Site icon Calabria.Live

LE RISORSE SOLIDALI DESTINATE AL PONTE MINANO L’EQUILIBRIO INFRASTRUTTURALE

LE RISORSE SOLIDALI DESTINATE AL PONTE MINANO L'EQUILIBRIO INFRASTRUTTURALE

di ETTORE JORIO – Sul Ponte sventola bandiera bianca: è la resa della perequazione infrastrutturale. E già, perché nel finanziamento previsto nelle legge di bilancio per il 2024 per il Ponte sullo Stretto (oggi con le carte in Procura per un approfondito esame delle procedure adottate), è dato constatare che: se da una parte, c’è l’impegno del Governo a lavorare in favore del federalismo fiscale (legge di bilancio per il 2023, commi 791- 801bis); dall’altra, si svuotano le risorse solidali per investirle su altro. Più esattamente, lo si fa sottraendo una parte consistente delle risorse destinate, circa 2,5 miliardi, a uno dei due strumenti più importanti per sostenerne la partenza e il funzionamento a regime. Il peggiore dei modi per favorire l’accesso al federalismo fiscale e alla eventuale istanza consapevole delle Regioni a concretizzare un regionalismo rafforzato.

I due pilastri fondamentali per lo start del criterio di finanziamento basato su costi e fabbisogni standard, capace di mandare a casa (finalmente) la spesa storica, sono i fondi perequativi: quello che supporta i conti di esercizio degli enti territoriali strumentale ad assicurare i Lep (ma anche i non Lep) e le funzioni fondamentali degli enti locali; quello che assicura la parità infrastrutturale, indispensabile agli enti destinatari per portare a casa la parità di partenza per erogare quanto dovuto alla loro collettività.

Si tagliano le ali al sistema autonomico territoriale

Funzionale a conseguire un siffatto avvicinamento del patrimonio produttivo pubblico delle regioni povere in tal senso è l’istituito Fondo per lo sviluppo e la coesione (Fsc già Fas), impegnato istituzionalmente, a scopo solidaristico, in sinergia con gli altri fondi strutturali europei. In quanto tale – in esercizio attuativo dell’articolo 119, comma 5, della Costituzione, quindi della legge delega attuativa 42/2000 e del decreto delegato 88/2011, e dell’articolo 174 del Tfue – il Fsc ha il compito di assicurare unità sostanziale alla programmazione e al finanziamento nazionale, attraverso propri interventi finanziari aggiuntivi. Ciò allo scopo di favorire il riequilibrio economico e sociale tra le diverse Regioni (ma anche degli enti locali): per l’appunto, concretizzando una perequazione infrastrutturale.

In una tale ottica – prescindendo dalle grandi opere di interesse nazionale ed europeo che devono rintracciare le risorse in interventi speciali, che costituiscono l’altra specie prevista nell’anzidetto comma 5 dell’articolo 119, effettuabili ad hoc dallo Stato – costituisce un guaio irreparabile impiegare in altro le risorse destinate per riequilibrare i disequilibri strutturali. In ciò che non siano investimenti destinati a mettere a terra, dove occorrano, maggiori beni funzionali a dare certezza all’eguaglianza strutturale di partenza del federalismo fiscale. Non farlo, significherebbe pensare a Lep teorici e non a prestazioni essenziali reali da rendere praticamente esigibili in favore di tutti i cittadini, ovunque risiedano.

L’evento che genera l’esistenza di questo pericolo è rintracciabile nella legge 213/2023, costituente l’investimento di maggiore rilievo tra quelli previsti, riguardante la costruzione del Ponte sullo Stretto, sostenuta con 11,63 miliardi di euro (si veda NT+ Enti Locali & Edilizia del 15 febbraio scorso). Il tutto però con una modalità di finanziamento che – ben lungi dall’essere quella tipica della costruzione delle grandi opere del Paese e in quanto tale dovrebbe essere a carico esclusivo dello Stato – non sembra ispirata a favorire negli anni la disponibilità di risorse da destinare alla perequazione infrastrutturale. A colmare le storiche differenze, tali da spaccare almeno in due la Nazione.

La legge 13/2023, infatti, non ha posto a carico del bilancio dello Stato tutti gli 11,63 miliardi, in difformità alla formulazione approvata originariamente dal Cdm, distribuiti nel novennio 2024-2032, con anticipazione di 500 milioni nel corrente esercizio. Ha tuttavia sancito che di questi: 9,312 miliardi rimangono a carico dello Stato distribuiti nei previsti nove anni (comma 272); 718 milioni a gravare sui finanziamenti statali prevalentemente destinati a progetti per il Mezzogiorno (comma 273, lett. a); 1,6 miliardi finanziati dal Fondo di sviluppo e coesione (FSC) assegnato alle Regioni Calabria e Sicilia (comma 273, lettera b).

La perdita di chance dell’eguaglianza sostanziale

Da qui, la bandiera bianca issata dagli aspiranti uguali, che così rimarranno vittime di un patrimonio infrastrutturale sproporzionalmente diseguale. Ciò nella considerazione di tre eventi tangibili: la intenzionalità del Governo, peraltro nel frattempo impegnato nella individuazione dei Lep e della loro sostenibilità con ricorso alla perequazione, di rendersi autore dello svuotamento, per un importo di 2,318 miliardi di euro, delle risorse impegnate a colmare le differenze infrastrutturali. E già, perché con l’accollo in capo alle Regioni Calabria e Sicilia, sottrae a esse 1.6 miliardi da destinare a riequilibri propri, peraltro da dovere ove mai incentivare per accogliere al meglio l’insediamento della mega opera, quanto a sistema viario e ferroviario (e non solo); la incomprensibile ratio governativa di sottrarre 718 milioni di euro ai progetti utili, e già previsti, a compensare parte delle povertà infrastrutturali del Sud del Paese; l’opzione di offrire priorità al Ponte sullo Stretto rispetto a tante altre infrastrutture indispensabili alla percezione dei diritti elementari da parte di una Nazione affamata di servizi e prestazioni giammai esatti. Tutto questo rappresenta una volontà negativa di accantonamento della spesa storica, forse perché comoda per chi detiene il governo del Paese nonostante sia segnatamente pregiudizievole all’esigibilità dei diritti fondamentali. Una negatività, questa, che fa apparire il tentativo in atto di determinazione dei Lep e degli strumenti di sostenibilità dei medesimi un’altra brutta puntata di quel dramma oramai vecchio di 22 anni. Di quel federalismo fiscale rimasto sulla carta, destinata a ingiallire ulteriormente, mentre la nazione è a secco di diritti civili e sociali. Ci si augura di avere torto. (ej)

[Courtesy Il Sole24Ore]

Exit mobile version