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AREE INTERNE: LA CALABRIA SCOMMETTA
SU BORGHI E PERIFERIE PER LA RIPARTENZA

Lago di Cecita in Sila

di GIANLUCA SUCCURRO e DOMENICO MAZZA – Spesso ci concentriamo ad immaginare possibilità di sviluppo che riverberino migliorie ai principali contesti urbani della Regione. Vuoi perché queste sono sedi principali del dibattito politico, vuoi le sfide economico-finanziare che nei prossimi anni le vedranno protagoniste, resta il fatto che le Aree Interne, spesso, passano un po’ in sordina.

Eppure, basterebbe solo aprire una qualunque carta geografica per rendersi conto che quel vasto ambito compreso tra le valli del Neto e del Trionto e di rimpetto, vicendevolmente, allargato alle propaggini vallivo-rivierasche del Tacina e del Crati è la più grande Area Interna della Regione e fra le più estese del Meridione insieme ad alcuni contesti interni dell’Irpinia e del Cilento.

Un territorio, quello pedemontano jonico, che è stato, volutamente, tenuto ai margini dalla politica. Quest’ultima, ossequiosa a dinamiche ed equilibri centralisti, ha preferito investire in altri ambiti, ingrassandoli ed ingessandoli all’inverosimile. E come contropartita le aree rurali della Sila Greca, del Marchesato e del Pollino di levante, sono state abbandonate ad un destino triste e scarno di possibilità di crescita.

Riteniamo sia operazione non più differibile rilanciare quest’ambito. E per farlo, giocoforza, bisognerà ripartire dalle due principali Comunità che su quest’area insistono: Acri e San Giovanni in Fiore. Invero va annotata, nei succitati Comuni, un’iniezione di fiducia posta di recente. Entrambi sono risultati beneficiari di 5 milioni di euro cadauno nell’ambito dei fondi per la rigenerazione urbana. Nei casi di specie la popolazione superiore ai 15mila abitanti ha fatto sì che queste Comunità potessero concorrere al riconoscimento del finanziamento per ovvi motivi legati ai rispettivi tetti demografici.

Escluse però le esperienze della città dell’Abate Gioacchino e di Sant’Angelo, le altre Comunità rappresentano un insieme di piccoli Paesi ad elevato IVSM (Indice di vulnerabilità sociale e materiale), dove solo in casi sporadici si superano i 5000 residenti. Comunità, ormai, vissute, per lo più, da popolazione anziana e private di ogni tipologia di servizio. In taluni casi, anche quelli più basilari.

Rilanciare politiche di inclusione e coesione, basate su principi di sussidiarietà che siano forieri di migliorie sociali, rivitalizzerebbe tali contesti. Per farlo sarà necessario far ripartire i servizi di base a cominciare da una rinnovata visione della sanità territoriale, accompagnata da un rimpinguo della sanità ospedaliera nei due presidi di montagna presenti.

Ed ancora preparando il campo ad uno sviluppo economico, produttivo, imprenditoriale turistico e culturale, foraggiato da una revisione e messa in sicurezza dei sistemi infrastrutturali comuni.

Senza dimenticare che un rinnovato processo di crescita dell’entroterra jonico, fedele ai dettami del new green deal, riverbererebbe benessere e crescita anche ai principali ambiti urbani rivieraschi a cui le Comunità, montane e pedemontane, fanno riferimento per i relativi servizi comprensoriali.

Registriamo, comunque, una nota positiva su quelle Municipalità poste sulle sponde del tratto terminale del Neto. Queste, con lungimiranza amministrativa, hanno iniziato a pianificare un percorso comune al fine di poter concorrere, entro la fine del prossimo mese, ad uno spin-off del bando sulla rigenerazione urbana, pensato su basi di aggregazioni demografiche. Così come plaudiamo all’operazione della unione di Comuni a cui si è proceduto poco tempo fa sul territorio del Pollino di levante. E, sempre sullo stesso ambito, alla recente e sinergica proposizione di un CIS (Contratto Istituzionale di Sviluppo) che, senza frammentare le forze in progetti singoli e non correlati, ha amalgamato una linea di pensiero tra più Enti ad una progettualità comune ed inclusiva.

D’altronde, le sfide del Pnrr, ci inducono a pensare che una rivisitazione degli attuali apparati amministrativi della Regione, giocoforza, dovrà essere attuata rivedendo la geografia politica e favorendo unioni, fusioni, contratti di fiume, ambiti ottimali, aree Vaste e Metropolitane che rappresentino, anche, il superamento degli attuali, scriteriati, confini amministrativi provinciali.

Operazioni di tale portata, contrariamente a quanto qualche mente deviata possa pensare, non limitano la partecipazione dei Cittadini alla vita democratica delle Comunità. Piuttosto adeguano ai dettami contemporanei una società ed un tessuto urbano e rurale da svecchiare e modernizzare in chiave sostenibile.

Invitiamo, quindi, a rivedere, revisionare, rettificare le azioni e le politiche impostate negli ultimi 30 anni.

E questo dovrebbe essere, per gli Amministratori jonici, un imperativo!

Solo così si potrà evitare che, da qui ai prossimi 20anni, le Aree Interne dell’Arco Jonico possano rappresentare la cartina di tornasole di un territorio isolato ed abbandonato. Evitando, ordunque, che queste si con figurino, nella loro quasi totale interezza, come grandi scenari fantasma dal quale i Cittadini continueranno a scappare via, a gambe levate, per l’assoluta carenza di servizi.

Invertiamo il paradigma che, ad oggi, ha rappresentato le linee di indirizzo con cui l’entroterra è stato guidato.

Del resto, se non ora, quando? (gnu-dm)

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