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In udienza da Papa Francesco il Centro studi Gioachimiti (Gioacchino da Fiore)

Don Enzo Gabrieli

di PINO NANOGiornata solenne oggi per i calabresi in Vaticano, soprattutto per la gente di San Giovanni in Fiore, perché nonostante le guerre, nonostante le tensioni internazionali, nonostante i temi tradizionali della fame nel mondo, Papa Francesco  –  domani mattina nel corso della sua udienza del mercoledì – avrà modo di abbracciare una delegazione calabrese e di parlare con loro di Gioacchino da Fiore, uno dei grandi protagonisti della storia del monachesimo.

Sarà il presidente del Centro Internazionale di Studi Gioachimiti Riccardo Succurro a guidare la delegazione che, in Piazza San Pietro, sarà ricevuta dal Papa, e sarà lo stesso Riccardo Succurro a consegnare al Santo Padre l’invito ufficiale a venire in Calabria per partecipare al 10° Congresso Internazionale di Studi Gioachimiti “Gioacchino da Fiore e la Bibbia”, che si si terrà nell’ Abbazia Florense di San Giovanni in Fiore dal 19 al 21 settembre 2024. 

«Nelle sue opere Gioacchino da Fiore – ricorda Riccardo Succurro – introdusse un concetto nuovo rispetto al precedente millennio cristiano: Cristo è l’ asse dei tempi, è il centro della storia. La storia dell’umanità per Gioacchino è storia della salvezza;  sull’intero corso dei tempi del Vecchio e del Nuovo Testamento domina la Trinità: il Padre,  autore di tutte le cose; il Figlio che si è degnato di condividere il nostro fango; lo Spirito Santo, di cui dice l’Apostolo “Dove c’è lo Spirito Santo ivi è la libertà».

Un evento nell’evento, insomma, che Riccardo Succurro è riuscito ad organizzare con l’aiuto e il conforto teologico e accademico di mons. Enzo Gabrieli, Padre Postulatore della Causa di Beatificazione di Gioacchino da Fiore.

Ma chi era in realtà Gioacchino da Fiore? 

A questo nostra domanda don Enzo Gabrieli risponde con una passione e un trasporto che lo conferma uno degli studiosi più attenti e più informati della Chiesa moderna sul monaco calabrese.

«Gioacchino da fiore è un Monaco calabrese che è vissuto nel medioevo e si è distinto per la sua ricerca teologica e il suo continuo riferirsi alla parola di Dio come fondamento di quella che fu la sua testimonianza di vita, la sua profezia, il suo leggere gli eventi della storia illuminati dalla fede. È nato nel 1135 a Celico, un paese alle pendici della Sila, in una famiglia abbastanza ricca da poter avere rapporti con i notabili della città e la Corte di Federico II a Palermo, dove si recò per le prime esperienze di vita e la sua formazione culturale. Partito per un viaggio in Terra Santa ebbe modo di incontrare il monachesimo eremita e cercò di rivivere questa esperienza sulle pendici dell’Etna prima, e del rendese, cercando di entrare come novizio nell’abbazia della Sambucina di Luzzi poi. Dopo alcuni mesi, passati nella foresteria di questo monastero, entrò fra i cistercensi a Corazzo. Fu ordinato sacerdote da Michele da Martirano e nel 1177 divenne abate della stessa abbazia».

-Don Enzo, Ma si può parlare di Gioacchino da Fiore come santo?

«Fu un uomo di Santa vita e di grandi virtù, ebbe il dono del consiglio e visse nella piena obbedienza del Papa e della Chiesa. I suoi detrattori tante volte cercarono di accusarlo di essere stato un fuggitivo, e ancora su di lui aleggia un’accusa di eresia a causa della condanna di un presunto libello composto dopo la sua morte è così presentato nel Concilio lateranense quarto. Esso doveva contenere le sue tesi trinitarie che effettivamente furono condannate da un’apposita costituzione. Ma lo stesso Concilio parla della Sua Santità della vita e dell’insegnamento del suo ordine». 

-Qual è stata la posizione della Chiesa?

«Alla luce di questo, Papa Onorio III che scrisse una lettera apostolica da leggersi in tutta la Calabria non solo lo difendeva, ma lo definiva ‘uomo pienamente cattolico’. La prima biografia scritta in occasione della traslazione del corpo proprio da Luca descrive una serie di episodi brevi che evidenziano le sue virtù cristiane e fu composto per lui anche una raccolta dei miracoli attribuiti. Che godesse di una fama di santità in vita, e soprattutto dopo la morte, questo è evidente negli scritti, nelle opere d’arte, nelle miniature e in tanti affreschi dove appare con l’aureola o in mezzo ai santi». 

-Perché non è mai stata avviata una causa di beatificazione?

«In passato ci sono stati dei tentativi ma la fine del suo Ordine non ha agevolato questo. Così come delle gelosie che si sono perpetrate nei suoi confronti, sia per il pensiero teologico sia per le proprietà silane e concessioni che furono poi incamerate da altri enti civili e religiosi e che lui aveva ricevuto dalla regina Costanza e il suo ordine da Federico II». 

-E questo fino a quando?

«Finché nel 2001 fu avviato, dall’Arcivescovo Monsignor Giuseppe Agostino, un grande studio preliminare sul percorso storico dell’abate e sulla sua teologia e sono state nominate tre commissioni di lavoro e una postulazione». 

-Con quali risultati?

«Dalle ricerche è emerso che negli scritti, che comunque lui aveva sottoposto nel suo testamento all’obbedienza del sommo pontefice, non ci sono errori teologici. Noi non vogliamo anticipare il giudizio della Chiesa. Se quando la Chiesa lo riterrà opportuno, lo additerà come modello di vita cristiana».

-Ma allora, mi scusi, non vale la pena di fare una causa?

«Questo non spetta a me dirlo. Penso che dopo 8 secoli una causa di tipo storico che confermi il suo culto e liberi dalle ombre la sua figura potrebbe essere utile a far entrare Gioacchino nel cuore dei cattolici, stimolarne la lettura delle opere che finalmente sono state trascritte e tradotte. Oggi potremmo riprendere con più forza l’attualità del suo messaggio che riafferma il primato dello spirituale, il primato di Dio nella nostra vita, il coraggio di uscire da schemi e strutture senza per questo protestare o demolire la chiesa, e poi la bellezza del primato della parola di Dio meditata nel segreto che ti permette di leggere la storia dell’umanità dal punto di vista Di Dio».

«È questa la profezia cristiana, non è quella di vedere il futuro. Il profeta biblico, il discepolo di Cristo legge gli eventi e gli accadimenti dalla sua prospettiva e dice una parola di consolazione, di consiglio, illuminata dallo Spirito Santo. Leggendo alcuni scritti di Gioacchino si sente la freschezza dell’apostolo Giovanni che scrive e legge la storia in un contesto di rapimento spirituale. P silenzio della preghiera e della liturgia. Già in un precedente incontro, una delegazione del Centro Studi aveva già consegnato al Papa alcune pubblicazioni dell’abate calabrese; un gesto molto apprezzato da Papa Bergoglio che in quella sede aveva manifestato il suo sostegno “a vedere finalmente coronati di frutti positivi gli sforzi dispiegati in favore della diffusione del pensiero di Gioacchino da Fiore”».

-Domani sera a Cinecittà sarà presentato in anteprima un grande film su Gioacchino da fiore…

«Siamo grati al regista Jordan River che si è cimentato in questo particolare lavoro che insieme a tanti altri, che hanno prodotto piccoli documentari e narrazioni della sua vita, aiutano a far conoscere, a stimolare una riflessione e speriamo una ricerca dei testi dell’abate, una visita dei luoghi, una maggiore penetrazione del suo pensiero. E nella Chiesa, aggiungerei, una riscoperta della sua testimonianza. E poi il cinema ha una sua forza di penetrazione incredibile, è uno strumento popolare di grande impatto. Così come siamo grati a tanti che hanno scritto libri sull’Abate, così come siamo grati agli studiosi che hanno aperto la nostra la conoscenza sulla sua teologia. È per questo che dobbiamo guardare con grande simpatia agli strumenti della comunicazione anche per la missione della Chiesa». (pn)

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