Paolo Portoghesi e la “sua Catanzaro”

di FRANCO CIMINO – È morto oggi, Paolo Portoghesi. Il geniale architetto di levatura internazionale, cui la Città in passato aveva affidato le grandi ambizioni di rinascere grande su altrettanto grandi progettualità, si è spento a Roma, dopo una vita intensa impiegata tra pensieri alti, progetti straordinari, cantieri enormi, studi eleganti e aerei che lo trasferivano rapidamente in quella parte, non piccola, del pianeta, che il suo genio creativo chiamava ad applicarsi in quelle, le più diverse, realtà.

È, questa, una perdita enorme per l’Italia, per la sua cultura e per quell’immenso laboratorio di creatività che, soprattutto dal dopoguerra, ha rappresentato, con il manifatturiero, il fiore all’occhiello del Paese, la risorsa che l’ha fatto diventare più importante e apprezzato ovunque. Catanzaro, pur tra errori, che non sono i suoi, e qualche scelta non completamente condivisa, gli deve tanto. Gli deve molte sue idee, anche quelle purtroppo rimaste nel cassetto. Gli deve la sua abnegazione e la sua infaticabilità, tanto resistente alla fatica e tanto disponibile egli era. Disponibile all’ascolto, in particolare.

Di tutti, disponendosi umilmente al confronto con i rappresentanti della politica e con i semplici cittadini, con gli operatori economici e con gli studenti, quando essi “gli venivano” accompagnati nelle sedi delle discussioni alte riguardanti il futuro del capoluogo. Gli deve la sua idea moderna del capoluogo, idea non compresa da una classe politica per larga parte incolta e inadeguata. E la sua visione strategica che assecondasse la naturale capacità di apertura della Città al territorio circostante, e la sua, anch’essa naturale, propensione al raccordo territoriale, culturale e politico, prima ancora che economico e urbanistico, con Lamezia Terme. Gli deve la sua profonda conoscenza della nostra realtà urbana, non soltanto urbanistica.

Con i suoi mezzi professionali, le sue altezze scientifiche, la sua intelligenza straordinaria, il suo esercito di collaboratori, gli sarebbe bastato pochissimo per disegnare su quegli enormi lenzuoli di carta i volti via via diversi del nostro spazio fisico vitale. Ma Portoghesi, non si accontentava di quelle certezze acquisite facilmente o della sua enorme competenza. Sentiva il bisogno di conoscere di più, entrare nella profondità delle cose, della realtà studiata. Del luogo affidatogli. Egli pensava, più convintamente di altri suoi colleghi, che il territorio non fosse solo un fatto orografico, ma Terra, che ha storia pulsante, anima antica, vita che si rinnova, come fa con ciò che vie é piantato. Pensava che urbanistica, non fosse edilizia, aree edificabili, progetti fisici da realizzare.

Pensava, invece, che fosse il disegno umano dell’anima delle cose, per la vita delle cose e delle persone, che per stare bene insieme, avevano bisogno di un habitat che sapesse rispettare il più felice dei rapporti, quello tra natura e cultura, territorio e persone, cose materiali e storia delle comunità. Rapporto felice, che sappia tenere insieme passato e presente, nel progetto umano più ambizioso, costruire il futuro. E il progetto “politico” più alto, consegnare la Terra, i luoghi antropizzati, i paesi piccoli come le grandi città, più belli e più sicuri di come erano stati ereditati. Catanzaro deve a Portoghesi l’amore per la Bellezza e il suo sforzo di cercarla anche qui da noi. E di riproporla dopo averla trovata. Lo sforzo, diffuso in tutto il mondo, anche di insegnare, se mai la si possa insegnare, la Bellezza.

Di certo, di educarci al valore incommensurabile, fonte di gioia vera, di questa ricchezza, apparentemente astratta, ma che invece puoi carezzare con la mano, toccare con gli occhi, rubarla con i cuore, lasciandola lì, intatta, dove si trova, affinché tutti la possano “rubare”.

Catanzaro deve a PaoloPortoghesi (così detto tutto attaccato) l’affetto profondo che aveva per noi, come comunità. Per noi, come realtà urbana. Era davvero affezionato a questi “tre colli”. Perché gli ricordavano i setti su cui era adagiata la sua Roma? Perché i territori che si muovono su quei flessuosi saliscendi sono belli e accattivanti per natura? O perché, a un colpo d’occhio Catanzaro tocca i suoi monti, quelli della Sila Piccola, e con un lancio leggero di mano carezza il suo mare, come io stesso vado “predicando” da mille anni? Come posso dire, se non l’ho mai incontrato a tu per tu, e mai l’ho potuto interrogare sul tema? Il professore, ovvero la sua “ profonda” conoscenza, mi ha però agevolato in questo distacco fisico, di cui sempre per carattere mi servo per non allungare la fila dei soliti “affezionati” dei potenti immobili in adorazione opportunistica.

Ché conoscerlo, era facile anche da lontanissimo tanto era esplicita la sua personalità sensibile e tanto comprensibile il suo pensiero profondo parimenti ai sentimenti veri, apparentemente nascosti dietro il carattere discreto, riservato, forse timido, che a molti, probabilmente, dava l’impressione di una certa altezzosità aristocratica.

Catanzaro gli deve, infine, l’attesa di una risposta sulla domanda mai posta, benché lungamente sussurrata. Riguarda la sua opera più importante per noi, una tra le sue più importanti in generale. Riguarda il perché di quello stile, di quel volume, visibilmente contrastante con l’antichità del luogo e del cinema antico, diciamo, di cui il suo nuovo Politeama ha preso il posto. La risposta, ove mai servisse, la dia ciascuno a sé stesso,non essendo più questo argomento neppure tema della Politica. Quell’edificio sontuoso resta, come sua preziosa memoria, come firma altissima di un grande architetto.

Resta come tendenza alla modernità e filo sottile che lega indissolubilmente memoria e futuro, stili architettonici classici e innovativi, pure quelli positivamente contaminati da culture non lontane della nostra. Resta come evento attrattivo del fascino del Capoluogo, oltre che come teatro tra i più grandi e belli d’Italia. Resta come monumento alla grandezza del genio umano e come atto d’amore di un genio che l’ha realizzato. Amore che io sento da qui di potergli ricambiare, e grato, a nome di tutti i catanzaresi che amano questa nostra Città e che, maggiormente, credono nel ruolo guida che essa potrà esercitare nella e per la Calabria che voglia finalmente crescere in Bellezza.

E in cultura che la esalti, la difenda, la valorizzi, la Bellezza, trasformandola in ricchezza, anche economica, per tutti.

Il calabrese Fabio Falvo nel consiglio generale di Confindustria

Prestigioso incarico per il giovane imprenditore calabrese Fabio Falvo, che è stato eletto nel Consiglio generale di Confindustria per il biennio 2023-2025.

Dopo la sua nomina nel Consiglio Generale dei Giovani Imprenditori – ha commentato Aldo Ferrara, Presidente di Unindustria Calabria – questo per Fabio Falvo è un ulteriore riconoscimento per il suo costante e proficuo impegno nella nostra Associazione.

«Falvo è per noi – hanno dichiarato Umberto Barreca (Presidente del Gruppo Giovani Imprenditori di Unindustria Calabria), Alfredo Citrigno (Direttore di Quale Impresa), Antonia Abramo (Presidente del Gruppo Giovani Imprenditori di Confindustria Catanzaro) – una risorsa importante che non ha fatto mai mancare il suo supporto, la cui presenza è sempre stata un punto fermo. Da parte nostra il più grande in bocca al lupo per questa bellissima esperienza che, siamo certi, lo farà crescere ancora di più come uomo e come imprenditore».

«La presenza di giovani imprenditori come Falvo – ha concluso il Presidente Ferrara – mi fanno sperare in un futuro diverso per la nostra regione, giovani che hanno voglia di impegnarsi, di rimboccarsi le maniche e mettere a disposizione del Paese i loro talenti». (rcz)

IL RICORDO / Antonio Viapiana, il genio saggio, l’uomo umile e buono

di FRANCO CIMINO – L’ho conosciuto tardi, frequentato pochissimo, incontrato nell’ultimo tempo quasi mai. Non ci sentivamo neppure al telefono. L’unica volta, circa un anno fa, che, incontrandolo per caso davanti al Politeama(lui usciva dal Palazzo comunale lì vicino, dove svolgeva il compito di capo gabinetto del sindaco Abramo) scoprimmo che entrambi non avevano i nostri rispettivi numeri. Era stanco, meno rotondo della corporatura con la quale lo conobbi quel lontano giorno di febbraio del 2006. Ma la barba, delicata e leggera sul suo bel viso non gli mancava. Solo un po’ brizzolata, come i radi capelli. Su quel bel viso non gli mancavano il sorriso buono, aperto alla cortesia e alla gentilezza, e quello sguardo tenerissimo sul “mondo”. Il suo mondo, sempre articolato nelle due dimensioni personali. Quello piccolo, ristretto nel luogo in cui egli viveva, amandolo, conoscendolo, servendolo, nel profondo.

E quello “globale”, che tutto raggiungeva, comprendendolo nei suoi diversi passaggi di tempo, con la sensibilità tesissima e quella sua cultura davvero vasta. Una cultura che spaziava dall’arte, di cui era un attento e preparato cultore, all’economia, dalla tecnologia alla sociologia della comunicazione. E, per dirla quasi tutta, dalla Politica, per la quale aveva anche passione, alle nuove leggi dell’impresa. In quel corpo Antonio Viapiana custodiva un’anima nobile e delicata. Un’anima nella quale erano radicati qualità straordinarie, fondamentali alla buona saluta di qualsiasi comunità. Ne elenco solo alcuni dei tantissimi.

L’umiltà, la prima. Con essa sapeva vivere con auto-disciplina i diversi ruolo svolti nella vita. E ruoli assai importanti, dei quali non si serviva per misere vanterei o per arroganti manifestazioni di potere. Con l’umiltà sapeva stare un passo indietro o nascondere “al premio della popolarità” o al “trampolino del carrierismo” i suoi meriti, talvolta esclusivi, ovvero le grandi fatiche, che portavano al raggiungimento di enormi risultati nel contesto, in particolare, e nella comunità, in generale. Ah, le fatiche! Tra le qualità c’era la sua grande capacità di lavoro.

Faticava tanto, Antonio, e mai se ne lamentava. Sempre chiuso nella sua stanza, che fosse quella delle imprese che contribuiva a far nascere, o quella del Comune. Sempre attento a finire ciò che aveva iniziato. Era paziente. Tra le sue qualità c’erano la pazienza e la calma. Io non so se si prendesse collera e come la manifestasse. So, di certo, che ascoltava tutti e di ciascuno ne comprendeva le ragioni, portando le tensioni a un punto sicuro di rassicurazione. In ciò era favorito dalla sua mente razionale e dalla tecnica di mediazione che egli sapeva applicare con grande efficacia e certosina determinazione. Era generoso. E molto. Era davvero difficile che chi si rivolgesse a lui per un bisogno o una difficoltà, ne ne uscisse a mani e a cuore vuoti. Della sua intelligenza, non oso palare, perché la conoscono tutti. E anche perché più che una qualità era un dono speciale di Dio, che sembrava avesse voluto donargliela tanto più grande di quella comune. Una intelligenza, la sua, tanto robusta da renderlo geniale. La sua inventiva e creatività erano straordinarie. Quando tutti attorno a lui era fermi su un problema “irrisolvibile”, Antonio se ne usciva con l’idea giusta. Una vera illuminazione. Genio e saggio. Genialità e saggezza. Ecco le due parole con le quali sinteticamente lo si potrebbe presentare. Ve n’è una terza, che io lascerei al piacere di scoprirla in chi lo avesse conosciuto.

È la bontà. Una bontà costituita innanzitutto dall’assenza di cattiveria, di invidia e di gelosia. E di desiderio di vendetta verso chi gli avrebbe potuto far male. Chiudo l’elenco con la qualità divenuta assai rara nel mondo d’oggi, l’amicizia. Antonio amava l’amicizia con la maiuscola. Ne subiva una sorta di fascino irresistibile.

L’amicizia risorsa splendente di luce propria e forza straordinaria per muovere le cose. Stravolgere tutto risistemando l’ordine migliore. In essa vivono tanti altri elementi, la lealtà, la sincerità, l’abnegazione, la totale donazione di sé nella gratuità assoluta. Proverbiale, emblematica, esemplare, pedagogica oserei dire, è quella che lui ha sentito e vissuto per Sergio Abramo. In quel rapporto c’è l’amicizia vera in tutte le sue dinamiche. Antonio ha “ servito”, nel senso amicale del termine, Sergio Abramo, con umiltà, ammirazione, amore. Spirito di sacrificio e fatiche immense. Io non so come funzioni nell’Altrove inconoscibile.

E però, mi colpisce profondamente il fatto che Antonio “improvvisamente” scompaia quando il suo Amico chiude una sua prima lunga storia politico-amministrativa e si muova lungo un percorso esistenziale di ritrovata serenità. Quanto a me, per quel poco tempo della nostra conoscenza e quel pochissimo della nostra frequentazione, avrei da dire tantissime cose, tutte accadute in quei quarantacinque giorni della mia campagna elettorale da candidato sindaco nel 2006. Lui, con Nuccio Marullo, altro genio creativo e persona buona, fu tra gli “inventori” di quella candidatura che Sergio poi volle fortemente ed più fortemente sostenne. Lui coniò una sorte di titolo per la propaganda, «Franco Cimino, il nuovo Sindaco». Lui fu tra coloro che la sostennero con sincerità totale, offrendomi saggi e buoni consigli e difendendo, pure con Sergio, la mia assoluta autonomia politica e indipendenza, nel farla anche in prospettiva di una quasi certa elezione, poi non avvenuta per una manciata di voti al ballottaggio.

Ma il fatto che più ricordo e che indelebile resta nel mio cuore, fu quella sera, che si portò fino a notte, in cui, rimasti soli noi due, dovetti apporre la mia firma ai modelli di candidature di circa duecento candidature a consigliere.

Firmai con la penna nuova che mi diede. Firmai quei moduli uno per uno e per esteso. Lui, in piedi, paziente, alle mie spalle, dietro alla poltrona. Alla fine, con voce commossa, mi dice testualmente: «Franco, la firma che metterai, in ultimo, su questo foglio, è la più bella. Ne seguiranno tante altre quando sarai diventato Sindaco di Catanzaro».

Era quella della mia accettazione della candidatura alla più alta carica amministrativa della nostra Città. Me ne consegnò, poi, una focopia, che io volli che anche lui, per me, la sottoscrivesse. Un giorno la tirerò fuori dal mio disordine e me la terrò sulla mia scrivania. Antonio Viapiana, e chi se lo scorderà mai! (fc)

Addio a Irene Tripodi, presidente di AiParC

Cordoglio a Reggio Calabria per la scomparsa di Irene Tripodi, presidente nazionale di AiParC, Associazione Italiana Parchi Culturali, fondata da lei nel 2016.

Docente di filosofia, psicologia e scienze dell’educazione, Irene Tripodi ha insegnato presso l’Istituto Giuseppe Rechichi di Polistena, dove ha occupato la cattedra di  fino al 2008. Nel 2009 è stata trasferita al liceo Luigi Nostro di Villa San Giovanni, dove ha insegnato fino al 2012, per poi approdare al liceo delle scienze umane Tommaso Gullì di Reggio Calabria, dove ha insegnato fino al 2016, anno in cui è andata in quiescenza.

Irene Tripodi è stata inoltre ideatrice, promotrice e responsabile del parco storico “Giovanna Ruffo, Principessa di Scilla”  per la Fondazione Fidapa Onlus; componente della Croce rossa Italiana, sezione femminile di Reggio Calabria dall’anno 1998 all’anno 2011;. socia fondatrice e tesoriera dell’Adisco Calabria (Associazione Donatrici Italiane Sangue Cordone Ombelicale); socia fondatrice e presidente eletta del Kiwanis Reghion (2008/2009).

Cordoglio è stato espresso da Dora Anna Rocca, presidente di AiParC Lamezia Terme: «Per me una sorella maggiore conosciuta in un percorso di crescita che mi ha portata ad avere fiducia nelle nostre potenzialità territoriali e aprire anche nella mia città una sede che con le altre sedi territoriali mirano a valorizzare luoghi e persone del territorio».

«Ci uniamo in preghiera con tutte le sedi AIParC – ha detto – perché l’anima di Irene possa ora volare in alto, libera dal fardello della malattia che l’aveva imprigionata in una battaglia purtroppo complessa e esprimiamo noi tutti di AiparC Lamezia la nostra più sincera vicinanza alla famiglia».
«La triste notizia ci fa rimanere senza parole e la sua perdita ci lascia un grande vuoto che difficilmente si potrà colmare.Irene per noi tutti non era solamente la presidente nazionale, era l’amica che ti dava i consigli giusti al momento opportuno.Persona di grande umanità e di grande cultura.L’ AIParC di Cosenza si stringe attorno alla famiglia in preghiera», scrive Tania Frisone, presidente AiParC Cosenza.
«La sua sensibilità, cultura, umanità e saggezza lasciano un vuoto incolmabile nelle nostre vite, ma sicuramente il suo carisma e la sua determinazione rimarranno sempre impresse nel nostro lavoro», scrive il direttivo AiParC di Reggio Calabria.
«Si tratta – scrive il Presidente dell’Anassilaos – di una perdita gravissima per la nostra comunità e l’associazionismo reggino che ha sempre avuto in Lei una organizzatrice formidabile e attenta ai valori più autentici della nostra Comunità». (rrc)

Il giornalista reggino Emilio Buttaro premiato a New York

Prestigioso riconoscimento per il  giornalista reggino Emilio Buttaro, che è stato insignito del Premio Giornalistico Aiae New York, nel corso della cerimonia annuale dell’Association of Italian American Educators, l’organizzazione nata nel 1997 che dedica la sua attività alla promozione della lingua e della cultura italiana.

L’evento si è svolto nelle eleganti sale del Consolato Generale d’Italia di New York. Come ogni anno l’Associazione presieduta dal cav. Josephine A. Maietta ha organizzato il ritrovo di italiani e italoamericani per la consegna delle borse di studio agli studenti più meritevoli e per premiare personaggi di spicco che si sono distinti nel campo dell’arte, della musica, della medicina, della moda, del giornalismo e nelle altre professioni. La cerimonia aperta dal Console Generale d’Italia, onorevole Fabrizio Di Michele si è svolta nel giorno del ventiquattresimo anniversario dalla nascita dell’Aiae.

Emilio Buttaro è stato premiato per l’impegno giornalistico dedicato agli italiani all’estero con la seguente motivazione: «Per aver contribuito alla promozione della tradizione e cultura italiana attraverso collaborazioni con testate giornalistiche internazionali rivolte agli italiani all’estero. Con stile e professionalità ha condotto iniziative dedicate alla diffusione e difesa dell’italianità nel mondo. Particolarmente apprezzata la sua richiesta di coinvolgimento degli italiani all’estero in occasione di un evento simbolo dell’Italia come il Festival di Sanremo».

Gli altri prestigiosi riconoscimenti sono andati a personalità di spicco del mondo della medicina, della cultura, della moda e di altre professioni come Arthur L. Aidala Esq., Stefania Stipo, Ruggiero Boiardo, Paula Varsalona e John Viola.

Sono stati premiati i vincitori delle borse di studio del Programma Ponte Pisa 2023 e consegnati da parte dell’Aiae, certificati di amicizia al cantautore Stefano Spazzi che ha ideato il progetto “le Luci di New York” in collaborazione con l’Aiae ed all’Ing. Vincenzo Scotto sponsor di Aiae Global Italian Diaspora Rete su Wrhu Radio Hofstra University.

Impeccabile l’organizzazione curata dall’Aiae e dal suo presidente Josephne Maietta, infaticabile promotrice della tradizione italiana negli Stati Uniti.

Il giornalista Emilio Buttaro da anni impegnato per gli italiani all’estero anche in veste di presentatore nel ricevere il premio ha spiegato: «Essere un ponte tra l’Italia e il mondo, portare agli italiani all’estero un po’ del Bel Paese è sempre una gioia che rimane dentro a lungo». (rrm)

Francesco Repice, il radiocronista Rai vero vincitore di Napoli-Salernitana

di PINO NANO – Ero in macchina domenica mentre allo stadio “Diego Armando Maradona” andava in scena la partita dell’anno, Napoli Salernitana. Per i napoletani immagino fosse la “partita del secolo”, 33 anni in attesa dello scudetto, ora c’è solo da conquistarlo e portarselo a casa. 

Una festa corale, senza tempo e forse anche senza precedenti, credo che lo stesso Maradona ieri si sarebbe divertito molto tra tanto colore e mille schiamazzi di speranza. Ma grazie alla radio, (davvero, grazie RadioRai!), oggi posso dire che allo stadio Maradona c’ero anch’io domenica pomeriggio. Perché credo di aver vissuto in prima persone un pomeriggio esaltante e unico di tutta la mia vita professionale di cronista da strada. Emozioni mai vissute prima, che nessun incontro di calcio mi ha mai trasmesso, e ad un certo punto, per la prima volta in vita mia – confesso anche – mi ha creato grande disagio dover interrompere l’ascolto della radiocronaca per rispondere ad una chiamata urgente sul mio telefonino.

Il Napoli alla fine non ce l’ha fatta. La Salernitana si è difesa fino all’ultimo, e la vittoria dei napoletani è solo rinviata di qualche giorno, ma domenica, e lo dico col cuore, la vera medaglia d’oro del calcio italiano se l’è portata a casa Francesco Repice, il giornalista di RadioRai che credo sia il più grande cronista sportivo di tutti i tempi. Sono certo che se fosse ancora tra di noi, lo stesso Nicolò Carosio gli renderebbe gli onori del podio. 

Insuperabile, impeccabile, efficacissimo, veloce come una scheggia, travolgente, appassionato, diretto, incisivo, impulsivo, una valanga che travolge tutto,un tifone in piena regola, una tempesta di parole, esaltante, una mitraglietta d’ordinanza che non si inceppa mai, un mostro, quasi sacro, del linguaggio radiofonico.Nessuno meglio di lui, nessuno prima di lui, nessuno forse dopo di lui. Il principe dei radiocronisti di Tutto il calcio minuto per minuto.

Non conosco personalmente Francesco Repice, conoscevo invece molto bene la sua famiglia, suo padre, suo zio Egidio, la sua famiglia di origine insomma, loro allora vivevano soprattutto d’estate a Tropea, e di lui sapevo solo che a scuola era molto bravo e che voleva fare il giornalista. Nient’altro. Suo padre un giorno venne a trovarmi in Rai, a Cosenza, e mi chiese un consiglio, e ricordo che gli dissi che non sarebbe stato facile. 

Qualche anno dopo,invece, lessi per la prima volta il nome di Francesco Repice su Il Popolo, era il quotidiano della Democrazia Cristiana dove tanti anni prima era incominciata anche la mia storia professionale. 

Fu una gioia apprendere che il “ragazzo”era riusciuto a trovare un angolo importante da dove partire, ma nessuno allora mi avrebbe mai convinto che un giorno, quello stesso “ragazzo” di allora, mi avrebbe commosso e coinvolto in maniera così impetuosa e pazzesca.

Vi invito a riascoltare la radiocronaca di domenica su Radio Rai, e non potrete che non darmi ragione. 

Un attacco da Oscar, una radiocronaca da conservare negli archivi delle scuole di giornalismo, una lezione magistrale di linguaggio radiofonico moderno e magistrale, la testimonianza forte di una icona della storia della radio, a cento anni dalla sua nascita, invidiabile, inimitabile, irraggiungibile. 

Ricordo i miei anni giovanili alla RAI di Cosenza, quando Emanuele Giacoia partiva per i mondiali della Spagna e Tonino Raffa, dopo di lui, per i campi di calcio di serie A e gli incontri più prestigiosi della domenica, e mi emozionava solo il sentire la loro voce, la loro cadenza, il loro modo di raccontare il mondo del calcio. Sapevo bene che, mai e poi mai, avrei potuto fare niente di simile, e li invidiavo solo per questo, ma li adoravo e li ammiravo. Due maestri stupendi.

Ieri, però, Francesco Repice ha superato ogni limite e ogni record. Se fossi il sindaco di Napoli gli darei, solo per la radiocronaca di ieri, la cittadinanza onoraria di Piazza Plebiscito, e alla fine del prossimo incontro, quello che decreterà la vittoria di campionato per il Napoli, lo farei scendere dalla tribuna stampa del “Diego Armando Maradona” e lo porterei al centro dello stadio, per celebrarlo come merita. Lui sì, una vera eccellenza del giornalismo italiano. 

Grazie ancora Radio Rai. Grazie Francesco.  (pn)

Il catanzarese Francesco Neri è il nuovo Arcivescovo di Otranto

Il catanzarese Francesco Neri è il nuovo Arcivescovo di Otranto. Nominato da Papa Francesco, mons. Neri succede a mons. Donato Negro, che è stato in carica dal 2000.

Dopo essersi laureato in giurisprudenza all’Università di Bari, mons. Neri nel 1987 è entrato nell’Ordine dei frati minori cappuccini emettendo la professione nelle mani del ministro generale, Fra Flavio Carraro a Pietrelcina. Nel 1991 è stato ordinato diacono a Taranto dall’arcivescovo cappuccino Benigno Papa, deceduto alcune settimane fa; e presbitero, il 6 luglio dello stesso anno, nella cattedrale di Bari, dall’arcivescovo Mariano Magrassi. Nel 1998 ha conseguito il dottorato in Teologia dogmatica presso la Pontificia Università Gregoriana.

Ha ricoperto i seguenti incarichi: docente di Cristologia, Teologia Trinitaria e Antropologia teologica (dal 1994); maestro dello studentato teologico di Bari Santa Fara (1995-2006); assistente della sezione diocesana dell’Unione giuristi cattolici (1998-2006); vicario provinciale della Provincia Cappuccina di Puglia (2003-2006); ministro provinciale della Provincia Cappuccina di Puglia e presidente della Cism regionale pugliese (2006-2012); membro del Consiglio presbiterale dell’arcidiocesi di Bari-Bitonto (2007-2012); vice-preside della Facoltà teologica pugliese (2012-2018); direttore dell’Istituto teologico di Bari Santa Fara (2015-2017); rettore del Collegio internazionale San Lorenzo da Brindisi a Roma (2017-2018). Dal 2018 è consigliere generale dell’Ordine a Roma. È stato inoltre membro della Commissione mista Conferenza episcopale pugliese-Vita consacrata, direttore della rivista “Italia francescana” della Conferenza italiana dei Ministri provinciali cappuccini, assistente locale dell’Ordine francescano secolare e della Gioventù francescana. L’insediamento è previsto per il 17 giugno.

«Chiedo a voi tutti di pregare per me. Sono felicissimo di iniziare a camminare insieme a voi», ha detto il nuovo Arcivescovo.

Grande soddisfazione è stata espressa dal sindaco di Catanzaro, Nicola Fiorita, sottolineando come «fa sempre piacere quando un figlio della nostra Calabria, per di più nato a Catanzaro, viene chiamato a una così grande responsabilità».

«Monsignor Neri, peraltro, appartiene a quell’Ordine dei Cappuccini che, come calabresi – ha concluso – ci appartiene intimamente per via del legame solido e radicato con la nostra regione; questo è un ulteriore motivo per il quale siamo certi che compirà al meglio la missione cui è stato chiamato dal Santo Padre». (rcz)

Addio a Roberto Losso, il giornalista vero, l’intellettuale profondo

di FRANCO CIMINO – Non so quanti anni avesse Roberto Losso (le poche foto di lui dicono che sono tanti), non so se fosse stato lungamente malato e quanto per la grave malattia soffrisse (gli amici lo dicono molto ammalato e duramente sofferente), non so di quale partito facesse parte o a quale ideologia offrisse la sua “fede”( la sua storia personale e le sue posizioni politiche lo confermano di sinistra, forse socialista, e di certo manciniano), non so se fosse credente e cattolico( da alcuni suoi pensieri, particolarmente quelli su San Francesco di Paola, sembrerebbe di sì), non so nulla di lui, così distante da me apparentemente in tutto.

Lui pure fisso a Cosenza e io, ormai da tanto, fermo a Catanzaro. Lui rossoblu, io giallorosso, entrambi di fede antica, per dirla con i sentimenti e le passioni oggi più accese rispetto alle altre. Quelle in noi sopite e nelle giovani generazioni, quasi del tutto assenti o da altro assai distratte. Così distanti eravamo, lui di certo molto di sinistra, e socialista tra l’altro, io rimasto fermamente democristiano fino al midollo. Un democristiano di stampo moroteo, con quella ostinata idea dell’incontro organico tra DC e PCI e una sorta di diffidenza verso quel PSI progettualmente competitivo con il mio partito a rischio di esclusione dal governo futuro. Non so nulla di Roberto Losso. E, però, so tanto di lui. Non l’ho mai incontrato in vita mia mia. E, però, siamo diventati amici.

Ci ha aiutato, in questo, l’uso intelligente e buono della rete, Facebook e Whatsapp, in particolare. La rete, insomma, questo etere sconfinato in cui puoi trovare, è vero, di tutto, ma anche persone buone, pensieri belli, battaglie civili per la crescita della civiltà. Mi ha aiutato a conoscerlo di più la rubrica che lungamente Roberto ha tenuto su Il Quotidiano della Calabria. Era puntuale e settimanale. Nei casi più eclatanti che le cronache offrivano usciva anche più volte e in giorni diversi. Non so esattamente cosa fossero i suoi brevi scritti se elziveri, corsivi, brevissimi articoli di fondo, o nulla e insieme un po’ di tutto questo. In una striscia breve breve, che da sinistra, leggendolo, scendeva di poco lungo la prima pagina del giornale egli diceva tanto. Io non me ne perdevo una. Da tempo non prendo la fascetta di quotidiani giornaliera.

Ragioni economiche e di tempo, la disordinata e incontrollata diffusione di quotidiani on line, che ha preso anche me, la oggettiva e progressiva decadenza della qualità dell’informazione, in generale, e della carta stampata, in particolare, l’ulteriore perdita di peso e di qualità dell’informazione locale, mai addirittura assurta a sistema, non me lo consentono. Tuttavia, sempre puntuale mi presentavo in edicola per il “ fondo” di Roberto. E poi, subito a scrivergli i mie più accesi complimenti. Innanzitutto, per la scrittura. La sua penna era robusta, di cultura profonda. Si sentiva la classicità pure nell’asciuttezza delle frasi. E la retorica antica anche nel pensiero breve liberato di ogni retorica e ridondanza. La sua penna era agile, come le gambe di Pietro Mennea, uno dei suoi idoli per le grandi gesta degli ultimi che diventano i primi. La sua penna era penetrante come una spada, pungente come mille aghi invisibili che ti entrano nella pelle. La sua penna era un missile del Bene, con cui trasportava a velocità supersonica pensieri profondi.

E con quella leggerezza che solo le intelligenti più vivaci possono permettersi di avere e, di più, di usare. La sua ironia era bonaria. I suoi scritti mai velenosi. Le sue parole mia aggressive. Anche il peggiore dei personaggi di cui trattava non usciva mai dalle sue note come un malvagio da calpestare e da odiare. A volte rendeva simpatico anche il più stupido e il più antipatico di coloro ai quali contestava il cattivo agire. Perché gli era possibile tutto questo? La risposta è una e semplice: Roberto era una persona buona che cercava il bene. Un uomo bello che cercava la bellezza. Un essere umano che amava e l’Amore cercava.

Lungo quel suo camminare tra le strade tortuose e pericolose della nostra vita, egli si muoveva con agilità e finezza, pur nel suo cuore dolente e nel suo pensare sofferto, perché era sicuro che ciò che cercava ci fosse. Ci sia! La bontà, c’è. La bellezza, c’è. L’Amore c’è. E c’è tutto ciò che si muove dentro e intorno a questi valori. La Libertà, c’è. La Giustizia c’è. L’Eguaglianza, pure. E, qui, tutto insieme, in una stessa persona, troviamo l’uomo di fede, il cristiano, il libertario, il socialista, l’umanista e “l’umanitario”. Troviamo il sognatore, l’utopista. L’uomo buono. L’intellettuale profondo e tenero, la persona fragile e inarrendevole. Troviamo il calabrese vero, quello alla Mattia Preti, alla Telesio, alla Campanella, alla Corrado Alvaro, alla Repaci, alla Contestabile… E ai tanti altri che, dalla lontana civiltà magnogreca fino a noi, ci hanno insegnato che essere calabresi significa essere cittadini del mondo. E non solo perché siamo stati costretti a emigrare, ma anche perché abbiamo saputo accogliere tutti. E trasformare anche le numerose dominazioni del nostro territorio come occasioni per arricchire la nostra cultura e la nostra identità, pure quando gli arroganti e i prepotenti di tutte le epoche, fino ai giorni nostri, ci hanno derubato di tante bellezze e di tante vite. La Calabria è viva, e lui questa Calabria cercava, sapendo di trovare in essa tutto. Perché per Roberto la Calabria è Bellezza. Si tratta solo di convincere i calabresi a fare come lui, andare, cioè, alla ricerca di quella Calabria, cercare sé stessi in quel cammino. Convincerli a riprendere a lottare.

Anche contro le proprie paure e le proprie pigrizie, vincendo due battaglie “diverse ma eguali”. Quella contro la rassegnazione rispetto a un male che antropogicamente ci apparterrebbe. E quella contro l’attesa di un salvatore che ci risolva i problemi. Sono due difetti che io ho chiamato, e dal mio sempre, lui compiacendosi, vittimismo e messianesimo. Due difetti, che solo noi, appartenendoci, dobbiamo cancellare. E lo dobbiamo fare al più presto, qui riprendo Roberto, per ritornare a essere popolo. Quella cosa racchiusa in una parola che sta perdendo di senso e che, paradossalmente, rappresenta l’unica vera strada della nostra salvezza.

È la strada che porta all’altro elemento storicamente mancante: l’unità. Il dirsi calabrese senza sentirsi pienamente popolo calabrese, gente di Calabria, per dirla con i nostri letterati, è sterile esercizio del nostro individualismo. Ecco, che su questo punto del suo cammino, quello che starebbe arrivando a conclusione, si afferma il Roberto Losso della sua, forse, prima vocazione. È quella della Politica, con la maiuscola, come lui gradirebbe. Una personalità come la sua è talmente completa che trovarne tante in giro per l’Italia sarebbe una fatica enorme e quasi inutile. Da lui dobbiamo tutti trarne enorme vantaggio, soprattutto ora che non c’è più. Riscoprirlo, conoscerlo, rileggerlo, leggerlo, fino a comprenderne pienamente il suo filosofare verso la costruzione di una nuova Calabria, quella che c’è sotto la sua pelle inaridita, è un dono che ci potremmo fare da soli. Se poi qualcuno degli intellettuali calabresi mettesse insieme “le sue lezioni” su tutti i maggiori temi dell’esistenza umana e su quelli politicamente più sensibili (la difesa dell’ambiente e di ciò che è rimasto ancora salvo della nostra bellezza, quale prima grande ricchezza da cui partire), farebbe un regalo alla Politica e alla Cultura, le quali si potrebbero servire di un pensiero organico, robusto, moderno e innovativo, per diventare protagoniste del migliore futuro della nostra regione. Una regione aperta, che salvandosi da sé stessa, concorrerebbe alla crescita del Paese e di quell’Europa che noi, con Roberto, sogniamo e della quale la nostra terra potrà diventare il vero ponte di civiltà che collega due mondi finora lontanissimi. Realtà separate dal quel grande mare, anticamente di civiltà e di pace, oggi chiamato a rispondere delle tragedie che su di esso si consumano in danno di povericristi costretti a navigarlo per cercare pane e libertà.

L’amore e la dedizione, anche culturale, a San Francesco di Paola, non era per Roberto soltanto un atto di fede nella santità di quell’uomo. Era di più, il maestro che ci insegnava questa calabresità. Il simbolo, da noi sempre trascurato, di questa Calabria ideale. La figura di riferimento per un nuovo collettivo sentire la Calabria nella sua piena bellezza. Io che conoscevo Roberto, anche da lontano, so che è tutto questo. E assai di più. So che mi stimava, ricambiato senza misura. Ci volevamo bene senza mai esserci stretti la mano o abbracciati. Il merito è suo, della sua intellettualità oceanica adagiata su un cuore profondo quanto l’oceano. Intellettualità di pensatore instancabile e coraggioso. E cuore tenero di poeta. Leggere le sue poesie in dialetto cosentino è un piacere dell’anima, ristoro della mente. Unguento sull’inquietudine. Una carezza sul dolore.

Mi piacerebbe che Il Quotidiano e l’Ordine dei giornalisti, o anche la stessa Regione con il Comune di Cosenza, che tutti insieme tanto gli devono, si impegnassero per pubblicare in tempi brevi due opere. Una dei suoi corsivi e l’altra delle sue poesie. Sarebbe un omaggio alla sua persona e un dono alla Calabria che dalle sue parole potrebbe partire, discutendone ampiamente, per creare parole nuove. Vere. Belle. Io non so quanti anni avesse e di quale malattia soffrisse, Roberto. So soltanto che non doveva andarsene adesso che il mondo aveva tanto bisogno di lui. (fc)

Francesco Rao è il nuovo portavoce di Arpacal

Prestigioso incarico per Francesco Rao, nominato portavoce di Arpacal dal commissario straordinario Emilio Errigo.

La presa di servizio è iniziato oggi, formalizzata con specifico atto. Francesco Rao, sociologo e giornalista, è attualmente docente a contratto di Sociologia generale all’Università Tor Vergata di Roma, e vanta pregresse esperienze radiofoniche e televisive.

Ha partecipato come relatore a diversi convegni e seminari, impegnandosi costantemente nel sostenere l’inclusione sociale dei più deboli e il superamento della Questione Meridionale, sottolineando, con i suoi articoli e i suoi interventi, la necessità di un impegno ottimistico degli stessi calabresi teso a superare il divario con le altre realtà nazionali.

Da oggi, la sua esperienza, la sua competenza e il suo impegno, poste al servizio di Arpacal, veicoleranno tutte le attività promosse dall’Agenzia e coordinate dal Commissario Errigo, nell’insieme finalizzate ad una maggiore consapevolezza predittiva per la tutela dell’ambiente e la salvaguardia della salute. (rcz)

Il calabrese Nicola Maione è il nuovo presidente di Monte dei Paschi di Siena

Parla calabrese la nuova dirigenza di Monte dei Paschi di Siena. È, infatti, originario di Lamezia Terme, il neo presidente Nicola Maione. Avvocato cassazionista, è stato indicato alla guida della banca dal ministero dell’Economia e delle finanze per sostituire Patrizia Grieco, che si è dimessa in seguito alla sua nomina alla presidenza di Anima.

Luigi Lovaglio, attuale amministratore delegato, rimarrà con il suo incarico. Maione, nato a Lamezia, è stato presidente del consiglio di amministrazione di Enav, è titolare dell’omonimo studio legale a Roma, specializzato in diritto civile e commerciale. La nomina di Maione sarà formalizzata nell’assemblea degli azionisti del 20 aprile.

Ha seguito come legale importanti operazioni di ristrutturazione aziendale, procedure concorsuali e gruppi societari in Amministrazione Straordinaria. Nominato in diverse procedure dal Tribunale Fallimentare di Roma come Curatore, Liquidatore Giudiziale e Commissario Giudiziale e, dal Ministero dello Sviluppo Economico, come Commissario Governativo, Giudiziale e Liquidatore di imprese cooperative.

Maione ha maturato un’intensa attività accademica in materia di diritto civile, commerciale e autore di varie pubblicazioni.  Premiato, nell’anno 2012, per l’attività prestata a favore della professione forense da parte del Consiglio Nazionale Forense.

Presidente dell’ODV – Organismo di Vigilanza delle società RAV- Raccordo Autostradale Valle d’Aosta S.p.A., Sat Società Autostrada Tirrenica p.A. e Sitmb Società Italiana per Azioni per il Traforo del Monte Bianco e Tangenziale di Napoli.

Già Consigliere di amministrazione della Milano Assicurazioni S.p.A., di Prelios Credit Servicing S.p.A. e Presidente del Comitato Controllo, Rischi e Parti Correlate e successivamente Presidente del Consiglio di Amministrazione di ENAV S.p.A.

Dal 2018 ricopre la carica di Consigliere dell’Associazione Bancaria Italiana (ABI).  Dal dicembre 2017 è amministratore indipendente del Consiglio di Amministrazione di Banca Monte dei Paschi di Siena S.p.A., Presidente del Comitato nomine, componente dell’ODV e Lead Independent Director. ν

(rrm)