di ROBERTO DI MARIA – Fra le tante brutte notizie seguite al piccolo incendio nell’aerostazione di Catania, che ha messo in tilt l’intero sistema del trasporto aereo siciliano, ne è arrivata una buona: la fine delle limitazioni operative che gravavano sull’aeroporto di Reggio Calabria.
La notizia è positiva in sé, dal momento che lo scalo aeroportuale ha sempre funzionato “a mezzo servizio” a causa di restrizioni che, negli anni, hanno suscitato non poche polemiche, limitandone l’utilizzo ad alcuni aeromobili ed imponendo determinate manovre di avvicinamento degli stessi alle piste. E pensare che il “Tito Minniti” ha ben due piste a disposizione, una delle quali, la 11/29, è stata allungata nel 1991 su richiesta di Enac ed Enav per consentire i decolli in piena sicurezza verso il mare: furono spesi circa 7 miliardi di lire.
Ma l’abolizione delle limitazioni è una buona notizia anche per il sistema dei trasporti nel suo complesso, non soltanto aerei e non soltanto calabresi. Lo scalo reggino è chiamato infatti “Aeroporto dello Stretto” a dimostrazione che chi lo ha progettato non aveva pensato soltanto a Reggio Calabria ed alla sua provincia. La sua posizione geografica lo pone al centro di un’area che esiste nella realtà ma che, dal punto di vista della gestione amministrativa e delle infrastrutture di collegamento, non è mai stata trattata come tale, da una politica miope e, non di rado, campanilistica.
L’attualità, che ci pone di fronte ai gravissimi disagi dovuti alla chiusura dell’aeroporto di Catania, che hanno coinvolto l’intera Sicilia, ci fa ulteriormente comprendere l’importanza di un aeroporto a pieno servizio sullo Stretto: i voli cancellati da Fontanarossa, infatti, sono stati distribuiti fra gli altri aeroporti siciliani, già intasati, come il Falcone-Borsellino di Palermo, o incapaci di sopperire a flussi di viaggiatori così intensi, come Trapani Birgi o Comiso. Il Tito Minniti, in questa redistribuzione, sarebbe stato prezioso, anche per la migliore accessibilità da Catania rispetto, ad esempio, a Palermo o Trapani. Ma nessuno ci ha pensato, complice le “limitazioni” di cui sopra oltre a, diciamolo pure, una scarsa propensione al dialogo tra amministratori siciliani e calabresi.
In prospettiva, ben altro dovrebbe essere il destino di questo scalo aeroportuale, finora sottoutilizzato e sottovalutato. Si pensi alla metropolitana dello Stretto: un sistema di trasporti pubblici che, sfruttando la futura realizzazione del Ponte, avrebbe collegato Reggio Calabria con Messina in pochi minuti. L’aeroporto Minniti sarebbe proprio il terminale di questo sistema, che partendo dalla nuova stazione di Messina, anch’essa prevista nel progetto del Ponte, ed attraverso la ferrovia che dà accesso all’opera di attraversamento, che prevede 3 stazioni intermedie in territorio messinese, giungerebbe in Calabria e punterebbe verso Reggio.
Con altre 3 stazioni servirebbe l’area calabrese fino all’aeroporto dello Stretto. Una linea della lunghezza di 40 km circa, in grado di consentire, finalmente, il collegamento tra le due città in pochi minuti e rendere raggiungibile il “Minniti”, in mezz’ora al massimo dal centro di Messina, ancora meno dalle aree settentrionali della città, servite dalle stazioni intermedie.
Una condizione del tutto assimilabile, ad esempio, a quella che lega Palermo all’aeroporto Falcone-Borsellino (lunghezza della linea: 35,5 km), attraverso un servizio rapido di tipo metropolitano che conduce direttamente allo scalo da un territorio servito capillarmente dalle stazioni intermedie. I tempi sarebbero similari: si consideri che un treno “veloce” collega Palermo Centrale a Punta Raisi in 34 minuti.
Attualmente, invece, i collegamenti tra il “Minniti” e la città peloritana sono a dir poco carenti, se non inesistenti. L’aliscafo che lo collega al porto di Messina, con trasferimento in bus dall’aerostazione, impiega come minimo 55 minuti. Dal porto, poi, occorre raggiungere la propria destinazione in città, magari molto distante. La futura metropolitana, attraverso le tre stazioni intermedie in territorio messinese, dotate di parcheggi di interscambio, consentirebbe di raggiungere molto più facilmente la propria meta, ed in tempi incomparabilmente inferiori.
Sarà uno dei tanti effetti della realizzazione del Ponte che, come abbiamo scritto, renderebbe possibile la concretizzazione della Città Metropolitana dello Stretto: una realtà da 1.200.000 abitanti, che rappresenterebbe la più grande area metropolitana a sud di Napoli.
E che consentirebbe di armonizzare e ottimizzare le infrastrutture presenti nell’area, rendendo superflua, ad esempio, la realizzazione di un altro aeroporto a servizio di Messina, spesso reclamata dalla sponda siciliana dello Stretto. E che è stata al centro, in passato, di improbabili iniziative, magari sponsorizzate da immancabili gruppi stranieri: erano indiani quelli del previsto ”aeroporto del Mela” nel messinese, ma non dimentichiamo i cinesi che volevano costruire un aeroporto fra le aspre colline della provincia di Enna.
Tutte iniziative svanite nel nulla, come bolle di sapone, con tanto di bocciatura da parte di chi ha voce in capitolo: fu drastica, nel caso del “Mela”, la presa di posizione di Enac, che fece subito notare come il territorio non sarebbe stato in grado di supportare l’aeroporto.
Va detto infatti, che gli aeroporti sono infrastrutture molto costose, sia in fase di realizzazione che, soprattutto, in fase di gestione: per sostenere i costi relativi alla cura dei passeggeri e degli aeromobili, ma soprattutto alla loro sicurezza, un aeroporto deve essere molto ben frequentato. I transiti di passeggeri devono essere tali da garantire alle società di gestione introiti sufficienti, e ciò avviene solo per aeroporti che abbiano a disposizione un bacino d’utenza dell’ordine di qualche milione di residenti sul territorio. Una quantità di potenziali utenti che, se non può essere garantita dalla sola provincia di Messina (meno di 600.000 abitanti), può esserlo di sicuro per un aeroporto, come il “Minniti”, al centro di una grande area metropolitana che di abitanti ne conterebbe il doppio, come sarebbe quella formata da Messina e Reggio Calabria.
Insomma, anche in questo caso, l’unione fa la forza. E le infrastrutture di trasporto, con la loro capacità di connettere, si rivelano indispensabili. (rdm)
[Roberto Di Maria è dottore di ricerca in Infrastrutture dei Trasporti Amministratore “Sicilia in Progress”]