qualsiasi altro prodotto “di consumo”. Bene il marketing territoriale per far conoscere cibo e tipicità, ma servono allo stesso tempo interventi nel controllo di qualità, nella logistica, nella distribuzione e nella promozione dei prodotti che dev’essere coordinata e continua.

La filiera ortofrutticola è uno dei segmenti più interessanti della produzione agricola, anche in termini qualitativi, e deve puntare a una presenza diffusa su tutto il territorio nazionale e, possibilmente, anche all’export. Ma il comparto olio e vino è quello che più si associa allo sviluppo del territorio, anche in termini di attrazione turistica.

Solo per fare un esempio, in California Napa Valley, l’area ormai vocata a un’eccellente produzione vinicola, c’è un fortissimo turismo dedicato: cantine aperte a visitatori buongustai (e golosi) intenditori o desiderosi di farsi una “cultura del vino”. Un successo continuo. E dire che è un’area estremamente ristretta, a pochi km da San Francisco, oltre lo spettacolare ponte del Golden Gate.

Quante strade del vino si possono creare in Calabria? Tante. Già singoli produttori hanno avuto l’arguzia e l’intelligenza di affiancare alle cantine resort e aree attrezzate, ma è proprio in questo ambito che è necessario fare rete. Creare, ossia, un’offerta variegata e intrigante che faccia scoprire unitamente al buon calice (spesso eccellente, bisogna dirlo) le tipicità del territorio e la bellezza del paesaggio, la mitezza del clima, la straordinaria cordialità della gente del luogo che tratta il forestiero come un vecchio amico. Abbinare, cioè, vino e cucina in un’offerta globale di gusto, esperienziale, che non solo dia goduria e ristoro al palato, ma faccia scoprire un territorio di cui è difficile poi non innamorarsi.

Tutto ciò presuppone, dunque, una coordinata serie di iniziative che vanno dalla promozione alla valorizzazione, dall’aiuto agli agricoltori all’assistenza specialistica perché tradizione e innovazione possano andare a braccetto. Creando un’offerta turistica che si basi anche sulla ricchezza del territorio, non solo in chiave paesaggistica o di patrimonio culturale (che sono comunque due fattori determinanti per il successo dell’attrazione turistica) bensì sulla qualità dell’offerta eno-gastronomica.

La materia prima c’è (ottimi vini, superlativi olii extravergini d’oliva), le aziende pure, e l’accoglienza può partire producendo finalmente ricchezza per una terra meravigliosa, ma troppo spesso colpevolmente trascurata. Certo, bisogna far crescere in misura notevole la ricettività (sennò dove ospitiamo chi vuole scoprire la Calabria?) e combattere quei pochissimi “furbetti” che deludono il turista con servizi scarsi e inadeguati, ma, altresì, puntare sulla mobilità necessaria a offrire i transfer (possibilmente gratuiti) a chi sceglie la Calabria come meta turistica (e di scoperte culinarie).

È largamente soddisfatto il Presidente Occhiuto della partecipazione regionale al Vinitaly: «Un’operazione importante e intelligente – ha detto – che dimostra lo sforzo che stiamo compiendo per rendere visibile sia i grandi marchi sul panorama nazionale e internazionale che le piccole ma preziose cantine che producono in quantità più limitata prodotti di grande qualità. È stata una bella occasione per dimostrare al Paese quanta eccellenza ci sia in Calabria».

L’assessore regionale all’Agricoltura Gianluca Gallo non nasconde la soddisfazione per il successo della partecipazione calabrese.

«Il nostro stand – ha detto Gallo traendo un bilancio della manifestazione – è stato completamente rinnovato ed è piaciuto praticamente a tutti, è uno stand elegante che ha riscosso l’attenzione di tantissimi visitatori, che addirittura lo fotografavano. Questa presenza massiccia delle nostre aziende tutte in unico stand per la prima volta nella storia della viticultura calabrese, è un altro importante risultato che ha creato tanto entusiasmo. Mi sembra che i produttori di vino siano molto entusiasti di questo  risultato e che addirittura stiano progettando altre importanti iniziative sul territorio o in giro per il Paese. C’è una maggiore riconoscibilità dei nostri vini. Ci sono stati tanti ospiti italiani e stranieri che sono venuti alla scoperta dei nostri vini: credo che la misura ce la possano dare i nostri amici produttori che vedo abbastanza sorridenti e molto soddisfatti. Un buon risultato per la Calabria, un investimento importante, un impegno importante voluto dal Presidente Occhiuto e da me come assessore regionale all’Agricoltura, ma credo ne sia valsa la pena. Credo che questa Calabria stia declinando in maniera diversa e si stia presentando al Paese con l’abito migliore avendo tanti prodotti di qualità che devono essere conosciuti».

Non è stato un festival delle buone intenzioni, semmai una conferma di un modo nuovo di agire e muoversi per dare smalto a una terra che ha solo bisogno di essere valorizzata in modo adeguato e ragionevolmente efficace.Servono risorse e, per fortuna, non mancano, ma bisogna saper spendere e investire per avere il giusto ritorno. Basta con “muccinate” varie o campagne promozionali di cui non rimane traccia o distribuzione di gadget alle fiere che non servono a nulla: Il contatto con il “forestiero” che dovrà diventare ospite della Calabria va fatto con adeguate strategie di comunicazione.

Il prossimo appuntamento (questa volta culturale in senso pieno) è al Salone del Libro di Torino: la Calabria deve dimostrare che esporta cultura e ne ha tantissima da offrire. La Regione di Roberto Occhiuto può e deve, dunque, partire dall’esperienza del Vinitaly 2024 (bello il claim “dove tutto è cominciato”) per costruire non soltanto un’immagine solida del “prodotto Calabria” (facendo appunto rete) ma anche per dare un forte input alla crescita di reputazione. Bisogna far scoprire e far conoscere la Calabria per farla apprezzare e si può partire anche da un buon calice di vino. (s)

ADOTTARE MODELLO VIBO PER RISOLVERE
E FRONTEGGIARE LE CRITICITÀ AMBIENTALI

di ANTONIETTA MARIA STRATI – «Un modello Vibo Valentia per affrontare e risolvere le criticità ambientali presenti in un territorio di straordinaria bellezza». È la proposta avanzata da Enrico Fontana, responsabile dell’Osservatorio nazionale Ambiente e Legalità, nel corso della presentazione del Dossier di Legambiente, a Santa Domenica di Ricadi, sull’inquinamento diffuso nei corsi d’acqua del vibonese.

Il dossier, illustrato dalla socia del circolo Legambiente Ricadi, Caterina Viscomi e realizzato dai Circoli della Provincia di Vibo, ha esaminato i parametri microbiologici (escherichia coli ed enterococchi intestinali) di alcuni corsi d’acqua attraverso 11 punti di prelievo nei Comuni di Pizzo, Vibo Valentia, Briatico, Zambrone, Parghelia, Joppolo e Nicotera. È importante evidenziare che le criticità riscontrate, in alcuni casi ambientalmente gravi come il caso emblematico di Parghelia, sono riferibili non solo ai Comuni in cui è avvenuto il prelievo ma anche ai Comuni dell’entroterra collocati lungo tutte le aste fluviali di riferimento.

I dati più significativi, come superamento dei limiti di legge, riguardano in particolare i prelievi effettuati nei torrenti La Grazia e La Morte, Fosso Bevilacqua, Rivo Zinzolo, Fosso La Badessa.

Un dossier che «non vuole sostituirsi in alcun modo ai campionamenti e alle attività svolte dalle autorità competenti», ha spiegato Franco Saragò, presidente del Circolo di Legambiente Ricadi, sottolineando come questo report «parte dalla consapevolezza che la causa prevalente delle criticità del mare è determinata, in misura consistente, dall’apporto di sostanze provenienti dai corsi d’acqua, che originano dall’entroterra per giungere al mare, a causa del malfunzionamento e/o sottodimensionamento di alcuni depuratori, dalla carenza nel collettamento fognario e di scarichi abusivi».

Alla presentazione, avvenuta nella Green Station gestita dal locale Circolo di Legambiente, sono intervenuti, oltre al presidente Saragò, la presidente regionale di Legambiente Anna Parretta, il Procuratore della Repubblica di Vibo Valentia, Camillo Falvo, il Comandante provinciale dell’Arma dei Carabinieri Luca Toti, il Comandante della Capitaneria di Porto Luigi Spalluto, il Comandante del Nucleo di Polizia Ambientale ed Agroalimentare di Vibo Valentia Clizia Lutzu, il Comandante del reparto Carabinieri biodiversità di Mongiana, Rocco Pelle, ed il dirigente del Dipartimento Territorio e Tutela dell’Ambiente della Regione, Salvatore Siviglia.

Ma non è solo il Vibonese a destare preoccupazione: Nella nostra regione, infatti, c’è un grande problema di depurazione, criticità ataviche sullo sversamento dei rifiuti, con la presenza di vere e proprie discariche piccole e grandi lungo i fiumi, in particolare plastiche che, oltre a pregiudicare i corsi d’acqua, la flora e la fauna, finiscono in mare, invadono le spiagge ed inquinano l’ambiente creando problemi gravissimi per gli ecosistemi marini e per la salute umana.

Ed ancora taglio indiscriminato di alberi, ostruzioni e sbarramenti artificiali dei corsi d’acqua, abusivismo edilizio che concorrono a creare forti situazioni di rischio, anche sotto il profilo idrogeologico destinati ad aumentare in connessione all’ incremento degli eventi meteorologici estremi effetto della crisi climatica.

Secondo i dati raccolti nelle ultime cinque edizioni del Rapporto Ecomafia di Legambiente, Vibo Valentia, come indice di illegalità ambientale per km2 di territorio, è stata dal 2017 al 2022 la seconda provincia della Calabria, con 0,95 reati accertati dalle forze dell’ordine, preceduta solo da quella di Reggio Calabria, con 1 reato ambientale per ogni km2 di territorio

In Calabria, invece, sono stati accertati circa 14mila reati contro l’ambiente, collocando la Calabria al quarto posto della classifica nazionale, dopo Campania, Sicilia e Puglia, a conferma delle strette correlazioni che esistono tra l’aggressione criminale all’ambiente e gli interessi delle mafie, dal ciclo illegale dei rifiuti a quello del cemento.

Una situazione intollerabile per una regione come la Calabria, in cui accanto alla «bellezza del proprio mare e del proprio territorio, si affiancano situazioni ancora insostenibili relativi alla depurazione, all’abusivismo edilizio, alla mala gestione del ciclo dei rifiuti, che incidono sui corsi d’acqua arrivando sulle coste», ha detto ancora Fontana.

Il Procuratore della Repubblica di Vibo Valentia, Camillo Falvo, dopo aver illustrato gli enormi sforzi posti in essere negli ultimi tre anni dalla magistratura e dalle specialità delle forze dell’ordine impegnate nella task force appositamente creata – che interviene praticamente “in tempo reale” ogni volta che si presenta una problematica di tipo ambientale connessa all’inquinamento delle acque – ha evidenziato quanto siano complessi i problemi esistenti, frutto di decenni di trascuratezze e negligenze.

Secondo il Procuratore Falvo vi è la necessità di importanti interventi strutturali e, soprattutto, di agire in via preventiva più che repressiva, diffondendo la cultura del rispetto dell’ambiente negli operatori dei vari settori produttivi e nella gente comune, in un’opera di vera e propria alfabetizzazione in materia. Ha inoltre sottolineato come, della salute del mare e dei corsi d’acqua, non ci si debba preoccupare solo nel periodo estivo, trascurandone l’esistenza o, peggio, inquinando nel resto dell’anno.

Dal canto suo, il dirigente del Dipartimento Territorio e Tutela dell’Ambiente della Regione, Salvatore Siviglia, ha evidenziato le attività strutturali svolte negli ultimi anni dalla Regione per la messa in efficienza del sistema di depurazione, del collettamento e contro gli smaltimenti illegali.

Diversi gli interventi dei sindaci del territorio, dei rappresentanti delle istituzioni, degli operatori turistici, delle associazioni di categoria tra cui Confindustria e la Federazione degli albergatori, del mondo della scuola con il Dirigente dell’Istituto d’Istruzione superiore di Tropea.

Per Anna Parretta «il futuro della regione Calabria e dei suoi abitanti passa dalla tutela, dalla salvaguardia e dalla cura del territorio e del mare. In questo quadro i corsi d’acqua sono ecosistemi complessi ed estremamente importanti la cui tutela deve essere rigorosa a maggior ragione in una fase storica in cui è ancora più preziosa la risorsa acqua».

«Attraverso i monitoraggi compiuti, che speriamo di replicare in altri territori – ha spiegato – abbiamo voluto creare un’occasione di incontro e di confronto per attivare con tutti gli attori coinvolti processi condivisi che portino alla soluzione dei problemi e per incentivare la partecipazione attiva dei cittadini».

Quello che è emerso dall’iniziativa organizzata da Legambiente, come evidenziato da Fontana,  «è un vero e proprio “modello Vibo Valentia”  già sviluppato dal procuratore Falvo con la collaborazione delle Forze dell’Ordine e della Capitaneria di porto, grazie al lavoro straordinario di citizen science dei volontari e delle volontarie dei circoli di Legambiente, ai progetti di educazione ambientale da sviluppare nelle scuole del territorio, alle iniziative illustrate dal dirigente regionale Siviglia, alla partecipazione di sindaci e associazioni di categoria».

«Un “modello” a cui occorre dare da subito concretezza – ha concluso – prima che parta la stagione estiva». (ams)

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SE PURE LE TASSE FOSSERO DIFFERENZIATE
PER IL SUD CI SAREBBE MAGGIORE EQUITÀ

di PINO APRILE – E se la tassazione fosse inversamente proporzionale alla quantità e qualità di servizi che si riceve dallo Stato? In questo modo, chi viene privato di diritti ad altri riconosciuti, avrebbe, come minimo, più risorse per procurarsi privatamente quanto lo Stato promette a tutti ma dà ad alcuni. Un tale correttivo indurrebbe a gestire le risorse pubbliche con più equità e frenerebbe la desertificazione del Sud e delle altre aree marginali, per la fuga di chi è messo in condizione di cercar altrove quello che gli viene negato soltanto a causa della zona di residenza.

E l’assurdo è che chi non ha la strada, l’ospedale, la scuola, il treno, l’aeroporto debba con le sue tasse e nella stessa misura degli altri, contribuire alla crescita dei benefici pubblici in favore di chi ne è già dotato.

Così, di fatto, si spostano risorse verso chi più ha, da parte di chi meno ha, costretto a finanziare un divario che può solo continuare a crescere e a pesare due volte su chi deve pagare per dare ad alcuni, a spese di tutti, i servizi che lui potrà avere solo a spese proprie. E se non può permetterselo, deve farne a meno: più di due milioni di italiani, per dirne una, hanno smesso di curarsi e l’attesa media di vita, al Sud, è crollata. Detto così, sembra il mondo freddo delle statistiche, in altre parole: è lo stesso diritto alla vita che ne risulta intaccato, indebolito, ridotto.

Un tale iniquo sistema riproduce, all’interno di uno stesso Paese, il rapporto coloniale fra chi sfrutta e chi è derubato di quello che è suo o gli spetta. E magari, ce la raccontano pure al contrario: sapete la storiella del Mezzogiorno popolato di ladri e fannulloni che drena ricchezza prodotta al Nord? Peccato la storiella non spieghi come mai il ladro sia sempre più povero e il derubato sempre più ricco (soprattutto di infrastrutture, allocazione di aziende pubbliche il cui fatturato appare come frutto della laboriosità nordica, eccetera).

Tacendo che mentre i meridionali versano nelle casse statali un quarto delle entrate annue, la spesa pubblica al Sud è inferiore, anche di sei punti percentuali. Una differenza che viene spesa altrove. Quindi: chi finanzia chi? E questo vale non soltanto per il Mezzogiorno, ma pure per le aree interne (si pensi alla Dorsale appenninica) e marginali.In totale è circa il 70 per cento del territorio nazionale, con oltre metà della popolazione.

Così, mentre nelle zone del Paese “di ricezione” si è ormai a investimenti pubblici a perdere, pur di far circolare soldi (e mazzette, visti gli scandali), persino per infrastrutture inutili o dannose, quali certe autostrade che per aver un po’ di traffico premiano gli automobilisti, nelle zone “di estrazione” delle risorse, interi paesi sono svuotati, abbandonati, per assenza di servizi o perché l’unica strada di accesso è franata o impraticabile da anni e non ci sono soldi per riattarla.

Il divario fra le zone del troppo che stroppia e del troppo poco è tale che la tassazione di tutti allo stesso modo si configura come un furto a beneficio di pochi e un rapporto coloniale.

Consideriamo tre italiani che abbiano lo stesso reddito, quindi paghino le stesse tasse, ma vivano uno a Matera, uno a Macerata, uno a Milano. Quello di Matera non ha le autostrade e le ferrovie dello Stato e gli altri sì (pagate da tutti); quelli di Matera e Macerata non hanno l’aeroporto (anzi: gli aeroporti) che l’altro ha, né la stessa disponibilità di ospedali, scuole e università. E non serve continuare l’elenco.

Questo si traduce in un aumento del reddito del milanese, che può usufruire di servizi ottimi a costi moderati o quasi nulli, in un taglio del reddito per il maceratese e una vera e propria mazzata per il materano, considerate le spese che deve sostenere per curarsi, spostarsi, studiare, lavorare.

E ancora peggio stanno gli italiani che vivono nelle zone più isolate e meno raggiungibili e, per questo, desertificate, con una colossale perdita di ricchezza per l’intero Paese (basterebbe anche solo considerare il crollo di valore di case ed edifici bellissimi, storici, architettonicamente pregiati, ma lasciati andare in malora, perché nessuno li vuole più, essendo troppo disagevole e costoso vivere dove non ci sono servizi).

Sulla carta, pur se hanno gli stessi diritti e lo stesso reddito, di fatto, alcuni italiani pagano perché altri abbiano quanto a loro è negato. La parità di reddito, quindi, è solo apparente, ed è ingiusto che paghino le stesse tasse. Che andrebbero calibrate, invece, sull’effettivo godimento dei diritti per i quali quelle tasse vengono richieste. Equità vorrebbe che si definisse un metro per ridurle in proporzione alla ridotta possibilità di accedere a diritti riconosciuti e non goduti. In tal modo, l’apparente parità di reddito diventerebbe un po’ più vicina al vero.

Non hai il treno? Le tue tasse calano di tot. Non hai un ospedale raggiungibile nel tempo ritenuto non superabile dai Lea, livelli essenziali dell’assistenza? Giù di un altro tot. Non hai lo scuolabus o proprio la scuola a distanza accettabile? Ancora meno un tot. C’è possibilità che, togli questo, togli quello, si giunga a pagare tasse zero.

Per le aree peggio messe, estremamente marginali, si potrebbe scendere a “tassazione negativa”: vuol dire che invece di pagare allo Stato per servizi che non si hanno, si riceve dallo Stato una equa integrazione di reddito, per procurarseli diversamente e porsi alla pari con gli altri italiani. Proposte di questo genere già vengono sostenute (per esempio dall’ex dirigente dell’Agenzia delle entrate che si è pre-pensionato per divenire una sorta di difensore civico dei contribuenti, Luciano Dissegna); e, in alcuni casi, ci sono forme di de-tassazione di fatto in paesini in via di estinzione, in cui si offrono incentivi in denaro, alloggi e altri incentivi a giovani coppie disposte a trasferirvisi.

La riprogrammazione delle tasse sulla quantità e qualità dei servizi (diritti) di cui si può davvero godere, da una parte porrebbe alla pari i contribuenti, dall’altra renderebbe conveniente tornare a vivere in borghi belli e scomodi. E se poi arrivassero lo scuolabus, l’ospedale, il treno e le tue tasse salissero in proporzione, di fatto non ci sarebbe una variazione effettiva di reddito.

Ma la tassazione differenziata secondo i diritti effettivamente goduti, se pur assolvesse al dovere di equità da parte dello Stato verso i cittadini, ovunque risiedano, non comporterebbe costi ulteriori per le casse pubbliche? Non è detto: intanto, perché il patrimonio nazionale verrebbe incrementato dalla crescita di valore edilizio di abitati non più in abbandono, ma ben tenuti, appetibili; poi, il moltiplicarsi di economie locali attiverebbe una rete mercantile periferica oggi in estinzione; infine, il territorio reso fragile e improduttivo dalla desertificazione tornerebbe curato e a rendere. E sono solo alcuni dei vantaggi più immediati ed evidenti del recupero di interesse per un modo di abitare tipico del mondo mediterraneo e del nostro Paese in particolare.

Un tale provvedimento sarebbe l’esatto contrario dell’Autonomia differenziata con cui si mira a incrementare la spesa pubblica dove già è massima, a danno delle aree in cui è quasi assente. Mentre l’Autonomia differenziata spacca l’Italia, la tassazione differenziata secondo i diritti ne rimetterebbe insieme i pezzi e la rinsalderebbe. In più mostrerebbe la relazione diretta fra le tasse e la loro ragione di esistere: volendosi illudere, questo potrebbe ridurne anche l’evasione. (pa)

LA SANITÀ LENTA E COSTOSA IN CALABRIA
E TANTI OSPEDALI URGENTI DA REALIZZARE

di ERNESTO MANCINI – Si è venuti a conoscenza che il Commissario Regionale alla Sanità, Roberto Occhiuto, con proprio decreto n. 84 del 5 aprile ha reperito le somme per finanziare i maggiori costi necessari per la progettazione definitiva e la costruzione del Nuovo Ospedale di Palmi (Nop). Tali maggiori costi ammontano a 141 milioni di euro sicché la realizzazione dell’ospedale passa da 152 milioni originariamente previsti (anni 2011 – 2014) a 293 milioni. Quasi il doppio. Come si dirà di qui a poco la scelta del Commissario, così come motivata nel provvedimento, appare inevitabile e senza alternative ma sul punto bisogna fare alcune osservazioni.

L’inconcepibile tempistica delle fasi del procedimento di realizzazione del Nop

Va ricordato che il nuovo ospedale, insieme a quelli di Vibo e della Sibaritide che hanno avuto analoghi incrementi, è una struttura prevista, finanziata e dichiarata formalmente “urgente” fin dal 2007 da un Accordo di Programma Stato-Regione del 13 dicembre di quell’anno. Ad oggi, cioè dopo oltre 16 anni, l’ospedale è tutt’altro che realizzato in quanto si è ancora nella fase di approvazione della progettazione definitiva. Pertanto, non si è ancora aperto il cantiere né sono iniziati i lavori.

Si tratta di una storia incredibile di incapacità politica di tutte le opposte compagini (destra e sinistra) che si sono puntualmente alternate alla Regione dal 2007 in poi ma anche di esasperante lentezza dell’apparato tecnico-burocratico regionale. Basti pensare che sono trascorsi:

  • 3 anni,7 mesi e 19 giorni (13.12.2007-   1.8.2011) dall’accordo di programma Stato/Regione al bando di gara;
  • 3 anni, 9 mesi e 7 giorni (1.8.2011– 8.5.2015) dal bando di gara al contratto con l’impresa aggiudicataria; 
  • 3 anni e 6 mesi (8.5.2015- 8.11.2018) dal contratto alla presentazione del progetto definitivo per la conferenza servizi; 
  • 2 anni, 3 mesi, 3 giorni (8.11.2018 – 11.2.21) dall’indizione della conferenza dei servizi per il progetto definitivo alla chiusura positiva di tale conferenza con prescrizioni; 
  • 3 anni e 2 mesi (11.2.21 – 10.4.24) dalla chiusura della conferenza dei servizi ad oggi per il progetto definitivo la cui approvazione non è ancora intervenuta. 

Non c’è bisogno di intendersi di appalti pubblici per capire che siamo di fronte a tempi abnormi ed ingiustificati di ogni singola fase e, complessivamente, di tutto il procedimento.

Il decreto commissariale n. 84 del 5.4.24

Ora il Commissario/Governatore on.le Occhiuto ha adottato il decreto n.84 del 5.4.24 che consente di approvare il progetto definitivo recante i maggiori costi e così andare avanti per la realizzazione dell’opera. 

Come già accennato, dalla lettura del decreto si apprende che i costi di realizzazione previsti nell’aggiudicazione del 2015 ammontavano a 152 milioni di euro e che a tali costi vanno ora aggiunti ulteriori 141 milioni. Ne deriva che il nuovo quadro finanziario per il Nop si è incrementato del 93%.

A giustificazione di ciò il Commissario precisa che rispetto al progetto preliminare sono intervenute diverse “varianti progettuali” (varianti normative, aree esterne, modifiche strutturali, varianti distributive dell’edificio), e che «i costi di produzione hanno subìto anomali incrementi per effetto del contesto macroeconomico dovuto all’ emergenza Covid 19, aggravato dal conflitto russo-ucraino». Ciò ha determinato, precisa ancora il Commissario, «difficoltà di reperimento delle materie prime, aumento di prezzi dell’energia, aumento significativo dei prezzi di materiale di costruzione».

Considerazioni

Le considerazioni da farsi sull’operazione così decritta possono riassumersi nel modo seguente.

A) i nuovi maggiori costi non ci sarebbero stati se l’Ospedale fosse stato realizzato in tempi accettabili ovvero, a tutto concedere, cinque, sei, sette, otto anni dal 2007 e non invece i sedici anni fin qui trascorsi ed almeno altri cinque da preventivare posto che il cantiere non è stato ancora aperto. Si tratta pertanto di costi che derivano da una incredibile lentezza del procedimento non giustificata da nulla, per lo meno in queste dimensioni.

B) Correlativamente, se si fosse agito in tempi anche ordinari – mettiamo largamente otto anni – i 141 milioni di euro non sarebbero stati necessari ed avrebbero potuto essere impiegati per nuove opere e nuova tecnologia di cui hanno estremo bisogno altri presìdi del servizio sanitario regionale assai spesso vetusti e decadenti o con scadente offerta di servizi.

C) Il danno da ritardo eccessivo non si limita alla maggiore somma dei 141 milioni. Questa somma è ben poca cosa rispetto agli ulteriori e rilevanti danni economici e sociali che derivano da tale ritardo. Questi danni sono stati determinati nel documento “Contatempo-Contadanno per un Ospedale che non c’è” edito mensilmente dall’Associazione Prosalus Palmi che si batte da anni per il presidio. Ci riferiamo al  danno per numero di ricoveri non effettuati (146.676), per numero di giornate di degenza non erogate con conseguente migrazione sanitaria evitabile (1.034.501), per numero di rapporti di lavoro dipendente non attivati (1.325), per numero di  ore di lavoro non effettuate per l’assistenza ospedaliera (42.029.000), per valore economico della produzione non conseguito e cioè finanziamenti regionali e ricavi dalle prestazioni (€ 1.508.610.558), per costi della produzione non effettuata come  acquisti di beni, servizi, lavoro e cioè fattori che producono reddito nel territorio (€ 1.458.494.596). E così oltre per ulteriori voci. Il documento, per il dettaglio delle fonti e i criteri di raccolta ed elaborazione dati, si può consultare su dirittoepersona.it oppure col seguente link specifico https://www.dirittoepersona.it/il-contatempo-ed-il-contadanno-per-un-ospedale-che-non-ce/

In definitiva la presenza di un ospedale produce assistenza qualificata ed anche i relativi costi di attività si riverberano positivamente come fonte di reddito per famiglie, lavoratori e imprese del territorio e, più in generale, della Regione. Il nuovo Ospedale si sarebbe ripagato per decine di volte se fosse stato attivato per tempo.

D) La scelta del Commissario appare inevitabile pena l’impossibilità di andare avanti col nuovo Ospedale per mancanza di copertura finanziaria dei maggiori costi nonostante si tratti di opera necessaria ed urgente e perciò non rinunciabile per il territorio di riferimento. Il che avrebbe comportato, a parte tutto il resto, un’ulteriore e forse definitiva “frustata alla schiena” dei cittadini della Piana già esasperati dallo stillicidio delle fasi procedurali sopra indicate.

E) …per non dire dell’ulteriore danno all’immagine dell’Amministrazione già da tempo compromessa per la vicenda della non realizzazione della struttura dopo 16 anni e con un preventivo di ulteriore tempo di 4 – 5 anni.  

F) la Regione inoltre avrebbe dovuto indennizzare il concessionario per mancato guadagno a seguito della risoluzione del rapporto per fatto dell’Amministrazione; si sarebbe trattato di un ammontare pari a circa il 10% del valore del contratto come stabilisce forfettariamente la normativa dei lavori pubblici per questi casi di rinuncia all’opera.

G) tutte le considerazioni fin qui svolte (danno, maggiori costi, ritardi nell’assistenza, ecc.), compresi i nuovi costi, valgono anche per gli altri due ospedali (Vibo – Sibaritide) in quanto anche tali strutture non sono ancora state realizzate e sono in enorme ritardo rispetto alla programmazione del 2007. Insomma, deve farsi una moltiplicazione per tre di tutte le negatività sociali ed economiche che sono state fin qui descritte e che hanno fondamento esclusivamente nella grave disfunzione di amministrazione pubblica propria della Regione Calabria.

H) le problematiche ospedaliere della Piana di Gioia Tauro non finiscono qui e bisogna pensare fin da ora alla valorizzazione dell’Ospedale di Polistena che ha tutti i presupposti per essere ottimizzato subito in termini di risorse umane e tecnologiche poiché ancora lungo è il tempo di attivazione del Nop (quattro anni per la costruzione, uno per l’attivazione).

Ancora più importante è che per esso si programmi, in parallelo ed in sincronia coi tempi del Nop, uno sviluppo in termini di nuove funzioni specialistiche multizonali, non ripetitive (altrimenti inutili e inefficienti) delle strutture del Nop; Infatti la Piana è baricentro kilometrico ed orario tra il Reggino, la Locride ed il basso Vibonese. In quanto tale, perciò, attrattiva ed in perfetta compatibilità, con gli appositi indicatori ministeriali di spedalizzazione per un certo tipo di attività. Sul punto si fa riserva di scriverne a parte anche se l’Associazione Prosalus di Palmi ha già proposto il tema (Convegno Villa Mazzini del 19.8.2019, Convegno Casa della Cultura del 16 giugno 2023).

Si può concludere

Per tutto ciò che riguarda il Sud, la Regione Calabria e la sanità in particolare, il tempo che trascorre inutilmente costa moltissimo alle popolazioni in termini sociali ed economici; questa vicenda ne è una prova evidente ed emblematica. L’apparato politico e burocratico forse non si rende conto che l’inutile trascorrere del tempo costituisce grave violazione di legge (buon andamento ex art. 97 Costituzione, efficacia dei procedimenti ex art. 1 legge 241/90) e si limita alla legittimità formale dei singoli atti che è solo un presupposto della buona gestione. 

Al Governatore Commissario Occhiuto va riconosciuta, ma non per molto tempo ancora, la franchigia da responsabilità essendosi insediato da poco più di due anni e dovendo pertanto risolvere annosi e pregressi problemi di ritardo ed inefficienza. Egli deve però comprendere, tornando alla questione del nuovo ospedale di Palmi e degli altri ospedali “urgenti” dal 2007, che il cammino da fare (cantiere, costruzione, dotazione risorse umane e tecnologiche, attivazione) è ancora più impervio di quello compiuto per cui occorre un radicale cambio di marcia agendo non più per atti e carte varie ma per fatti e risultati tempestivi e concreti. Staremo a vedere. (em)