di MIMMO NUNNARI – Una sola Calabria non esiste, ne esistono tante, come in passato, quando però si parlava di “Calabrie” a ragione, e il plurale si giustificava con l’esistenza della Calabria Citeriore e la della Calabria Ulteriore, denominazioni ufficiali che la regione terminale d’Europa si portava dietro fin dal Basso Medioevo. Oggi, quando qualcuno usa ancora il termine Calabrie, lo fa per sottolineare la perdurante diversità e la complessità storica e culturale della Calabria, mosaico frammentato, racchiuso in un unico spazio fisico, ma diviso in piccole patrie, che stentano a unirsi veramente. È questo forse il vero fallimento di più di mezzo secolo di regionalismo, vissuto in Calabria tra primati perduti e rancori resistenti. È questa la debolezza più grande di una regione che vuole volare ma resta attaccata al suolo: incatenata e incapace a spezzare le catene, a liberarsene. Questo, dovrebbe essere un tema da campagna elettorale, su cui riflettere e ragionare. Solo una vera sostanziale unità, e col beneficio derivante dall’essere uniti, dal collaborare e dal superare le divisioni, potrà decollare la “regione differente”; differente per cultura, tradizione, miti, modo di pensare e di vivere. Sono tutte belle però queste Calabrie, ancorché divise e rancorose, e chi riuscirà a mischiarle, ad amalgamarle, facendo diventare ogni differenza ricchezza, le farà volare. La sfida più grande tra Occhiuto e Tridico è forse questa: riconciliare la Calabria, riconciliarla con se stessa, e riconciliarla col resto del Paese, con l’Italia del Nord, che è la locomotiva che corre, alla quale bisognerebbe agganciarsi. I campanilismi inutili e i conflitti di stampo municipalistico, che ancora esistono – inutile nasconderlo – o i duelli politici da asilo infantile sono assurdi. Non fanno altro che alimentare lo stereotipo di Calabria terra conflittuale, ultima irredimibile e perduta. Bisognerebbe provare a volare alto in questa campagna elettorale, concentrarsi sulle soluzioni che le attività politiche possono produrre nella realtà, in una regione che vive tra eccellenze e mediocrità, senza vie di mezzo. C’è questa Calabria plurale di luci e di ombre, sullo sfondo della sfida elettorale Occhiuto Tridico: ultima occasione, per una regione storicamente trascurata e isolata di spiccare il volo verso un futuro rosa; che si merita, uscendo dalle nebbie in cui vive, anche per colpa di una classe politica suddita di partiti nazionali che considerano la Calabria granaio di voti, e basta. Ed è tanto, se non la disprezzano, anzi sottovoce lo fanno, a destra e a sinistra. Avete mai sentito levarsi dai Governi (di destra o sinistra) o dal Parlamento, una voce chiara e forte in favore della regione sud del Sud? Del fanalino di coda dell’Europa che nelle classifiche si trova appena prima delle due enclavi spagnole di Ceuta e Melilla in terra africana? E del rumoroso silenzio dei parlamentari eletti in Calabria che dire? Non vogliamo fare di tutta l’erba un fascio. Qualcuno va salvato, ma li contiamo davvero sulle dita di mezza mano i meritevoli, di destra e sinistra. Ora, con questo scenario alle spalle, la sfida Occhiuto Tridico diventa un’occasione unica per cambiare, per riportare la discussione sul futuro della Calabria a un livello dignitoso, col recupero della centralità della politica, collocandola a più diretto contatto con la vita dei calabresi, rendendola più aderente alle cose stesse. Certo, è una sfida anomala quella tra un presidente dimissionario e autoricandidato e un europarlamentare a cui la coalizione di sinistra impreparata ha dovuto appellarsi, pena l’inabissamento. Tridico, è stato un salvagente per la sinistra. Ha tolto dall’imbarazzo il Pd, partito che in passato per scegliere il candidato presidente ha dovuto far ricorso alla lotteria, provandole tutte prima di giungere per sfinimento ad Amalia Bruni, scienziata di valore, ma distante della politica e da esperienze di gestione di un ente importante, come la Regione. Prima di far uscire dal cilindro di via del Nazareno – sede nazionale del Pd – il suo nome, c’erano stati il no a Mario Oliverio, le incertezze antipatiche su Nicola Irto, i rumors su Enzo Ciconte, scrittore e politico d’esperienza, però poco gradito alla nomenclatura post Pci, l’investitura di Maria Antonietta Ventura, imprenditrice ferroviaria di origine pugliese, come Francesco Boccia, all’epoca proconsole Pd, incaricato di sbrogliare la matassa calabrese, di cui “il Manifesto” scrisse: “Non sa più che pesci pigliare”. Quattro anni dopo il Pd resta partito che non sa decidere, poco inclusivo, tendente all’esclusione, senza leader. Se nel campo della sinistra il Pd appare malconcio, e Avs ha dovuto arruolare la filosofa calabroromana Donatella Di Cesare, nota per le sue partecipazioni nei talk show e le amicizie con ex Br, a destra c’è Fdi, il partito della premier Giorgia Meloni, che non si sente tanto bene, tanto da dover ricorrere ad una politica dal profilo alto, come Wanda Ferro, sottosegretaria all’Interno, per rassicurare il proprio elettorato disorientato (a Reggio è stato abbandonato da due dirigenti storici come Giuseppe Agliano e Salvatore Lagana’, fedelissimi dell’ex presidente Giuseppe Scopelliti che sostiene un candidato della Lega ) o arruolare politici provenienti dalla sponda grillina, come Dalila Nesci, 5 Stelle doc, ex sottosegretaria per il Sud. Con questi rumori fuori scena, il palcoscenico è tutto per i due protagonisti: Occhiuto e Tridico. Sarebbe utile che entrambi si ponessero interrogativi semplici su problemi però vitali, riflettendo anche sul fatto che benché la Calabria sia stata governata dal centro, per secoli, con una specie di spocchia coloniale, non sarebbe onesto attribuire solo a ipotetici “nemici esterni” le colpe di un malessere che esiste per corresponsabilità degli stessi calabresi. Quali interrogativi potrebbero porsi, Occhiuto e Tridico, preparandosi a dare risposte? Ne elenchiamo alcuni: – Come correggere, migliorandole, le peggiori condizioni sanitarie d’Italia che comportano minori aspettative di vita e maggiori difficoltà nell’accesso ai servizi sanitari, rispetto a tutti gli altri italiani? – Come creare concretamente posti di lavoro e frenare l’emorragia inarrestabile verso il nord e l’estero di braccia e intelligenze? – Come evitare il rischio che il territorio più a Sud del continente europeo, assuma, progressivamente, le sembianze di uno Stato mafia di tipo balcanico, dominato dalla mafia più potente del mondo? Come risanare le burocrazie, infettate dalla corruzione, e in che modo correggere l’inclinazione politica alla collusione con sistemi occulti e/o mafiosi? – Quali misure legislative mettere in campo, per emancipare le popolazioni dal bisogno che le opprime? Non sarà facile rispondere, con un collegiale e coraggioso impegno, si può tentare.
Con gli slogan non si va da nessuna parte. (dn)
Regionali: veline e veleni
per il programma poi si vedrà
