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MELONI E LA QUESTIONE SETTENTRIONALE
L’AUTONOMIA CONTRO L’UNITÀ DEL PAESE

MELONI E LA QUESTIONE SETTENTRIONALE: L’AUTONOMIA CONTRO L’UNITÀ DEL PAESE

di MIMMO NUNNARI“L’Autonomia differenziata”, sempre che vada in porto, ma non è così tanto sicuro, farà comunque passare il Governo Meloni alla storia per aver risolto la “Questione settentrionale”, cara al Bossi della prima ora, che la lanciò sul prato di Pontida, cancellando con odio e disprezzo  quella storica “meridionale”.  In sostanza il primo governo guidato da una donna dichiaratamente di destra, con nel cuore l’antiregionalismo e la Patria (nel 2014 la leader di Fdi diceva: «C’è un’altra battaglia che ci vogliamo intestare, che è la battaglia per l’abolizione delle regioni»), è come se ora avesse sbagliato questione: confondendo Salvini, l’erede di Bossi, con Salvemini, il padre della questione meridionale. Mutando rotta rispetto alle esigenze di riequilibrio della storia il Governo Meloni  ha imboccato definitivamente la via che porta più risorse al Nord anziché al Sud.

L’ultima cosa da fare in questa oscura faccenda, era – fatto lo strappo – cercare di metterci una pezza per rammendare, come tenta tardivamente di fare il tentennante vicepresidente del Consiglio Antonio Tajani. Per calcoli personali o politici, o ragioni che ci sfuggono, il leader di Forza Italia ha aderito al patto di spaccare l’Italia, accettando di accelerare all’indomani di aver incassato per il suo partito un ottimo risultato elettorale al Sud, alle elezioni europee, particolarmente in Calabria. Poi, visto il vento impetuoso che si è levato, Tajani ha cominciato a balbettare su improbabili “osservatori”, per  vigilare; cose che lasciano il tempo che trovano. Come chiudere la stalla, dopo che i buoi sono scappati. La pezza che mette il vicepresidente del Consiglio è peggiore del buco. Sarà quel che sarà la realtà è che il Paese è spaccato, socialmente e culturalmente prima di tutto. Interrogarsi, oggi, su cosa accadrà è come guardare dentro la sfera di cristallo, roba da maghi.

Non sappiamo adesso quanto sarà efficace l’azione delle opposizioni, dal Pd ai 5 Stelle, passando per il gruppo di parlamentari di Forza Italia del Sud che hanno mostrato di avere schiena dritta disubbidendo alle direttive della maggioranza. L’unica cosa certa è che il Sud è stato tradito e non servono ipocrisie, promesse di elemosine o finti dispiaceri alla Bonaccini, neo eurodeputato del Pd, storico presidente dell’Emilia Romagna: uno che all’Autonomia, insieme a altri leader del Pd, come Fassino, è sempre stato favorevole. Stando così le cose restano le due Italie: una del Nord, una del Sud, che un Paese lungimirante con mani alla coscienza avrebbe dovuto unire, ma non l’ha mai fatto.

Se passerà definitivamente l’Autonomia le due Italie le avremo per legge e per sempre, tradendo anche lo spirito del Risorgimento durante il quale i padri della patria avevano immaginato un’Italia fondata sui principi di libertà, indipendenza ed unità, un po’ come la desiderava Dante Alighieri, che gli italiani chiamano con affettuoso rispetto, “Padre Dante”: Padre “della lingua italiana”  che nell’evocare il nome d’Italia, il “bel Paese dove il sì sona”, esprimeva una visione nuova dell’Italia, nell’aspettativa di una Patria morale. È vero che con l’Unità siamo diventati italiani tutti assieme, ma non tutti alla stessa maniera, e con la medesima idea di nazione; che è qualcosa da edificare con sentimenti, passioni, scelte e ideali condivisi, sommando diversità e differenze territoriali, tradizioni e culture, per poi armonizzarle fino a farle diventare ricchezza per tutti.

Tutto ciò, dopo più di un secolo e mezzo, non è accaduto e abbiamo continuato a vivere questa malcerta unità che ha generato l’anomalia – unica nell’Occidente – di due patrie diseguali: il Nord e il Sud, accettata da tutti: Governi, politica, media, intellettuali, sindacati, impresa. Bisognava prima sanare questa strana anomalia italiana che ci distingue in Europa e poi pensare all’Autonomia: il punto che non si capisce è questo. Inutile arzigogolare, sulla legittimità del provvedimento. C’è una questione morale e di giustizia, irrisolta da più di centocinquant’anni.

Aspettavamo un Governo che lo capisse e l’affrontasse: ma non è questo. (mnu)

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