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Spopolamento borghi calabresi: il modello grecanico punta sul turismo esperienziale

Calabria.Live quotidiano martedì 23 dicembre 2025

di NICOLA A. PRIOLO – Vale la pensa salvare i borghi che si spopolano?

Consapevoli che le risorse pubbliche sono limitate, e che quelle private son difficili da reperire, vien da chiedersi, liberi da ideologie e utopie, se e come dobbiamo salvare i borghi che si spopolano.

È una questione che divide amministratori, studiosi, cittadini. Da un lato c’è chi vede nei borghi un patrimonio da tutelare a ogni costo; dall’altro, chi ritiene che non tutto si possa o si debba salvare, e che la storia, a volte, imponga di lasciar andare.

Secondo i dati Istat, oltre 6.000 borghi italiani oggi sono a rischio spopolamento. Alcuni sono già quasi del tutto abbandonati. Le cause sono note: mancanza di lavoro, servizi essenziali assenti, isolamento geografico, invecchiamento della popolazione. Eppure, come sottolinea un recente focus pubblicato da Interris, questi luoghi rappresentano “tessere di un mosaico millenario” che unisce frammenti di identità, storia, paesaggio e cultura.

Salvare i borghi, quindi, non è solo una questione urbanistica o demografica: è una scelta culturale, quasi etica. Ma è davvero possibile farlo? E soprattutto: è giusto?

Alcuni studiosi, come Luca Bonomelli, mettono in guardia da un eccesso di idealizzazione. In un’analisi sul futuro dei borghi montani, Bonomelli osserva che molte di queste realtà sono nate in un contesto economico e sociale che non esiste più. Erano comunità autosufficienti, fondate su agricoltura, pastorizia, artigianato. Oggi, senza servizi, senza infrastrutture, senza opportunità, rischiano di diventare scenografie vuote, luoghi da cartolina abitati solo d’estate o nei weekend. Vale la pena investire risorse per tenere questi borghi artificialmente in vita?

Ci sono esperienze che dimostrano che una rinascita è possibile, ma solo se accompagnata da visioni nuove. In Oltrepò Pavese, ad esempio, giovani agricoltori, artisti e nomadi digitali stanno riscoprendo i borghi come luoghi di lentezza, autenticità e sperimentazione. Non si tratta di tornare indietro, ma di immaginare un futuro diverso: agricoltura biologica, turismo sostenibile, coworking rurale, cultura diffusa. È una forma di “ripopolamento lento”, che non fa rumore ma cambia le traiettorie.

Anche le istituzioni si stanno muovendo. Il Pnrr ha stanziato fondi per la valorizzazione dei borghi, e molte regioni — come il Trentino, il Molise, la Sardegna — offrono incentivi per chi si trasferisce in piccoli comuni. Ma i risultati sono ancora incerti. Come ha ammesso il presidente della Provincia di Trento, “l’interesse informativo è stato enorme, ma quello reale sarà tutto da verificare”. Perché vivere in un borgo non è solo una scelta estetica: è una sfida quotidiana.

E allora torniamo alla domanda iniziale.

Dobbiamo salvare i borghi?

Forse si, forse no. Forse va fatta una selezione, non possiamo salvare tutto, e non possiamo farlo ovunque. Ma possiamo scegliere. Possiamo salvare i borghi che hanno ancora una comunità viva, un’identità forte, un progetto credibile. Possiamo investire dove c’è desiderio, non solo bisogno. Possiamo accompagnare chi vuole restare o tornare.

Salvare un borgo non significa congelarlo. Significa renderlo abitabile oggi, non ieri. Significa portare internet, scuole, medici, trasporti. Significa accettare che la tradizione non basta, se non si trasforma. E che la bellezza, da sola, non fa comunità.

Forse non dobbiamo salvare tutti i borghi, ma dobbiamo salvare il diritto di scegliere. Di restare, di tornare, di reinventare.

Per quanto riguarda la fattispecie grecanica, viste anche le difficoltà logistiche che rendono complicatissimo pensare ad attività industriali di un certo spessore economico, credo che l’unica soluzione per sopravvivere sia di avere come obbiettivo quello di diventare meta di un turismo selezionato, esperienziale, con buona capacità economica, con sensibilità ambientale e interesse per esperienze autentiche. Questo è l’identikit del turista nordico, scandinavo, islandese, olandese, belga, danese, in parte anche tedesco.

Ovviamente allo stato attuale, nonostante tante magnifiche realtà, ancora troppo poche e mal collegate le une alla altre, siamo a livello di sogni, di progetti, di idee, perché le infrastrutture non sono certamente all’altezza, son necessari investimenti mirati, formazione e una visione chiara di cosa si vuole offrire e a chi.

Luglio 2025, numeri record per l’aeroporto di Reggio Calabria, gli arrivi aumentano significativamente, purtroppo si tratta in parte di una notizia positiva, perché in realtà proprio il rilancio dello scalo reggino mette in evidenza l’incapacità di trattenere i turisti.

La disamina è nuda e cruda.

Non è sufficiente avere dei voli che atterrano a Reggio per pretendere di avere turismo. Diciamo la verità, a Reggio c’è il Museo Archeologico Nazionale da visitare, puoi fare una bella passeggiata sul lungomare, puoi mangiare i migliori gelati del mondo, per le granite si può fare meglio, puoi andare al ristorante. Turisticamente Reggio Calabria è tutta qua. Altro discorso se consideriamo la città metropolitana in modo esteso. E qui vengono al pettine una marea di nodi, trasporto pubblico e alberghi insufficienti, con difficoltà logistiche nella parte grecanica. In poche ore non riesci a vedere Bova, Gallicianò, e altri meravigliosi borghi, hai bisogno di più giorni o di collegamenti migliori.

Ed ecco spiegato perché i numeri del turismo non corrispondono agli arrivi. Ci vuole offerta integrata, servizi, pacchetti turistici, acqua che non venga razionata proprio quando arrivano gli ospiti, gestione dei rifiuti completamente diversa da quella degli ultimi decenni.

Secondo i dati emersi dal Nordic Workshop 2025, il turismo italiano verso i paesi nordici è in forte crescita, come lo è quello dei  viaggiatori nordici verso l’Italia, soprattutto per le destinazioni meno battute e più autentiche.

Occasione da cogliere al volo, la Calabria grecanica, con i suoi borghi, la sua lingua minoritaria, la sua cucina e i suoi paesaggi incontaminati, ha un potenziale enorme, ma solo se sa come accogliere questo tipo di viaggiatore.

Secondo gli esperti del settore e i programmi di investimento come il Fondo Turismo gestito da Equiter con risorse del Pnrr, l’accoglienza di qualità richiede investimenti strutturali e culturali. Ahinoi in tanti sanno di cosa c’è bisogno, gli studi ce ne danno una conferma. La lista degli interventi da fare è più o meno sempre la stessa. Strutture ricettive adeguate, non necessariamente lussuose; formazione degli operatori turistici; organizzazione di esperienze autentiche ma organizzate; comunicazione digitale efficace.

Esperienze vere, ben curate.

E questo richiede una visione imprenditoriale, non solo affettiva.

I paesi nordici, a casa loro stanno investendo moltissimo nel turismo esperienziale, culturale e gastronomico. L’Italia, sicuramente anche la Calabria grecanica, può rispondere con un’offerta altrettanto mirata.

Puntare su un turismo nordico selezionato non è solo possibile, è anche strategico. Ma richiede investimenti, formazione, visione e coerenza. Non si tratta di “salvare i borghi” con il turismo, ma di trasformarli in luoghi capaci di accogliere il mondo senza snaturarsi. E il turista nordico, con la sua curiosità rispettosa e la sua disponibilità economica, può essere il partner ideale — se lo si sa ricevere.

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