di GIUSY STAROPOLI CALAFATI – Aver recuperato la parola fascismo dalla storia, per gettarla alla rinfusa nelle nostre vite, con l’obiettivo di raggiungere lo squilibrio mentale della società contemporanea, è il vero reato di questa “piccola” Italia del XXI secolo.
Ci era stato chiesto il sacrificio di lasciarla alla storia, conoscerla sì, metabolizzarla, ma non rimetterla in uso… Ma d’altronde, non attribuendo valore ai vivi, come si potrebbe farlo con i morti? Parlare di fascismo, alimentando irrequietezza ed inquietudine negli animi di molti, portando ad esempio le risse fra ragazzi, è seriamente incosciente, patologico e folle.
La storia, se da una parte ha il compito di insegnare, far sì che gli errori brutali precedentemente commessi non si ripetano, dall’altra, va ricordato, che se non ben decifrata, potrebbe all’improvviso far scoppiare gli ordigni rimasti inesplosi ovunque, e la deflagrazione essere devastante.
Un’ipotesi che la politica italiana, incluse tutti gli istituti di formazione, piuttosto che reinventare a scopi propri periodi bui anni luce lontani da noi, dovrebbe mettere in conto. E’ questione di coscienza sociale, ma anche di dovere costituzionale. Impegno e responsabilità civili.
Purtroppo controsenso e incoerenza, esercitano sulle masse una condizione di disagio tale da rendere una serie innumerevole di adulti, irriguardosi oltre che cretini.
Ma stiamo sul pezzo. Se la rissa tra ragazzi scoppia a Vibo Valentia, a Catania, a Napoli o a Bari, al Sud dell’Italia insomma, l’atteggiamento violento è di origine mafiosa. Al via la lapidazione della cultura retrograda radicata nel Meridione.
Se la rissa scoppia da Roma in sù, invece, le facce spiritate della politica, diseppellito il vecchio terrore, identificano tali conflitti come origami del fascismo, riesumando gruppi squadristi, cazzi, mazzi e manganelli.
Due pesi e due misure, insomma due Italie che non si riappacificano.
Ma è forse questo il paese di Jofà, in cui si vorrebbe mettere tutti sulla strada del ciuccio che vola, senza neppure un saggio che ricordi agli ‘spatriati’ che il ciuccio non è mai volato?
Certamente è la nazione delle parole a piacere, l’Italietta in cui molti non amano misurarsi sulla base del bene comune ma su quella del proprio gusto, dimenticando che uccide più la gola che la spada. Il tutto a discapito delle nuove generazioni, costrette ad assistere a uno spettacolo immondo dove la deriva delle coscienze è perfettamente allineata al potere delle poltrone.
L’Italia non è più il paese del credo che tutti credevamo, tanto che spesso non risulta credibile più neppure a sé stessa. Che se è di destra sproloquia di comunismo, se di sinistra ciancia di fascismo.
Eppure quando è servito ha forgiato saggiamente la sua resistenza, ha combattuto il fascismo, ostacolato le mafie. Da lì in poi un’era transgender volta non all’inclusione come si vuole far credere, ma ad una sorta di emancipazione dei propri ruoli e delle proprie cariche, dove esercitare un particolare ascendente intellettuale e morale su un individuo, in modo da annientarne la personalità sottoponendolo al proprio volere, che si voglia o no, è regime.
Fascismo? Comunismo? Meglio la città del Sole di Tommaso Campanella.
Un’Italia felice, che non conosce conflitti interni, corruzione, inimicizia, invidie, tradimenti o fame. Con un tempio del sole, la sapienza, l’amore, e senza la proprietà privata che causi conflitti, dolori, gelosie e tutti i mali sociali.
La Calabria potrebbe intercedere nel compimento di questo miracolo, in fondo l’Italia origina proprio qui. Ma purché si smetta di condannare il suo Tommaso, e si converga tutti sui tre principi della natura, secondo Campanella: caldo, freddo e materia. Ricordando, per il bene di tutti, che anche “i sassi conoscono”. Soprattutto le strumentalizzazioni della politica. (gsc)