di PINO NANO – Valerio Giacoia per il Venerdì di Repubblica, Antonella Alba di Rainews24 per la Tv nazionale, Valerio Scarponi di Rai1 per gli Under 30, e Tatjana Dordevic di BBC News Serbia per la stampa estera.
Solo loro i vincitori assoluti della ottava edizione del Premio giornalistico internazionale “Cristiana Matano”, il Premio dedicato alla giornalista prematuramente scomparsa l’8 luglio del 2015 e che quest’anno aveva come tema di base Lampedusa, il Mediterraneo e le terre di confine del mondo: racconti di vita, bellezza, diritti e appartenenza.
Valerio Giacoia ha vinto con un reportage dal titolo “I bambini del Benin vivono di pietre”, reportage pubblicato sul Venerdì di Repubblica e in cui questo grande inviato della carta stampata racconta in maniera magistrale ed efficacissima il mondo dell’infanzia in paesi dove i bambini ancora muoiono di fame e di stenti, una perla del giornalismo moderno.
«Sono salito sul palco con un nodo alla gola però. Perché io so, e l’ho respirato in questi giorni, quello che rappresenta Lampedusa per tanti bambini, donne e uomini in fuga da una vita impossibile. Non è necessario stare in mezzo a una guerra. Si fugge da tante altre piccole e grandi guerre quotidiane che ti macerano, ti uccidono più dei proiettili e dei fuochi. Come hanno fatto tanti dei bambini spaccapietre del nord del Benin, la cui vita infernale, surreale, ho raccontato a gennaio scorso nel reportage che ha vinto. Fuggono, una volta diventati più grandicelli, attraversando le terre d’Africa e poi il Mediterraneo. Qualcuno certamente (quelli che ce l’hanno fatta) è passato dalla “porta” dell’Europa, Lampedusa appunto, quella che una volta varcata ti fa respirare un po’. Spesso, spessissimo soltanto un po’, perché chissà che cosa ti aspetta poi».
Figlio d’arte – suo padre era Emanuele Giacoia, indimenticabile e straordinario volto storico del giornalismo sportivo in Rai, ma anche fratello di Riccardo Giacoia, uomo immagine e Vicecaporedattore della sede Rai della Calabria. Valerio Giacoia è il classico un cronista di strada, navigato e avvezzo ai mille climi del pianeta, che consuma le scarpe in giro per il mondo, una magnifica penna, e dentro il suo zaino una grande capacità di racconto letterario.
«Ringrazio davvero per il premio, che mi ha consegnato il presidente dell’Ordine nazionale dei Giornalisti, Carlo Bartoli. Così prestigioso che quasi mi imbarazza averlo vinto, credetemi. Ma il vero premio per me è che qualcuno in Italia abbia letto le storie dei diseredati che racconto da qualche anno. Il premio è che qualcuno abbia pensato a loro, anche soltanto il tempo di leggere un pezzo».
Una vita, la sua, vissuta per strada, a caccia continua di storie da raccontare.
«Sì, è vero. Non mi è mai piaciuto stare seduto in redazione, ed è per questo, ma anche per tante altre cause che qui sarebbe lungo spiegare, che ho sempre preferito camminare per strada. Ho lavorato per lunghi anni tra Roma e Milano, tra le tante testate all’Ansa e in Mondadori, ma sempre sentendomi, come dire, costretto, ingabbiato. Non riesco a esprimermi al meglio seduto alla scrivania. Devo spaziare, vedere, toccare le cose, le persone, sentire il profumo del mondo, con tutta la sua bellezza e tutto il suo dolore. Quando ho potuto, sono scappato perciò. In giro per il mondo, per raccontare delle vicende di popolazioni dimenticate e oppresse. Quindi Medio Oriente, in Siria per esempio, in occasione dello scoppio della Primavera Araba, e anche di recente ad Aleppo, da dove ho raccontato per Il Venerdì la storia di quell’anziano signore collezionista di auto d’epoca, la cui fotografia di qualche anno fa che lo ritrae seduto su bordo del letto tra le macerie della sua casa mentre ascolta musica classica da suo grammofono fece il giro del pianeta ed è una delle immagini simbolo della guerra. Oggi lui è ancora lì, e la sua casa è rimasta così, devastata dalle bombe, insieme alla sua incredibile collezione di automobili d’epoca…».
Il suo primo reportage importante Valerio lo scrive dall’ America Latina, più esattamente da Buenos Aires.
«Sì, fu un viaggio emozionante. Fui il primo giornalista europeo a entrare nella casa della sorella di quello che oggi è Papa Francesco, Maria Elena. Fu divertente, perché per convincerla a farmi entrare dopo aver bussato al campanello mi inginocchiai. Lei colpita da questo gesto e dalle mie parole, “vengo dall’Italia e stavo giocando a tennis quando mi hanno ordinato di andare in Argentina, la prego mi dica che ne è valsa la pena di interrompere la partita e mi faccia entrare”. Mi fece accomodare. Bevendo il caffè, mi raccontò un bel pezzo di storia di suo fratello e della sua vita da bambino, e poi da ragazzino, dei suoi presunti amori e della sua passione per il calcio. Calpestai, e con grande emozione, anche la terra della favelas dove l’allora arcivescovo di Buenos Aires, Francesco Bergoglio, si recava in pullman e faceva tremare le gambe ai narcotrafficanti». (pn)