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IL GRANDE CUORE DEI RAGAZZI CALABRESI
CORSI A SPALARE IL FANGO IN ROMAGNA

Ragazzi spalano il fango dopo l'alluvione in Romagna

di FILIPPO VELTRI – Ci sono anche  tante ragazze e ragazzi calabresi che in questi giorni, in queste ore drammatiche stanno aiutando la gente di Romagna a risollevarsi dopo la tragica alluvione, con morti, feriti e danni. Alcuni li conosco personalmente, altri sono figli di amici. Lavorano o studiano nelle Università del nord Italia, da Bologna, Ferrara, Modena ma anche da Milano e Firenze. Sono i famigerati fuorisede e anche loro come tanti altri coetanei non hanno atteso richiami appelli o altro ma si sono catapultati subito in quelle aree per dare un mano, pulire, aiutare, fare qualcosa.

Sono la generazione che spesso viene dipinta male ma che pochi conoscono per davvero. Sentite come ha raccontato su Strisciarossa Tania Paolino alcune storie che da oggi ci rimandano a ieri.  Miria vive a Riccione da anni ormai. Ha girato l’Italia, seguendo i ritmi del cuore e del lavoro, e in Romagna, finalmente, ha placato entrambi.

Ma l’alluvione di questi giorni ha purtroppo coinvolto anche lei. La notte della tempesta più violenta, ci ha raccontato, è stata svegliata da un rumore impressionante, come di un martello pneumatico: “chi sarà mai a quest’ora?”. Erano i colpi potenti delle gocce sugli infissi, sul tetto, ovunque. Così, le è tornato in mente, chiaro, un ricordo, di quando, ancora giovanissima, andò a Firenze in occasione di quell’altra orribile alluvione.

Era il 1966, salì da Napoli con un amico di famiglia e trovò alloggio in un convento di religiosi in Viale dei Mille. Nella sua stessa camerata dormivano altre ragazze, alle quali si aggregò per arrivare in centro il giorno dopo. Furono gli stessi preti a contattare la Protezione civile, che indicò dove avrebbero dovuto prestare la loro opera.

“Ci accolse questo signore in divisa, – racconta Miria – ci mise una coccarda col giglio sul braccio per poterci distinguere e ci mettemmo subito all’opera. Feci una pausa di dieci minuti per prendere un toast e andare al bagno. Tutto molto triste, ma credevo che anche da sola mi fosse possibile salvare Firenze da quel disastro per quanto la amavo”.

In piazza Santa Croce, si diedero da fare per salvare i tanti testi antichi e volumi di pregio conservati in una biblioteca storica. Ogni volume veniva schedato, annotando l’ora e il codice di schedatura, se leggibile, o il modo in cui era stato salvato o dove, dalle mani che lo recuperarono per prime all’interno di quel mare d’acqua fino all’ultimo che lo smistava, poi, all’ufficiale addetto al nuovo inventario. “Rientrai a Napoli con l’Arno nel cuore e nelle narici l’odore della carta bagnata. – ricorda ancora Miria -. I libri più rovinati li prendeva una signora per sistemarli come bambole in un carrello con ruote. Gli altri messi meglio ce li passavamo a catena fino alle mani di un uomo in divisa, che li deponeva in un camioncino. Se sia stato possibile recuperarli, non so, ma credo di sì per molti testi antichi. Trasudavano di civiltà e io respiravo pieno Rinascimento”.

Fu un’esperienza incredibile sotto diversi aspetti, ma ciò che più di altro colpiva “era la gara di solidarietà e lo spirito guerriero che entro ruggiva, proprio come oggi in Emilia-Romagna”.

A Riccione l’alluvione è stata contenuta, anche se l’acqua è entrata nella sua cantina. Qui Miria aveva conservato, come tanti, i ricordi di una vita, soprattutto quelli che, nel passare da una casa all’altra, ne rappresentavano una fase dolorosa o da proteggere dagli occhi altrui. Lettere, un quadro di pregio regalatole dal padre, vestiti, qualche mobile, libri. E i libri, buona parte, si sono salvati, perché Miria, nella cura devota che riserva ad essi, li aveva avvolti uno ad uno in una busta di cellophan.

Le altre cose andranno ripulite e smistate. Perché di cose si tratta, alla fine, ma, quando gli eventi inaspettati a volte ci costringono a un repulisti che non vorremmo, non programmato, appunto, esse diventano il nostro vissuto da preservare non solo nella memoria.

Con il marito hanno spalato tutto quello che c’era da spalare. Quando hanno finito, lui è andato ad aiutare chi aveva bisogno. “Ce la faremo anche stavolta”, si dicono.

Già, ce la faranno anche stavolta; tuttavia, Miria riflette: i ragazzi di Ultima generazione hanno ragione, bisognerebbe ascoltarli di più. Cosa vuoi che sia un portone imbrattato di vernice lavabile, seppure di un palazzo istituzionale, di fronte alla devastazione di questi giorni in Emilia-Romagna?

Brava! Questo è il racconto vero della generazione degli anni Duemila. Tutto il resto è fuffa.

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