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PNRR, CON IL PRETESTO DELL’EMERGENZA
NON VENGANO DIROTTATI I FONDI DEL SUD

Pnrr

di PIETRO MASSIMO BUSETTAL’attuazione del Pnrr è diventato centrale rispetto alle politiche governative. Raffaele Fitto,  Ministro per gli Affari Europei, il Sud, le Politiche di Coesione e il Pnrr ha relazionato alla Camera sullo stato di attuazione di esso. Mai il Ministero per il Sud era stato in una posizione cosi strategica. 

Risultato conseguente  al fatto che adesso il Pnrr e la spesa dei fondi relativi sono diventati centrali per i prossimi anni.

Alcuni obiettivi, al di là di quelli previsti nelle varie scadenze delle tranche  dei finanziamenti, il Pnrr li ha già raggiunti. Il primo che il tema dei fondi comunitari si è capito che va trattato a livello centrale. L’errore di aver delegato la gestione di molte risorse alle Regioni ha portato a due criticità: la prima che consiste in  una dispersione di fondi  su centinaia di progetti, molti dei quali di pura assistenza! Quante fontane di paesini sono state riparate con i fondi strutturali é inimmaginabile.      

E tale errore lo si sta correggendo,  ovviamente con grandi proteste degli enti regionali che si vedono sottratte la gestione di fondi importanti. Spesso nel Mezzogiorno, ma non solo, utili ad alimentare il consenso di capi e capetti facenti parte di quella classe dominante estrattiva che si autoalimenta con la distribuzione di mance ai propri clientes. A fianco alla concentrazione a livello centrale si sta capendo anche che non vi può essere una dispersione in mille progetti, che non costituiscono valore aggiunto rispetto allo sviluppo del manifatturiero o dei servizi. 

In realtà territoriali come quelle del Sud, nel quale ancora mancano le infrastrutture fondamentali e la lotta alla criminalità organizzata ha da fare passi importanti, sono necessarie risorse notevoli per ristabilire quelle condizioni di Stato minimo fondamentali   perché si possa pensare a localizzarvi imprese. 

Destinare investimenti importanti per supplire alle esigenze e alle necessità sociali, che devono essere soddisfatte con la spesa ordinaria,  porta all’impossibilità di accelerare,  come è necessario, il progetto di sviluppo.  

Ma anche l’idea di utilizzare le Partecipate per attuare in tempi brevi quegli investimenti che, se lasciati all’iniziativa dei Istituzioni locali,  hanno difficoltà ad essere attuati può rappresentare una via di fuga molto interessante.

Tutto bene quindi? No é necessaria massima attenzione ai rischi che tutto questo può comportare. La centralizzazione, che corrisponde ad una forma di commissariamento può essere risolutiva ma anche estremamente pericolosa. Dipende molto dalla capacità di chi commissaria di perseguire gli obiettivi che il livello sottostante non è riuscito ad ottenere. L’esempio della sanità calabra, commissariato per 10 anni con risultati pessimi,  ci deve far riflettere sui rischi connessi a  tale procedura. 

Anche la concentrazione in pochi progetti presenta dei rischi, perché se la spesa corrente non raggiunge alcuni risultati importanti le povertà delle realtà meno evolute potrebbero aumentare enormemente. 

D’altra parte anche le Partecipate, peraltro quotate in Borsa, potrebbero essere meno interessate alle realtà più povere, dove le possibilità immediate di fare utili potrebbero essere minori. È già accaduto con le Ferrovie dello Stato che hanno dismesso moltissime delle linee meridionali, senza una vera politica proiettata verso lo sviluppo che probabilmente non era nemmeno nella loro mission. O anche con l’Anas che per esempio ha investito meno nelle tratte non a pagamento.  

Così come può essere pericolosa anche la concentrazione delle risorse. Perché, come già avvenuto, quelle che devono essere indirizzate al Mezzogiorno potrebbero servire da bancomat per le emergenze che si vanno manifestando. 

Penso alla ripartizione alle Regioni delle risorse del Fondo sviluppo e Coesione, che dovrebbero andare  per l’80% alle Regioni meridionali. E non si tratta di risorse contenute ma di 22,5 miliardi del ciclo di programmazione 2021-27, che le Regioni del Sud sollecitano, e che ancora devono essere assegnate. Evidentemente il Ministro vuole capire perché la spesa del ciclo precedente 2014-2020 è ancora in forte ritardo.

Non bisogna dimenticare che spesso le risorse non vengono spese perché le classi dominanti non si mettono d’accordo, fino all’ultimo momento utile,  perché preferiscono che non vadano ad alimentare la forza di gruppi opposti e per evitare tale conclusione sono pronti anche a perderli. 

Il bene comune e gli obiettivi per cui le risorse vengono destinate dall’Unione Europea interessano pochi. Tra l’altro il Ministro ha l’esigenza di monitorare la situazione complessiva per poter decidere  quali progetti, che non possono essere finanziati col Pnrr, possono trovare invece altre forme di finanziamento.  In questa operazione ovviamente il rischio che non si rispetti più la destinazione territoriale diventa enorme, considerato anche che la stessa Unione Europea rispetto a una tale impostazione non alza quel  muro che invece sarebbe necessario erigere. 

Preoccupazione che trova conferma nella relazione curata dal ministro Fitto e allegata all’ultimo Def, a proposito delle risorse del Fondo Sviluppo e Coesione  dove si spiega che “le assegnazioni a titolo emergenziale hanno inciso negativamente anche sul rispetto del vincolo di destinazione territoriale». E si tratta di un importo importante visto che é nell’ordine di grandezza di circa 20 miliardi rispetto al totale di 68 miliardi disponibili. Linea che purtroppo si sta attuando ormai da parte di tutti gli ultimi Governi. 

La ripartizione tra le Regioni era già pronta ed era stata preparata dal governo Draghi; con la sfiducia tutto si è fermato.E il Dipartimento per la programmazione e il coordinamento della politica economica, cui spetta per legge la materiale erogazione dei fondi, non ha mai proceduto oltre.

Si spera perlomeno che le evidenze sui conti territoriali, quelli che hanno permesso di calcolare uno scippo di 60 miliardi l’anno, se la spesa pro capite fosse stata uguale tra le varie parti del Paese, possano essere continuati. Perché con la rivoluzione in atto non ci sarebbe da stupirsi che questi calcoli, estremamente scomodi, voluti da Carlo Azeglio Ciampi, non vengano più prodotti. 

Bisogna riconoscere che é un compito arduo quello del ministro Fitto, stretto tra le esigenze nazionali e la volontà di non tradire la sua realtà di provenienza, ma la sua lunga esperienza e la capacità di ascolto dovrebbero aiutarlo in un compito arduo. (pmb)

[Courtesy Il Quotidiano del Sud – L’Altravoce dell’Italia]

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