di BRUNELLA GIACOBBE – Il complesso di Torre Talao, patrimonio dell’Unesco, è considerato il sito dell’era musteriana (interglaciale) più importante della Calabria in questa fase.
Siamo nel periodo del Paleolitico medio e superiore (ca. 100.000-35.000 a.C.) e la zona dell’attuale Torre Talao era un’isola, proprio come l’attuale isola di Cirella o di Dino. Gli scavi confermano che lì vivessero uomini di Neanderthal. I reperti trovati, di incommensurabile valore storico-scientifico, sono oggi visitabili nel piccolo “Antiquarium” sito in Piazza Cimalonga nell’arroccato e suggestivo centro storico di Scalea, volto in parte alla montagna e in parte affacciato sul mare.
Visitabile solo nei giorni feriali, a ingresso libero, è curato e promosso dalla Soprintendenza per i beni archeologici della provincia di Cosenza. All’ingresso, presso gli uffici istituzionali, la responsabile ci comunica che tra giugno e luglio è stata registrata una media di trecento visitatori al mese e che anche nelle stagioni più fredde il sito è visitato, seppur in misura minore, da almeno cinquanta persone al mese: durante le stagioni calde per lo più da turisti italiani e stranieri, in quelle più fredde è visitato in particolar modo da calabresi provenienti da ogni angolo della regione.
Cosa possono trovare i turisti ed i viandanti nell’“Antiquarium”?
La raffigurazione dell’uomo di Neanderthal ed i preziosi cimeli dell’era corrispondente. Teche, illustrazioni ed infografiche che ben presentano il contesto territoriale dal punto di vista storico, i reperti ed il loro ritrovamento.
Il sito di Torre Talao era una torre di avvistamento del 500, ed è tuttoggi costituito da una serie di grotte e cavità che si aprono lungo i fianchi. Come anticipato era un isolotto completamente staccato dalla terraferma, come risulta chiaro da diverse documentazioni del XVII secolo in cui lo si vede distante dalla spiaggia e successivamente, a partire dagli inizi del secolo scorso, si vede iniziare ad essere collegato alla costa da una sottile lingua di terra nella sua parte occidentale. L’attuale posizione completamente congiunta alla terraferma è data da un fenomeno nominato regressione marina, che ovviamente è interessato diversi altri punti della costa tirrenica cosentina.
L’avvio degli scavi archeologici
Le ricerche archeologiche avvenute nella zona di Torre Talao hanno confermato la già supposta origine interglaciale del territorio, portando alla luce un deposito archeologico pluristratificato e non alterato di notevole interesse, in cui gli scavi hanno fatto riemergere sabbie, ghiaie e brecce contenenti sia resti fossili faunistici che oggetti dell’industria musteriana.
I ritrovamenti fossili faunistici sono di grande importanza per le ricostruzioni storiche, da questi infatti si è dedotto che da sempre il territorio presentava un clima decisamente caldo, in contrasto con vicino plesso montuoso del Pollino. La prima segnalazione registrata riguardo questi ritrovamenti è del 1891 nel volume “Del sito di Blanda, Lao e Tebe Lucana” ad opera di Michele Lacava, medico chirurgo e storico campano.
Quanto alla prima segnalazione ufficiale dei rinvenimenti archeologici di Scalea – conservata nell’archivio della Soprintendenza Archeologica della Calabria – risale al 1909 ad opera dell’Ispettore ai monumenti della provincia di Cosenza, Isp. Caruso, che denunciava la distruzione dell’antichità nel fondo di proprietà di tale Filippo Filardi, in località Fischia, durante i tentativi di convertire quella terra in produzione agricola senza il minimo interesse verso il suo valore storico e culturale. L’ispettore volle intervenire direttamente sul posto e grazie alle sue ripetute mozioni ottenne nel 1934 l’intervento della Regia Soprintendenza per le Antichità e l’arte di Reggio Calabria che eseguì sotto la direzione dell’allora ispettore Pesce, diversi scavi nella zona, i cui risultati furono pubblicati nel volume “Notizie degli Scavi di antichità” del 1936.
Grazie a queste prime iniziative la zona iniziò ad essere trattata senza sosta fino ad oggi, come uno dei siti archeologici maggiormente visitati dagli scienziati di archeologia, ricercatori e studiosi italiani ed esteri.
Come viveva il Neanderthal di Scalea?
Utilizzava ovviamente strumenti in pietra utili per scuoiare e tagliare le carni di animali, la lavorazione di queste pietre era semplice ma di grande precisione, la loro utilità molto efficace. La tecnica con cui venivano tagliate le pietre si chiama Levallois, che prevedeva una precisa percussione delle pietre per estrarre le schegge necessarie alla costruzione di strumenti che dovevano assolvere a diverse funzioni a seconda dell’animale e della parte da lavorare. (bg)