di ERNESTO MANCINI – In Italia, la Pubblica Amministrazione è generalmente percepita come inefficiente a causa di una burocrazia eccessiva, di procedure lente e farraginose, di una digitalizzazione ancora insufficiente e di una gestione poco efficace delle risorse pubbliche.
Queste criticità sono più gravi nel Mezzogiorno, dove la debole capacità amministrativa ed i ritardi nella spesa pubblica accentuano il divario con il Centro-Nord.
Imputare tali criticità solo ad una minore qualità della classe politica del Mezzogiorno rispetto a quella del Centro-Nord può essere fuorviante. In effetti i sindaci, i governatori delle regioni e gli altri amministratori politici del Sud non sono generalmente meno capaci dei loro omologhi del Centro-Nord. Invero la qualità della classe politica può dirsi mediamente omogenea, seppure tendenzialmente bassa, lungo l’intera penisola.
Sembra invece più corretto affermare che una componente significativa del divario risiede nella minore efficienza dell’apparato amministrativo (meglio dire: “tecnico-burocratico”) delle pubbliche amministrazioni del Mezzogiorno rispetto a quelle del Centro-Nord.
Questa carenza strutturale limita drasticamente l’efficacia dell’azione politica nel Mezzogiorno nel senso che una dirigenza politica, quand’anche sia di valore, risulta depotenziata e non può incidere in modo significativo in quanto non supportata da una macchina tecnico-burocratica efficiente, capace di tradurre le scelte strategiche in atti concreti e tempestivi.
Al Nord può succedere l’opposto, e cioè che la direzione politica degli enti, quand’anche in alcuni casi mediocre, si avvantaggia molto dalla presenza di una struttura permanente di buona qualità.
Beninteso, anche la classe politica del Sud ha le sue responsabilità se non migliora se stessa e se non si dedica a rendere ben più produttivo l’apparato della propria struttura. Quanto stiamo dicendo trova conferma nelle rilevazioni Pnrr.
Gli investimenti del Pnrr e la capacità amministrativa e progettuale del Mezzogiorno.
Secondo il rapporto Svimez 2024 «le risorse che il Pnrr destina alla realizzazione dei lavori pubblici è pari a 65 miliardi, circa la metà delle risorse territorializzabili. La quota di risorse PNRR per interventi infrastrutturali è del 54,2% nel Mezzogiorno (26,2 miliardi) di circa 6 punti percentuali superiore al dato del Centro Nord 48,5 % – 38,8 miliardi» (valore assoluto, quest’ultimo che ovviamente tiene conto delle maggiori dimensioni di territorio e popolazione: 66% Centro-Nord, 34% Mezzogiorno – n.d.r.).
Svimez chiarisce che il dato 54,2% è solo apparentemente favorevole al Mezzogiorno «perché non basta a compensare il divario infrastrutturale storico (ferrovie, strade, scuole, ospedali connessioni digitali) e l’impatto minore sull’economia reale perché i grandi cantieri e le filiere produttive delle opere pubbliche (imprese di costruzioni, forniture, ingegneri, tecnici) si concentrano prevalentemente nel Centro Nord».
Svimez sottolinea pure – ed è ciò che qui interessa – che lo squilibrio territoriale Nord-Sud rischia di permanere nonostante il Pnrr essendo evidente «la minore capacità amministrativa e progettuale degli enti territoriali del Sud che rischia di far perdere fondi e ritardare i lavori».
Al riguardo va detto che la fase realizzativa per le Regioni del Sud appare lenta. Tali regioni hanno avviato solo il 50% circa dei valori dei progetti di loro competenza contro il 75-76% del Centro Nord (cfr Orca Puglia). Le opere del settore sanità territoriale (es: case ed ospedali di comunità) sono particolarmente in ritardo.
Diversi report mostrano che le regioni meridionali sono tra quelle con le percentuali più basse di spesa effettivamente rendicontata: Calabria 10%, Campania 13%, Sicilia 13%, Sardegna 14% (cfr Openpolis).
Le gare di importo più elevato (>5 milioni) al Sud presentano un’alta quota di lavori che non sono ancora avviati: circa il 66% delle gare per lavori di tale importi non ha ancora visto l’inizio del cantiere (cfr Ance).
Le performance variano molto da regione a regione: Sicilia, Calabria, Sardegna sono spesso tra le peggiori in termini di spesa effettiva, mentre regioni come la Puglia o la Campania vanno meglio, pur con margini di miglioramento. (cfr Federcepi Costruzioni).
Le ragioni della inefficienza
Violazione dell’art. 97 della Costituzione sul “buon andamento”.
I Responsabili Unici dei Procedimenti nella stragrande maggioranza dei casi garantiscono la legittimità degli atti (es.: imparzialità nell’aggiudicazione degli appalti) ma sono meno efficaci nel garantire anche il buon andamento dell’azione amministrativa e cioè la rapidità, l’efficacia, il risultato.
I Rup (responsabili unici dei procedimenti) spesso non si rendono conto che la legittimità, se pure irrinunciabile, è solo un prerequisito dell’azione amministrativa e che tale azione si misura anche sul resto e cioè sulla rapidità e ragionevolezza dei tempi di esecuzione, sull’efficacia e rendimento delle scelte, sul raggiungimento del risultato. Insomma, su ciò che i nostri Costituenti hanno chiamato “buon andamento” della pubblica amministrazione (art.97).
Ci si trova perciò assai spesso di fronte a procedimenti corretti sotto il profilo formale ma pessimi sotto il profilo sostanziale (es.: procedura di opera pubblica realizzata in tempi irragionevoli rispetto al necessario, danni gravi derivanti dai ritardi, perdita dei finanziamenti, ecc. ecc.). Gli atti amministrativi di queste procedure (delibere, decreti, ecc.) sono tutti legittimi formalmente ma il risultato complessivo è disastroso. Va ricordato che la illegittimità dell’azione amministrativa non si ha solo per violazione della legge ordinaria ma anche per violazione della norma costituzionale sul buon andamento di cui all’art.97.
La violazione di questo principio costituzionale ha un impatto negativo sia nel Mezzogiorno che nel Centro-Nord. Tuttavia, le conseguenze sono molto più gravi al Sud, dove spesso mancano infrastrutture e servizi di base. Al contrario, nel Centro-Nord questi servizi e opere pubbliche sono generalmente presenti, pur necessitando di ulteriori miglioramenti, sicché le conseguenze delle inadempienze risultano meno drammatiche.
La contrattualistica pubblica
Il settore della contrattualistica della pubblica amministrazione (appalti per la realizzazione di opere pubbliche e per le forniture di beni e servizi) è particolarmente strategico.
In alcune regioni del Sud tale settore è palesemente inefficiente. In Calabria, per esempio, si sono dovuti esternalizzare ad Invitalia con sede in Roma, numerose procedure di aggiudicazione di appalti pubblici della sanità perché le strutture tecnico-burocratiche della Regione o delle Asp non erano in grado di avviarle e gestirle. Addirittura, col Governo Conte 1 (decreto-legge del 18 aprile 2019) si è stabilito che le otto aziende sanitarie (cinque provinciali territoriali e tre ospedaliere) avevano l’obbligo di rivolgersi a centrali di committenza esterne alla Regione per tutti gli appalti di lavori, forniture e servizi oltre la c.d. “soglia europea”, cioè le più importanti quanto a dimensioni, costi e incidenza sulla funzionalità degli enti.
Ne discendeva che per tutto il settore della contrattualistica pubblica, che impegna per diversi miliardi oltre la metà del bilancio delle aziende sanitarie territoriali ed ospedaliere (!!!), l’attività è stata interdetta agli uffici degli enti ed affidata ad uffici esterni.
Si è trattato di vera e propria “interdizione legale della Regione” e dei suoi apparati tecnico burocratici perché, come si sa, l’interdizione ha come presupposto la c.d. “incapacità di agire”.
Queste situazioni disastrose, che hanno continuità nel tempo, sono del tutto assenti nelle regioni del centro nord dove i governatori si guardano bene dall’affidare a soggetti esterni appalti pubblici di pertinenza regionale e nessun Governo può imporre loro di agire diversamente pena la violazione del principio di autonomia regionale.
Ostacoli: finanziamenti, inconcludenza e criminalità
Che vi sia una carenza di finanziamenti statali destinati al Sud è ipotesi reale, considerato il denegato criterio della spesa storica, il quale tende a cristallizzare l’esistente e a impedire un effettivo potenziamento dei singoli settori (ad esempio: servizi sociali, sanitari, infrastrutturali,ecc.).
Tuttavia, è altrettanto vero che, in numerosi casi, i fondi effettivamente erogati non sono stati utilizzati, determinandone la perdita, oppure – a causa di ritardi locali nell’attuazione dei progetti – la loro sopravvenuta insufficienza rispetto ai costi aggiornati delle opere o dei servizi previsti. Si veda al riguardo il caso emblematico di tre nuovi grandi ospedali calabresi dichiarati solennemente di somma urgenza, debitamente finanziati fin dal 2007 ed ancora oggi, dopo circa vent’anni, non ancora costruiti. Che ciò abbia portato al raddoppio dei costi economici è cosa grave ma è ben poco rispetto ai ben maggiori danni per carenza di assistenza ospedaliera nelle zone interessate (migrazione sanitaria, “malpractice”, gravi disagi per le categorie più deboli che non hanno alternative alla sanità pubblica, ecc. ecc.).
Quanto all’ipotesi di una strategia criminale volta a ostacolare la realizzazione di nuove opere pubbliche o servizi (strade, trasporti, ospedali, ecc.), essa non appare, salvo rari casi documentati, convincente. Invero, le organizzazioni mafiose non hanno generalmente interesse a impedire tali opere pubbliche, poiché da esse possono trarre vantaggi economici diretti e indiretti: proventi corruttivi, cointeressenze nelle imprese affidatarie, tangenti su appalti e forniture, nonché cospicui guadagni dall’indotto che inevitabilmente si genera.
Men che meno i ritardi possono essere attribuiti a un’area politica piuttosto che a un’altra. Complessivamente, nelle regioni del Mezzogiorno gli avvicendamenti politici si sono verificati nel corso degli anni, ma non hanno prodotto cambiamenti significativi riconducibili a una specifica compagine. Il Sud, nonostante i rinnovi delle legislature regionali e comunali, continua a rimanere distante da un livello accettabile di efficienza amministrativa. Le pur presenti eccezioni di singole realtà non fanno che confermare la regola generale.
Il ruolo politico
Salvo, come sempre, alcune lodevoli eccezioni, la responsabilità dei politici chiamati a dirigere enti del Mezzogiorno consiste soprattutto nell’aver trascurato la qualità e l’efficienza delle proprie strutture tecnico-burocratiche.
Molti politici hanno dato grande enfasi ai propri programmi pre-elettorali, formalizzandoli persino nei primi atti di governo. Tuttavia, nel corso della legislatura, la debolezza degli apparati amministrativi e l’incapacità politica di riformarli o potenziarli hanno vanificato, di fatto, la maggior parte di quei propositi, anche di quelli più realistici e attuabili.
Le soluzioni, peraltro, non sono ignote e possono sintetizzarsi anche solo per titoli. Adeguare gli organici ove risultino oggettivamente carenti, assicurando continuità e competenze stabili; Formare il personale alla corretta applicazione dei principi consolidati della scienza dell’amministrazione e del management: non solo legittimità, ma anche efficacia, rapidità, trasparenza, partecipazione e orientamento al risultato; Dotare gli uffici di strumenti informativi e informatici adeguati, capaci di incrementare realmente la produttività e la qualità dell’azione amministrativa; Favorire percorsi di carriera, combinando concorsi interni ed esterni, per incentivare lo studio e l’autoformazione costante, premiare il merito e incentivare la crescita delle professionalità migliori; Amministrare per obiettivi di impatto e risultati misurabili, garantendo che i premi di produttività siano assegnati in modo serio, trasparente e imparziale.
Solo una politica che faccia propri questi obiettivi e li persegua con coerenza potrà restituire credibilità alle istituzioni del Mezzogiorno e rendere la pubblica amministrazione un vero motore di sviluppo.
È un progetto di lungo termine ma bisognerà pur cominciare.
