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Un giorno alla fine, di Giuseppe Beniamino Fimognari

Copertina del libro Quel giorno alla fine...

di ENZO ROMEOQuel giorno alla fine… è una saga familiare che attraversa tre generazioni e percorre un pezzo di storia della Calabria, a cavallo del secondo conflitto mondiale. Ce la offre Giuseppe Beniamino Fimognari, ex sindaco di Gerace e senatore democratico-cristiano per due legislature, tra il 1979 e il 1987. Sorpresa piacevolissima è scoprire l’ottima vena narrativa di questo politico-gentiluomo, dai modi sempre garbati e signorili, famoso tra l’altro per aver presentato il disegno di legge che nel 1983 ripristinò la festa dell’Epifania, soppressa sei anni prima dal governo Andreotti.

Fimognari ha tenuta nascosta a lungo la vocazione alla scrittura, o forse essa è scaturita improvvisa, come un fiume carsico che risale in superficie. Spinto verso l’alto dall’urgenza di offrire – a se stesso, innanzi tutto – un bilancio della propria vita. Sì, perché il racconto è chiaramente autobiografico, anche se nel libro la fantasia ha libertà d’espressione e i fatti sono insaporiti dalla patina di nostalgia che solo il tempo sa dare. Per tentare di mettere un po’ di distanza dai fatti narrati, l’autore sceglie di scrivere in terza persona e cambia i nomi dei paesi e dei personaggi, che pesca dal passato magnogreco. Gerace diventa Ghene, riferimento alla stirpe originaria; Locri si trasforma in Alme (un rimando alle anime ovvero al luogo dell’anima?); il protagonista si chiama Timeo, come il filosofo locrese della scuola pitagorica vissuto nel V secolo a.C. Magnogreca è anche l’epigrafe iniziale, dell’agrigentino Empedocle, contemporaneo di Timeo: «Un tempo io fui ragazzo e fanciulla e virgulto e uccello e squamoso pesce del mare».

Insomma, chi ha avuto un’esistenza ricca di esperienze può affermare di essere stato tutto e il suo contrario. Di conseguenza non si deve pretendere nel racconto di seguire una trama precisa, perché la trama è la vita di Timeo-Fimognari. Che si dipana dalla sua nascita, il primo novembre 1932, fino ai giorni della morte del padre, sul finire del 1958. In mezzo gli anni del fascismo, la guerra, le lotte contadine, il periodo universitario a Napoli. Potremmo dire che ci sono tanti libri in uno. Ne indico almeno tre: il primo è quello dell’infanzia, il più evocativo, ricco di descrizioni minute, sospeso tra passato e presente, che nell’impianto espositivo rinvia ai grandi scrittori siciliani, da Verga a Tomasi di Lampedusa (non a caso Il Gattopardo segna la conclusione del volume di Fimognari); il secondo, che potremmo definire neorealistico, si sofferma sulla battaglia sociale condotta dai braccianti per ottenere le terre incolte dei grandi latifondi; il terzo è il racconto degli anni napoletani, dove gioia e dolore, vita e morte si intrecciano inestricabilmente. Pagine, quest’ultime, in cui si possono avvertire suggestioni che rimandano a Ermanno Rea o Curzio Malaparte.

Quest’abbondanza è financo eccessiva e costringe il lettore ad andare a trovare le perle tra il limo. L’edizione – ci auguriamo che alla prima ne seguano altre – andrebbe curata meglio, ripulita e sfoltita qua e là del superfluo. Intanto il lettore può farsi abbagliare dalle parti più luminose. Prendiamo questo stralcio (alle pag. 114-115) in cui è descritta la prima presa di coscienza di Timeo bambino rispetto al mondo, con le sue logiche crudeli e dolorose: «…Timeo capì, capì che tutto passava. Passavano i treni veloci e quelli lenti, passavano le macchine sotto casa e nel mare passavano le navi che andavano sul filo dell’orizzonte, metà nel mare e metà nel cielo senza mai deviare, dritte come calamitate su un filo di ferro, passavano il giorno e la notte, e come era ad Alme era in America, dove c’era gente triste – pensava Timeo – perché tutti i poveri di Alme e Ghene partivano per l’America».

Il brano ci fa da spia per scoprire il filo rosso che tiene insieme tutte le parti del racconto di Fimognari. Vale a dire il contrasto tra la partenza e la restanza. Si deve andar via, chiamati lontano dalle legittime aspettative di miglioramento e di felicità o semplicemente spinti via dalla mancanza di lavoro e di prospettive? O si deve rimanere inchiodati là dove si è venuti al mondo, vogliosi di offrire il proprio contributo per il cambiamento o magari soltanto irretiti dal richiamo della madre terra? Il finale, bello e poetico, svelerà la scelta di Timeo. Rimane però inevasa la domanda se c’è più coraggio nell’emigrare altrove o nel restare per sempre nel luogo natìo. Qual è il limite tra audacia e codardìa, dov’è il confine tra egoismo e responsabilità? La risposta, forse, è nascosta nel recesso più nascosto del nostro cuore. La scopriremo un giorno, alla fine… (er)

 

UN GIORNO ALLA FINE…
di Giuseppe Beniamino Fimognari
Laruffa Editore – ISBN 9788872217719

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