di PINO NANO – Calabria forever, è il caso di dire. In tante sale cinematografiche italiane in questi giorni viene proiettato un film che racconta lo scandalo della sanità in Calabria, lo stato comatoso e drammatico di certe strutture ospedaliere, il degrado infinito di certi ospedali, e soprattutto la disperazione e la solitudine infinita della gente dell’alto ionio dove curarsi è un sogno assolutamente impossibile.
Il regista Federico Greco, impastato di Calabria come pochi altri artisti della sua generazione, personaggio poliedrico geniale e grande padrone della macchina da presa questa volta ha scelto come punto di partenza della sua inchiesta e della sua denuncia Cariati, «uno sperduto paesino della Calabria affacciato sullo Jonio – dice – dove la sanità pubblica è ridotta al lumicino da decenni di tagli al bilancio e privatizzazioni».
«Con il Piano di rientro – aggiunge il regista di “C’era una volta in Italia”– è stato chiuso anche l’ultimo ospedale della zona: uno dei 18 ospedali cancellati nel giro di una notte in tutta la Calabria.Un manipolo di ribelli di ogni età decide allora di protestare come nessuno ha mai osato fare, occupando l’ospedale con l’obiettivo di ottenerne la riapertura. Nel frattempo alcuni dei più importanti intellettuali, medici, esperti e attivisti italiani e internazionali ci svelano le vere responsabilità locali e globali dell’attacco alla salute pubblica, e sostengono la lotta di Cariati».
Nel corso del lancio del film a Milano, ma prima ancora a Roma, Federico Greco non usa mezzi termini e dice: «Con C’era una volta in Italia si grida con rabbia,e anche con ironia, una cosa molto precisa, e si colpisce un obiettivo che fa male: gli interessi delle case farmaceutiche verso le praterie di profitto potenziale della sanità pubblica. Con nomi e cognomi. “Ue merda” si può dire, insomma, perché tutti sono colpevoli e quindi nessuno è colpevole.”Affaristi della sanità privata merda” no».
«Un film in cui il più grande intellettuale del mondo dopo Benasayag e Byung Chul-Han, Roger Waters, insieme a Jean Ziegler, Warren Mosler, Randall Wray e molti altri dimostra che la sanità privata è un crimine e che un gruppo di ragazzi di un paesino sperduto nel buco del culo del mondo può mettere in discussione la predazione delle multinazionali, non può finire sui giornali».
Nella “pancia” del film troviamo intellettuali di varie esperienze e di varie estrazioni culturali, da Ivan Cavicchi a Maria Elisa Sartor, da Vittorio Agnoletto a Gavino Maciocco, da Warren Mosier a Randall Wray, da Adriano Cattaneo al medico scrittore di seminara Santo Gioffré,, da Ken Loach a Cataldo Perri, da Nicoletta Dentico a Michael Marmot, da Jean Ziegler a Carlo Palermo, da Monica Di Sisto allo stesso Mimmo Formaro, attivista di primo piano dell’occupazione dell’ospedale di Cariati.
Si va avanti per proiezioni quasi “private”, organizzate un pò dovunque in tutta Italia, quasi si trattasse di cinema d’essai, ma anche a questo per gli autori del film c’è una sola spiegazione plausibile: «Tutti i giornali sono posseduti da grandi conglomerati di potere economico, finanziario e quindi politico. Di chi rappresenteranno mai gli interessi tali giornali? Dei nostri? Ovviamente no.Per questo C’era una volta in Italia non ha copertura mediatica da parte della grande stampa. Perché fa vera politica, racconta una lotta che rappresenta davvero i nostri interessi».
Un film forte, dai toni accesi e anche polemici, ma che riporta al centro del mondo il Caso-Sanità-Calabria, raccontando uno spaccato sociale di grande miseria e di grandi debolezze strutturali. Una provocazione intellettuale –certamente – una sfida culturale, ma soprattutto una denuncia pubblica di grande suggestione mediatica che il mondo della politica dovrebbe vedere dall’inizio fino alla fine. (pn)