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QUELLE BARE DEI MIGRANTI A CROTONE
URLANO CONTRO UN’EUROPA SILENZIOSA

QUELLE BARE DEI MIGRANTI A CROTONE URLANO CONTRO UN’EUROPA SILENZIOSA

di PIETRO MASSIMO BUSETTA  – Si potevano salvare? Lo accerterà la magistratura che certamente indagherà anche sulla macchina dei soccorsi. Certo che quando il mare è forza otto e le imbarcazioni sono gusci di tavole che stanno insieme per scommessa si lavora come nel gioco dello Shanghai, nel senso che già sfiorare una imbarcazione lunga appena 20 metri con ben 200 persone a bordo anche con una motovedetta può portare a far saltare quel  labile equilibrio dei fascioni della barca facendola affondare. Intanto i morti accertati sono più di 60 ma il bilancio sarà certamente più alto, pesante e drammatico. 

Ricorda molto, questo ennesimo incidente, la dinamica della tragedia di Lampedusa. E in quel caso provocò 368 morti accertati e circa 20 dispersi presunti, numeri che lo pongono come una delle più gravi catastrofi marittime nel Mediterraneo dall’inizio del XXI secolo. I superstiti salvati furono 155, di cui 41 minori (uno solo accompagnato dalla famiglia). 

Ma era possibile salvare questi poveri cristi naufragati vicino Crotone? Non lo sappiamo, probabilmente no. La domanda ritorna prepotentemente.  Il barcone era partito da quattro giorni da Smirne, in Turchia, e poi era stato avvistato a circa 40 miglia dalla costa crotonese da un velivolo dell’agenzia europea Frontex.  Una motovedetta della Guarda costiera era partita da Crotone e un pattugliatore del gruppo aeronavale da Taranto, in Puglia, ma a causa delle pessime condizioni del mare erano dovute rientrare.

Ma un’ altra domanda sorge spontanea. Dal 2013, anno della tragedia di Lampedusa è cambiato l’approccio dell’Europa? O l’atteggiamento estrattivo e predatorio, come lo ha definito la presidente Meloni in Algeria, è rimasto costante nella sua crudeltà e nella sua ingiustizia? Quella stessa Europa che non impedisce, come invece sta facendo in Ucraina, che Paesi, che non rispettano il diritto internazionale, possano occuparne altri provocando fiumi di profughi.

O che permette che regimi totalitari come quello dei Talebani attuino forme di dittatura invivibili per esempio per le donne, costrette a diventare fantasmi trasparenti, senza cultura né possibilità di vita autonoma da un maschio di famiglia. 

Due fatti che si sposano: da un lato coloro che fuggono per motivi politici, persecuzioni religiose, guerre o dall’altro per carestie o mancanza di possibilità di sopravvivenza economica. 

E mentre da una parte si chiudono i canali ufficiali legali per qualunque tipo di immigrazione, dall’altro si finanziano regimi totalitari, come quelli libici o quello turco, che facciano da cani da guardia, assoldati dai ricchi europei, per impedire quei processi di spostamento di popoli dovuti proprio a quell’ingordigia predatoria, che spesso porta anche a fomentare guerre per controllare i territori di interesse.  

Il Mediterraneo deve ridiventare un mare di pace. L’Europa, composta da democrazie adulte, deve avere una visione che non può limitarsi ai propri territori o a quelli confinanti via terra, ma deve estendersi, essendo la potenza economica più forte del mondo, anche a quelli che si affacciano sul mare Nostrum, che non è il mare di Grecia, Italia, Francia, e Spagna, ma che è il confine meridionale della grande aggregazione di Stati che si chiama Unione Europea. 

La prova di forza, che sottende la tragedia di Crotone tra l’Italia e l’Europa per costringere quest’ultima ad occuparsi più concretamente di un problema che certamente la riguarda, alla fine fa pagare il conto a poveri disperati in cerca di una prospettiva di futuro. Donne, bambini, giovani maschi, minori non accompagnati che, malgrado quello che dice Matteo Piantedosi, non potremo fermare in alcun modo, nemmeno paventando il rischio che si possa essere sommersi da un mare in tempesta, che alcune volte non perdona. 

In questa competizione tra Stati sovrani, volta a rendere sempre più rischiosa la traversata, si inserisce una domanda che sorge spontanea: perché questi barconi invece di fermarsi in Grecia, Stato dell’Europa da cui come dall’Italia possono raggiungere le mete agognate, che non sono certamente né Grecia né Italia, allungano il loro viaggio di migliaia di chilometri di mare, moltiplicando il rischio, per raggiungere le coste calabre molto più distanti? 

Forse perché le politiche di accoglienza della Grecia, con la creazione del campo di profughi di Lesbo, portano a possibilità di respingimento più elevate e in ogni caso a forme di detenzione all’interno di tali campi che non consentono ulteriori spostamenti? La domanda che sorge spontanea é anche se l’Italia non sia diventata il ventre molle di una politica lassista, che lascia entrare anche illegalmente, sapendo che alla fine farà scappare chi vuole per raggiungere le mete agognate. 

Mentre da un lato non si interviene in maniera seria per consentire ad ognuno di vivere nella propria terra, avendo una minima prospettiva di futuro e di sopravvivenza, dall’altro si tende ad una permissività che porta a scaricare nei vari contesti sociali più poveri flussi di diseredati che vanno a complicare le situazioni delle banlìeu francesi, piuttosto che delle periferie abbandonate dei grossi agglomerati urbani europei.

Mentre non si può accettare, perché è improponibile e ingestibile, la politica dell’accogliamo tutti non si può nemmeno pensare di bloccare i flussi con campi  lager nei porti di partenza, finanziati da noi o di rendere il viaggio in mare talmente pericoloso da scoraggiare le partenze, dimostrando con migliaia di morti che le probabilità di arrivare sani e salvi sono estremamente contenute. 

Il tipico atteggiamento coloniale, che ritroviamo anche da parte del Nord nei confronti del Sud del nostro Paese, porta naturalmente e storicamente allo sfruttamento delle risorse possedute da molti Paesi africani e mediorientali e contemporaneamente all’accoglienza di quanti servono al sistema economico occidentale, che vengono fatti arrivare, spesso illegalmente, in modo da poterli sfruttare lasciandoli, perlomeno per le prime due generazioni, ai margini del sistema. 

Cambiare vuol dire cedere una parte di torta della quale ci si é accaparrati ma è giusto che lo si faccia non soltanto per ripristinare una giustizia infranta, ma anche per un problema di sopravvivenza dell’Occidente, che non può pensare di continuare ad essere lo scorpione che per la sua natura non riesce a capire che pungere la rana, che lo sta trasportando sulla riva opposta del fiume, fa morire entrambi. (pmb)

[Courtesy il Quotidiano del Sud – L’Altravoce dell’Italia]

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