«NON FATE IL PONTE DISTURBA GLI UCCELLI»
L’INSENSATEZZA DI CHI SI SCHIERA CONTRO

di SANTO STRATI – Tra le tante insensatezze di chi si schiera contro la realizzazione del Ponte “dello” Stretto ce n’è una, in particolare che merita attenzione: «Non fate il Ponte, disturba la migrazione degli uccelli», hanno detto qualche giorno fa dalle Ong ambientaliste. E sì, proteggiamo i pesci a cui – secondo qualche biologo marino – l’ombra del ponte darebbe fastidio e non trascuriamo la fauna avicola che sarebbe costretta a cambiare rotta per attraversare lo Stretto.

Ci sembrano due “ostacoli” che se non fosse che sono stati esposti con serietà (pur col rischio del ridicolo) indurrebbero a una grande risata. E invece nel cronoprogramma di quest’opera colossale vanno ad aggiungersi alle tante panzane di chi si schiera contro il Ponte e utilizza ogni argomento, dal più fantasioso al più futile per creare inutile confusione tra la gente.

In un Paese dove, ad ogni mondiale, tutti diventano commissari tecnici di calcio (ognuno ha la sua formula vincente, ma almeno è roba da bar sport), adesso è di moda discettare sul Ponte, sui rischi simici e geologici, sulla “infattibilità” dell’Opera, sui treni che “non potrebbero viaggiare su un ponte sospeso” fino alla “micidiale presenza costante” di venti che renderebbero inutilizzabile l’opera per buona parte dell’anno.

Se permettete il termine, questo rischia di diventare il “Ponte delle balle” prim’ancora che il prossimo luglio (così dice Salvini) si ponga la prima pietra: è incredibile la quantità di sparate senza senso (e soprattutto senza cognizione alcuna) a proposito della realizzabilità dell’Opera. E ci fa piacere che (come avevamo suggerito molti mesi fa) il Governo abbia pensato a investire qualche soldo (7 milioni in 7 anni) per la comunicazione. Sperando non per compiacere i media degli “amici” ed elargire corposi compensi a comunicatori professionali (che peraltro sarebbe soldi ben spesi) ma per sgomberare il campo dalle troppe falsità che stanno confondendo l’opinione pubblica.
È opportuna una decisa azione di informazione e comunicazione che spieghi nel dettaglio agli italiani e non solo quali sono i vantaggi, le opportunità, ma anche i rischi del non fare l’opera.

Con numeri, dati di fatto, elementi concreti elaborati da tecnici ed esperti di costruzione.
I nostri ingegneri sono tra i migliori al mondo e il progetto del 2011 che in tanti – senza capire un’ acca di realizzazioni ingegneristiche – continuano a ripetere sia “vecchio”, in realtà va semplicemente aggiornato perché in 12 anni le tecnologie hanno scoperto nuovi materiali e ci sono altre esperienze cui fare riferimento. Tant’è che in Turchia hanno preso il progetto del Ponte sullo Stretto del 2011 e ci hanno fatto nel 2022 il Çanakkale Bridge, un ponte sullo Stretto dei Dardanelli, lungo 2.023 metri (quello di Messina sarà di 3.660 metri).

Il Ponte della Battaglia di Gallipoli (questo il nome ufficiale dell’opera realizzata in Turchia in tempi brevissimi) ha superato di 32 metri quello che era il Ponte più lungo del mondo (nello Stretto di Akashi, in Giappone) e naturalmente dovrebbe essere superato, come lunghezza da quello che dovrebbe collegare Sicilia e Calabria. Permetteteci il condizionale, ma il Ponte di Salvini rimane a forte rischio di realizzabilità perché in questo Paese l’instabilità politica e i poteri forti spesso decidono sulla testa degli italiani.

Proviamo a pensare se non ci fosse stato l’insensato stop di Monti all’Opera sullo Stretto nel 2011, quando già a Cannitello si era realizzata la variante ferroviaria che serviva al Ponte: oggi, già da almeno quattro anni, avremmo avuto un’opera invidiata da tutto il mondo, frutto della creatività e del genio italico che avrebbe fatto da traino allo sviluppo del territorio calabro e siculo anche in termini infrastrutturali.
I “benaltristi”, ovvero quelli che sostengono che vengono “prima” altre esigenze infrastrutturali (strade, ferrovie, etc in Calabria e in Sicilia), continuano a ignorare che il Ponte non può fare a meno di poter contare su una rete ferroviaria e stradale adeguata, in grado di convogliare e gestire traffico tra la Sicilia e il Continente, ovvero l’Europa.

Inutile recitare geremiadi sull’Alta Velocità che non si farà mai (e ancora nessuno ha spiegato perché il tracciato proposto allunga di 50 minuti il percorso) e che invece diventa irrinunciabile in presenza del Ponte o della famigerata Statale 106 (la strada della morte) che dovrà necessariamente diventare una nuova autostrada per favorire la crescita di tutta l’area jonica. E a maggior ragione in funzione del Ponte. Ma i troppi saccenti che predicano a piè sospinto contro la realizzabilità del Ponte fanno il paio con i “benaltristi” si muovono – evidentemente – con finalità sconosciute e ignoti obiettivi di parte. Viene il sospetto che accanto all’ignoranza globale dimostrata nelle argomentazioni contro il Ponte, vi sia anche una regia occulta che remi contro per ragioni non soltanto squisitamente economiche.
Si pensi ai costi dell’insularità di questi 12 anni sprecati: la Sicilia spende 6 miliardi l’anno, se ne potevano costruire quattro di ponti… Ma, ancora oggi, questo tema viene regolarmente sottaciuto o messo in disparte.

E che dire della sinistra che dopo il ripensamento degli anni scorsi (quando il premier Conte rispolverò l’idea dell’attraversamento stabile) che vedeva persino una parte dei Cinque Stelle non più contraria, oggi ne sta facendo un cavallo di battaglia contro la destra che ha riproposto l’Opera. E, soprattutto, contro Salvini che si sta giocando il suo futuro politico proprio con il Ponte.

Volenti o nolenti, bisogna riconoscere al leader leghista una straordinaria determinazione a proposito del Ponte: ha preso in mano l’iniziativa e la sta “vendendo” come frutto del suo personale impegno nei confronti del Sud (che elettoralmente gli sta dando qualche dispiacere). È singolare che a volere il Ponte sia quel leghista che prima “detestava” i meridionali (le sue cadute di stile e gli insulti gratuiti sono reperibili su Internet), ma ben venga il fervore di Salvini e gli si intesti pure l’Opera, se riuscirà nell’intento.

Stranamente, la premier Meloni non si allarga più di tanto sul tema Ponte: lascia fare – prudentemente – alla Lega il lavoro “sporco”, ma risulta chiaro che l’attuale maggioranza ha i numeri per varare – finalmente – la più grande opera infrastrutturale del mondo, là dove gli omerici Scilla e Cariddi erano il terrore dei naviganti.

Secondo le (ottimistiche) previsioni a luglio dell’anno prossimo partono i lavori. Intanto si pensi alla formazione di muratori, carpentieri, elettricisti e manovali (ne serviranno in quantità industriale) che gli istituiti professionali potrebbero adeguatamente preparare, ma soprattutto non si perda l’opportunità di usare il gigantesco e qualificato bacino di tecnici e laureati di cui dispongono Calabria e Sicilia. Il Ponte è strumento di crescita dei territori interessati e offrirà occupazione e sviluppo a chi ci vive. Sono considerazioni che dovrebbero bastare a far smettere di parlare di uccelli e pesci e (inesistenti) danni ambientali e invece pensare alle occasioni di lavoro che si andranno a realizzare.

In buona sostanza, il Ponte non è solo la messa a terra di due piloni giganteschi e la costruzione di una campata unica mai vista fino ad ora in nessuna parte del mondo, bensì è una fonte inesauribile di opportunità per il territorio e tutto il Mezzogiorno, con la creazione (perché no?) di stabilimenti e fabbriche in grado di produrre e lavorare anche i materiali che serviranno nonché l’information technology necessaria per il progetto esecutivo e la sua realizzazione.

L’ideale sarebbe che su un progetto del genere che riguarda il Paese e non solo il Sud o le due regioni interessate, ci fosse una larga intesa parlamentare. L’opposizione faccia la sua parte ma in termini costruttivi e non palesemente politici. (s)

FEDERALISMO FISCALE E DEFINIZIONE DEI LEP
IL BINOMIO CHE SERVE A SUD E ALLA CALABRIA

di ETTORE JORIO – Essere favorevole a quanto sancito dalla Costituzione è regola di ogni cittadino, studioso o meno che sia. Dire sì al federalismo fiscale che manda in soffitta la spesa storica che ha ucciso la Calabria fiscale è da saggi e previdenti. Fare il tifo a che vengano, finalmente, definiti i Lep per materia da garantire a tutti è da cittadino esemplare e benpensante.

Proprio per questo motivo è da apprezzare il contenuto della dichiarazione resa da Vito Grassi, nel corso dell’audizione del 30 maggio scorso presso la Commissione Affari costituzionali del Senato. Il tema era il regionalismo differenziato, meglio il testo del Ddl Calderoli.

Si è venuto quindi a concretizzare, da parte del numero due della Confindustria, un consenso, ancorché sub condicione, sull’attuazione dell’art. 116, comma terzo, della Costituzione, da farsi pertanto con cautela e con qualche aggiustamento, soprattutto in tema di perequazione. Non solo. Fissando delle priorità, senza le quali potrebbe generarsi il caos istituzionale.

La sostenibilità amministrativa

Alla sostenibilità finanziaria del sistema autonomistico territoriale, destinato a cambiare con uno Stato che dovrà cedere alcune prerogative legislative, il vice presidente della Confindustria con delega alla Regioni ha dichiarato l’ineludibile esigenza di assicurare, oltre a quella economica, la «sostenibilità amministrativa».

Da qui, un importante consenso all’iniziativa legislativa in corso, ma seriamente subordinato ad un elemento fondamentale per esercitare il meglio della sussidiarietà istituzionale, di cui all’art. 118, comma primo, della Costituzione. Ben vengano dunque i Lep, individuati per materie o ambiti di esse, benintese per quelli scomponibili in livelli essenziali di prestazioni.

D’accordo, quindi: sulla determinazione dei costi standard per le materie diverse da quelle erogabili attraverso funzioni fondamentali da finanziare con i fabbisogni standard di cui al d.lgs. nr. 216/2010, anche essi da valorizzare con grande accortezza; sulla definizione dei fabbisogni standard, diversi da quelli anzidetti, da assicurare alle diverse aree regionali del Paese, garanti della copertura dei fabbisogni espressi dalle rispettive comunità; sulla necessità di formalizzare la disciplina e le risorse con le quali, rispettivamente, sancire le regole della perequazione ordinaria e assicurarne il contributo agli enti territoriali di cui all’art. 119, comma terzo, della Costituzione a garanzia di esigibilità dei Lep ovunque; sulla individuazione delle risorse necessarie ad assicurare l’esercizio delle funzioni amministrative per ogni materia, eventualmente ceduta alle Regioni differenziate, da valorizzare con senso segnatamente pratico e differenziato per territori sulla base delle loro disponibilità strutturali.

Applicazione progressiva e valutata nella prassi

A valle di tutto questo, è stata manifestata l’opportunità di pervenire ad una applicazione «graduale e sperimentale» dell’autonomia legislativa differenziata, da doversi escludere tuttavia per quelle materie che avranno ricadute strategiche e, dunque, bisognose di una gestione assolutamente unitaria, del tipo infrastrutture energetiche e di trasporto nonché servizi a rete e commercio con l’estero (Grassi, dixit). Quella che solo la competenza e la regolamentazione esclusiva statale può garantire.

Di conseguenza, visto il lasciapassare del massimo organismo rappresentativo della imprenditorialità e quelli eventuali da acquisire dalle altre rappresentanze associative e sindacati, può ben programmarsi la stagione dell’esame parlamentare del Ddl Calderoli, presagendo nel suo corso una pioggia di emendamenti, soprattutto in materia perequativa, in perfetta continuità con la legge 42/2009 e dei decreti delegati nn. 216/2010, 23, 68 e 88 (perequazione infrastrutturale) del 2011.

Nel contempo, grande attenzione concomitante sui lavori della Cabina di regia, istituita con la legge di bilancio per il 2023 (art. 1, commi 791-801), per l’appunto destinati alla preparazione delle bozze dei Dpcm individuativi dei Lep e degli strumenti finanziari destinati alla loro sostenibilità, anche amministrativa.

Dunque, un’attuazione del regionalismo fiscale senza fretta, che darebbe modo di mettere preventivamente a terra i Lep e l’applicazione del federalismo fiscale, al lordo della perequazione.

Un ulteriore decisivo impegno condizionante

A proposito di quest’ultima, che sembra essere la condizione più rilevante posta dalla Confindustria oltre alla perequazione nonché alla esclusione di alcune materie dalla differenziazione, si renderà necessario, nel prosieguo più immediato, un grande impegno aggiuntivo della anzidetta Cabina di regia.

La stessa dovrà infatti – definiti i Lep e determinati i costi/fabbisogni standard – valorizzare gli oneri finanziari da sopportare per l’esercizio delle funzioni amministrative “cedute” alle diverse Regioni, che di conseguenza dovranno accollarsene il corrispondente peso economico, sulla base delle materie differenziate e dei trasferimenti statali necessari. Il tutto nel rispetto della sostenibilità dei loro bilanci, naturalmente accresciuti della relativa spesa esonerata allo Stato e, in quanto tale, finanziata in incremento nell’ambito della metodologia finanziaria sancita dal federalismo fiscale, caratterizzata da costi e fabbisogni standard perequati così determinati per garantire «alle Regioni di finanziare integralmente le funzione pubbliche loro attribuite» (art. 119, comma quarto, Cost.). (ej)

IN CALABRIA SEMPRE MENO NATI E PIÙ
ANZIANI: ORA È INVERNO DEMOGRAFICO

di FILIPPO VELTRI – L’Italia ha 15 anni per salvarsi dalla tragedia demografica. Il nostro Paese ha registrato nel 2022 appena 399 mila nascite, la metà di quelle francesi. Una distanza abissale che non si spiega solo con la maggiore attenzione alle famiglie del sistema pubblico transalpino. Il fatto è che gli italiani hanno iniziato a fare pochi figli già da quarant’anni e dunque le coppie che si sono formate negli ultimi anni sono di molto inferiori a quelle francesi. Così l’Italia è finita in un circolo vizioso che sta bruciando la sua unica, vera, ricchezza: gli italiani.

A suonare l’allarme è stato per primo il volume “La trappola delle culle” scritto da due giornalisti, Luca Cifoni e Diodato Pirone, in libreria gia’ da alcuni mesi. Poi sono intervenuti 10  giorni fa i dati Istat su cui il prof. De Bartolo su questo giornale ha avviato da qualche settimana alcune riflessioni interessanti.

I due autori non analizzano nel loro libro solo le dimensioni del dramma demografico italiano ma ipotizzano nove azioni concrete per invertire una rotta che ci porta verso un lento suicidio collettivo.

Il 1964 è come un momento di cesura, uno spartiacque tra due periodi della nostra storia recente: qualcosa finisce e qualcosa sta per iniziare, anche se non se ne percepiscono i contorni.

Certo è che proprio in quell’anno – la coincidenza fa riflettere – si invertono due indicatori strategici: da una parte il debito pubblico italiano raggiunge il suo punto più basso in rapporto al Pil, appena il 27,7%, e da allora inizierà a lievitare fino a condizionare l’intera vita del Paese (oggi siamo oltre il 150); dall’altra il nostro boom demografico tocca il picco massimo con oltre un milione di bambini venuti al mondo in tutta la penisola, per poi imboccare il bivio di una lenta quanto inesorabile rarefazione di culle e passeggini.

Ecco, i bambini. Visto con gli occhi di oggi, il 1964 è una specie di paradiso perduto della natalità, un Eldorado che sarà impossibile riconquistare. «(…) Il confronto è sconsolante: il numero dei nati, che già nel 2015 era sceso sotto il mezzo milione, è precipitato ancora finendo sotto quota 400mila nel 2021. Nascono poco più di un terzo dei bambini del 1964, con la differenza che allora eravamo 51 milioni, mentre oggi la popolazione italiana sfiora i 59. E infatti, il tasso di natalità è crollato sotto quota 7 per mille, il livello più basso in Europa, e appena un terzo di quello del ’64. È salita, invece, oltre i 31 anni l’età media del primo parto. Quanto al numero medio di figli per donna, siamo scesi nel 2021 a 1,25: meno della metà del livello del 1964 e soprattutto un valore drasticamente al di sotto di quel 2,1 che è considerato dalla scienza demografica il minimo per man- tenere in equilibrio una popolazione, in assenza di fattori esterni come le migrazioni».

Il presidente dell’Istat, Gian Carlo Blangiardo, che di mestiere fa proprio il professore di demografia, ha dato un’idea approssimata ma intuitiva della drammaticità di questi numeri proponendo una banale moltiplicazione: un flusso di 400mila nascite all’anno moltiplicato per una sopravvivenza media di 80 anni – in linea con quella attuale – vuol dire a parità di altre condizioni arrivare a fine secolo a una popolazione di 32 milioni di abitanti (400.000 x 80 = 32.000.000). Circa la metà – la metà! – di quanti siamo oggi.

È uno scenario, come si è detto, volutamente ipersemplificato. Ma nemmeno troppo lontano dalle previsioni dell’Onu, che ci assegnano per il 2100 poco meno di 40 milioni di residenti.

Cosa ha spazzato via anche il ricordo dell’Italia prolifica del 1964? È davvero tutta colpa della recessione? A costo di frantumare qualche cliché, dobbiamo rispondere “no”. La crisi della natalità degli ultimi anni non va messa (solo) sul conto della crisi economica, del precariato, dell’anemia delle politiche pro-nascite, di un Paese che continua a penalizzare le donne sul fronte del lavoro. A questi dati di fatto se ne affianca un altro, poco considerato ma devastante: i giovani italiani di oggi, quelli nati intorno agli anni ‘90, ormai sono troppo pochi per mettere al mondo un numero di figli sufficiente a rivitalizzare la natalità. Con la carestia di nascite degli scorsi decenni abbiamo costruito noi stessi un meccanismo autodistruttivo: ormai mancano bambini perché la quantità di nuove possibili coppie è esigua, scarseggiano i nuovi papà ma soprattutto sono numericamente insufficienti le donne che possono avere figli.

Alla storia che abbiamo raccontato finora manca un elemento: l’effetto degli oltre tre anni di pandemia. Istat ha osservato che questa circostanza straordinaria lascerà tracce nel tempo: siccome da noi c’è ancora un forte legame tra la scelta nuziale e quella di avere figli, è prevedibile che le unioni “perse” provocheranno nei prossimi anni circa 40mila nascite in meno. L’Italia si sta insomma suicidando.

  Per quanto riguarda la Calabria la “desertificazione” continua a registrare numeri allarmanti: gli ultimi sono quelli delineati dal Laboratorio economico territoriale Politiche del Lavoro del Dipartimento del Lavoro della Regione nell’ambito del programma Gol. Secondo quanto si legge nell’analisi, in Calabria «si è passati dai 1.998.792 residenti del 2004, ai 1.877.72 del 2020, con la perdita complessiva di 121mila unità. Nello stesso arco temporale si assiste ad un processo di invecchiamento della popolazione, con una crescita della fascia degli ultra-sessantaquattrenni che passa dal 17,6% del 2004 al 22,1% del 2020, e ad una contrazione della popolazione tra 0 ed i 14 anni del 12,4%».

Poi l’Istat ci ha comunicato l’ultimo dato ferale: la speranza di vita tra Nord e Sud e’ di tre punti a favore del Trentino Alto Adige rispetto alla Campania, prima ed ultima della graduatoria. E hanno ancora il coraggio di parlare di autonomia differenziata! (fv)

PERDE COLPI L’AUTONOMIA DI CALDEROLI
SI LAVORI INVECE A FAR CRESCERE IL SUD

di PIETRO MASSIMO BUSETTALa marcia veloce, senza ostacoli, che aveva immaginato Calderoli è facile che debba fermarsi. Troppi sono i segnali e le prese di posizione di organismi non politici che dichiarano la loro contrarietà a un equilibrio nazionale  che potrebbe non reggere, nel caso in cui si attuassero i livelli essenziali delle prestazioni in tutto il Paese. La convinzione che ha pervaso  i documenti e le dichiarazioni  sia dell’organo tecnico del Senato, ma anche di Bankitalia, di Confindustria, e recentemente anche dell’Unione Europea, va nello stesso senso.

La conclusione che se la riforma, che attuerebbe il titolo quinto della Costituzione, inopinatamente modificato dal Centro Sinistra, dovrà essere attuata senza oneri per il bilancio statale, la situazione non potrà che rimanere invariata e quindi l’autonomia differenziata fermarsi. 

Ma mentre la contrarietà rispetto ad una riforma che vuole statuire come corretta una spesa storica che toglierebbe ogni anno al Mezzogiorno, a seconda dei calcoli, dai 30 ai 60 miliardi, è assoluta si deve però criticamente riflettere sulla situazione, ormai consolidata,  che certamente con crescite non particolarmente elevate non può essere cambiata, anche se sarebbe assolutamente corretto che lo fosse.

L’esempio diffusamente riportato dei 66 asili nido di Reggio Emilia rispetto ai 3 di Reggio Calabria dimostrano plasticamente come sarebbe estremamente complicato, certamente non senza aggravio di costi, stabilire diritti analoghi per tutti. 

Ma anche se l’autonomia differenziata voluta da Calderoli e che avrebbe, nello schema previsto dal Ministro, scavalcato totalmente il Parlamento, seguendo un accordo pattizio tra Regioni e Presidente del Consiglio, dovesse essere fermata non vi è dubbio che rimane in piedi il grande problema della differenza di diritti di cittadinanza esistenti nelle due parti del Paese, come anche quello della spesa storica che sarà estremamente complicato poter mettere in discussione. 

Perché evidentemente mentre é relativamente facile fornire servizi a chi non li ha, è assolutamente impossibile pensare, senza rivolgimenti sociali, di sottrarre i diritti di cittadinanza a chi ne usufruisce da anni. 

Ed allora se la strada di tenersi un residuo fiscale teorico, che in realtà proviene da meccanismi complessi che hanno la loro origine in tutte le parti del Paese, tra loro connesse, è assolutamente da bloccare, non si può non considerare che le realtà più evolute, come Lombardia, Emilia-Romagna e Veneto, che hanno chiesto per prime di poter gestire al meglio le risorse che con i limiti già detti produrrebbero, hanno bisogno di confrontarsi con quello che avviene nella realtà più evolute della MittelEuropa e cercare di non perdere passi per esempio nella infrastrutturazione. 

La Regione Veneto ha annunciato una svolta nel sistema dei trasporti: Hyper Trasfer arriverà e a progettarlo sarà il consorzio Webuild-Leonardo. Le capsule di trasporto realizzate con il nuovo sistema potranno viaggiare a più di 1.200 chilometri ora, tra l’Interporto di Padova e il Porto di Venezia. 

Bene stare all’avanguardia ha dei costi che queste Regioni hanno paura di non poter sostenere, per questo vogliono quella autonomia che consentirebbe loro di correre al passo degli altri competitori. Ed allora il tema non è tanto quello di fermare qualcuno per far crescere gli altri, non è quello di far correre Milano anche a costo che Napoli affondi, come incautamente affermò qualche anno fa Guido Tabellini, quanto invece quello di fare in modo che la locomotiva Sud, che può, come dice Lino Patruno, dare anche lezioni di sviluppo all’Italia, parta veramente e che produca quel reddito annuo che aumenti il Pil nazionale di una dimensione tale da consentire, aldilà delle risorse eccezionali del Pnrr, di poter avere un welfare, che non possa più prevedere che alcuni medicamenti possano essere a carico del servizio sanitario nazionale in alcune regioni ed in altre invece a carico del paziente, come avviene tuttora. 

Per questo la strada da percorrere è quella di procedere velocemente con investimenti adeguati, che consentano l’attrazione di iniziative dall’esterno dell’area, intanto nelle aree Zes, che già pare comincino a funzionare, anche se in modo diverso da regione a regione, ma anche riuscendo ad avere un progetto di sviluppo per il settore turistico che rifletta adeguatamente sulla necessità che si attui una normativa speciale che consenta l’insediamento accelerato di investimenti alberghieri, con l’adozione di una normativa che imiti le Zes manifatturiere, riproponendo il meccanismo. 

La strada che si è intrapresa per quanto riguarda il Ponte sullo stretto e le altre infrastrutture del sistema ferroviario, autostradale e portuale del Mezzogiorno e che Salvini, con una determinazione che stupisce, e che sta passo dopo passo portando avanti, é quella giusta. 

Per questo è necessario che si proceda con tempificazioni adeguate perché il tempo non è una variabile indipendente e i ritmi della crescita devono essere sostenuti, per dimostrare al Paese intero che la strada non può essere quella della divisione tra piccoli Staterelli indipendenti o quasi, quanto quella di una sinergica attività che porti, invece  che a a dividere l’unico tavolo che si ha a disposizione, rendendolo praticamente inutilizzabile per tutti, a moltiplicarne il numero perché si possa stare meglio in più.  (pmb)

[Courtesy Il Quotidiano del Sud – L’Altravoce dell’Italia]

LE AMMINISTRATIVE 2024 IN CALABRIA
L’IMPEGNO CHE SERVE PER IL TERRITORIO

di FRANCESCO RAOChiuso il ballottaggio delle Amministrative 2023, non può passare inosservato l’ulteriore calo delle affluenze alle urne, certificato dal Viminale in un dato pari a otto punti percentuali rispetto al primo turno. Al netto della vittoria o della sconfitta dei rispettivi schieramenti politici, vista la frammentaria distribuzione del turno elettorale sull’intero territorio nazionale, credo che in molti si saranno chiesti se la nostra democrazia godesse ancora di piena salute oppure se vi fossero patologici segni di malessere.

Personalmente credo che la nostra democrazia sia affetta da una profonda crisi esistenziale, circostanza alimentata dal roboante vuoto nel quale i Cittadini sono costretti a vivere, manifestando resistenza nei confronti del diritto di voto e disertando con maggiore frequenza i seggi elettorali. Con molta probabilità, nel corso dei prossimi giorni, il tema che più terrà banco a livello nazionale e locale sarà da una parte l’analisi della vittoria politica e dall’altra la gratificazione apportata ai candidati eletti.

Non mancheranno nemmeno le solite frecciate lanciate dai “perdenti”. Queste ultime, come da manuale, in altri tempi erano il viatico per ricompattarsi e ripartire, nel secolo della comunicazione social, saranno l’ennesimo pretesto per sfaldarsi ancora di più mentre il vento della vittoria rafforzerà la centralità di un potere legittimato democraticamente da una evidente minoranza di Elettori.

Guardando alle Amministrative del 2024, in Calabria, circa il 30% dei Comuni sarà interessato al turno elettorale per l’elezione dei Sindaci e dei rispettivi Consiglieri comunali. Seppur l’ambito locale molto spesso non rappresenti in pieno la tendenza politica che governa la regione di riferimento, i temi da affrontare saranno sicuramente tantissimi e il peso dei (pochi) progetti avviati con i fondi del Pnrr potranno essere determinanti. Bisognerà anche saper fare ammenda su quanto non è stato fatto per arginare la spoliazione socioeconomica delle aree interne. Vivendo in un Comune situato nel cuore della Piana di Gioia Tauro, oltre alle numerose problematiche quali la sanità, la disoccupazione, il calo demografico, la povertà educativa e la dispersione scolastica – solo per citare alcuni macro-ambiti –, la qualità dei collegamenti stradali, in modo particolare quelli riconducibili alle realtà territoriali presenti nelle aree interne, rappresentano ancora oggi una fortissima criticità.

Con il trascorrere del tempo, per la Pedemontana della Piana di Gioia Tauro, tranne sporadici casi nei quali le modifiche apportate al tracciato hanno reso monca l’idea e la funzione iniziale, è mancato quel costante impegno politico locale, indispensabile per incidere in modo determinante sull’agenda politica regionale e nazionale affinché l’importante infrastruttura, oggi parzialmente incompiuta, potesse divenire una reale opportunità per i 33 Comuni e circa 150.000 abitanti direttamente o indirettamente interessati. Diciamolo chiaramente: è mancata la capacità politica di ragionare insieme, condividendo una visione complessiva e guardando con lungimiranza a quei mutamenti che avrebbero nel tempo interessato lo sviluppo dell’intera provincia di Reggio Calabria. 

La miopia di molti politici, eletti a furore di popolo, non ha considerato l’importanza strategica generata al contempo dall’asse Jonio-Tirreno, concretizzatasi grazie alla SGC Rosarno-Gioiosa Jonica, destinata poi ad intersecarsi con la nuova SS 106; non sono state considerate le potenzialità del Porto di Gioia Tauro e della ZES; non è stata considerata la nascita e le potenzialità di un vero e proprio raccordo stradale, strutturato nel cuore della Piana di Gioia Tauro e percorribile in parte tramite autostrada e in parte tramite la Pedemontana, con risvolti inimmaginabili sull’asse della logistica intermodale.

Forse per qualche mese, magari in occasione delle future campagne elettorali, troverà spazio la chiusura della galleria di valico della SGC. In tale occasione, avviando la solita “caciara”, ci sarà spazio per tutto tranne che per rinsaldare le fila e procedere uniti verso comuni obiettivi. Dalle colonne di Calabria.Live, oltre all’analisi vorrei lanciare qualche proposta, anche perché ricevo man forte della recente norma mediate la quale il Ponte sullo Stretto di Messina appare prossimo all’affidamento dei lavori con la posa della “prima pietra”.

Certo, ricordando l’affermazione di Andreotti, presente a Gioia Tauro all’inaugurazione dei lavori del V° Centro Siderurgico, sarebbe opportuno considerare urgente la necessità di far ripartire dal basso il territorio, riponendo nelle trasversali regionali un nuovo punto di partenza per arginare gli effetti di un lento ma costante declino demografico che nei prossimi dieci anni diverrà causa principale di una spoliazione destinata a colpire scuole, uffici pubblici, servizi sociali e gli stessi Comuni, sicuramente costretti all’accorpamento territoriale per poter affrontare la quotidianità. Ed allora, viste le somme destinate per le infrastrutture stradali a supporto della mega opera che unirà la Calabria alla Sicilia, considerando che proprio questo territorio appare ultimo tra gli indicatori Europei, perché non iniziare subito a lavorare con il massimo impegno per superare gli isolamenti latenti di una parte importantissima del nostro territorio? 

Occorre verificare immediatamente la possibilità di cedere all’Anas l’ultimazione della Pedemontana della Piana di Gioia Tauro, in quanto la “forza” della Città Metropolitana di Reggio Calabria non può essere propulsiva alla conclusione ed all’ampliamento dell’opera stessa. In tal senso, sarebbe opportuno verificare la possibilità di realizzare un collegamento stradale tra Gioia Tauro e Locri, facendo passare il tracciato proprio da Cittanova, considerando strategico il collegamento quale snodo a Sud dell’Area Metropolitana senza trascurare le incertezze afferenti alla realizzazione della Bovalino-Bagnara.

Infine, bisogna considerare e far presente in ogni sede istituzionale il ciclo di vita della galleria di valico della SGC la quale, sin dal prossimo settembre, parrebbe evidente che sarà interessata a importanti interventi manutentivi con relative chiusure al traffico e notevoli conseguenze riconducibili alle ricadute socioeconomiche che i due territori, collegati dall’asse stradale, saranno costretti a subire. (fr)

IL PONTE OPPORTUNITÀ PER REALIZZARE
L’AREA METROPOLITANA DELLO STRETTO

di ROBERTO DI MARIA – Messina e Reggio Calabria sono distanti, in linea d’aria, meno di dieci chilometri. Tuttavia, la presenza dello Stretto ha da sempre impedito alle due città di costituire quel bipolo urbanistico che, in condizioni simili, si instaura naturalmente tra realtà urbane così vicine.

Non ci possono esser scambi di servizi né dislocamento delle residenze se la distanza reale è ben diversa da quella geografica; in questo caso, è almeno dieci volte più grande. I collegamenti tra le due città, nonostante la presenza di traghetti ed aliscafi, non sono mai stati in grado di garantire quelle velocità,  regolarità e capacità che i sistemi di trasporto devono avere per consentire lo sviluppo delle sinergie tipiche di una vera e propria area metropolitana. Il Ponte sullo Stretto costituisce l’opportunità storica di concretizzare questa ipotesi, determinando una svolta epocale per l’intero territorio circostante.

Le potenzialità, in tal senso, sono immense: se complessivamente i due comuni capoluogo contano già 400.000 abitanti, le due città metropolitane arrivano a quasi 1.200.000 abitanti. Si potrebbe pertanto formare, sulle sponde dello Stretto, la più grande area metropolitana italiana a sud di Napoli.

Un insediamento di rilevanza europea che si troverebbe proprio a cavallo del corridoio Helsinki-La Valletta della rete “Core” dei trasporti europei ad alta capacità. In grado di assicurare, ai messinesi come ai reggini, il raggiungimento di Roma in meno di 4 ore, grazie anche alla realizzazione dell’alta Velocità Salerno-Reggio Calabria. Con riferimento alla Capitale, l’area metropolitana dello Stretto avrebbe un’accessibilità paragonabile a quella di Milano.

La presenza del collegamento ferroviario attraverso il Ponte, oltre a portare direttamente l’alta Velocità sulla sponda siciliana, renderà anche possibile l’apertura di una “metropolitana dello Stretto” che dal centro di Messina perverrà al centro di Reggio Calabria, con 8 stazioni intermedie. Le relative opere sono già previste all’interno del complesso sistema di collegamenti che verrà realizzato tra l’opera di attraversamento e la rete viaria e ferroviaria esistente.

Non si tratta di un dettaglio. Il collegamento rapido su ferro tra le città si sommerebbe, non cancellandoli, ai tradizionali collegamenti in aliscafo che, dovendosi confrontare con un vettore concorrente, sarebbero accessibili a prezzi inferiori. E quando il costo del trasporto si riduce, le più elementari leggi dell’economia ci suggeriscono che gli scambi di persone, servizi e merci si incrementano.

Peraltro, all’occorrenza, i messinesi sarebbero in condizione, diversamente da oggi, di raggiungere gli aeroporti di Lamezia Terme e Reggio Calabria in treno, grazie ai collegamenti ferrovia-aeroporto la cui realizzazione è già in programma in entrambi gli scali. Riducendo, in tal modo, il costo del trasporto dalla nuova area metropolitana verso le destinazioni più svariate al di fuori di essa.

Per quanto concerne il trasporto delle merci, quelle su strada smetteranno di attraversare in lungo ed in largo le città di Messina e Villa San Giovanni per raggiungere gli approdi (o viceversa), ma saranno in condizione, attraverso i collegamenti verso il Ponte, di raggiungere in tempi molto più celeri il continente ed i mercati del nord da qualsiasi parte del territorio della nuova area metropolitana.

Tuttavia, la vera rivoluzione si avrà per i trasporti su ferro. Un modo di trasporto chiamato ad assumere un ruolo da protagonista, dato che l’Ue ha programmato l’incremento della sua quota fino al 30% entro il 2030 ed al 50% entro il 2050.

Il Ponte consentirà il transito di treni merci lunghi fino a 600 metri, mettendo l’intera Sicilia in condizione di riattivare il trasporto ferroviario delle merci, oggi pressoché assente, su tutto il suo territorio. Ciò farà dell’area metropolitana dello Stretto uno snodo fondamentale, con ricadute positive sia sul versante calabrese che su quello siciliano dove, per forza di cose, occorrerà implementare i servizi di supporto alle strutture di smistamento delle merci che verranno create sulle due estremità del Ponte.

Tutta l’area si vedrà in questo modo al centro di flussi di traffico della cui gestione sarà chiamata a ricoprire un ruolo di protagonista, potendo, nel contempo, usufruire di condizioni logistiche più favorevoli per i suoi insediamenti produttivi.

Da una parte, avremo i flussi in direzione Sicilia-Continente, che lungo la direttrice Ten-T consentiranno ai porti siciliani di assumere il ruolo di Gateway nel traffico containers tra l’Europa ed il Far East. Un tipo di traffico che richiede, lungo le direttrici percorse, la presenza di strutture logistiche ed interporti, segnatamente all’altezza degli snodi principali.

Dall’altra, la nuova area metropolitana dello Stretto sarà al centro della grande direttrice marittima nord-sud che si muove lungo lo stretto di Messina, già frequentatissima, a servizio dei porti che sul Tirreno fanno da terminale alla Via della seta marittima. Con particolare riferimento a Gioia Tauro e Salerno che presentano anch’essi enormi potenzialità in chiave Gateway.

La storia ci insegna che tutti gli insediamenti umani che si sono trovati all’incrocio tra le vie di grande comunicazione per i flussi commerciali hanno incrementato la loro ricchezza, assumendo anche un ruolo di notevole importanza su scala continentale se non mondiale. È accaduto per l’antica Roma come, in tempi più recenti, per Rotterdam o Anversa. Può accadere anche per la futura area metropolitana dello Stretto.

A condizione che la politica, sia a livello locale che a livello nazionale, ci creda e si dimostri abbastanza lungimirante da comprendere l’enorme occasione che si profila all’orizzonte. Quando il Ponte sullo Stretto, finalmente, diverrà operativo, un territorio oggi depresso potrà finalmente sviluppare le sue enormi potenzialità, assumendo un ruolo fondamentale nello scenario europeo.

E contribuendo attivamente alla crescita dell’intero sistema Italia, finalmente da Sud. (rdm)

IL GRANDE CUORE DEI RAGAZZI CALABRESI
CORSI A SPALARE IL FANGO IN ROMAGNA

di FILIPPO VELTRI – Ci sono anche  tante ragazze e ragazzi calabresi che in questi giorni, in queste ore drammatiche stanno aiutando la gente di Romagna a risollevarsi dopo la tragica alluvione, con morti, feriti e danni. Alcuni li conosco personalmente, altri sono figli di amici. Lavorano o studiano nelle Università del nord Italia, da Bologna, Ferrara, Modena ma anche da Milano e Firenze. Sono i famigerati fuorisede e anche loro come tanti altri coetanei non hanno atteso richiami appelli o altro ma si sono catapultati subito in quelle aree per dare un mano, pulire, aiutare, fare qualcosa.

Sono la generazione che spesso viene dipinta male ma che pochi conoscono per davvero. Sentite come ha raccontato su Strisciarossa Tania Paolino alcune storie che da oggi ci rimandano a ieri.  Miria vive a Riccione da anni ormai. Ha girato l’Italia, seguendo i ritmi del cuore e del lavoro, e in Romagna, finalmente, ha placato entrambi.

Ma l’alluvione di questi giorni ha purtroppo coinvolto anche lei. La notte della tempesta più violenta, ci ha raccontato, è stata svegliata da un rumore impressionante, come di un martello pneumatico: “chi sarà mai a quest’ora?”. Erano i colpi potenti delle gocce sugli infissi, sul tetto, ovunque. Così, le è tornato in mente, chiaro, un ricordo, di quando, ancora giovanissima, andò a Firenze in occasione di quell’altra orribile alluvione.

Era il 1966, salì da Napoli con un amico di famiglia e trovò alloggio in un convento di religiosi in Viale dei Mille. Nella sua stessa camerata dormivano altre ragazze, alle quali si aggregò per arrivare in centro il giorno dopo. Furono gli stessi preti a contattare la Protezione civile, che indicò dove avrebbero dovuto prestare la loro opera.

“Ci accolse questo signore in divisa, – racconta Miria – ci mise una coccarda col giglio sul braccio per poterci distinguere e ci mettemmo subito all’opera. Feci una pausa di dieci minuti per prendere un toast e andare al bagno. Tutto molto triste, ma credevo che anche da sola mi fosse possibile salvare Firenze da quel disastro per quanto la amavo”.

In piazza Santa Croce, si diedero da fare per salvare i tanti testi antichi e volumi di pregio conservati in una biblioteca storica. Ogni volume veniva schedato, annotando l’ora e il codice di schedatura, se leggibile, o il modo in cui era stato salvato o dove, dalle mani che lo recuperarono per prime all’interno di quel mare d’acqua fino all’ultimo che lo smistava, poi, all’ufficiale addetto al nuovo inventario. “Rientrai a Napoli con l’Arno nel cuore e nelle narici l’odore della carta bagnata. – ricorda ancora Miria -. I libri più rovinati li prendeva una signora per sistemarli come bambole in un carrello con ruote. Gli altri messi meglio ce li passavamo a catena fino alle mani di un uomo in divisa, che li deponeva in un camioncino. Se sia stato possibile recuperarli, non so, ma credo di sì per molti testi antichi. Trasudavano di civiltà e io respiravo pieno Rinascimento”.

Fu un’esperienza incredibile sotto diversi aspetti, ma ciò che più di altro colpiva “era la gara di solidarietà e lo spirito guerriero che entro ruggiva, proprio come oggi in Emilia-Romagna”.

A Riccione l’alluvione è stata contenuta, anche se l’acqua è entrata nella sua cantina. Qui Miria aveva conservato, come tanti, i ricordi di una vita, soprattutto quelli che, nel passare da una casa all’altra, ne rappresentavano una fase dolorosa o da proteggere dagli occhi altrui. Lettere, un quadro di pregio regalatole dal padre, vestiti, qualche mobile, libri. E i libri, buona parte, si sono salvati, perché Miria, nella cura devota che riserva ad essi, li aveva avvolti uno ad uno in una busta di cellophan.

Le altre cose andranno ripulite e smistate. Perché di cose si tratta, alla fine, ma, quando gli eventi inaspettati a volte ci costringono a un repulisti che non vorremmo, non programmato, appunto, esse diventano il nostro vissuto da preservare non solo nella memoria.

Con il marito hanno spalato tutto quello che c’era da spalare. Quando hanno finito, lui è andato ad aiutare chi aveva bisogno. “Ce la faremo anche stavolta”, si dicono.

Già, ce la faranno anche stavolta; tuttavia, Miria riflette: i ragazzi di Ultima generazione hanno ragione, bisognerebbe ascoltarli di più. Cosa vuoi che sia un portone imbrattato di vernice lavabile, seppure di un palazzo istituzionale, di fronte alla devastazione di questi giorni in Emilia-Romagna?

Brava! Questo è il racconto vero della generazione degli anni Duemila. Tutto il resto è fuffa.

REDDITO, LA CALABRIA È FANALINO DI CODA
NELL’INDIFFERENZA TOTALE DEI POLITICI

di FILIPPO VELTRI I numeri ci dicono sempre tutto nella loro apparente freddezza e dovrebbero indurre chi ci governa a capire che esiste un enorme, irrisolto problema che si chiama Sud e che invece di essere affrontato viene peggiorato addirittura.

Dai dati delle dichiarazioni dei redditi 2022 emerge, infatti, che il reddito complessivo dichiarato dagli italiani nel 2021 ammontava a oltre 912,4 miliardi di euro, 47 miliardi in più rispetto all’anno precedente (+5,5%) per un valore medio di 22.540 euro, in aumento del 4,5% rispetto al valore medio del 2020. La dinamica del reddito complessivo riflette l’aumento dei redditi da pensione, lavoro dipendente e lavoro autonomo grazie alla ripresa dell’economia post- Covid. Ripresa che, come emerge dai dati delle dichiarazioni dei redditi pubblicati dal dipartimento Finanze del ministero dell’Economia, ha visto un’accelerazione soprattutto al Nord. 

La regione con reddito medio complessivo più elevato è la Lombardia (26.620 euro), seguita dalla Provincia autonoma di Bolzano (25.680 euro), mentre la Calabria presenta il reddito medio più basso (16.300 euro). 

Se è vero quindi che nel 2021 in media i redditi degli italiani sono aumentati, allo stesso tempo il divario tra le Regioni centro-settentrionali e quelle meridionali si è allargato ulteriormente. Nella classifica delle regioni in base al reddito medio complessivo quelle del Sud si piazzano agli ultimi posti: fanalino di coda la Calabria (16.190 euro), penultimo il Molise (17.390 euro), completano il fondo della classifica Sicilia (17.460 euro), Puglia (17.470 euro), Basilicata (17.510 euro) e Campania (18.130 euro). Sotto la media nazionale (22.540 euro) anche Sardegna (18.800 euro), Abruzzo (19.160 euro), Umbria (20.540 euro) e Marche (21.070 euro).

 Se confrontiamo i dati dei capoluoghi, quello con il reddito medio complessivo più alto è Milano (33.703 euro), che segna un record anche per quel che riguarda l’aumento annuale con un +6,1% nominale e +4,1% al netto dell’inflazione. Seguono Bologna (26.494 euro), Bolzano (26.228), Roma (25.990 euro), Trento (24.736 euro), Torino (24.427 euro). Mentre Palermo è in fonda alla classifica ( 19.985 euro), con Catanzaro (20.248 euro).

Ci scuserete per i tanti numeri ma non è difficile seguirli nel loro percorso che è facile come bere un bicchiere d’acqua e dai quali emerge una cosa chiara: esistono 3 Italie (forse 4) che ancora non hanno trovato una loro vera unificazione dopo 160 e passa anni. Compito delle classi dirigenti sarebbe stato quello di lavorare per eliminare o quantomeno ridurre questo divario, che fa impressione a leggerlo così squadernato oggi nella sua compiutezza.

Qui non si tratta delle solite classifiche sulla ‘qualità della vita’, opinabili finché si vuole, criticabili per i metodi e i criteri utilizzati ma pure sempre veritiere di una situazione ma dei soldi in tasca degli italiani, certo al netto dei reati fiscali e di un’economia sommersa. Anche questa sommersa finché si vuole ma che ad un certo punto deve essere tanto straordinariamente sommersa per consentire un decente livello di vita, di qualità, di socialità etc etc.

 Ci sarebbe, c’è, bisogno di forti azioni di riequilibrio economico strutturale e non di accentuare – come invece avverrebbe ad esempio  nel disegno di una compiuta approvazione dell’idea dell’autonomia differenziata voluta dal Governo – le disparità sociali, economiche, financo culturali all’interno del Paese.

Quei numeri ci dicono intanto una cosa: tra Milano e Catanzaro c’e’ una differenza di reddito di 13 mila euro. Se non è questa una differenza! (fv)

CROTONE, NECESSARIA BONIFICA DELL’EX
AREA INDUSTRIALE: C’È RISCHIO SANITARIO

di FRANCO BARTUCCIA causa degli elevati livelli di inquinamento risulta tra i 42 siti italiani ad elevato rischio sanitario, classificati come di interesse nazionale (Sin), da sottoporre con urgenza ad interventi di bonifica.  Secondo i dati elaborati dagli epidemiologi, sono proprio i Sin le aree del Paese dove si muore e ci si ammala di più, fin dalla più tenera età.

 Lo studio in oggetto è stato realizzato attraverso un approccio multidisciplinare ad un tema complesso da un team di ricercatori di provenienza eterogenea: Salvatore Procopio, responsabile del laboratorio fisico del Dipartimento provinciale Arpacal di Catanzaro e Filomena Casaburi, responsabile del laboratorio bionaturalistico e Direttore del suddetto laboratorio e Anna Mastroberardino, fisico delle particelle elementari del Dipartimento di Fisica dell’Unical.

La sinergia tra Arpacal e Unical, per lo studio della problematica ambientale del sito di Crotone, è iniziata nel 2018, con l’attivazione del Master “Utilizzo delle radiazioni ionizzanti e radioprotezione all’Unical”. Il suddetto percorso, nato con la finalità di formare professionisti in grado di operare nella valutazione e protezione dal rischio derivante dall’utilizzo delle radiazioni ionizzanti, ha sollevato l’esigenza della creazione di un presidio di competenze professionali in grado di far fronte alle esigenze specifiche del territorio in tema di gestione dei rifiuti radioattivi e bonifica ambientale. 

Ad entrare nel merito della ricerca sull’ex area industriale di Crotone è la prof.ssa Anna Mastroberardino, del dipartimento di Fisica dell’Università della Calabria, che ci fa notare come al Sin si affiancano, in tutto il territorio della provincia di Crotone, altre aree contaminate, a seguito delle pregresse attività industriali, in cui è stata riscontrata nel corso degli ultimi anni, da istituzioni territoriali di controllo, prevenzione e ricerca quali Asl, Arpacal, Unical,  la presenza di materiali e residui contenenti Norm (Naturally Occurring Radioactive Materials).

«Questi scarti di lavorazione delle industrie del fosforo, solo parzialmente smaltiti in discariche per inerti – ci dice la docente dell’UniCal – sono stati riutilizzati a causa delle buone proprietà meccaniche nell’edilizia civile. Rilevanti quantità di rifiuti tossici in concentrazioni sconosciute sono pertanto incorporate nel manto stradale, poi ricoperto dall’asfalto, spesso emergenti a livello superficiale visto lo stato di degrado delle strade, con conseguente alterazione delle caratteristiche del suolo, del sottosuolo e delle acque sotterranee circostanti, a causa della prossimità dei rifiuti tossici all’acquifero. La mappa dei siti contaminati del Crotonese, recentemente realizzata da Arpacal, conferma la presenza di una contaminazione diffusa, sia chimica che radiologica, in vaste aree del territorio a latere del confine industriale, determinando un aumento significativo dei livelli di radioattività ambientale nell’area».

L’attività di un gruppo di studio, da qualche anno impegnato nella tematica ambientale e nelle implicazioni per la salute da varie angolazioni disciplinari, ha portato di recente alla pubblicazione di un articolo dal titolo Toxicity evaluation of the contaminated area of Crotone from biological indicators: a multispecies approch, pubblicato sulla rivista internazionale Environmental Monitoring and Assessment del gruppo Springer Nature

«Nello studio – ci spiega la prof.ssa Anna Mastroberardino – si utilizza per la prima volta la valutazione eco tossicologica per l’analisi del rischio legato ad un fenomeno di trasferimento di inquinanti che rappresenta realmente una sfida scientifica, trattandosi di una miscela di molteplici problematiche e di processi dinamici che si evolvono nel tempo e di lunga durata. L’ecotossicologia ha un ruolo determinante per la comprensione delle traiettorie ambientali dei diversi contaminanti a vari organismi viventi, acquatici e terrestri, considerabili organismi sentinella nella valutazione dell’alterazione dell’habitat contaminato». 

«L’approccio multispecie nell’utilizzo di bioindicatori è anche funzionale alla verifica dello stato di salute della catena alimentare, con effetti sulla salute e sullo sviluppo del territorio, laddove il sistema agroalimentare costituisce l’elemento distintivo di talune produzioni regionali». 

Nello studio in oggetto, per l’esecuzione dei test ecotossicologici, sono stati utilizzati tre diversi indicatori biologici, due acquatici e uno terrestre, appartenenti ai diversi livelli della catena alimentare: produttori, consumatori, decompositori, tra i quali i batteri bioluminescenti della specie Vibrio fischeri, il piccolo crostaceo d’acqua dolce Daphnia magna e i semi di crescione e sorgo. 

«Lo scopo della ricerca – ci ha detto ancora la docente del dipartimento di Fisica– è stato quello di determinare le concentrazioni dei residui fosfatici prelevati nelle aree contaminate alle quali l’effetto tossico è rivelabile e quindi stabilire le “diluizioni di sicurezza” che debbono essere rispettate affinché l’ambiente biologico che ospita le sostanze inquinanti sia salvaguardato nella sua funzionalità. Lo studio ha rivelato una inibizione della funzionalità di tutti i sistemi biologici testati per valori elevati di concentrazione dei contaminanti, al di là della differente sensibilità dei bioindicatori nella valutazione di tossicità nei diversi ecosistemi».

«A questo livello preliminare – ci tiene a precisare la prof.ssa Anna Mastroberardino – i dati indicano un potenziale rischio per gli ecosistemi naturali del luogo, oltre che per la salute umana. Le soglie di tossicità misurate sono, infatti, paragonabili o addirittura inferiori alle concentrazioni dei contaminanti dell’area indagata e gli inquinanti possono entrare direttamente a contatto con i sistemi biologici dell’ambiente circostante, data la particolarità del territorio di ospitare rifiuti pericolosi spesso non coperti da suolo o altro materiale e incorporati nell’asfalto delle strade».

«Entrando direttamente a contatto con l’ambiente circostante, questi inquinanti possono essere trasportati dall’acqua, dall’aria, da specie migratorie e portati lontano da dove sono localizzati, entrando anche nella catena alimentare. Alle problematiche collegate al rischio chimico e a quello radiologico da esposizione e inalazione, si aggiungono, dunque, le molteplici implicazioni associate al possibile passaggio di radioisotopi dall’ambiente all’uomo attraverso la catena degli alimenti».

Di emergenze ambientali e sanitarie come delle figure professionali legate a questi aspetti se n’è discusso molto in un Congresso Nazionale tenutosi a Crotone nel novembre 2019 dal titolo: La protezione ambientale e sanitaria del territorio calabrese. Programmare la rinascita: il caso Crotone. L’evento ha permesso un confronto stimolante tra rappresentanti del mondo scientifico e sanitario, ordini professionali e rappresentanti istituzionali locali, ma non ha visto la partecipazione dell’Assessorato regionale competente della Giunta regionale dell’epoca.

Di queste esperienze di lavoro, ricerca e studio rimangono oggi delle immagini fotografiche che si trovano nel servizio, che mostrano il buon numero di ricercatori, tecnici e studenti interessati a tali problematiche ambientali mostrando preparazione, competenza professionale ed interesse per perseguire risultati per il bene della Calabria.

Conoscere il presente per un rilancio del lavoro di ricerca e disinquinamento dell’ambiente

Prima di entrare nel merito più specifico di questo importante lavoro di ricerca sull’inquinamento dell’ex area industriale di Crotone per conoscerne gli sviluppi rispetto al rapporto con il mondo politico regionale, dopo il periodo pandemico che ha rallentato di molto varie situazioni di gestione dei servizi sanitari, è il caso di approfondire la conoscenza della prof.ssa Anna Mastroberardino, professore associato presso il Dipartimento di Fisica dell’Unical. 

Dal 1998 si occupa di ricerca sperimentale nel campo delle particelle elementari, nei maggiori laboratori europei, Cern a Ginevra e Desy ad Amburgo. Grazie alle collaborazioni internazionali dei fisici dell’Unical, avviate dal Professore Giancarlo Susinno, di cui è stata allieva, ha partecipato alle ricerche che hanno portato, nel luglio 2012, alla scoperta del Bosone di Higgs, Nobel per la Fisica 2013.

Nel 2018 ha diretto il Master Universitario “Utilizzo delle radiazioni ionizzanti e radioprotezione all’Unical”, percorso che ha segnato l’avvio di una nuova attività di ricerca, tecnologica e multidisciplinare, negli ambiti della radioprotezione, delle scienze della vita e del monitoraggio ambientale. È autrice/coautrice di oltre 1200 pubblicazioni su riviste internazionali con referee, per un corrispondente Hirsch factor (H-index) di 127 (fonte Scopus).

«Con l’insediamento della nuova Giunta regionale, guidata dal Presidente, on. Roberto Occhiuto, i rapporti con il mondo della politica regionale sono ripartiti», ci dice la docente universitaria.

«Al di là di ciò che è accaduto nel passato, il piano delle bonifiche avviate nel Crotonese durerà a lungo e sarà accompagnato da molteplici aspetti critici e anche innovativi da considerare. Se, da una parte, la rimozione e movimentazione dei materiali contaminati, con possibile dispersione aerea di materiale radioattivo, rappresenta una situazione di rischio sanitario, da monitorare costantemente, dall’altra offre l’opportunità di un laboratorio a cielo aperto per la valutazione del rischio radiologico in condizioni sperimentali mai verificate e non riproducibili. Questo crea un’opportunità di formazione in campo per nuove figure professionali in grado di esportare l’esperienza, così acquisita, verso simili realtà territoriali afflitte da contaminazione».

«La problematica, oltre che di tipo sociale e sanitario, ha rilevanza anche scientifica. Continuare a ignorare le enormi potenzialità dei processi di bonifica, oltre che privare centinaia di migliaia di persone della possibilità di vivere in ambienti sicuri e salubri – è il pensiero della prof.ssa Anna Mastroberardino – comporta anche sprecare immani risorse a fronte del vantaggio, anche economico, rappresentato dal risanamento  di questi territori, per i quali non esiste, allo stato attuale, una proposta di riqualificazione e riuso». 

«In tutto ciò la ricerca scientifica può giocare un ruolo importante per rendere queste azioni di decontaminazione più mirate ed efficaci; mitigare gli effetti sanitari su popolazioni che continueranno a  vivere per anni in luoghi altamente inquinati e anche per immaginare la riqualificazione delle aree post-bonifica. Il coinvolgimento diretto in questi processi risponderebbe del resto alla missione originaria dell’Unical di attenzione verso un territorio così degradato e fragile».

Occorre creare un centro di ricerca specifico per restituire al patrimonio culturale mondiale uno dei siti storicamente e archeologicamente più rilevanti della Magna Graecia.

Dall’incontro con la prof.ssa Anna Mastroberardino scaturisce l’idea che il sostegno politico è inevitabile quanto necessario per dare incisività a queste ricerche tramite azioni mirate di finanziamento, che consentano l’avvio di attività sistematiche di studio per la sorveglianza epidemiologica nel territorio, verifiche in corso d’opera, diffusione dei risultati, dialogo con la comunità coinvolta e progettazione per il post-bonifica, in un contesto competente e senza conflitti di interesse. È quanto i ricercatori del dipartimento di Fisica dell’UniCal e dell’Arpacal chiedono al Presidente della Regione Calabria, on. Roberto Occhiuto.

«Sarebbe un beneficio collettivo se le operazioni di bonifica in corso – ci dichiara la prof.ssa Anna Mastroberardino – potessero ripartire con il piede giusto anche grazie agli strumenti specialistici messi a punto dai ricercatori del territorio, attraverso la creazione di un centro di alta formazione quale presidio permanente di controllo ambientale, riferimento per tutto il Mezzogiorno come polo di ricerca e di innovazione, nella duplice prospettiva del recupero e della fruizione delle aree disinquinate. È possibile immaginare oggi una ripresa esemplare proprio da queste aree, non a beneficio di chi le ha ridotte in questo stato, bensì per restituire al patrimonio culturale mondiale uno dei siti storicamente e archeologicamente più rilevanti della Magna Graecia». 

«Inserire in queste attività di recupero del territorio la creazione di un centro di ricerca  consentirebbe di rimettere al centro dello sviluppo l’industria culturale, rispettando la vocazione storica locale, così come la generazione di nuove professionalità, calibrate sulle necessità emergenti del settore, facendo della Regione un riferimento formativo per tutto il Sud». (fb)

PASTICCIACCIO BRUTTO DELL’AUTONOMIA
BOCCIATO DA UE MA “PIACE” A CALDEROLI

di FILIPPO VELTRI – Gran pasticcio dentro la maggioranza di Governo e dentro il Governo della Meloni su DDL Calderoli. Fratelli d’Italia e Lega ai ferri corti dopo il parere della commissione d’esperti del Senato, prima pubblicato e poi scomparso, denso di critiche e di osservazioni ma anche dentro la Lega non si scherza!

Evidentemente infatti Calderoli e Giorgetti, entrambi ministri dello stesso Governo di centrodestra ed entrambi della Lega, non si parlano, né si scambiano le carte.

Calderoli infatti ha confezionato una proposta di legge sull’autonomia regionale differenziata che dice esattamente il contrario di quanto sostenuto da Giorgetti perché prevede che i nuovi poteri della regione siano stabiliti da un patto a due, tra il governo e la regione interessata e le altre verranno al massimo informate.

Tanto è vero che il Parlamento sul patto tra governo e singola regione potrà esprimere solo un parere, probabilmente delle commissioni, di cui il governo potrà tenere conto oppure no. Di più, Calderoli per forzare i tempi ha previsto che le osservazioni dei Ministeri sulle materie oggetto dell’intesa a due arrivino entro 30/45 giorni, pena le sue dimissioni addirittura dalla politica! Il ministro dell’Economia Giorgetti, forse per la prima volta nella storia dei governi, non solo non è il garante/controllore degli aspetti finanziari del procedimento ma ha solo 30 giorni, come gli altri ministri, per rispondere. In altre parole non gli è riconosciuto il potere di fermare o correggere le decisioni del patto a due per garantire i conti pubblici. Se i ministri non rispondono entro i 30 giorni previsti Calderoli pretende il mandato a procedere comunque: questo afferma la sua proposta di legge.
Calderoli è l’unico firmatario della proposta di legge del governo, non figurano né la Presidente Meloni, né tanto meno il Ministro dell’Economia come avviene di solito.

Sembra una presa di distanza ma segnala anche un atteggiamento remissivo verso le pretese di Calderoli e dei presidenti delle Regioni, forse per rinviare lo scontro a tempi migliori. Non si capisce come si possa imporre ai ministeri e soprattutto al MEF un tempo oltre il quale Calderoli procederebbe comunque. Basta pensare alla Ragioneria generale dello Stato che ha l’obbligo di garantire il rispetto dei conti pubblici, approvati dal Parlamento, e questo non c’è nella proposta Calderoli. Solo quando tutto sarà stato deciso da Calderoli e dalla regione interessata il parlamento sarà chiamato ad approvare la legge che deve dare valore al patto a due, tra Ministro e Regione.

Calderoli ha, dunque, forzato la mano decidendo tutto da solo, accentrando poteri, con una colpevole sottovalutazione degli altri ministri e soprattutto della Presidente del Consiglio. Certo la premier firmerà i Dpcm sui Lep, i livelli essenziali di prestazione, perché è già previsto dalla legge, per il resto tutto è nelle mani del ministro Calderoli. I Lep non possono essere affidati ad una commissione a due che poi passerà al governo le sue proposte, le quali verranno trasposte nei Dpcm. Questo è un altro passaggio che impedirà di controllare la qualità dei servizi garantiti ai cittadini e non è questione tecnica ma una scelta politica.

Prima o poi la bolla scoppierà. Giorgetti, che ripetiamo è leghista come Calderoli, afferma pubblicamente che un patto a due non può superare Costituzione e Parlamento e ha ragione, per questo bisogna cambiare la proposta Calderoli portando il Parlamento a decidere su tutti i passaggi di fondo sull’autonomia regionale differenziata, iniziando con l’eliminazione del patto a due, governo/regione, che è il vero motore di tutto il percorso.

La legge deve essere il motore, non un patto tra due esecutivi. Altrimenti Calderoli e il presidente della Regione interessata sceglieranno insieme i poteri da decentrare tenendo all’oscuro il Parlamento fino a quando sarà messo di fronte al fatto compiuto e verrà costretto a votare a favore con il voto di fiducia.

Il tentativo è di tenere tutto il percorso sull’autonomia differenziata sotto controllo leghista, imponendo alla stessa maggioranza le scelte. Calderoli ha preparato una sorta di “supermercato” con il compito di offrire alle regioni interessate fino a 500 funzioni, senza che il Governo precisi fin dall’inizio quali è disposto a decentrare e quali no, facendo intendere che lo possono essere tutte.

Eppure dei ministri hanno già fatto presente che non sono disposti a concedere poteri, ad esempio nella scuola e nei beni culturali. Perfino Confindustria è preoccupata che si creino nuove barriere all’attività delle imprese, creando differenze tra le regioni che renderebbero più difficile l’attività economica.
Per ora Calderoli continua imperterrito sulla sua strada, ma il ministro Giorgetti e la presidente del Consiglio, e con loro la maggioranza, prima o poi dovranno pronunciarsi sul merito delle scelte. Finora hanno finto di non vedere e hanno lasciato fare, fino a quando potrà andare avanti senza compromettere l’unità di diritti fondamentali e dell’attività economica del nostro paese?

Intanto una buona notizia. Le firme raccolte in calce alla legge di iniziativa popolare promossa dal Coordinamento per la Democrazia costituzionale e dai sindacati della scuola per cambiare gli attuali articoli 116.3 e 117 della Costituzione, che Calderoli usa strumentalmente per le sue scelte per aiutare la “secessione dei ricchi”, sono oltre il traguardo delle 50.000 firme, il risultato finale sarà tra 60 e 70.00. La proposta di legge arriverà al Senato mentre ancora si discuterà la proposta del governo sull’Autonomia regionale differenziata e grazie al consenso che ha avuto potrà influenzare una discussione fin troppo sottovalutata. Esistono dunque le condizioni per una ferma battaglia parlamentare per bloccare chi vuole oggi dividere quello che prima il Risorgimento e poi la Resistenza hanno unito: l’Italia. (fv)