di GREGORIO CORIGLIANO – Non si parla più di uxoricidio, quando si uccide il coniuge, maschio o femmina che sia, ma di femminicidio perché le vittime sono ormai quasi sempre le donne. Non fai in tempo a ricordarti quante sono state le donne uccise perché all’ultimo femminicidio conosciuto se ne è già aggiunto un altro.
Il dato mi serviva perché ero stato invitato a parlare nella scuola più importante della Piana di Gioia Tauro, assieme ad avvocati, psicologi, docenti e studenti sul tema “Nessuno tocchi Eva”, in occasione della giornata mondiale contro la violenza sulle donne. Ed ancora, quando ero stato contattato dalla docente Vittoria Calabrò, professore di diritto ed economia, l’assassinio – mi sembra più mostruoso, di Giulia Cecchettin non c’era stato.
Quel femminicidio che, al pari e più di altri, è stato più orripilante. Non tanto perchè, vista l’efferatezza commessa dal compagno-ex fidanzato, i giornali per la prima volta si sono impegnati con paginate di articoli, editoriali, riflessioni e chissà ancora quanti altri ma perché il brutale atto di violenza dell’ingegnere Giulia – tutti al di fuori di ogni immaginazione – ha toccato forse più degli altri 105 le corde del cuore perché assolutamente impensabile. Filippo e Giulia erano stati insieme, poi la ragazza, 22 anni da poco compiuti, lo aveva lasciato, pur rimanendo amici e compagni studi, oltre che corregionali. Sembrava tutto chiarito, ma il bruto, se l’era messo in testa. Da quel giorno d’estate non faceva che pensare a come sbarazzarsi definitivamente di lei.
Non mi vuoi più? Ed allora non sarai di nessun altro. Si era fatto offrire la cena e poi l’ha brutalizzata (questo il verbo da usare? rende l’idea?) Nessuno può immaginare, a parte gli esperti, cosa scatta, quale molla si è liberata per non far funzionare cervello e cervelletto. Ce ne sono stati in breve volgere di anni davvero tanti di femminicidi, un numero sconsiderato. La ricerca fatta per la conferenza a ragazze e ragazzi diciottenni del Severi, mi ha fatto andare con la memoria a Francesca da Rimini. Ve la ricordate? Quanti film, quanti libri, quante visite alla tomba. Quella di Francesca è stato uno dei femminicidi più celebri della storia.
C’è voluto Dante Alighieri a perpetrare nei secoli il ricordo –eravamo nel 1260 – ponendo lei ed il suo amato nel girone dei lussuriosi, ma gli unici a cui è stata data la possibilità di rimanere insieme, dopo la morte. Francesca che era stata data in sposa –usava così allora, come oggi in Pakistan, dove una ragazza, cresciuta e vissuta in Italia, è stata fatta uccidere dai parenti più prossimi perché aveva opposto un netto rifiuto a sposare un congiunto, parecchio più grande di lei – Francesca era nata in una famiglia benestante – i Da Polenta – il padre era signore di Ravenna e l’aveva destinata in sposa a Gianciotto Malatesta, figlio del signore di Rimini. A soli 14 anni, ottocento anni fa, si marita – il verbo è giusto, perché significa prender marito- non senza difficoltà, anche perché si sposa per procura. Allo sposalizio non si presenta il futuro sposo, ma Paolo, fratello minore di Gianciotto, molto più giovane e più piacente. Gianciotto, era anziano, feroce condottiero e, peraltro, claudicante. Narra Dante che dalla loro unione nasce una figlia, Concordia – non si sa bene, chi fosse il padre, perché Gianciotto era quasi sempre in guerra ed il legame con Paolo si fa più stretto.
Anche allora, le voci correvano fino ad arrivare al marito sposato per procura. Non esita un istante il Malatesta e li uccide entrambi, moglie e fratello. A lei, Dante ha fatto dire: “amor, che a nullo amato amar perdona e galeotto fu il libro e chi lo scrisse” perché stavano leggendo il “romanzo di Re Artù, con la storia d’amore tra Ginevra e Lancillotto. E, l’altro femminicidio che tutti dovremo conoscere? È quello di Maria Goretti. La storia di questa ragazza, drammatica e breve, la condusse agli onori degli altari, abbastanza di recente, nel 1950, da Papa Po XII. Maria era la terza di sette figli di contadini costretti per indigenza a lavorare lontano da casa, vicini alla famiglia Serenelli, che aveva un figlio di 20 anni, Alessandro, innamorato di Maria, appena undicenne.
La ragazza lo aveva capito e lo allontanava, fino a quando la raggiunge con una scusa. All’ennesimo rifiuto, il giovane tenta di violentarla (allora non si parlava di stupro) non ci riesce e la pugnala, per undici volte. Maria Goretti, sul letto di agonia e di morte, perdona l’assassino. Pugnalate, che appare essere l’arma di uso più frequente per i femminicidi. Anche quello di Giulia Cecchettin, per la quale la sorella Elena non ha chiesto il minuto di silenzio, ma il rumore di studentesse, studenti, giovani in ricordo della sventurata che aveva registrato – lo ha fatto sentire Federica Scarelli su Rai tre – senza esitazioni una sua riflessione nella quale aveva detto, dopo la fine della loro relazione, paura per lui, che non avrebbe resistito alla rottura del rapporto. Lei si riteneva più forte, ma la verità sarebbe stata ben altra. Petali di rose, per Giulia, ma davvero tanti, in lacrime amare. Da tutti noi. (gc)