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REGGIO, ECCO LA DIAGNOSTICA ANTICOVID
MODELLI PREDITTIVI DI UNIMEDITERRANEA

Massimiliano Ferrara

di MAURO ALVISI – Pochi anni fa, in un convegno organizzato da Confindustria a Reggio Calabria, ebbi l’occasione di conoscere il Rettore della Mediterranea, moderna e innovativa università affacciata sullo stretto, tra Scilla e Cariddi. Il prof. Santo Marcello Zimbone mi esortò a conoscere meglio il suo ateneo. Nel corso del tempo, per la mia formazione economica, mi focalizzai sul Dipartimento retto dal prof. Massimiliano Ferrara.

Non avrei immaginato che di lì a poco gli studi condotti sul Covid 19 a livello internazionale, coordinati proprio in Calabria dal professore, avrebbero trovato spazio nelle maggiori Scientific Review del mondo, per l’importanza dei risultati ottenuti.

Chi poteva immaginare che in un laboratorio universitario (DECISIONS Lab) del meridione italiano, un nugolo di dottorandi in ricerca ben coordinati, con l’ausilio dell’Intelligenza Artificiale, delle tecniche di apprendimento automatico e algoritmico in Deep & Machine Learning dei loro mainframe informatici, avrebbero strutturato una procedura di reti neurali artificiali capaci di inferenza predittiva in bio informatica e info medicina capaci di tracciare in anticipo le varianti del Covid 19 e di rendere in un futuro a breve il test tampone quasi obsoleto, con straordinari apporti migliorativi alla diagnostica medica dei presidi sanitari e ospedalieri ? Abbiamo di recente incontrato il coordinatore di questa equipe di ricercatori internazionali dal motore mediterraneo.

– Prof. Ferrara lei presiede il Dipartimento DiGiEs all’interno dell’Università Mediterranea di Reggio Calabria. Quali sono le prospettive didattiche e di ricerca che vi distinguono nel panorama accademico nazionale e internazionale?

«Le attività didattiche e di ricerca, del Dipartimento che presiedo si articolano in tre assets particolarmente importanti a livello internazionale: Giurisprudenza, Economia e Scienze umane. Le tre diverse discipline accademiche, hanno un fil rouge che le unisce in un’ibridazione che ne rappresenta proprio il valore aggiunto. Un esempio sono gli studi di Economia comportamentale, che ha certamente anche riflessi sia giuridici sia pedagogici. Studiamo i fenomeni di criminalità organizzata con le inferenze nelle dinamiche sociali che scaturiscono dall’infiltrazione mafiosa, l’economia dei territori per finire con gli studi di reputazione ed etica dei sistemi complessi».

– Che ruolo svolge il Decision Lab all’interno dell’UNIRC (Università Mediterranea di Reggio Calabria) e su quali dotazioni e risorse può contare?

«Il Laboratorio Dipartimentale di Metodi e Modelli Decisionali per le Scienze Sociali (DECISIONS Lab) nasce nel 2017 su mia idea e promuove la ricerca attraverso l’utilizzo di metodi quantitativi per l’analisi delle decisioni individuali e collettive nei fenomeni economici e sociali, con focus in strategie decisionali – dal punto di vista della formalizzazione della modellistica matematica come sistema di supporto alle decisioni fino ad analizzare il comportamento del decision-maker -, data science & machine learning, Big Data, project management, economia e management dell’innovazione e della conoscenza (per maggiori dettagli si rimanda al http://www.decisionslab.unirc.it/it/about-the-lab/). Promuove studi e analisi politiche, di programmi e fenomeni economico-sociali; organizza seminari e scuole di formazione; promuove la cooperazione diffusa incoraggiando la costituzione di spin-off e start-up. Sviluppa innovative soluzioni per la valorizzazione delle eccellenze, nella ricerca e nel territorio. Il Decisions Lab è una fucina di giovani talenti. Un gruppo di lavoro che fonda la sua esistenza soprattutto su giovani dottorande e dottorandi che convergono i loro interessi proprio su queste tematiche il cui quid pluris è il far emergere un commisto di competenze non riconducibili solo all’alveo dei metodi matematici quantitativi, con competenze integrate di metodologie innovative».

– Professore lei a Reggio Calabria, nel cuore della Magna Grecia, coordina un gruppo di ricerca internazionale sul Covid 19 sotto l’egida dell’OMS, che vede partecipare atenei prestigiosi italiani (Università Bocconi) ed esteri allo scopo di elaborare modelli matematici predittivi della diffusione del virus pandemico nei diversi continenti, facendo largo uso dell’intelligenza artificiale e del machine learning. Possiamo considerarvi un avanguardia mondiale di questi studi? Quali risultati avete già raggiunto e quali nuove applicazioni diagnostiche si originano dal vostro fronte di ricerca?

«La ricerca, attraverso la realizzazione di tre modelli matematici ha individuato, sulla scorta di dati offerti dalla stessa OMS, 34 ceppi diversificati del Virus. Due focus su tutti hanno acceso i riflettori internazionali sul Progetto: il caso pakistano e quello iraniano per i quali i modelli hanno fornito un concreto aiuto alla gestione della crisi in quei contesti territoriali. I risultati scientifici hanno trovato collocazione editoriale in riviste ad alto impatto scientifico internazionale. Il gruppo di ricerca consta di 15 ricercatori provenienti dall’Italia, Iran, Malaysia, Pakistan, Turchia, Canada. Tra le Università partners del progetto ricordiamo la Bocconi, la National University of Malaysia, la Bahcesehir University (Turchia) con l’apporto di alcune aziende lombarde operanti nell’ambito dei Big Data. Rifacendosi al classico modello SIR, l’obiettivo è l’elaborazione di un nuovo modello fuzzy di infezione e progressione della crescita partendo dal presupposto che tutti gli individui infetti vengono isolati dopo il periodo di incubazione in modo tale da non poter infettare altre persone. Combinando un modello di trasmissione fuzzy con dati sui casi di COVID-19 a Wuhan e casi internazionali originati a Wuhan, stiamo calcolando la probabilità che casi insorti possano generare focolai in altre aree. Il nostro modello descrive i molteplici percorsi di trasmissione nella dinamica dell’infezione e sottolinea il ruolo del serbatoio ambientale nella trasmissione e diffusione di questa malattia».

– Il Vostro studio “GhapCovidNet: A Graph Neural Network based Model for DetectingCOVID-19 from CT scans and X-Rays of Chest” ha guadagnato di recente gli onori delle cronache della comunità scientifica mondiale, tanto da venire pubblicato su Nature Scientific-Reports, un riconoscimento di valore assoluto. Ce ne vuole parlare diffusamente?

«Questo lavoro scientifico che già appare ufficialmente sulla famosa rivista inglese vede come Autori, oltre me nella qualità di Coordinatore della Ricerca, anche i Dr. Pritam Saha, Debadyuti Mukherjee, Pawan Kumar Singh, Ali Ahmadian e Ram Sarkar, dei rispettivi dipartimenti universitari: Department of Electrical Engineering, Department of Computer Science and Engineering, Department of Information Technology, Jadavpur University, Kolkata India; Institute of IR 4.0, The National University of Malaysia, Selangor, Malaysia oltre che naturalmente l’ICRIOS – Università Bocconi e il Decisions LAB dell’Università Mediterranea.

Con questo studio si introduce una nuova rete isomorfa “a grafo”. Il nuovo modello “GraphCovidNet” che valuta la radiografia del torace sulla base di quattro set di dati standard di cui si dispone e, in un confronto con queste basi di dati si rileva il COVID-19, soprattutto le sue tre varianti principali. Il modello mostra un’incredibile precisione del 99% per tutti i set di dati e la sua capacità di previsione diventa precisa al 100% per il problema della classificazione binaria del rilevamento delle scansioni COVID-19».

– Si sta aprendo forse un nuovo approccio infometrico nella diagnostica sanitaria e ospedaliera?

«Ai risultati già raggiunti e pubblicati nell’ambito dei “modelli previsionali” si aggiunge il recente risultato legato alla diagnosi del COVID-19. Ad oggi, gran parte delle diagnosi avviene attraverso il test RT-PCR (c.d. tampone). Tuttavia il test tampone, non è scientificamente (e sufficientemente) accurato ed indicativo. Partendo da questa evidenza è stato sviluppato dal nostro gruppo di ricerca, un modello “Machine Learning”, attraverso l’utilizzo di tecniche di apprendimento “Deep” (quindi attraverso l’intelligenza artificiale) e capace di definire un problema di classificazione bootstrap di tre modelli di apprendimento dei trasferimenti virali. Grazie a questo modello, ne beneficiano le immagini di CT-scan al torace, le quali – è stato provato – risultano molto più idonee e accurate per lo screening del COVID- 19 attraverso un metodo di tecniche di apprendimento “Deep” da cui trae un sostanziale feed-back positivo la tomografia assiale».

– Quale contributo primario possono dare le vostre scoperte nell’indirizzo dell’identificazione, della prevenzione e della cura delle acclarate e insorgenti varianti pandemiche?

«Stiamo lavorando per adattare l’algoritmo ai macchinari in uso presso i nostri nosocomi per una sua applicabilità e spendibilità operativa. L’elaborazione di modelli previsionali che si basano sulla logica fuzzy e il calcolo frazionario, anche in termini di utilizzo dell’Intelligenza Artificiale, fanno una gran differenza».

– Dal suo punto di osservazione possiamo tracciare una cronistoria del Covid 19 dal suo punto di origine ad una visione predittiva degli scenari a tendere di questo mortifero virus?

«I tentativi di frenare la diffusione del COVID-19 introducendo rigide misure di quarantena hanno sortito effetti diversificati nei paesi in cui si è diffuso il virus. I modelli ad oggi pubblicati e presenti in letteratura non considerano il ruolo dell’ambiente nella trasmissione del COVID-19. Tutti i modelli non hanno considerato l’importante ruolo dell’incertezza nella costruzione previsionale. Come emerso, la maggior parte delle persone infette non ha avuto alcun contatto con i mercati di Wuhan; il numero di infezioni mostra dinamiche eterogenee; la malattia si è diffusa in altre province della Cina e in oltre 80 altri paesi. Il nostro nuovo modello matematico per il COVID-19 incorpora molteplici percorsi di trasmissione, inclusi i percorsi da ambiente a uomo e da uomo a uomo; introduce la rappresentazione/concentrazione del virus nel bacino ambientale; propone un’efficace metrica per ottenere una soluzione altamente accurata del nuovo modello adattabile anche ad altre situazioni pandemiche. I risultati previsionali che stiamo pubblicando sono più che confortanti».

– Quante e quali varianti sono oggi in circolazione nel mondo e cosa dobbiamo aspettarci a 6/18 mesi?

I nostri modelli previsionali hanno individuato circa 34 varianti attive ad oggi. La comunità scientifica ha riconosciuto la validità di circa 14 varianti o macro ceppi di queste 34. L’India, fino a pochi mesi era stata solo sfiorata dall’emergenza pandemica ed oggi, invece, c’è una recrudescenza del fenomeno proprio in conseguenza di queste varianti. È stata la variante a rendere la situazione esplosiva, quasi a livello esponenziale all’interno del Paese, mentre la prima fase del Covid aveva solo lambito l’India, nonostante la sua grande densità demografica. Quindi dovremo abituarci a convivere con il fenomeno del COVID-19 per circa un anno, anche se probabilmente l’Italia tra ottobre e novembre potrebbe considerare avviata l’immunità di gregge. A livello internazionale, secondo me, verso la metà del 2022 potremo considerarci quasi fuori pericolo; il numero delle vaccinazioni sarà cresciuto in modo considerevole e probabilmente la mobilità, che timidamente si riavvierà, porterà una maggiore stabilizzazione anche del virus. Paradossalmente, le situazioni di autarchia e lockdown bloccano la diffusione del virus, ma occorre riaprire i battenti e garantire di nuovo una certa mobilità per raggiungere la completa immunizzazione».

– Matematica, cibernetica, intelligenza artificiale, scienza dei quanti, biofotonica, realtà aumentata siamo secondo lei alla vigilia di una rivoluzione biotech&infotech del nostro vivere quotidiano? La crisi pandemica è forse l’ultra laboratorio reale della fine dell’animale sociale uomo così com’era?

«Ci avviamo verso la creazione di una “società intelligente”. L’aggettivo intelligente deriva dal fatto che la convivenza tra uomo e macchina – termine utilizzato da Turing, padre del computer e del calcolo informatico – è la convivenza più importante perché si crea quella che viene definita “sinergia super-additiva”. L’uomo da solo può raggiungere determinati livelli conoscitivi e la macchina da sola non può essere orientata per il raggiungimento di determinati output scientifici. La sfida è integrare le specialità nel modello».

– Quali obiettivi di applicazione scientifica e di Tecnology Transfert vi ponete nell’immediato futuro?

«Nel Tecnology Transfert sono in atto delle possibili collaborazioni con nuove start-up. Di fatto già collaboriamo con un’importante start-up, con sede a Reggio Calabria e a Milano, la Tecno Innovation srl, il cui oggetto sociale è proprio lo studio dei dati, dei processi decisionali e dei big-data. Stiamo maturando importanti esperienze, tra cui quella di uno dei dottoranti del mio gruppo di ricerca, dott. Pasquale Fotia, che analizza i dati attraverso una metodologia elaborativa che incrocia Impresa e Università».

– Questi clamorosi traguardi raggiunti nel cuore di una regione spesso vilipesa, che balza agli onori delle cronache più per ragioni disforiche che euforiche, che nuova narrazione presenta al mondo?

«In una situazione di eccezionale emergenza, sanitaria ed economica, gli effetti, purtroppo si diluiranno nei prossimi 12-18 mesi. Di riflesso le Università del Sud, devono attrezzarsi per contrastare: la fuga dei nostri giovani, il fenomeno della decrescita economica con la conseguente divaricazione delle disuguaglianze sociali. A mio avviso dovremmo investire sempre più sul merito, valorizzare la meritocrazia, utilizzarli come criteri di scelta/selezione dei giovani talenti. Occorre migliorare il rapporto con il mondo delle imprese e della Pubblica amministrazione rivoluzionata dall’operazione “Recovery Fund”.

Osare una rivoluzione gentile con nuovi paradigmi, diversi da quelli utilizzati nel passato soprattutto al Sud. I nostri risultati difficilmente potranno dare un contributo alla creazione nell’immaginario collettivo di un’idea diversa di Calabria.

Purtroppo, i preconcetti, talora anche degli errori commessi dagli stessi Calabresi creano delle condizioni poco positive per far esprimere alla regione un’immagine diversa da quella lesiva percepita. Sicuramente, raggiungere risultati internazionali è importante, mostra che l’operosità ed il pensare positivo sono nuove prospettive per il riscatto reputazionale del Meridione». (ma)

[courtesy L’argomento quotidiano]

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