Dimenticami dopodomani di Andrea Di Consoli

di ELISA CHIRIANODimenticami dopodomani (Rubbettino, 2024) è un libro che abbraccia i silenzi, i corpi e le fragilità. Esplora la vita indagando l’esistenza. Come un fiume carsico, incede lentamente tra gli oblii, i silenzi e le dimenticanze. All’improvviso prende forza e vigore, perché pulsa di passione e di coraggio. Irrompe nella storia e va anche oltre gli argini: non può stare nei confini angusti di un genere letterario. Appartiene alla prosa e alla poesia. Non importa sapere dove finisca una e inizi l’altra: sono compenetranti e si alimentano di reciprocità. Ogni racconto è velato di poesia e ogni poesia è venata di racconto. Affascina questa scelta stilistica, che sa di sperimentazione e di sconfinamenti: vuole andare oltre ciò che la tradizione ha consolidato e contemporaneamente desidera attingere a essa.

Qui la parola non indossa orpelli, non si infarcisce di ornamenti esteriori. Incide e lascia il segno, senza condizioni, senza se e senza ma. Narra e conquista, scava e crea, dissolve e sradica. È poesia eretica, eroica ed erotica. È scelta, coraggio, passione. Sperimenta lingua e linguaggio, in cerca di una voce, unica e speciale, per esprimere l’inesprimibile, per dare senso a una direzione sempre ostinata e contraria, per dire che «La poesia serve a ridare dignità nelle sere ferite, perché può sempre arrivare qualcuno che ti indica una cosa pura. Fosse anche sporca, ma così pura e indifesa da crederci ancora, come un bambino».  

«Ho scritto questo libro tra la fine del 2022 e i primi mesi del 2024” annota Andrea Di Consoli (scrittore, critico letterario, editorialista e autore radiotelevisivo) –. Pensavo di aver chiuso con la poesia o, comunque, con i miei racconti in forma di poesia, infatti non scrivevo versi da più di dieci anni. Poi, durante la pandemia, mi ha cercato con insistenza Mario Desiati. Era appena tornato dalla Germania. Aveva riletto La navigazione del Po e mi diceva che dovevo tornare a scrivere».

Il vincitore del Premio Strega 2022 firma l’Introduzione a questo libro, che prende vita dalla fine, da un Mi manchi”, verso conclusivo di una delle ultime storie raccolte nel volume. Poi, come cerchi concentrici, tutto assume un aspetto specifico e una forma propria, quella di un racconto-romanzo di strabordante poesia.

«Andrea Di Consoli – scrive Mario Desiati – ha dato ennesima prova della sua vocazione di “irregolare”, assai distante dalle mode correnti e da furbizie editoriali. Ha composto un canzoniere realistico e struggente, di grande forza espressiva, rappresentativo della sua generazione. Un libro a cuore aperto, diretto, senza orfismi, reticenze e non detti. Duro e dolcissimo allo stesso tempo».

Dimenticami dopodomani è un viaggio nel sé per scoprire l’altro (di sé e da sé), mentre la parola si fa carne e spirito. E intanto il lettore si abbarbica a pagine fluttuanti, in un equilibrio precario, in cui perdersi vorrà dire ritrovarsi, per poi perdersi ancora. È un libro generoso, ma anche scomodo. Si apre al lettore donandosi visceralmente, mettendosi a nudo, senza false ipocrisie o infingimenti. Percorre vite, ai margini della vita. Incontra padri e figli, fughe e ancoraggi, prossimità e alterità, abbandoni, ansie e ipocondria. Mette a fuoco la quotidianità, raccoglie il reale con le mani a conca, non per trattenerlo, ma per osservarlo mentre inesorabilmente scorre via. 

«All’inizio la vita – scrive Di Consoli – è come un fascio di rami ben legati, poi la corda si sfilaccia, e i rami si tengono insieme per inerzia». Con il tempo la compattezza diminuisce e aumenta il disordine. Giunge così il momento di verificare il funzionamento dei nessi e di preoccuparsi della manutenzione dei dettagli. E può anche succedere di provare nostalgia per certi giorni disperati del passato: schegge di inquietudini in un viaggio interiore tra ricordi e volti, tratteggiati con l’arte del chiaroscuro. L’ombra affianca luce, per meglio definirla e riconoscerla, per riannodare qualche filo e riagganciare i fogli scompaginati dell’esistenza, così come fa la morte, fedelissima compagna del viaggio terreno. In fondo noi siamo niente e siamo tutto.

Abbiamo troppa fiducia nella durata di cose, che nel tempo non restano. Gli oggetti perdono la loro funzione, si consumano e, impercettibilmente, vanno a morire da qualche parte. Ciò che sopravvive gonfia di nostalgia chi si illude di avere confidenza con l’eternità e ricorda ben poco rispetto a quello che ha perduto. Siamo esseri frantumati e possiamo solo agganciare frammenti di infinito, come certi raggi di sole, che fendono per qualche istante il cielo grigio d’autunno. La nostra storia è un infinito di finitudine; è un alternarsi di pieni e di vuoti, di silenzio e chiacchiere, di illusioni e menzogne. Sentiamo forte il bisogno di ancorarci, di credere nel per sempre, in ciò che è eterno eppure “il mondo è pieno di ragazzi che ridono e piangono nelle costruzioni fallimentari, nel non finito eterno lasciato in eredità dagli adulti”. La morte non è un accidente. L’accidente è la vita! Può sembrare assurdo immaginare la felicità nella disperazione, eppure il contatto con la morte rende tutto più necessario: gli abbracci più intensi, più urgenti le parole, più viva la fraternità di sapersi nella stessa corrente.

«I sentimenti più nobili – aggiunge DI Consoli – li crea proprio la morte. La chiamano tristezza, disperazione, depressione. Io, invece, la chiamo felicità, anche se nessuno si capacita di questa cosa».

Dimenticami dopodomani è la verità di un padre che non sa dire al proprio figlio il perché della vita, che spesso ci ostiniamo a prendere per il verso sbagliato. È un viaggio a Fuorigrotta, una sosta in un hotel a Cassino, un battesimo fatto da solo nel fiume Giordano e con il silenzio di Dio. È un incontro con l’arte, mentre mangi un supplì, comprato con gli ultimi spiccioli rimasti in tasca. È il ritorno del meridionale del Nord in un paese che ora gli è estraneo e ostile. È il viaggio di un ragazzo a Catanzaro, in un camioncino afoso nel crepuscolo calabrese dell’estate del 1990, mentre tutto intorno è un tripudio di manifesti per il concerto di Tina Turner. È il senso della paura, perché fa male tutto ciò che dura, come il radicamento e il non saper dimenticare. La verità è che non siamo forti abbastanza per “scancellare”, per scavalcare un cancello, andare oltre e salvarci. 

Dimenticami dopodomani è la storia di un eroismo che si riduce alle piccole cose, a un dire semplice, diretto, senza palcoscenico e senza fondale. È il percorso di un italiano di mezza età «che ha un bilancio esistenziale medio, perennemente in perdita, niente che possa essere ricordato nei libri di storia. Neanche i fallimenti sono stati memorabili». Un uomo che ha, come tutti, nostalgie, rimpianti e molti ricordi, di cui non sa che farsene. Ha sempre avuto paura di essere deluso, ma anche di deludere, di stancare.  Non ha mai avuto fiducia nella gente ma anche in se stesso, eppure sente un bisogno estremo di stare nel tempo con gli altri, con chi, quando meno te lo aspetti, sa accendere un fuoco nella notte e dare un senso a questa avventura, perché “proteggere” è l’infinito presente del verbo “amare”. (ec)

Vita precaria di Daniela Rabia

È nelle libreria calabresi Vita da precaria per i tipi di Pellegrini, l’ultima opera di Daniela Rabia, scrittrice catanzarese, ormai nota al pubblico locale e non solo. Vincitrice di diversi premi letterari e organizzatrice di rassegne letterarie, l’autrice spiega il testo così nella quarta di copertina del suo ultimo libro: «Vita da precaria è un contributo doveroso che sentivo di dare alla mia vita e a quella di tanti colleghi del “Programma stage” della Regione Calabria, un gruppo di persone che ha lavorato con contratti precari e rinnovi per ben quindici anni. In questo lasso di tempo sono successe tante cose».

«A me è capitato di cercare un senso esistenziale e trovarlo nella lettura e nella scrittura. Ho pubblicato con quest’ultimo tredici libri tra raccolte poetiche, romanzi, collaborazioni a raccolte di racconti, saggi e guide cineturistiche. Ho capito che uno svantaggio può diventare un punto di forza ma anche che “lo straordinario delle cose non ha il gusto o il bello dell’ordinario delle cose stesse che funzionano così semplicemente senza scomodare desideri, sogni, miracoli annunciati».

«Eppure – ha continuato l’autrice – se le nostre vite richiedono di appellarci alla tenacia, alla lotta, alla resilienza estrema dobbiamo farlo perché in gioco c’è una posta altissima: vivere dignitosamente nella nostra amata terra di Calabria. “Che poi la Costituzione giuridicamente lega la dignità al lavoro ma ad andare più a fondo la dignità si lega a se stessa e chi è dignitoso lo è con o senza lavoro.Certo col lavoro è tutta un’altra storia da scrivere”. Un volume da leggere per divertirsi e riflettere. (rl)

Il processo alle streghe di Luigi Greco Tavassi

di ARIEL SAMUEL LEVIN – Luigi Greco Tavassi, avvocato penalista e autore di numerose pubblicazioni, ha fornito un importante volume, Il processo alle streghe (Malleus maleficarum vs cautio criminalis). Il suo grande merito è stato quello di affrontare un tema difficile, che è stato peraltro spesso oggetto di discussioni superficiali, basandosi solidamente sui documenti.

L’autore utilizza come punto di riferimento, per l’inizio della propria ricerca, un testo celebre che ha avuto un’importanza basilare nell’inquietante vicenda dei processi alle streghe, il Malleus maleficarum (Il martello delle streghe). Esso fu redatto dai domenicani H.I. Kramer e J. Sprenger e con ogni probabilità venne pubblicato per la prima volta nel 1486. Due anni prima, appena dopo essere stato eletto al trono di Pietro, Innocenzo VIII li aveva nominati inquisitori delegati a combattere la stregoneria.

Il clima dell’epoca era quello di sospetto ossessivo, di timore che alcune dottrine o credenze potessero indebolire la fede e indurre la popolazione a venerare alcune divinità pagane. La circolazione del libri venne allora sottoposta a censura: ciò che era contrario ai principi della Chiesa doveva essere distrutto. Fu dunque nell’ambito di questa situazione generale che maturò la stagione più violenta e determinata della cosiddetta caccia alle streghe.

L’autore, dopo avere offerto un’introduzione generale alla vicenda che ebbe come protagonisti H.I. Kramer e J. Sprenger, nella seconda parte del libro focalizza la propria attenzione sul contenuto della sezione procedurale e giuridica del Malleus maleficarum, che consta di ben trentacinque punti. Con la sua competenza di esperto di diritto Luigi Greco Tavassi presenta con chiarezza il tipo di accuse per cui si poteva venire incriminati, la procedura giudiziaria che doveva essere seguita e l’eventuale pena da infliggere al reo riconosciuto.

Il terzo capitolo del libro ci fa ritornare indietro nel tempo, offrendo un esame di alcuni documenti di grande importanza che descrivono quale fosse stata la procedura prevista nei confronti degli eretici da parte dell’inquisizione nell’età medievale. Viene così verificato che potevano essere impiegate le minacce – tra cui quella particolarmente terribile del rogo – l’imprigionamento preventivo e la tortura, in modo da costringere l’imputato a confessare. Le pene che venivano normalmente comminate erano estreme. Come sottolinea opportunamente il Greco Tavassi, a quell’epoca non esisteva ancora la possibilità per un imputato di avvalersi di un’assistenza legale.

Nella quarta parte del libro giungiamo al cuore della tematica: le streghe. Il Malleus maleficarumesaltò la centralità della donna assegnando ad essa un ruolo fondamentale nella particolare inclinazione alla stregoneria” (107). Tutta la vicenda prendeva le mosse da una serie di dicerie e di superstizioni, in una parola era frutto dell’ignoranza. Nel 1699 un vescovo polacco mise in luce il fatto che gli inquisitori riuscissero a estorcere confessioni di colpe in realtà inesistenti, prostrando l’imputato con la tortura. Si vociferava di sabba ovvero di donne che volavano a cavallo di scope, di cerimonie sataniche orrende a cui partecipava un animale che rappresentava il demonio.

È merito dell’autore avere evidenziato che, se da un lato, nella maggioranza dei casi, le donne che venivano sospettate non erano nel fiore degli anni, ma anzi abbastanza vecchie, dall’altro invece, alcuni dipinti  hanno rappresentato delle streghe giovani e abbastanza avvenenti.

Nel capitolo V del libro, torniamo indietro nel tempo, a un esame di un più antico testo, peraltro assai interessante: il manuale dell’inquisitore Bernardo Gui, la cui attività s’incentrò sull’individuazione e sull’incriminazione di alcuni gruppi di eretici. In questo caso l’interesse dello studioso non riguarda solo le modalità della procedura giudiziaria, ma anche la descrizione delle credenze che venivano attribuite ai membri di questi gruppi.

Nel capitolo VI, invece, ritorniamo al sedicesimo secolo e all’inizio del successivo, con un esame di alcune opere straordinariamente interessanti, quei manuali di stregoneria in cui gli autori cercarono di individuare vari elementi del fenomeno, compiendo per così dire una sua sistematizzazione. Questi autori trattarono dalla questione da varie angolature, peraltro complementari, e compilarono dei manuali che avevano lo scopo di dimostrare la falsità della magia, aggiungendo alcune valutazioni sul tipo di testimonianze che era lecito prendere in esame allo scopo di incriminare una strega o un eretico, e così via. La gran parte di questi scrittori furono essi stessi degli inquisitori.

Non mancarono altri che invece, coraggiosamente, nelle proprie opere denunciarono l’atteggiamento repressivo e violento dei metodi inquisitori. Scrittori come Friedrich Von Spee non hanno, solo per noi, il merito di illustrarci il livello di ferocia e di irrazionalità che contraddistingueva le azioni dei persecutori, ma – e lo vediamo bene nella sua famosa Cautio Criminalis riflettevano acutamente sulle eventuali colpe che venivano commesse e sui principi che avrebbero dovuto regolare in modo equo le procedure giudiziarie.

I capitoli successivi del libro in esame, infine, sono ricchissimi e documentano eventi e processi di stregoneria o contro gli eretici che ebbero luogo in realtà diverse: anche in queste pagine l’autore rimane fermo nella propria solida impostazione metodologica, che contraddistingue tutta l’opera e che, come si è detto, è basata su di un esame ravvicinato delle fonti documentarie, ma risulta anche ulteriormente arricchita dall’apparato iconografico che la correda. (asl)

IL PROCESSO ALLE STREGHE
di Luigi Greco Tavassi
Herald Editore

L’autore, avvocato penalista, è nato a Crotone e vive e lavora a Roma. È specializzato in Diritto Penale e Criminologia. Ha pubblicato numerosi saggi storici e giuridici, tra cui nel 2005 La vendita di bambini, la prostituzione e la pronografia minorile (Legge 11 marzo 2002 n. 46, edito da CE.DI.S.

[Il Prof. Ariel Samuel Lewin è Ordinario di Storia Romana presso la Facoltà di Lettere e Filosofia della Università degli Studi della Basilicata, Settore scientifico disciplinare L-ANT 03 (Storia Romana)].

“Diario di Lettura e di Letteratura” di Luigi Tassoni

di ELISA CHIRIANOBisogna esser grati a chi scrivendo ci concede di toccare, in modo intimo e profondo, angoli del pensiero, fotogrammi che catturano l’attimo e che si definiscono nel loro divenire. Un diario contiene la narrazione di sé, attinge alla quotidianità, all’ascolto vigile, alla ricerca personale e si arricchisce grazie all’incontro con l’altro. È vita scritta e scrittura della vita; è un promemoria, un modo per auscultare la voce interiore, fatta di tono, ritmo e intensità, e al contempo è uno strumento potente per raggiungere molteplici verità.

È una chiamata all’esserci attraverso connessioni, incidenze, avvenimenti ed eventi che accadono, superando la superficialità delle apparenze e creando legami spazio-temporali. Un diario mette in circolo storie che appartengono a un universo che non ha confini (e non li vuole), che esiste se la parola lo dice e la parola è corpo, carne, vita. È scheggia di brace e luce di astro; nutre sogni e spalanca nostalgie; avanza e infiamma, facendosi memoria o attesa e, intanto, sfugge a noi stessi, che bramiamo l’inesistente. La parola si fa desiderio e il desiderio entra nel corpo-parola, sazia storie e intesse pagine, brulica di vita e passione, avvolge e attanaglia.

A volte essa si impone come un taglio sul foglio, simile a quello che Fontana lascia sulla tela: un segno netto per sancire la volontà di sconfinare, di guardare dietro e aprire la possibilità di una nuova percezione delle cose. Si nutre di studio, ricerca e anche di silenzio, che collega cose lontane, si oppone alla realtà rumorosa, fatta di ferite e di lotta, conduce al senso ritrovato e a volte scardina o collega storie lontane. Si orienta tra retorica e semiotica, perché, come scriveva Umberto Eco, il signore dei segni, “è solo nel silenzio che funziona l’unico e veramente potente mezzo di informazione, che è il mormorio” (Costruire il nemico altri scritti occasionali p.215). 

Diario di lettura e di letteratura, Rubbettino Editore, è un invito ad andare oltre la pagina, lasciandosi guidare appunto dalla parola, che incede tra segni e suoni, significanti e significati, ritmo, riflessione, narrazione, poesia e dialogo. È un atto di fiducia e di amore verso la scrittura, verso il piacere di sfogliare le prime pagine di un romanzo, di un libro di poesie, di un saggio sul bancone di una affollata libreria. È un viaggio nella memoria, da alimentare e tenere viva e accesa, per non dimenticare, per cucire, frammento dopo frammento, anche i nostri naufragi, così come le felicità effimere. Non può avere la durata di un giorno in quanto è chiamata a lasciare traccia del nostro esserci, affinché la vita, grazie ai libri, possa dilatarsi. C’è un verso che ritorna negli scritti di Milo De Angelis «A memoria, dunque, a memoria ci siamo tutti»: non è nostalgia, non vuol dire guardare indietro per sentirsi perduti, la memoria è un essere ed esserci qui ed ora, con la consapevolezza dell’esistenza e della nudità di luoghi amati, della realtà del dolore, delle incidenze dei percorsi quotidiani.

Diario di lettura e di letteratura è un mosaico d’autore in cui vivono cinquantacinque articoli, scritti tra il 1984 e il 2021. Qui il tempo trova il suo spazio, in una prospettiva diacronica e sincronica, attraverso quattro tappe di un viaggio in cui la mèta è il percorso, tra Leonardo Sciascia, che odia la menzogna dei fatti e il silenzio delle idee, e una lettera a Natalia Ginzburg. Seguendo Luigi Tassoni, sulla scia di Italo Calvino (e dei suoi granchi), impariamo a vedere ogni sezione del libro non come un incipit, ma come già storia e narrazione a sé stante. E se la parte si definisce nel tutto, anche il tutto può essere contenuto nella parte, nel frammento che, come scrive Leonardo Sinisgalli, non vuole essere una fortezza costruita con gli stuzzicadenti, ma è un pensiero che si declina a tratti, un disegno che traccia una porzione. Esso consente in effetti un gioco tra le parti, un modo per tenere ben saldo il legame tra chi scrive e ciò che è scritto. Con il saggista, il critico letterario e il semiologo scopriamo tanta bellezza nella sconfinata proposta letteraria del passato e del presente; intravediamo qualche stilla d’infiniti abissi; ci imbattiamo anche in un’importante e inevitabile stroncatura.

Diario di lettura e di letteratura è un libro vitale e, come evidenzia Daniele Benati, si legge come un racconto. Come un prisma dalle molteplici facce, è poliedrico. È un omaggio a ciò che dà sapore al sapere: alla filosofia, al cinema, alla pittura. L’arte incontra se stessa e le mille parti di sé, in una sorta di dichiarazione d’amore per tutto ciò che accende curiosità, desiderio di sosta, studio, riflessione, disvelamento e divulgazione. Può succedere, quindi, di incrociare, tra le pagine, un classico contemporaneo, come Eugenio Montale (che si muove nel solco della tradizione, ma con una proposta profondamente critica con i suoi eterni dubbi sulla fragilità e la precarietà della nostra condizione), oppure si può naufragare nel mare delle infinite domande che si im-pongono sulla scena, in modo apparentemente spontaneo. Qui scopriamo il lettore attento e curioso, il semiologo dei linguaggi creativi e della comunicazione, lo scrittore acuto, ma anche lo studente che, grazie all’incoraggiamento della sua maestra, Eleonora Ansani, inizia ad annotare su un quaderno con la copertina nera alcuni pensieri che le letture accendono la mente.

Nel corso degli anni i quaderni sono diventati centinaia, perché “una cosa è pensare, un’altra è ragionare scrivendo”. Anche i maestri si sono moltiplicati, così come gli incontri e le amicizie. Il lettore potrà ammirare in chiave diversa e originale le meraviglie e i segreti di Mattia Preti o le tele di Andrea Cefaly; superare con Saverio Strati i confini del mondo; entrare nell’universo dei più piccoli in modo giocoso e con proposte attraenti di narrativa impegnata e affascinante, che non rifugge dall’uso in tasca di un amuleto, perché la paura va attraversata e mai messa da parte o derisa.

Il lettore potrà anche nascondersi negli spazi aperti di Trieste, andare dietro le quinte di un film di Fellini e scoprire che il suo cinema vive in stretta familiarità con il percorso creativo della versificazione. La poesia resta quel ticchettio necessario, diventa un’esplorazione sul vissuto, sulla storia, sul pensiero, sulla psiche, sulla parola, e sull’invenzione. Nell’epoca dei flussi veloci della cibernetica, dell’intelligenza artificiale è una sorta di oasi, uno spazio in cui poter sperimentare a oltranza il senso del tempo presente, al di là della superficie delle cose. Essa sarà sempre necessaria rispetto al povero mutismo del mondo. E così l’attento lettore potrà conversare con Milo De Angelis; seguire Andrea Zanzotto nelle sue sperimentazioni linguistiche, illuminate da neologismi, balbettamenti, disegnini, di spazio reinventato da lingue diverse; entrare con pazienza e passione nei dialetti italiani; auscultare la poesia nel modo meno convenzionale che conosciamo; cogliere il debito di riconoscenza nei confronti dei versi di Achille Curcio, che ha forgiato un proprio dialetto, muovendosi in un’area linguisticamente ricca nella parte jonica della Calabria e che grazie allo spazio del suo speciale fonoritmo, ha creato il luogo del dicibile, il tempo in cui tutte le cose possono essere dette. Diario di lettura e di letteratura non è quindi solo un diario e non racconta solo di lettura e letteratura.

È una dichiarazione d’amore verso la parola, un invito rivolto al lettore ad avere coraggio, farsi avanti e non aspettare, fidandosi di critici attenti e scrupolosi che sappiano osare e scardinare luoghi comuni e situazioni di comodo; è la fiducia riposta nel piacere della lettura di qualità; è il desiderio di lasciarsi sedurre dalla Bellezza come pensiero, linguaggio, percorso e anche impegno. Leggo, dunque sono! (ec)

 

Un saggio di Michele Drosi su “Civiltà Socialista”

di BRUNO GEMELLIIl quarto numero della rivista Civiltà socialista (febbraio 2024, 200 pagine) – rivista politica diretta da Fabrizio Cicchitto – ha ospitato un contributo dello storico calabrese Michele Drosi che è andato a ripescare il pensiero di Thomas Piketty, economista francese, professore di economia presso la École des hautes études en sciences sociales, presidente associato presso la Ecole d’économie de Paris – Paris School of Economics. Un pensiero originale che non è sfuggito a Drosi, impegnato in tutto il ventaglio del riformismo-gradualismo di origine socialista. Infatti Drosi, dirigente regionale del Partito democratico, rappresenta la continuità tra le origini socialiste di Turati e Nenni e le evoluzioni craxiane dell’ultimo, tragico,  periodo.

Piketty s’è guadagnato la sua fetta di notorietà diventando famoso per i suoi studi sulle disuguaglianze economiche e dello sviluppo delle nazioni; infatti ha fondato e coordinato il World Inequality Database. È autore di 18 opere, la più notevole delle quali è “Il capitale nel 21º secolo” (2013), venduta in più di 2,5 milioni di copie in tutto il mondo e adattata in un documentario, così come il suo seguito “Capitale e ideologia” (2019).

Per tornare al commento di Drosi sulla rivista di Cicchitto, nell’incipit del suo pezzo esordisce: «Thomas Piketty nel suo nuovo libro “Capitale e Ideologie” (La nave di Teseo, 2020) sostiene che bisogna andare oltre il dogma della proprietà privata e del libero scambio e bisogna dare più potere ai lavoratori nelle imprese. Solo così ci sarà una società più ricca e più eguale. Per fare tutto ciò è necessario superare il capitalismo, guardando al ventesimo secolo e chiedendosi quali sono le idee che hanno funzionato meglio, quelle che hanno fatto crescere la ricchezza e hanno ridotto le disuguaglianze, che secondo Piketty sono tre: la giustizia educativa, più diritti ai lavoratori e la progressività fiscale per redistribuire ricchezza e benessere». Da qui, continua Drosi, «la giustizia educativa è il fattore principale con cui si può ridurre l’ingiustizia sociale e aumentare la produttività economica, nel senso che chi oggi frequenta le università, dovrebbe pretendere una formazione migliore, adeguata ai suoi bisogni, mentre spesso questo non accade. Per quel che riguarda l’esigenza di garantire più diritti ai lavoratori e una maggiore progressività fiscale, è necessario andare oltre alle relazioni di pura proprietà privata. Nel secondo dopoguerra c’erano Paesi come la Svezia e la Germania, nei quali i lavoratori e le loro rappresentanze avevano più del 50% dei voti nei consigli di amministrazione di alcune grandi imprese, indipendentemente dalle quote che possedevano. E in più, detenevano pure il 10% o il 20% delle azioni dell’impresa. Questo, rileva Piketty, è un altro modo di intendere la proprietà, che è già esistito, e che ha mostrato ottimi risultati nella pianificazione delle strategie a lungo termine delle imprese. Insomma, per avere più prosperità economica c’è bisogno di una economia più inclusiva. Questa, per Piketty, è la via giusta per superare il capitalismo. E nel suo libro propone “un nuovo socialismo partecipativo”, che si basa sulla decentralizzazione e sulla distribuzione della proprietà e del potere decisionale. E, quindi, una società scalabile attraverso la formazione, nella quale tutti partecipano alle decisioni e nella quale le rendite di posizione come le ereditate finanziano beni pubblici attraverso alla progressiva redistribuzione fiscale. È questo, in buona sostanza, un socialismo che si fonda su una proprietà di grandezza relativa, conclude Piketty, un nuovo socialismo, che magari a molti non piace come definizione, ma che è l’unica via disponibile per poter parlare di superamento del capitalismo».

Per molti il socialismo italiano è finito con Nenni, De Martino e Lombardi. Poi è arrivato Craxi. Tutta un’altra storia, ma, per Michele Drosi, il filo rosso continua. Anche perché, quando nacque la rivista (novembre 2022), in una masseria del leccese, il direttore ne spiegò il titolo: «È provocatorio, perché evoca in primo luogo l’aggettivo socialista in una situazione in cui il Partito socialista è stato eliminato con un’operazione eversiva nel ’92/’94». Le difficoltà attuali e storiche del Pd (che è nato nel 2007) risiedono, forse, nel fatto che è nato con due gambe, quella comunista e quella democristiana; le sono mancate quella socialista e quella laico-liberale.

Nel suo saggio Drosi dimostra di avere quattro gambe. (bg)

Cicciarelle – Come un romanzo
di Giuseppe Trebisacce

di  PIETRO RENDE – Il piacere di leggere un romanzo sul costume calabrese: la più recente opera letteraria di Giuseppe Trebisacce (la “chessanese Cicciarelle”, nome di derivazione già appula più che brutia?)) è un capolavoro, “piccolo” solo per i personaggi che non appartengono alla grande Storia. Però, oltre alle vicissitudini di un’eroina che appartiene al genere femminile del nostro popolo meridionale, riassume una letteratura sociologica cui spesso mirabilmente  si ispira. Penso all’Inchiesta parlamentare del 1876, di Franchetti e Sonnino (due parlamentari toscani),sulla condizione dei contadini meridionali che rimane l’archetipo della loro fatale dipendenza sino all’avvento della Repubblica e ai deludenti risultati della riforma agraria. E penso a Corrado Alvaro quando tu descrivi l’andamento elegante delle contadine che portano il cesto sulla testa come fanno ancor oggi le indossatrici per abituarsi ai defilè. E poi ciò che trovo più simile alla inconscia rassegnazione della protagonista è la tristezza che domina “La storia” di Elsa Morante!

Nel suo paese non cambia mai nulla e tutto si ripete eccetto le spinte che provengono dall’alto come dalla guerra che accentua un’economia già povera senza scambio di moneta e costretta al baratto inter-familiare. E poi c’è l’autoconsumo alimentare delle colture e allevamenti di pregio, come il maiale, lo stesso pane per cui si registra l’unica rivolta della comunità.

La principale discontinuità è quella degli emigranti che vanno e vengono dall’Argentina – l’America povera – con le loro volatili rimesse e ambizioni di miglioramento socio-economico e i matrimoni con quelle “vedove bianche” e la “legge nova” ossìa il loro matrimonio in chiesa prima della partenza e dunque “non consummatus” e ( ieri ) senza facoltà di divorzio.    Un’omissione di più pesante giudizio ritenuto leggero rispetto al più grave abuso esercitato dai notabili sulle donne rimaste sole e in attesa del marito. Aggiungerei poi la citazione dei rituali come quello delle magare e dell’affascino per i dolori cervicali e delle processioni incappucciate.

Il testo preferisce dare più spazio alla formazione scolastica, spesso nelle stalle, come rilevò pure Zanotti Bianco, e limitata alla terza classe non senza le punizioni esemplari dei genitori e le bacchettate della maestra sulle mani degli scolari svogliati! Sono aspetti che ricordiamo tutti quelli della nostra generazione con un sentimento di gratitudine e senza rabbia né faziosità perché anche  il regime fascista, nei piccoli centri, è ricordato in continuità e adesione popolare, senza violenze tra parenti e compagni d’infanzia. La narrazione non è faziosa, e potrebbe esserlo contro i Borbone per quel breve tratto di ferrovia jonica solo inaugurato, ma lo è forse nell’ottimismo che vena l’avvento della Repubblica e il primo diritto di voto alle donne.

Comunque un’ opera di letteratura socio-politica che  raggiunge lo zenith proprio nella elegante e distensiva continuità narrativa che piace molto per il suo equilibrio distaccato  attento a evitare faziosità e altre prevalenze. Nessun paragone con le vicende più emotive del Commissario Montalbano di Camilleri che pure ricorre al dialetto per stemperare la tensione del “giallo”.   Personalmente, sono grato all’autore perché mi ha restituito il piacere di tornare a leggere un vero romanzo  italiano e meridionale.

CICCIARÈLLE, Come un Romanzo
di Giuseppe Trebisacce
Jonia Editrice

 

Stati Uniti d’Europa di Gianluca Passarelli

di PIETRO RENDE – Una puntuale ricostruzione della prospettiva europeista ispira e conduce il saggio “Gli Stati uniti d’Europa” di Gianluca Passarelli, cattedratico calabrese di Scienze politiche alla Sapienza. Il suo saggio esce  mentre le strade di Bruxelles brulicano di trattori e coltivatori inferociti contro l’UE e per questo hanno “spappolato” ogni forma di rappresentanza tradizionale, unitaria, senza ottenere granchè ma solo una boccata d’ossigeno ad un ambito di imprese troppo ristretto per potersi ampliare come impone la modernizzazione in tutti i campi. Ma su queste contestazioni  si può essere  ottimisti, p.e., anche  sul futuro politico-militare degli Stati Uniti d’Europa, un “vaso di coccio” tra Cina e Usa? Passarelli è problematico ma esprime speranza e fiducia rilanciando il Manifesto del deputato  indipendente eletto nel Pci, Altiero Spinelli,  il primus europeista che il saggio cita  di più insieme ai grandi fondatori premier, quali:De Gasperi, Adenauer, Monnet…

Ho avuto l’onore e il privilegio di partecipare, proprio con Altiero Spinelli e altri autorevoli esponenti parlamentari, al dibattito sull’adesione dell’Italia al Sistema monetario europeo (SME), che si tenne nell’Aula di Montecitorio il 12 dicembre 1978. Ho avuto così modo di ammirare la sua libertà “parlamentare” quando  dichiarò che se “lo SME rappresenta una cosa assai modesta, tuttavia, pur essendo di poco conto significa moltissimo”, perché sgradito ai protettori più autorevoli della nostra patologica svalutazione monetaria.

Gli applausi del solo Centro – come riferisce il resoconto   stenografico – sottolinearono la sua autonomia e onestà politica. Infatti, ben diverso era stato l’intervento del suo collega Spaventa che aveva polemizzato a distanza  con un altro economista,  il prof. Andreatta, perché non era scaturito nulla di quanto aveva pronosticato. Non si trattava della solita  “gelosia” accademica perché nel Gruppo parlamentare del Pci, dopo una drammatica riunione – sembra – con l’intervento di Lama, segretario della Cgil, prevalse la contrarietà che condusse alle ennesime elezioni anticipate del 1979.

Ma l’Europa fece un significativo passo avanti con l’approvazione anche italiana dello Sme grazie a quelli che la pensavano come Spinelli. Passarelli, ora, pone come condizione della sopravvivenza filoeuropeista  l’attuazione  del suo  progetto federativo e non solo inter-statale di Ventotene  risalente al 1941. E lo fa con una passione non disgiunta dall’accettazione realistica e gradualistica di un “work in progress” ricordando che il termine “United states of Europe” venne coniato da Churchill già nel 1930. Richiama criticamente il neoliberismo (forse meglio, il monetarismo)che ispirò i governi di Reagan e della Thatcher e segnò il fallimento del piano Delors per l’Europa simile a quello  di cui oggi è tornato a parlare Draghi  che parimenti richiederebbe “la nascita di uno Stato sovranazionale e confederale…una fusione di stati prima divisi”. Ricorda l’eterna resistenza francese solo oggi rimossa da Macron per un esercito europeo, sollecitato anche dagli ambienti americani, di cui la Francia avrebbe naturalmente la direzione perché unica  detentrice della bomba atomica  in Europa.

Tornando al rapporto coI Pci l’autore ricorda che Spinelli rimase sempre tormentato tanto da fargli ritenere di “essere l’unico ad andarsene dal Pci per la strada e ritrovare che esso ….(mi) corre dietro”!Dopo avere tracciato un minuzioso e prezioso, per gli studenti, Manuale dei vari Trattati evolutivi dell’Unione ormai non più solo Comunità, Passarelli non lesina le proposte da attuare per rilanciare il valore dell’Unione nel cuore degli elettori, che sembrano distanti perché i suoi organi risultano distanti.

Da ciò l’auspicio di una profonda modifica dei rapporti tra Commissione  Esecutiva e Consiglio europeo dei Capi di Stato, della previsione di una maggioranza qualificata per sbloccare gli empasses , soprattutto della revisione dei  poteri oggi assai limitati del Parlamento europeo che non ha facoltà legislativa né di controllo, della elezione diretta del Presidente della Commissione esecutiva, già gradita a Delors, e della elezione  in un “unico” Collegio europeo della metà dei parlamentari di Strasburgo.

Infine la costituzione di “tre quadrati”, più gradita a francesi e tedeschi, ossia di tre velocità da potere compensare l’avvenuto ampliamento eccessivo ai Paesi ex comunisti del Patto di Visegrad e nel prossimo futuro a quelli, numerosi, che lo richiedono col rischio di un’ulteriore paralisi dominata dal libero-scambio del Mercato senza uno Stato europeo compensatore e più attento al mondo della finanza, dell’energia pulita, delle telecomunicazioni, intelligenza artificiale,ecc… Dove resterebbero i  Paesi “pig”(meglio non tradurre!):Italia,Grecia Portogallo e Spagna? Risuona, triste, una frase di Massimo D’Azeglio che si chiedeva se fosse stato “meglio lasciare al suo posto il Regno di Napoli”!

Infine, “last but not least”, il saggio affronta il tema del rapporto tradizionalmente ostico della Destra con l’unificazione europea e l’esaltazione dei fatali “nazionalismi che sono (meglio,recano) la guerra”, come disse Mitterand . Qui forse la prossimità della campagna elettorale di giugno per il nuovo Parlamento europeo, senza   inficiare il valore storiografico del saggio cui sono ovviamente aggiunte le proposte super partes de quo, forse  trascura il revisionismo in corso anche nella Destra italiana che, a prescindere dal solo Salvini,  potremo constatare o meno nella prossima elezione  del Parlamento europeo e  quando si prevede una  congiunzione di alleanze tra Fratelli d’Italia e  socialisti per la rielezione a  presidente della Commisssione esecutiva di Ursula Von der Leyen contro i nazionalisti di Le Pen, Orban e soci.

In politica bisogna innanzitutto sapere attendere il momento giusto perché il tempo (Kairos) viene prima dello spazio, la storia prima della geografia. Se prima abbiamo dovuto attendere la conversione del Pci all’Europa e alla Nato, adesso possiamo attendere anche la conversione della Meloni all’ europeismo. La premier forse ha già ragione quando ricorda ai nemici giurati del Centro e del parlamentarismo che il presidenzialismo è più efficace del bi-polarismo. (pre)

STATI UNITI D’EUROPA
di Gianluca Passarelli
Edizioni Egea, ISBN 9788823839731

 

Calabria Nascosta di Fulvia Gioffrè

di PINO CINQUEGRANAL’oggetto folklorico, l’attenzione storiografica, ritualità e magia, la festa è la tradizione religiosa di richiamo ai sapori, ad una cucina millenaria che trova le sue radici in culture diverse: arabe, greche, romane, ebraiche che nell’insieme danno una dimensione dei paesi di Calabria completamenti diversi persino nelle parlate in espressioni per identificare oggetti e costumanze, lettura  etnografica proposta al lettore per mezzo di fotografie narrative di tempi e di spazi, immagini indispensabili per comprendere caratteri, agire sociale, carnevali e corejisime quali tempi morti e tempi di attesa  con linguaggi e formule ritualistiche necessari al controllo del tempo, a scandire le stagioni e le circostanze ad esse legate. Tutto questo nell’incantevole volume di Fulvia Gioffré l’illustre Biologa che alla ricerca medica ha voluto comprendere la spiritualità quanto l’animo umano del calabrese.

Fulvia Gioffrè

La ricercatrice nella sua opera Calabria Nascosta, edizioni Libritalia in oltre duecento pagine impreziosite da fotografie a colori cattura l’attenzione del lettore tra realtà e misteri «un tuffo – scrive la Gioffré – nella memoria dove la magia dei ricordi diventano incantesimo e ci permettono di sentire le emozioni vive e presentiattraverso voci, suoni, momenti».

Ed ecco che in questo tempio sconosciuto l’autrice ci propone narrazioni di flagellanti (quelli di Verbicaro e di Nocera terinese), di antichi arti e mestieri che hanno segnato ogni contrada di Calabria: dalla lavorazione della seta a quella del corallo e dell’oro. La superstizione, il malocchio fino all’ultima magara la cui immagine rende la copertina cartonata la narrazione vera di Cecilia Faragò la cui storia qui narrata farà tanto scalpore da persuadere il re Ferdinando IV ad abolire, nel suo regno, il reato di maleficium. Paragrafo dopo paragrafo che vanno a comporre gli otto capitoli del testo tutto prende corpo, sembra persino muoversi per proiezione mentale secondo i linguaggi multipli della Calabria mai conosciuta fino in fondo, mai svelata totalmente dove ancora oggi si ricerca il cedro perfetto per la festa del Sukkot,  mentre dall’altro lato il miele millefiori, di sulla, di castagno, d’arancio, di erica custodisce antichi segreti, antiche opportunità persino nella farmacopea.

«Immagini e testo ci portano fino al bergamotto che nel 2015 – scrive la Gioffré – la Maison Dior è riuscita a creare una fragranza inedita che ha dato vita al Dior sauvage eau de parfum. Il mondo apotropaico, chiese tra antiche rocce, dolci e liquori secondo antiche ricette vanno a chiudere un’opera unica, una preziosità che dischiude i segreti e le storie di un mondo carico di storie e leggende chiamato Calabria». (pc)

Batticuore. Come vivere bene e più a lungo di Ciro Indolfi

di FILIPPO VELTRI – Nessuno meglio di Ciro Indolfi, cardiologo interventista, Professore Ordinario di Cardiologia e Presidente della Federazione Italiana di Cardiologia, un luminare, docente di migliaia di cardiologi, studenti di Medicina o delle Professioni Sanitarie, puo’ dirci che fare per migliorare la nostra salute.

Il suo obiettivo degli ultimi anni è stato infatti la diffusione delle conoscenze per la prevenzione delle malattie cardiovascolari, piuttosto che la migliore cura delle stesse e Batticuore è un libro (Rubbettino), che attraverso storie ed esperienze reali vuole trasmettere conoscenza per vivere più a lungo, e anche meglio.

Ciro Indolfi
Ciro Indolfi

Un libro che andrebbe diffuso nelle scuole, sui luoghi di lavoro, dovunque, perché se l’obiettivo ambizioso della medicina futura dovrà essere una vita quanto più libera possibile dalla malattia Indolfi scrive che “dopo aver curato tantissimi pazienti, e in migliaia di questi aver impiantato uno stent, ho realizzato che la terapia delle malattie, anche quando efficace, deve, paradossalmente, ritenersi una sconfitta’’ c’è assolutamente da crederci. La prevenzione delle patologie rappresenta perciò il vero grande successo della medicina. I cardiologi sono molto orgogliosi di aver ridotto la mortalità ospedaliera dell’infarto miocardico dal 30% a circa il 4%. Ma ancora oggi il 50% dei pazienti con infarto muore prima o nel tentativo di raggiungere l’ospedale. Ciò che è ancora più preoccupante è il fatto che chi sopravvive ad un infarto ha il 20% di probabilità di avere un secondo infarto, un ictus o di morire entro un anno dall’evento.

Per questo le malattie ischemiche del cuore rappresentano la causa di morte numero uno, specialmente nelle donne. Inoltre, le terapie attualmente disponibili sono molto efficaci per tenere in vita i pazienti anche gravi, spostando però il problema alla gestione della cronicità spesso particolarmente invalidante.

Molte morti cardiache possono e devono essere evitate, ma, per ottenere questo risultato, la popolazione deve avere la cognizione del proprio stato di salute, dei fattori di rischio, dello stile di vita appropriato, conoscenze di cui sono depositari sostanzialmente i medici. La prevenzione efficace necessita di un cambio di paradigma. Il cittadino sano e ancora più il paziente devono essere essi stessi consapevoli e responsabili del proprio stato di salute. Un metodo nuovo con storie e aneddoti aiuterà a raggiungere gli obiettivi primari per allungare la nostra sopravvivenza. Chi pagherebbe metà del proprio stipendio per assicurarsi la pensione sapendo che non se la godrà perché la sua sopravvivenza stimata arriverà a 70 anni? Anche il più accanito fumatore, sedentario, ipercolesterolemico, obeso, iperteso o diabetico cambierebbe il suo stile di vita se debitamente informato.

Lo scopo del libro di Indolfi è, dunque, quello di diffondere informazioni e conoscenze per mantenere sano il proprio cuore, vivere meglio e più a lungo e vi troverete decine e decine di consigli, perché è l’istruzione, e non il reddito, il miglior predittore per la salute e la longevità. La cultura allunga la vita. Ovviamente Indolfi affonda anche il bisturi sul sistema sanitario nazionale italiano, fondato nel 1978 e basato su universalità, uguaglianza ed equità, che ha subito il più grande stress della sua storia con la pandemia da SARS CoV-2. “Purtroppo – scrive –  negli ultimi dieci anni l’Italia aveva già sperimentato inopinatamente tagli lineari alla spesa sanitaria, con una riduzione delle risorse, del numero di posti letto e una scarsa attenzione per la prevenzione delle malattie che avevano portato alle conseguenze che tutti vediamo. La burocrazia, la politica, i contenziosi legali e la mancanza di una chiara governance clinica negli ospedali hanno avuto e purtroppo ancora hanno una grande influenza negativa sui processi organizzativi della sanità’’.

Comunque la conoscenza ci renderà più sani e più longevi. È questo lo spirito di questo libro che attraverso un metodo didattico nuovo che si basa sulla narrazione per sensibilizzare e educare le persone. Il racconto di singole esperienze le rende meno eccezionali, più vere e più naturali dando la misura della malattia nella fisiologia dell’esistere, aiutandoci a superare quello stato d’animo di rifiuto che considera la malattia un evento eccezionale che mai ci coinvolgerà. (fv)

Lo sguardo dell’uomo – Marcello Vitale” di Plinio Perilli

Di grande interesse la monografia di Plinio Perilli dedicata al magistrato-poeta-scrittore Marcello Vitale. Un protagonista della cultura italiana, autore di suggestive raccolte poetiche e tre fortunati romanzi.

Il libro di Perilli – Lo sguardo dell’uomo – Marcello Vitale, magistrato illustre e insieme poeta civile (Rubbettino, 2023) – offre un profilo accurato dell’ex magistrato lametino, sempre più apprezzato nelle vesti di narratore. Il suo ultimo libro La bolgia dei dannati (Cairo) ha registrato infatti un ampio successo di critica e di pubblico.

Marcello Vitale, nato a Nicastro (oggi Lamezia Terme) nel 1939 nella magistratura è stato sostituto Procuratore della Repubblica, membro titolare della Corte d’Assise di Catanzaro, Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Lamezia Terme, Presidente Aggiunto Onorario della Corte di Cassazione. Come autore, oltre al recente La bolgia dei dannati, ha pubblicato altri due romanzi, Nessuno mi può giudicare – Non solo ’68. (Storia d’amore a Torino tra una studentessa contestatrice e un magistrato del Su  e La donna della panchina, nonché nove raccolte di poesie.

A Roma venerdì si presenta il libro del magistrato Marcello Vitale Marcello Vitale

Plinio Perilli, nato a Roma nel 1955, è critico letterario e saggista. Così scrive del poeta Vitale: «Poeta etico, esemplare, neo-umanista sensuoso innamorato della vita e suo raccontatore per affranto, infranto specchio d’elegia, Marcello Vitale (già alto magistrato con forti, decisive esperienze epocali nei tempi e luoghi più caldi dell’impegno civile e delle emergenze sociopolitiche), è scrittore vero, capace di varcare ogni campo e vicissitudine del suo operato, ogni lido l’esperienza, serbando una luce tutta propria d’esperienza, dunque fiammella d’Umano, oro puro e incorrotto di moralità… Incorrotto, perché la corruttela dell’esperienza e della storia si fa in lui – in tutti gli spiriti liberi – ampia consapevolezza e barlume esatto di profonda saggezza: anch’essa devota all’Umano. Il tempo mi toccava il corpo / e si modellava su di me, lui che era / senza forma. Così poteva invecchiare / con rughe, e morire. // Mi passò accanto il segno doppio / del bene e del male. / Cercava un bimbo in cui crescere / dopo che il suo padrone era morto. Sempre Marcello Vitale (aveva ragione Alberto Frattini) ha puntato “su un’idea di poesia come testimonianza, dall’interno del vissuto, sui più inquietanti problemi dell’uomo contemporaneo: all’eclissi dei valori al degrado etico, dall’appiattimento della vita tra routine produttiva e attrazione del comfort e del successo, ai rischi dell’ipertecnologismo e del miraggio cibernetico”… Vitale ferma il tempo e forse lo riavvolge, lo riavvia progressivamente all’indietro per riassaporarlo e distillarlo, includerlo in un’idea forte di futuro che parte, origina da lontano, e non ha senso limitare alle ere, ai periodi, perché è già DNA, eredità profonda». (dl)

 

 

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