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IN CALABRIA LE POLITICHE GIOVANILI SONO
UN LUSSO: NON ESISTE UNA LEGISLAZIONE

IN CALABRIA LE POLITICHE GIOVANILI SONO UN LUSSO: NON ESISTE UNA LEGISLAZIONE

di GUIDO LEONEIn una società interessata da fenomeni quali la permanenza dell’abbandono scolastico, la microcriminalità giovanile, le nuove forme di tossicodipendenza, le aggregazioni in gruppi portatori di valori asociali, l’avanzata della cultura dell’omologazione che coinvolgono fasce sempre più ampie della popolazione giovanile e non più esclusivamente soggetti tradizionalmente considerati come ‘marginali’, diviene importante prendere coscienza che si deve progettare insieme con e per i giovani gli interventi aggregativi ed educativi che mirano ad un modello di cittadinanza attiva dei giovani. Questo con la consapevolezza che quella di investire sull’aggregazione giovanile non legata ai consumi è una scelta precipuamente politica (che non si paga da sé).

Negli anni ’90 in particolare si sono sviluppati, grazie soprattutto a finanziamenti pubblici di diverso tipo (la L.285/97, le leggi sulla prevenzione delle tossicodipendenze, solo per citarne alcune)una pluralità di progetti legati all’aggregazione giovanile intesa come primo livello del protagonismo sociale dei giovani e come forma di prevenzione primaria specifica. Non c’è dubbio che questi interventi, promossi e realizzati dalla scuola, dagli enti locali, dalle Asl e dal Terzo Settore hanno evidenziato un cambio culturale, un nuovo approccio ai bisogni e alle aspettative della condizione giovanile. Il rischio dell’autoreferenzialità è stato costante.

Ma purtroppo non si è radicato un modo nuovo di agire degli Enti Locali. Le politiche giovanili hanno sempre avuto ed hanno, ancor più oggi,  risorse precarie o limitate, faticano a rappresentare e dare voce ad un protagonismo giovanile che cresce dentro una società ansiosa, una generazione adulta ed anziana protettiva nei confronti dei giovani.

Insomma, una politica giovanile inadeguata rispetto alla complessità, ai cambiamenti avvenuti, ai nuovi poteri e alle competenze che si stanno definendo.

Certo si può  parlare di democrazia come nuovi scenari e nuovi poteri. Dove le arene pubbliche si misurano con gli ambiti di identificazione territoriale, dove il comune è al primo posto e dove l’Europa per i giovani rappresenta un riferimento forte; con la insufficiente soddisfazione per l’attuale funzionamento della democrazia; con la convinzione che la democrazia è comunque la migliore forma di governo possibile anche se i giovani pensano più di altri che abbia bisogno di correttivi; con il dibattito sul decisionismo rappresentato dai presidenzialismi ai vari livelli; con un giudizio sospeso sulla corruzione del sistema; con i contenuti della democrazia che vedono prevalere il diritto alla salute, alla legalità, al lavoro, alle libertà, all’istruzione, ecc. mentre la partecipazione resta relegata al fondo delle parole che danno significato al termine.

Ma i nuovi scenari sono rappresentati anche dalla crisi dei partiti dove, fino a qualche decennio fa, si formava alla partecipazione, si educava alla politica, si tenevano le relazioni strutturate con la società. È uno scenario che vede la disaffezione verso la politica e la caduta libera della partecipazione attiva dei giovani ai partiti politici, mentre assumono ruoli emergenti, ma anche di riferimento, istituzioni varie, dagli uomini di scienza alle forze dell’ordine, dalla chiesa al sindaco.

Ed è una democrazia, anche, dove si rileggono opinioni e valori. E anche con sorprendenti novità nelle riflessioni dei nostri giovani. Parlare dialetto è considerato un fattore di identità locale; non è importante diminuire le tasse quanto utilizzare meglio i soldi versati dai contribuenti. Cambia il giudizio di approvazione e non approvazione sui comportamenti sociali:la prima qualità da trasmettere ai figli è il senso di responsabilità, l’indipendenza tra le ultime; l’uomo politico deve essere onesto, competente, coerente, efficiente.

Ma ci sono altri aspetti di questi nuovi scenari. Un impianto ancora familistico, con un famiglia sempre più fragile ma vero capitale sociale del nostro territorio , vede i giovani fruitori di percorsi protettivi lunghi. Un mondo economico che riflette sul capitale sociale prodotto ma che offre ai giovani lavori caratterizzati sempre più da nuove forme di flessibilità e precarietà. Una società dove la sicurezza sociale diventa valore. Torna la piazza antagonista ma finisce con l’essere una esperienza comunitaria di prossimità fisica, condivisione di emozioni, ma che non genera progetto ,non produce identità, rispetto agli anni forti della contestazione.

Anche se segnala nuove culture emergenti (pace, legalità, sviluppo sostenibile, giustizia, Nord/Sud, nodi ecologici, diritti civili). Mentre resta ai margini della maggioranza l’esperienza dei centri sociali, dei gruppi antagonisti per scelta di campo. Su tutto, i media, la televisione, finiscono con l’essere l’unico strumento di partecipazione – monodirezionale – e di informazione politica.

Da questi ed altri elementi sono alimentati i modelli di governance del territorio. Ma come favorire la partecipazione giovanile nella nostra realtà locale?

La risposta passa attraverso la capacità soprattutto della  amministrazione comunale. Il Comune è l’Ente pubblico più vicino ai propri cittadini, è in grado di conoscere meglio e di rappresentare le istanze della propria comunità, ne cura gli interessi e ne promuove lo sviluppo.

In assenza di una normativa nazionale specifica per la fascia giovanile, che definisca gli obiettivi delle politiche pubbliche per i giovani, ci si trova di fronte a un quadro complesso, per cui vi sono politiche molto diverse da regione a regione, ma soprattutto non vi è un quadro normativo dentro il quale definire i compiti e le funzioni degli enti locali. Alcune regioni hanno emanato delle leggi apposite. La Calabria è una delle pochissime regioni in Italia a non avere una legislazione in materia di politiche giovanili.

Voglio sperare che la Giunta regionale calabrese assuma presto iniziative legislative in proposito. Gli aspetti negativi sono rappresentati dalla scarsa e disordinata diffusione delle politiche per i giovani nei comuni. Nella nostra provincia la maggior parte degli enti non ha un assessorato di riferimento. 

È considerato un lusso, un optional in presenza della grave crisi finanziaria peraltro. E laddove esiste da un punto di vista delle competenze amministrative e delle deleghe politiche non vi è chiarezza riguardo la collocazione delle politiche per i giovani, non esiste una loro area politico-amministrativa specifica e definita, ma queste politiche sono distribuite in area di competenza molto diverse tra loro: cultura, istruzione, servizi socio-assistenziali e sanitari, lavoro, sport e tempo libero, producendo un effetto di frammentazione degli obiettivi, degli indirizzi. Per non parlare della cronica scarsità delle risorse. Tutto ciò affonda le migliori intenzioni. (gl)

[Guido Leone è già Ispettore tecnico Usr Calabria]

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