di FRANCESCO RAO –In una regione come la Calabria, dove spesso la speranza ha il volto stanco di chi resiste e non quello scintillante di chi arriva, ogni segnale positivo dovrebbe essere accolto con cura, valorizzato e protetto. E invece, troppo spesso, accade il contrario: ciò che è autentico, generoso, resiliente viene avvolto dall’indifferenza. Come se la bellezza non meritasse attenzione, come se la coerenza desse fastidio, come se il cambiamento, anche se timido, andasse scoraggiato.
È con questo spirito che osservo — con amarezza e insieme con indignazione — l’assenza delle pagine di Calabria.Live dalla rassegna stampa ufficiale poggiata ogni mattina sui tavoli di chi guida la cosa pubblica. Quelle stesse scrivanie da cui si decidono scelte strategiche, si firmano delibere, si disegnano politiche che dovrebbero guardare al futuro. Eppure, tra quelle carte, manca spesso proprio lo sguardo di chi, quotidianamente, racconta la Calabria senza secondi fini. Di chi non si limita a documentare il disastro ma prova, con ostinazione, a raccontare i germogli nel deserto.
Calabria.Live è un progetto editoriale nato per veicolare visioni, bellezza, speranza. Non per assecondare cortigiani, non per adulare l’apparato, non per rientrare nei giri di potere. Il Direttore Santo Strati ha avuto il coraggio — raro, oggi — di costruire un quotidiano libero, radicato sul territorio ma capace di parlare a chi ha dovuto lasciarlo. Perché i calabresi nel mondo — quelli veri, non quelli che vendono la Calabria come souvenir da campagna elettorale — hanno fame di verità, di dignità, di futuro. Eppure questo non basta. Non basta essere letti da centinaia di migliaia di persone ogni giorno, non basta offrire spazio a chi semina cultura, visioni, impegno. Se la politica — quella vera, fatta di sguardi lunghi e spalle larghe — ignora tutto questo, allora la domanda diventa amara e necessaria: che utilità ha un quotidiano libero se viene sistematicamente ignorato da chi dovrebbe accoglierlo come strumento di confronto e crescita?
Abbiamo assistito per anni — decenni — a una narrazione tossica della Calabria: affamata, criminale, arretrata. E nessuno nega che questi problemi esistano. Ma ciò che è stato fatto, nella stragrande maggioranza dei casi, non è stato finalizzato alla soluzione. Al contrario: si sono alimentati sospetti, diffidenze, delegittimazioni. Ogni volta che qualcuno ha provato a costruire, a cambiare passo, a proporre un metodo nuovo, è stato isolato, schiacciato, sfiancato. A volte, persino deriso.
È questa la vera povertà: l’assenza di riconoscimento verso chi lotta con onestà, con la schiena dritta, senza padrini o padroni. Ed è questa l’amarezza più grande: vedere che anche ciò che funziona, che informa e ispira, viene trattato come un fastidio. Perché non si può controllare, perché non si piega.
Ma la Calabria non è solo questo. È anche — e soprattutto — una regione che resiste. Che ha tramandato, da generazioni, la speranza come patrimonio familiare. Lo sanno bene coloro che sono rimasti, che hanno continuato a vivere con poco, senza piegarsi, senza chiedere sconti. E lo sanno anche quelli che sono partiti, che si portano dietro una Calabria interiore, che non smette di bruciare nei cuori, anche se lontani.
La sfida, oggi, è tutta qui: continuare a sperare anche quando la speranza non è conveniente. Continuare a scrivere anche quando nessuno ti legge nei palazzi.
Continuare a raccontare il bene, anche se fa meno rumore del male. Calabria.Live non è una voce qualsiasi. È una voce libera, e per questo scomoda. Ma proprio per questo indispensabile. Il futuro della Calabria non passa solo dai fondi europei, dai masterplan o dalle inaugurazioni. Passa anche — e soprattutto — dalla capacità di costruire una nuova narrazione. Di offrire uno specchio diverso, in cui potersi riconoscere senza vergogna.
Allora la domanda finale non è se valga la pena continuare. La vera domanda è: quanti avranno il coraggio di ascoltare, sostenere, condividere ciò che davvero merita attenzione?
Perché nel castello bellissimo che è la Calabria, Calabria.Live è una delle poche luci accese nella stanza buia. Spegnerla — o far finta che non esista — è un crimine culturale. Ma finché ci sarà anche un solo lettore che crede nel riscatto, quella luce continuerà a brillare.
E noi, ostinatamente, continueremo a scrivere. (fr)
