di FRANCO CIMINO – È tornato. Nuovamente è tornato. Non è la prima, non sarà l’ultima sua visita alla nostra Città. Tornerà anche quando sarà molto più impegnato. Ne sono certo. Nella sua Città. A Catanzaro. La sua Città, quel luogo che dalla piccola Satriano, sul cocuzzolo che guarda il mare, è diventato il mondo per lui. Sì, quel mondo del suo tutto. Prima immaginato. Dopo vissuto pienamente. Il mondo delle sue aspirazioni di ragazzo, bello e intelligente, con quei colori scuri sulla pelle. E negli occhi. I colori della “razza meridionale”. Quella in cui più a Sud, oltre il Mediterraneo, trovi tutto ciò che più ci somiglia.
A noi calabresi, somiglia. Trovi la terra, la più meridionale di tutte. La più simile alla Terra globale, unitaria. L’unica che abbiamo. La Terra dell’unico popolo che siamo. Dell’unica razza creata, quella umana. In questo Sud, a cui apparteniamo come popolo e come regione, trovi altro che più ci somiglia. La contraddizione nella nuova legge dei contrasti, innanzitutto. Arretratezza e cultura profonda, storia esaltante di dominazioni e ribellioni, schiena piegata sulla reti e sui campi ma non ai piedi del padrone, intelligenza robusta e sentimenti profondi, quelli ispirati dalla luna quando si riflette sul mare. Questo trovi. Ragione e fede, trovi. Religiosità e filosofia, trovi. Arte e contemplazione, pure. Dissesto e voglia di ricostruzione. E la Bellezza, trovi. Quella distrutta dalle inutili guerre e dalla stoltezza degli uomini. E quella ancora rimasta, perché i predatori non vi sono finora arrivati o perché i più coraggiosi tra noi l’hanno difesa.
In questo immenso Sud che ci unisce trovi, quindi, la disperazione e la speranza, la pigrizia e la lotta, il” mi fazzu i fatti mei” ,in tante lingue, e il “eu mi fazzu a pezzi pe’ tutti”, sintetizzato nel più cantato inno popolare, anche in tutte le lingue. Questo:” eu ti dugnu tutt’a vita mia.” Tutto questo, trovi a Sud. Nel nostro Sud. E in ogni Sud del pianeta. Mimmo Battaglia, il ragazzo di un borgo somigliante ai borghi belli della Calabria, cerca nella sua prima “grande” Città, quella vastità di spazi in cui poter realizzare i sogni di bambino e le aspirazioni di ragazzo.
Magari, anche un campetto migliore di quello sterrato a ridosso della strada, o in quel cortile cementato, dove dava calci a un pallone inventato. E chissà se non sognasse di diventare un campione. Ne dico per intuizione, ché per forza sarà stato questo anche per lui. Tutti i ragazzi della sua generazione, e della mia, qui, sognavamo la stessa cosa. L’incanto gli si consumò subito tra le mani e gli occhi. Mimmo si fece incendiare il cuore da quella fede che da sempre lo chiamava. Lo invitava con delicatezza. Lo sfidava con forza. Lo carezzava con la grazia più grande che possa scendere su un uomo che ama Gesù, la vocazione. E questa gli si accende nell’animo come un fuoco ardente. Che riscalda e non brucia. Illumina e non acceca.
Catanzaro, la sua Città, diventa il seminario dei suoi studi intensi, dove si distingue subito recuperando le difficoltà del suo partire dalla periferia. Passa il tempo. Gli anni corrono veloci, questi. E quel ragazzo diventa, dalle mani sante di un grande Vescovo, don Mimmo. In questa grande Città inizia la sua opera. Io, purtroppo, non me lo ricordo affatto questo suo periodo. Ero, infatti, noto dentro i confini, e, per la militanza politica, “cosmopolita” sempre in giro per la regione. E per le sedi scolastiche più lontane, dove insegnavo. Nel mezzo la mia Taverna, dove ho vissuto con moglie e figlie per quattordici anni. Don Mimmo, mi arrivò comunque, per la sua fama che cresceva. Anche qui c’entra il grande Vescovo, che gli fu padre e maestro.
E guida severa e dolce. Fu quando, narrano gli appunti della sua biografia ma anche il racconto che con gioia ne faceva, sempre, quel Vescovo, quando parlava con orgoglio di don Mimmo. Spero di ricordare bene e di non sbagliare. Un giorno quel giovane prete si reca da lui per chiedergli di essere inviato in qualche missione lontana. Troppa povertà assoluta, troppa ingiustizia quale forma più violenta dell’ingordigia umano, troppa sopraffazione del ricco sul povero, dei forti contro i deboli, troppi Gesù inchiodati ogni giorno sulla croce del dolore, reclamavano braccia e parole, spalle e preghiera, per lenire quelle sofferenze e, ricevendo il Vangelo, ricevessero anche la spinta a lottare, a riscattarsi. A costruirsi con le proprie mani un futuro di pace e di serenità, nel luogo che è il loro allo stesso modo in cui ogni luogo della terra, e tutta intera la terra, è anche il proprio. Perché i veri liberatori sono gli uomini che liberano sé stessi.
Da ogni prigione. E dagli inganni. La risposta del Vescovo gli arrivò immediatamente. Pressapoco questa: “tu resti qui. C’è una sofferenza enorme che ha bisogno di essere curata, combattuta, sconfitta”. E gli affida la guida del Centro Calabrese di solidarietà, l’ente che proprio quel Vescovo aveva contribuito a fondare nel lontano 1986, per contrastare, egli intuendone il più grave dei pericoli, il fenomeno, già allora impetuoso, della droga che stava consumando la vita di centinaia di ragazzi. Era il 1992, don Mimmo aveva solo ventinove anni. A gennaio ne compirà sessanta e da quasi sette è vescovo. Da due Arcivescovo di Napoli, dopo gli anni di Cerreto Sannita. Aveva ragione l’indimenticabile mons Antonio Cantisani, l’Africa del dolore don Mimmo l’avrebbe trovata qui.
Da quel Centro, nato per accogliere i tossicodipendenti che don Mimmo andava a “raccogliere” dalle strade più buie e isolate, è venuto crescendo un ente che opera nel campo delle emarginazioni sociali, dove l’abbandono fa il paio con tutte le condizioni di svantaggio che portano esseri umani indeboliti a essere preda di ogni violenza. Da quella domestica a quella delle contraddizioni proprie di questa società delle diseguaglianze. Lo chiamavano il prete di strada, don Mimmo, la denominazione forse a lui meno gradita. Di certo, quella che a me è sempre piaciuta poco. Anche perché troppo semplicistica e riduttiva rispetto a quella personalità gigantesca, sfuggente a qualsiasi denominazione e classificazione.
Per le lotte aperte fatte in Città, per le denunce dei mali che la stavano indebolendo impoverendola in ogni suo aspetto, per il coraggio delle sue posizioni nei confronti dei poteri, per il fascino della sua parola poetica, per la poesia con cui la modulava tra scrittura e oratoria, per la sua fede aperta e non giudicante, per la sua capacità di dialogo, per la sua capacità di comprensione dell’animo umano come ad alcuno esperto di scienze della mente riuscirebbe mai, per il suo amore per la chiesa aperta sulle strade degli uomini, per la sua idea del sacerdozio non chiuso ermeticamente nelle sagrestie, per il suo amore per Gesù e la sua passione per il Vangelo, egli è molto molto di più. È semplicemente un prete. Ecco, questo egli è.
Don Mimmo Battaglia, il prete con il “bastone” e l’anello del Vescovo, oggi è a Catanzaro. Vi è tornato per fare festa con la sua creatura, il Centro Calabrese, da lui stesso affidato alle mani forti di una donna fortissima, accanto a lui, in quella fatica, per oltre vent’anni, Isolina Mantelli. È un compleanno importante ma normale, non tocca la cifra tonda. È infatti il trentasettesimo. C’è una ragione, però, che lo rende davvero solenne e celebrativo. È quella di richiamare l’attenzione della gente su una struttura che ha bisogno di molti sostegni perché non ce la fa più a rispondere a tutti i bisogni di cui si occupa.
Ma anche questo non basta. Come non basta l’appello agli enti pubblici di liberarsi dall’avarizia verso i più bisognosi, per sciogliersi, invece, come fa da sempre, indisturbata nelle tasche bucate del clientelismo e del finanziamento immorale alla brutta politica, già troppo coperta dalle laute indennità di chi la rappresenta, unitamente ai super stipendi di manager e alti burocrati. L’accoppiata oggi pomeriggio di don Mimmo e di don Claudio( il nostro nuovo vescovo), servirà per sensibilizzare le persone a donare. E a donare tanto di più di qualche euro. Donare il proprio impegno nel sociale per fare in modo che in un prossimo futuro siano sempre di meno i povericristi da dover accogliere in quella casa della solidarietà sociale e dell’amore per l’uomo.
Benvenuto don Mimmo, allora, amico di Catanzaro, dove spero che ti si possa presto invitare a tornare per essere “eletto”, dal Civico Consesso, Cittadino Onorario. Poco più di vent’anni fa, lo divenne anche il tuo maestro, che ci ricambiò di un amore infinito e grato. Come il tuo, che estenderai alle Chiese che ti saranno affidate per farle crescere con te. Noi tutti orgogliosi del più lungo cammino che farai. (fc)