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NON SI ARRESTA L’«EXPORT» DEI CERVELLI
LA FUGA DEI GIOVANI DA SUD E CALABRIA

Cervelli in fuga dal Sud

dalla REDAZIONE ROMANA – Una recente ricerca del Centro Comunitario Agape sul protagonismo giovanile in Calabria ha messo in evidenza un dato allarmante e significativo: i giovani e le giovani calabresi si sentono lontani dalle istituzioni, non si sentono coinvolti e vi è sempre più l’esigenza di voler scappare dalla propria terra. otto su dieci in un campionario di 1000 studenti calabresi dell’ultimo anno hanno detto che progettano di andare a studiare fuori della regione e non tornare.

Questo dato è di grande rilevanza se rapportato al triste record di export di cervelli che la Regione Calabria può vantare: secondo i dati Bankitalia al 2018, in dieci anni, sono andati via dalla Calabria 26 mila laureati, un sesto dei residenti con gli stessi titoli. Come la vogliamo chiamare? Fuga di cervelli o emigrazione intellettuale? Cambia poco, la sostanza rimane la stessa: la Calabria si svuota e sono assenti nella regione politiche attive destinate ai giovani, in grado di offrire opportunità di formazione e lavoro nella propria terra. Il futuro rubato che non è solo una caratteristica dei giovani calabresi, bensì di tutti i ragazzi del Mezzogiorno.

Difatti il quadro che emerge dall’analisi dell’Ufficio Studi su “Economia e Occupazione al Sud dal 1995” di Confcommercio, è desolante: mancano nel Sud rispetto al 1995, «oltre 1,6 milioni di giovani». Secondo Confcommercio «l’Italia, nel complesso, perde 1,4 milioni di giovani nel periodo considerato: da poco più di 11 milioni a poco meno di 10 milioni». Un gravissimo dato se si considera che, a febbraio 2021, l’Istat, nel suo censimento permanente, ha rilevato come, al 31 dicembre 2019, la popolazione censita in Calabria è di 1.894.110 unità, con una riduzione di 17.911 abitanti, che equivale al -9,4% rispetto al 2018, e del -4,2% rispetto al Censimento 20211. Anche sul fronte del lavoro, maglia nera per la Calabria: la disoccupazione è del 21,9%, contro il 13,1% in Italia.  Il tasso di occupazione maschile è 45,1% +17% di quello femminile; il tasso di disoccupazione è al 20,1% e al 24,4% per uomini e donne.

Secondo Confcommercio, «l’Italia nel complesso perde 1,4 milioni di giovani nel periodo considerato: da poco più di 11 milioni a poco meno di 10 milioni. Tutta questa perdita è dovuta ai giovani meridionali. Mentre nelle altre ripartizioni il livello assoluto e anche la quota di giovani rispetto alla popolazione di qualsiasi età, restano più o meno costanti, nel Mezzogiorno si registra un crollo. La popolazione italiana complessiva è in riduzione dal 2015 proseguendo il suo calo anche nel 2020. Queste dinamiche, come si intuisce, sono completamente ed esclusivamente determinate dalla demografia del Mezzogiorno. Le prospettive non sono certo di miglioramento».

Un trend, quello registrato, che è strettamente legato non solo al tema della produttività, ma anche delle condizioni economiche e sociali di vita: l’Ente, infatti, ha evidenziato un «progressivo calo di peso del prodotto lordo del Sud: in poco più di venti anni da oltre il 24% al 22%. Le ragioni sono molteplici, ma le principali sono due: la decrescente produttività totale dei fattori, conseguenza dei gap di contesto che affliggono le economie delle regioni meridionali in particolare, e la riduzione degli occupati, conseguenza della riduzione della popolazione residente».

L’economia del Sud, infatti, è fragile: «a fronte di una crescita del 16,4% delle unità standard di lavoro per l’Italia, nei quasi cinque lustri considerati l’occupazione del Sud cresce di poco più di quattro punti». A sottolineare questa fragilità, gli ultimi dati dell’Istat nel rapporto Bes sul territorio, in cui è stato rilevato che,  se il tasso di occupazione della popolazione in età compresa tra 20 e 64 anni in media Italia è sceso al 62,6% dal 63,5% del 2019, al Sud  il tasso di occupazione in questa fascia di età è del 48%, rispetto al 71,5% del Nord e al 67,4% del Centro. In particolare, sono Crotone (35,6%) e Vibo Valentia, che registra un 40%.

«Sul tema della produttività – per Confcommercio – vale la pena di limitarsi alle diverse e recenti evidenze empiriche che identificano nella burocrazia, nella micro-illegalità diffusa, nell’accessibilità insufficiente e nella comparativamente minore qualità del capitale umano, le spiegazioni di un fenomeno strutturale che comprime il prodotto pro capite in modo permanente. Se nel Sud questi difetti fossero ridotti in modo tale da portarne le dotazioni ai livelli osservati nelle migliori regioni italiane, il prodotto lordo meridionale crescerebbe di oltre il 20% alla fine dell’aggiustamento di lungo periodo, rispetto a uno scenario senza interventi».

Ma, quello che viene fotografato, è un «acuirsi dei divari, almeno a partire dalla crisi del 2008: il rapporto tra prodotto pro capite reale di un abitante del Sud rispetto a quello di un abitante del Nord-ovest scende da 0,55 (55%) a 0,53. Non si può invocare, a parziale correzione di queste evidenze, un differente livello dei prezzi tra regioni. A queste differenze si contrapporrebbero, con effetto dominante, le difficoltà di accesso e fruizione di molti servizi pubblici di base».

«In generale, la tendenza delle politiche per il riequilibrio territoriale dovrebbe, a nostro avviso – suggerisce Confcommercio – passare da un piano di riduzione dei difetti strutturali del Mezzogiorno: controllo del territorio e contrasto alla micro-illegalità, digitalizzazione e innovazione nel rapporto burocratico tra cittadini e controparte istituzionale, investimento nell’istruzione di ogni ordine e grado, con ampio intervento su formazione e trasformazione continua delle abilità e delle competenze e, soprattutto, riduzione dei gap infrastrutturali di accessibilità – dai trasporti alla banda larga – che non permettono un’adeguata connessione socio-produttiva del Sud col resto del Paese e, soprattutto, con l’Europa».

«La riduzione di questi deficit – per l’Ente – aumenterebbe il livello e la dinamica del prodotto potenziale del Meridione, sviluppandone ricchezza e opportunità di investimento, anche provenienti dall’estero».

Tuttavia, per Confcommercio, «le radici del declino hanno natura strutturale e origini lontane nel tempo. Prima della crisi economico-finanziaria della seconda parte degli anni duemila, il Sud cresceva a scartamento ridotto rispetto al resto del Paese» di tre decimi di punto annui rispetto alla media Italia nel periodo 1996-2007 (1,2% contro 1,5% del totale Italia), e che tale scarto è raddoppiato «nel periodo 2008-2019, passando a sei decimi di punto (-0,9% contro una riduzione media dello 0,3% all’anno). Nel 2020, sulla base della stima preliminare dell’Istat, la crisi ha colpito meno il Sud rispetto al Centro-Nord che ha subìto, in misura più rilevante, il blocco delle attività produttive durante la pandemia».

Il vero pericolo, per Confcommercio, è quello di «tornare a crescere agli insufficienti tassi del passato recente e, ormai, anche meno recente» e, per scongiurare tale pericolo, «si invocano maggiori risorse, anche di derivazione europea», oltre che «riforme che mirano, in generale, a una migliore utilizzazione del capitale produttivo e umano, oltre che a un incremento delle dotazioni quantitative e qualitative dei medesimi. Il collegamento al turismo, sede e pilastro del vantaggio comparato meridionale è inevitabile. Questo vantaggio è, tuttavia, più nella sensibilità e nella speranza di molti italiani e della maggior parte degli esperti, piuttosto che nei dati».

«La valorizzazione del turismo, soprattutto nel Mezzogiorno del Paese, dovrebbe diventare una priorità operativa per tutti i soggetti interessati, sia privati sia pubblici» conclude l’analisi, in cui viene sottolineato che il rilancio sistemico di questo settore produttivo fondamentale, «si rifletterebbe anche in una maggiore produttività dei servizi di mercato e, al loro interno, della produttività delle imprese di più ridotta dimensione».

«Rilancio dell’economia, grazie ai vaccini, e piano nazionale di ripresa – ha dichiarato Carlo Sangalli, presidente di Confcommercio – sono un’opportunità irripetibile per il nostro Mezzogiorno. In particolare, le risorse del Pnrr destinate al Sud, circa 82 miliardi, permettono di sviluppare e innovare le infrastrutture di quest’area. E migliori infrastrutture significano anche migliore offerta turistica che è la straordinaria risorsa del meridione». (rrm)

 

 

 

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