di SANTO STRATI – La sua affabilità è straordinaria, come l’empatia che riesce a suscitare in chi l’ascolta, due doti fondamentali per il ruolo che andrà a ricoprire: il nuovo segretario generale della Uil, Pierpaolo Bombardieri, dal 4 luglio guiderà la sfida che il Mezzogiorno lancia al Paese. Un grande sorriso che nasconde un’invidiabilissima preparazione sul lavoro e la società che ne offre sempre di meno. Calabrese di Marina di Gioiosa Jonica, un cursus honorum di tutto rispetto (110 e lode a Messina in Scienze Politiche, ricercatore universitario poi), la passione per lo studio e la “malattia”, come la chiama lui, del sindacato. La sua simpatia non è inferiore alla capacità e alla competenza: convinto meridionalista, ha le idee chiare sulla ripartenza del Mezzogiorno e da lui possiamo aspettarci davvero molto per la nostra terra. È una risorsa andata via, per scelta, quando le opportunità in casa propria erano vicine allo zero e la sua storia è quella di tanti altri calabresi che hanno conquistato con il proprio impegno, le capacità e la serietà importanti traguardi nel mondo dell’impresa, delle istituzioni, della ricerca scientifica. Oggi si può e si deve scardinare l’ascensore sociale che limitava solo ai “figli di” di proseguire nelle carriere dei padri e dei parenti. Bisogna dare la possibilità ai giovani – che vogliono studiare e formarsi adeguatamente – di mettersi in gioco, di ridiscutere la loro vita e di farlo soprattutto nella propria terra. Occorre risvegliare l’interesse dell’opinione pubblica perché i tanti temi della Calabria, del Sud, vengano affrontati e risolti. Fatti concreti non parole e promesse. E la ricetta è semplice: investire sulla formazione e la cultura dei giovani offrendo prospettive di lavoro stabile, creando opportunità di crescita e di futuro. E, naturalmente, investimenti e infrastrutture non solo materiali (basti pensare alla banda larga) per rimettere in moto l’economia e lo sviluppo della regione, che rappresenta il Sud del Sud. Ecco la nostra intervista.
– Pierpaolo Bombardieri dal 4 luglio lei sarà il nuovo segretario generale della Uil. Ne approfittiamo per parlare di lavoro. Qual è lo scenario d’autunno che si sta profilando soprattutto dopo il periodo emergenza Covid?
«Sarà uno scenario complicato, perché noi abbiamo fatto ieri l’incontro lunedì con il presidente del consiglio agli Stati Generali e abbiamo discusso del piano di rilancio di questo Paese, e c’è una prima emergenza, che è quella della difesa dei posti di lavoro che sono attualmente in essere: abbiamo avuto altre quattro settimane di cassa integrazione, e il periodo che si prospetta sarà un periodo complicato, perché la situazione di crisi non riuscirà a passare completamente. Noi, ovviamente, abbiamo fatto al Governo delle proposte: sia per quello che riguarda il quadro nazionale sia per quello che riguarda il Mezzogiorno, la Calabria. In particolare, per noi, il Mezzogiorno è il punto di partenza della risoluzione della crisi, ed è il trampolino attraverso il quale questo Paese può rinascere».
– Proprio lunedì, il Presidente Conte ha detto: “Se corre il Sud, corre tutta l’Italia”. È una bella frase ad effetto. Però, ancora oggi, vediamo che ci sono troppi antimeridionalisti convinti. Perché questo atteggiamento?
«Probabilmente perché fa comodo in qualche modo identificare il Sud come la causa di tanti problemi e il motivo attraverso il quale richiedere più finanziamenti per altri settori per altri territori. Chi fa però queste affermazioni – è una visione mia – non riesce a capire che se non riparte il Sud, se questo Paese non cammina insieme, non si va da nessuna parte. Intanto, aggiungerei, che le condizioni di sviluppo sono potenzialmente più alte nel Sud, proprio per la condizione di cui noi parliamo: se parliamo di infrastrutture, non solo quelle materiali, ma mi riferirei a quelle immateriali, per esempio al collegamento alla banda larga, al sistema sociale, penso alla Sanità, è chiaro che lì c’è la possibilità e la necessità di fare investimenti. Intanto, per ridare peso, dignità a tanti cittadini e cittadine che stanno giù in Calabria, e poi perché mi pare un dovere di un paese civile».
« Noi abbiamo la fortuna di avere un ministro per il Sud che proviene dalla Svimez ed è un meridionalista convinto come lei, del resto. Il piano per il Sud, che prevede 100 miliardi di investimenti in 10 anni, è un piano ambizioso. Naturalmente, si è dovuto fermare data l’emergenza. E sempre il presidente Conte ha detto che parte di quel piano sarà inglobato dal Rilancio Italia. Secondo lei, che avrà avuto modo di valutarlo, questo Piano per il Sud è un libro dei sogni o esistono, finalmente, degli elementi discriminatori, a vantaggio della Calabria, naturalmente, che devono emergere?
«È una programmazione di interventi. È chiaro che, per fare quegli interventi, è necessaria una compartecipazione da parte di tutti gli attori istituzionali che intervengono sul territorio. È necessario che il Ministero e che il Governo facciano il loro corso, che le Regioni, Comuni, Enti locali siano in grado di programmare, snellire l’attuazione del piano e di dare risposta alle procedure che sono previste. Io sostengo che è necessaria una compartecipazione di responsabilità da parte di tutti, e lo vediamo anche nei fatti concreti. Aggiungerei che noi abbiamo da spendere, in Calabria, entro la fine dell’anno prossimo, un miliardo e sette. Su questo c’è bisogno di uno sforzo comune da parte di tutta la classe dirigente che governa la Calabria, ma oserei dire da parte tutta l’opinione pubblica. Noi dobbiamo – mi piace dire – “risvegliare, sollecitare” l’interesse dell’opinione pubblica affinché i tanti temi del Mezzogiorno e della Calabria, vengano risolti sollecitando gli amministratori ad assumersi la propria responsabilità e a compiere gli atti conseguenti».
— Lei ha parlato di 1,7 miliardo da spendere, che sono soldi dell’Europa. Non ritiene che la burocrazia, che è un male endemico di tutta l’Italia, in Calabria abbia raggiunto dei livelli ormai insostenibili? E quale potrebbe essere una soluzione a questa grave situazione?
«Noi riteniamo che la burocrazia sia insopportabile. Però poi decliniamo il significato del termine: perché quando parliamo di burocrazia i politici identificano questo fenomeno come se fosse un fantasma e, invece, è ben identificabile. Intanto, la burocrazia significa che ci sono troppe leggi che complicano le procedure di affidamento dei lavori e, in qualche modo, affidano a troppi centri di controllo delle cose che possono essere fatte da un solo organo dello Stato. Quindi, se noi vogliamo semplificare, noi dobbiamo delegificare. Non è identificando in qualche modo il lavoratore o il funzionario della pubblica amministrazione come il burocrate che noi risolviamo il problema. Fra l’altro, aggiungo: io ho discusso spesso con i politici quando dicono che i burocrati li identificano come i capi di gabinetto, i “mandarini” come li chiamano loro. E quelli non vincono concorsi, quelli sono scelti dalla politica, quindi hanno e rispondono a logiche politiche ben precise. E allora noi dobbiamo semplificare, delegificare rispetto ad alcune procedure che sono troppo complesse, dobbiamo dare la possibilità, nel caso della Pubblica Amministrazione, dove non c’ personale, di assumere per svolgere delle funzioni e dobbiamo tenere la politica fuori dalla gestione della cosa pubblica».
— Uno dei principali elementi della sfida del Mezzogiorno, per i prossimi anni, si chiama mobilità. Da questo punto di vista è tornata in auge la proposta del Ponte sullo Stretto, e vorrei sentire la sua opinione a proposito, ma mobilità non è solo il Ponte sullo Stretto, ma significa alta velocità e alta capacità, significa strade e strutture e infrastrutture che in realtà mancano. Qual è la vostra ricetta, in questo senso?
«Partiamo dal Ponte sullo Stretto: è un tema che torna periodicamente, e noi abbiamo da sempre detto che quando si parla di grandi infrastrutture noi non saremo mai contrari. Quindi, se ci sono le condizioni perché si possa fare il Ponte sullo Stretto, il Governo decide, investe i soldi e parte con i lavori. Poi noi aggiungiamo che la situazione del Mezzogiorno ha bisogno di altro, oltre che il Ponte sullo Stretto: c’è un problema che riguarda la viabilità, c’è un problema che riguarda il trasporto ferroviario, c’è un problema che riguarda la banda larga. Allora, il Ponte sullo Stretto può essere una grande infrastruttura che, se noi seguissimo Keynes, moltiplicherebbe gli investimenti e potrebbe un grande giovamento agli investimenti, però in qualche modo dobbiamo pensare che non basta per ripartire e far ripartire la Calabria. Noi parliamo di insediamenti produttivi, di aziende… Abbiamo chiesto al Governo di detassare le aziende che vengono a investire in Calabria. È chiaro, però, che le aziende per investire in Calabria non hanno bisogno solo della detassazione, non hanno bisogno soltanto delle Zes – sono delle Zone Economiche Speciali che in qualche modo noi abbiamo proposto come strumento di intervento – ma hanno bisogno di collegamenti, di connessioni, e se non creiamo queste grandi infrastrutture, sarà complicato. E aggiungo: hanno bisogno di un sistema sanitario degno di questo nome e di strutture sanitarie degne di questo nome, per i cittadini che stanno lì e per le persone che, in qualche modo, decidono di venire a passare la loro vita lì».
— Lei parla, quindi, di una politica di grandi opere. Può essere il modello Genova quello di riferimento? La ricostruzione del ponte è passato senza gare di appalto, attraverso uno snellimento globale delle procedure e, in realtà, in pochi mesi, si è vista la realtà. È un modello che si può seguire o in Calabria abbiamo delle difficoltà oggettive?
«Allora, c’è un tema che riguarda la pari dignità di chi, in qualche modo, può partecipare a una gara di appalto, e questo è un tema che in qualche modo il Governo deve affrontare. C’è il secondo tema che riguarda la possibilità di infiltrazioni nei subappalti della malavita. Noi abbiamo sempre detto che il modello Genova può andare bene. Noi abbiamo concorso a quel modello, perché abbiamo fatto un accordo sindacale che prevedeva il rispetto dei contratti e della sicurezza. Noi non abbiamo grandi problemi quando ci dicono semplifichiamo le procedure o azzeriamo i tempi. Poniamo sempre due temi di carattere generale, ma che riguardano la vita e la dignità dei lavoratori. La prima: è una questione di legalità. Noi siamo preoccupati perché quando ci arrivano a subappalti fatti con gare al massimo ribasso, di solito riscontriamo che il massimo ribasso viene fatto sull’applicazione dei contratti e sulla sicurezza del lavoro. E rispetto a questo abbiamo fatto delle proposte: basta scrivere, intanto, che non si utilizzano le gare al massimo ribasso, ma si verifica la qualità dell’opera e la qualità del lavoro e in secondo luogo basterebbe estrapolare dai capitolati d’appalto l’applicazione dei contratti e di tutte le norme e i conseguenti impegni economici previsti dalla legge 81 sulla sicurezza sul lavoro. Se queste condizioni del rispetto del lavoro e dei contratti e della sicurezza sul lavoro sono rispettate, noi non abbiamo assolutamente alcun problema».
— Un’altra parola che è venuta fuori dagli stati generali è la cosiddetta fiscalità di vantaggio. Sono anni che se ne parla. Secondo lei ci sono le condizioni perché si possa attuare una vera fiscalità di vantaggio?
«Allora, io sulla fiscalità dividerei il tema su due piani: il primo, per quello che riguarda gli investimenti del Mezzogiorno: se noi vogliamo attrarre gli investimenti nel Mezzogiorno, noi valutiamo che non basta solo la fiscalità di vantaggio, perché è necessario creare infrastrutture. In qualche modo, le aziende che volessero investire in Calabria avranno necessità non solo di pagare meno tasse, ma in qualche modo di avere le infrastrutture che sono utili per spostare le merci, per spostare il lavoro e in qualche modo questo, secondo me, ancora non c’è. Poi, per noi c’è un tema di carattere generale che riguarda la fiscalità complessiva di questo Paese. Abbiamo 110 miliardi di evasione fiscale, il 12% del Pil che viene considerato provenire dal lavoro nero. È evidente che bisogna aggredire questo problema, e bisogna aggredirlo in modo determinato. Intanto c’è una questione culturale. Se lei fa caso nei grandi talk show, nessun politico mai dice che chi evade ruba. C’è sempre qualcuno che dice che chi evade è perché è stato costretto dall’Agenzia delle Entrate, che viene inseguito il piccolo artigiano. E poi invece scopriamo che ci sono 80 miliardi circa depositati in conti correnti all’estero di cittadini italiani. E noi dovremmo partire da qui, dovremmo partire da una lotta feroce all’evasione. Su questo noi abbiamo fatto anche delle proposte: abbiamo chiesto al governo di mettere insieme tre banche dati. Abbiamo chiesto di mettere insieme la banca dati dell’Agenzia delle Entrate, della Guardia di Finanza e delle magistrature. Basterebbe mettere queste tre banche dati insieme per inquadrare movimenti economici, spostamenti economici. Ed eventualmente creare una authority in grado di orientare il sistema. Però su questo ancora non abbiamo avuto risposta positiva.
— Lei è nato a Marina di Gioiosa e, per sua scelta, è andato a Roma, dove ha fatto una grande carriera. Il problema dei giovani di oggi è che non sono delle scelte normali quelle che li costringono ad andar via dalla Calabria. Anzi, vorrebbero restare per qualità della vita, per il fatto di avere la famiglia, gli amici, gli affetti. Come si ferma questa emorragia di cervelli dal Mezzogiorno?
«Si ferma investendo nel Mezzogiorno, investendo nella cultura e nella formazione dei nostri ragazzi, dando la possibilità ai tanti ragazzi che ci sono e che hanno voglia di fare perché non è vero che oggi i nostri ragazzi non hanno voglia di fare o di studiare, è esattamente il contrario. Se io facessi una analisi di quello che è la mia storia, la mia esperienza, e come me ce ne sono tanti – le assicuro che io magari sono stato più fortunato di altri – ma ci sono tanti, tantissimi ragazzi e ragazze che si mettono in discussione, che hanno dentro quella rabbia positiva, quella voglia di riscatto che nasce in quella terra e viene alimentata in quella terra per rinascere. E allora le condizioni ci sono: bisogna investire di più, investire per far rinascere la Calabria, investire sulla formazione e sulla qualificazione dei nostri giovani. Noi dobbiamo scardinare quell’ascensore sociale che si è bloccato, l’ascensore sociale che permetteva al figlio del dottore di fare il dottore, al figlio del notaio di fare il notaio, figlio del medico di fare il medico. E dobbiamo dare la possibilità nel corso, dei prossimi anni, ai tanti ragazzi che hanno voglia di studiare, di mettersi in gioco, di ridiscutere la loro vita e di poterlo fare anche nella loro terra.
— Lei ha parlato della sua storia. Ce la può sintetizzare, così la conosciamo meglio?
«Nato a Marina di Gioiosa Ionica, cresciuto lì fino all’età di 18 anni. Ho fatto il Liceo Classico, poi fatta l’Università a Messina, Scienze Politiche. Conosco lì un professore – ho fatto la tesi in Storia dei trattati della politica internazionale – ed era un professore di Roma. E siccome io mi sono laureato con 110 e lode, abbiamo fatto una tesi sperimentale sugli stati unitari della Germania, e lui mi ha detto “vieni a Roma a lavorare con me…” e da lì è nata questa avventura. Sono venuto a Roma, ho cominciato a frequentare l’università, gli ambienti accademici e da lì che è nata la passione per lo studio, l’approfondimento, che poi mi ha portato dopo alcune esperienze lavorative, a fare un concorso in un ente di ricerca per la sicurezza, che adesso è stato inglobato dall’Inail. E lì ho vinto un concorso come ricercatore per costruire, tanti anni fa, modelli formativi sul lavoro. Poi da lì è nata la passione per il sindacato, io dico una malattia, la voglia di impegnarsi per gli altri, di dare una mano a chi sta dietro… e quindi il percorso sindacale, prima all’interno della categoria, poi nella struttura confederale del Lazio e poi nella struttura confederale nazionale».
— Di Marina di Gioiosa è anche Rocco Commisso, un patron delle telecomunicazioni, che rappresenta il calabrese che fa fortuna nel mondo, e sono tantissimi. Cosa possono fare i calabresi importanti che vivono in ogni parte del mondo e che hanno fatto fortuna, per la Calabria?
«Possono raccontare che in quel territorio c’è tanta gente per bene, c’è tanta gente che ha voglia di fare. Ci sono tanti giovani, tanti uomini e tante donne che hanno veramente la capacità di tirare su il territorio e per tirare su la nostra Calabria. Io penso che chi come me sta fuori – io ritorno spesso in Calabria, ho tanti amici, interessi, ci ritorno sempre d’estate – penso che tante persone come noi, possono testimoniare che quella è una terra che ha diritto ad una rinascita, a una riscossa». (s)