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L’INCUBO DEL PNRR: UN ELDORADO FATTO
DI PROMESSE MA CON TROPPE INCOGNITE

PNRR

di ETTORE JORIO –  Il Pnrr è divenuto l’incubo degli italiani. Li preoccupa. Li rende increduli. Ma regala loro tante speranze. Li sottopone però a stress indicibili, obbligandoli ad assistere ai duri contrasti insorti tra controllati e controllori: il Governo e la Corte dei conti incaricata dei controlli concomitanti sul Pnrr e sul piano nazionale complementare (PNC).

Uno scontro senza risparmio di colpi, tanto da portare all’approvazione in Parlamento di un emendamento abrogativo dell’anzidetto compito dei Magistrati contabili. Tutto questo accade, senza che i destinatari reali dei progetti finanziati dall’Europa (i cittadini) ne sappiano granché. Sintomatico di tutto questo è stata la “storiella” cui ha fatto ricorso Giuseppe De Rita per dire la sua sul piano nazionale di ripresa e resilienza.

Nel sottolineare l’insufficienza di sognare il futuro attraverso il Pnrr ha dichiarato «non si può dire al mio barista che il digitale o l’ecologia siano il futuro».

Occorre spiegargli chiaramente cosa siano, le loro utilità concrete e con quale progetto pervenire al risultato. In buona sostanza, un progetto di siffatte dimensioni, l’unico ad essere godibile nella concretezza, ha bisogno di chiarezza diffusa nel sociale e non già essere compresa «solo (da) quattro tecnocrati e Bruxelles» (De Rita dixit).

Una spesa che vale tanti miliardi di euro abbisogna, infatti, di una necessaria divulgazione propedeutica alla comprensione e al consenso, pena l’assistenza acritica dei veri beneficiari del contributo UE sugli adempimenti più o meno mancati da chi ha l’obbligo di fare. Un modo in più per sentirsi più cittadini europei.

A tutto questo va aggiunto, che deve essere riconosciuto alla società civile il diritto di conoscere progressivamente cosa si fa, nel corso dei
sei anni offerti dall’UE, per realizzare quanto programmato con gli oltre 200 miliardi di provenienza unionale, dei quali circa sessantanove a fondo perduto.

Tra progetti perlopiù presi dalla delibera Cipe n. 121 del 21 dicembre 2001, afferente al primo programma delle infrastrutture strategiche di cui alla cosiddetta legge obiettivo, quelli indicati solo per finalità e i tanti sviluppati sul territorio dal contenuto di sovente manutentivo diventa davvero difficile comprendere il tutto. Un po’ come con il “barista” sul digitale e l’ecologia!

Proprio per questo motivo, attesa la promiscuità risalente a tre Governi in corsa di una giustificazione ciascuno per la parte che li riguarda
singolarmente, si renderebbe necessario un arbitro sollecitatore, un consigliere non di troppo incaricato di riportare la macchina nella giusta direzione e nel rispetto delle rispettive scadenze.

Eh già perché la particolarità del Pnrr è quella di prevedere la liquidazione dei ratei tenendo conto del principio dello stato di avanzamento, in quanto tale ogni sollecitazione intesa nel rispetto delle regole è da ritenersi non solo utile ma indispensabile. La consapevolezza dei ritardi e della inadeguatezza della macchina burocratica e istituzionale a realizzare quanto progettato avrebbe dovuto consigliare il contrario di
quanto accaduto tra Governo e Corte dei conti. Magari sollecitando quest’ultima ad una maggiore collaborazione preventiva, di certo migliorativa per l’operato.

La posta in gioco è alta e le inadeguatezze sulla programmazione ed effettuazione della spesa sono infatti due limiti grossi nella PA, specie di
quella territoriale. Prova ne è che, dopo le sollecitazioni della Premier a non buttare i quattrini sulle Cattedrali nel deserto, il Governo si è accorto di avere in pancia oltre 10 miliardi di euro da investire in strutture sanitarie, ex art. 20 legge 67/1988. Un bel regalo frutto dell’incapacità storica della PA a spendere quanto si ha, sulla quale qualche stimolo in più a fare bene sarebbe stato necessario da tempo.

Dunque, i controlli in tempo reale – di certo fatti meglio di come ha fatto il Collegio per il controllo concomitante – sarebbero stati e saranno ultra necessari. Ciò allo scopo, per dirlo alla De Rita, di evitare che il secondo d’angolo, poco avvezzo alle critiche rivolte al suo pugile sul ring, fosse costretto a dire al suo atleta al quasi termine del match: se l’ammazzi vai pari. (ej)

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