«Io mi rivolgo all’uomo di fede, prima che al rappresentante Istituzionale, affinché possa dare la possibilità al popolo crotonese di esprimere la secolare devozione»:è questo l’appello che Paola Turtoro, cittadina di Crotone, lancia, attraverso una lettera, al vicepresidente della Regione Calabria, Nino Spirlì.
La richiesta è una: dare ai crotonesi, la «possibilità di pregare la Mamma di Capocolonna a protezione dal mostro che affligge il mondo», in quanto la terza domenica di maggio, normalmente, è previsto il tradizionale pellegrinaggio.
«La città di Crotone vive, da oltre 500 anni – si legge nella lettera – il mese di maggio in adorazione della sua Protettrice: la Madonna di Capo Colonna, la cui storia è nota a tutti i crotonesi che la venerano proprio in virtù della protezione che la Signora ha sempre offerto alla città. (Nell’ultima guerra mondiale Crotone non fu mai bombardata, perché – si dice – la Madonna aveva coperto l’aria di fumo nero in modo che gli aerei militari non riuscissero neanche a vederla; o durante il terribile terremoto dell’8 marzo 1832 che distrusse l’intera Calabria: i crotonesi, in quell’occasione, tentarono di salvare il quadro e si radunarono in un piazzale per invocare il suo aiuto, custodendola temporaneamente in una piccola edicola. Le cronache raccontano che, laddove in tutta la regione c’erano state delle vittime, a Crotone non ci fu neppure un ferito. Sono piccoli episodi che però testimoniano la profonda fede dei cittadini crotonesi vero la Madonna e come Lei, soprattutto nei momenti tristi, abbia sempre agito)».
«Una solennità questa – prosegue la lettera – che non si limita alla devozione popolare, ma interessa secoli di storia e tradizioni che affondano le loro radici sin dalla Magna Grecia. La devozione per la Madonna risale, secondo i documenti pervenutici, intorno al 1500, inquadrandosi nel contesto delle incursioni saracene che all’epoca flagellavano le coste crotonesi. Il 1° giugno del 1519, una razzia saracena quasi distrusse il promontorio di Capocolonna. Era questa un’area magica dove si trovavano, nel periodo magno greco, grandi templi come quello di Hera Lacinia e dove il cristianesimo era subentrato al mondo pagano sostituendo il culto della Dea Madre con quello della Vergine Madre, grazie all’edificazione di un piccolo santuario dove si trovava questa immagine di Maria. Nella razzia i turchi devastarono qualsiasi cosa in segno di disprezzo, inclusa la chiesetta, tanto che il quadro della Madonna fu addirittura bruciato. Secondo un antico racconto del canonico Basoino, però, nonostante i saraceni avessero attizzato il fuoco per oltre tre ore, l’immagine non si bruciò ma anzi irradiò dei bagliori miracolosi. A quel punto la tela venne portata nella nave che doveva tornare in Turchia, ma che in quel caso non riuscì nemmeno a spostarsi. Venne perciò buttata in mare come segno sprezzante di liberazione. La tela camminò sulle acque fino ad una zona di poderi e di giardini, dove un contadino la trovò e la conservò per anni in una cassapanca. Questo contadino – un tal Agazio – in preda ad una grave malattia diventò sordo e cieco. In punto di morte giunse nella sua casa un Frate di S. Francesco di Paola, a cui il contadino confessò di possedere una tela della Madonna che aveva trovato a mare. Dopo questo episodio l’uomo guarì completamente e già da allora si gridò al miracolo. Il Frate minimo la portò infatti nel suo monastero fuori dalla città per custodirla. Solo più tardi il vescovo dell’epoca, mons. Antonio Lucifero, dopo un pellegrinaggio devozionale, decise di portarlo nella Cattedrale. Con il successivo vescovo, mons. Miturno, un umanista. È suo il primo documento, giunto fino a noi, dove viene decretato il culto della Madonna di Capocolonna nella Cappella del Duomo. Qualche anno dopo, poi, Papa Gregorio XII dichiarò l’altare del Madonna altare privilegiato». (mp)