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DOPO LA VERGOGNA DELLA SPESA STORICA
C’È LA SFRONTATEZZA DEL NORD SUL PNRR

Ferrovie in Calabria

di SANTO STRATI  – Alla faccia tosta non c’è scampo, e siccome siamo sotto Natale e vogliamo essere generosi parliamo solo di sfrontatezza: ma i sindaci di Milano, Sala, e Bergamo, Gori non si vergognano di far incrementare, impunemente, il crescente divario Nord-Sud? La storia è nota: giacché – sostengono – il Sud notoriamente non è in grado di spendere e non saprà utilizzare i fondi del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr) siamo pronti “a sacrificarci” e recuperare noi le somme non utilizzate. La rete dei sindaci del Recovery Sud ha già risposto alla tentata beffa, avvisando di stare tranquilli, che non faranno restare un centesimo a vantaggio del Nord, ma quello che dà più fastidio è proprio il tono lumbard che Giuseppe Sala mette nel tentativo (goffo) di minimizzare le dichiarazione della prima ora: «Milano è capace di spendere e gestire molto di più di quello che ci riconosce il Pnrr e saremo pronti a raccogliere quello che gli altri non sapranno spendere». insomma, dopo lo scippo, più volte, meritoriamente, denunciato da Roberto Napoletano sulle colonne del Quotidiano del Sud.La voce dell’Altra Italia che dirige, arriva la rapina, in nome della (obiettivamente vera) incapacità di spesa del Mezzogiorno.

Però, e c’è un però, non dimentichiamo che è ancora in piedi la regola della spesa storica che umilia e impoverisce le regioni meridionali a favore di quelle (opulente) del Nord, con impoverimento autorizzato. Significa qualcosa se i bambini del Sud hanno diritto a pochi spiccioli a fronte delle centinaia (qualche volta migliaia) di euro che toccano ai loro omologhi che vivono da Roma in su. Spieghiamola questa vergogna della spesa storica, portata avanti a giustificare le pretese dell’autonomia differenziata per le regioni settentrionali: è col nuovo millennio che i trasferimenti dello Stato alle Regioni non seguono più i vecchi decreti del 1977, bensì il criterio della cosiddetta “spesa storica”, ovvero la valutazione delle spese effettuate dagli enti territoriali come unità di misura per gli interventi. Tradotto in soldoni, più spendi più ricevi: ovvero si dà di più a chi trae maggiore ricchezza dalle entrate contributive (e può spendere senza problemi) e si tolgono risorse a chi ne ha già di suo in misura ridotta. Il meccanismo, in altri termini, premia chi ha alti volumi di spesa (le regioni ricche del Nord) e penalizza (quasi tutto il Sud) che avendo poco offre servizi vicino allo zero (spesso al di sotto delle soglie minime). Questa situazione non ha fatto altro che accentuare lo spaventoso divario che è diventato il dramma quotidiano per il Paese reale, ma che invece il Paese legale ignora. Chiedete a un politico (anche meridionale) le differenze che la Svimez snocciola continuamente avvisando sui rischi di uno scollamento inevitabile. Il Sud palla al piede del Paese, quando invece – dati alla mano – dovrebbe essere la locomotiva di traino della ripresa.

Bene, anzi, male. Perché anche di fronte al Pnrr il Mezzogiorno viene beffardamente depredato delle risorse che l’Europa ha dato in maniera copiosa all’Italia, più che ad altri Paesi europei proprio per la presenza del cosiddetto “divario” con il Sud. Orbene, succede che il Governo ha assegnato (grazie alla ministra Carfagna) “appena” il 40% delle risorse del Recovery Fund, quando gliene sarebbe toccato il 70%, ma in realtà – secondo serie valutazioni e studi di economisti non di parte, alla fine ci sarà a malapena un 10-12% di risorse disponibili (al massimo, secondo qualcuno il 16%). Quindi, doppia beffa: grazie al Sud all’Italia è toccata una vagonata di soldi, ma il Governo centrale prevede di utilizzarli in gran parte nel già “ricco” Settentrione. E chi se ne frega se in Calabria, in tutto il Sud, mancano strade, ferrovie, servizi. E si continua, tanto per fare un esempio pratico, a perdere tempo, invocando nuovi studi, sulla questione del Ponte sullo Stretto e l’Alta Velocità-Alta Capacità che dovrebbero far sorridere i calabresi e i siciliani, dando una svolta epocale alla mobilità interregionale.

C’è chi rema contro e sono tanti. Basta leggere i quotidiani schierati contro il Sud “piagnone e irrecuperabile”, per rendersi conto che si sta formando un altro più pericoloso divario, di natura intellettuale: tra chi crede ancora nello sviluppo possibile delle aree del Mezzogiorno e chi invece usa qualsiasi pretesto per allungare o dilatare oltre ogni ragionevole misura gli interventi destinati a sanare le fin troppo evidenti mancanze dello Stato centrale nei confronti di un terzo del Paese.

A dire il vero, questa situazione rivela precise responsabilità dei governanti meridionali i quali hanno manifestamente dimostrato la propria incapacità di incidere sulle scelte centrali e pretendere i livelli essenziali di prestazione, a partire dalla sanità per finire ai servizi, passando per l’assenza di misure di assistenza all’infanzia, ai socialmente deboli, agli incapienti. Il reddito di cittadinanza s’è rivelato una grande beffa a danno di chi ha veramente bisogno, con distribuzione disinvolta di risorse a tantissimi non aventi diritto. Con il risultato che – come sostengono molti titolari di pubblici esercizi – non si trovano lavapiatti, camerieri al tavolo, etc, giacché chi può sta a casa a godersi la rendita esentasse del RdC piuttosto che andare a cercarsi un lavoro.

Tutto questo fa il paio con la sfrontatezza di cui si diceva nelle prime righe: abbiamo un governo che sta gestendo (bene) l’emergenza pandemia, ma non prende posizione per il Sud. La Calabria, ora, può contare su un presidente “politico” che conosce il Parlamento e le mille astuzie per giungere a risultati concreti: Roberto Occhiuto, ex capogruppo di Forza Italia alla Camera, ha mostrato da subito che non intende scherzare e ha cominciato a battere i pugni con convinta determinazione. In qualche modo lo dovranno ascoltare perché conosce la macchina partitico-politica come pochi e non può essere tranquillizzato con semplici (e abituali) rassicurazioni. Anche questa, come il Pnrr, è un’opportunità per la Calabria che in conferenza Stato-Regioni dovrà non sussurrare timide richieste, ma opporre la massima contrarietà a qualsiasi ipotesi di autonomia differenziata, con conseguente saccheggio autorizzato, di fondi “inutilizzati”. Si deve cambiare registro, i calabresi lo chiedono da anni, adesso cominciano a sperarci. E se la sinistra in Consiglio regionale, anziché fare sterile opposizione cominciasse a proporre idee costruttive, probabilmente il cammino verso la ripartenza sarebbe più agevole: c’è l’esempio del governo Draghi, una grosse-koaliktion alla tedesca che ha messo insieme diavolo e acqua santa. Se funziona per il governo centrale perché non dovrebbe andar bene per affrontare le tante emergenze della Calabria? (s)

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