di BRUNELLA GIACOBBE – Il romanzo La festa del ritorno di Carmine Abate, edito Mondadori nel 2004, diventa lungometraggio nel primo film diretto da Lorenzo Adonisio, noto direttore della fotografia, uscito nelle prime sale il 13 novembre.
Carmine Abate
Abate è il talentuoso autore italiano, appartenente alla comunità arbëreshe di Carfizzi in provincia di Crotone, che si è distinto nel panorama letterario per la sua vasta produzione di racconti, romanzi e saggi. Le sue opere si concentrano prevalentemente sui temi dell’emigrazione e dell’intersezione tra diverse culture, esplorando le sfumature complesse e gli intrecci umani che emergono dal fenomeno migratorio. Inizia il suo viaggio accademico laureandosi in Lettere presso l’Università di Bari. Successivamente si trasferisce ad Amburgo, in Germania, raggiungendo suo padre lì emigrato. In questa nuova città lavora come insegnante in una scuola dedicata ai figli di emigranti, un’esperienza che ha notevolmente influenzato la sua scrittura.
Nella narrativa di Abate, i temi dominanti si radicano profondamente nella memoria delle tradizioni culturali, scaturiti dalla sua personale esperienza di emigrato e riflesso del suo sguardo sensibile e attento sul mondo.
Queste opere trascendono la semplice narrazione, diventando un ponte tra culture e un omaggio alle radici e alle nuove realtà incontrate lungo il percorso di vita dell’autore.
Motivo per cui dal regista del film e dagli attori arriva forte il messaggio che sì “La festa del ritorno” è la storia di un’emigrazione calabra, ma rappresenta la storia dell’emigrazione italiana all’estero, l’essenza di ogni emigrazione.
Il film di Lorenzo Adonisio
Adonisio è riuscito bene nel tentativo di portare in vita le pagine del romanzo. Curando ambientazioni, atmosfere e dettagli iconici, grazie al doppio ruolo di regista e autore dell’immagine, nonché alla sapiente direzione professionale e umana, riferiscono gli attori, del cast: Alessio Praticò, Carlo Gallo, Anna Maria De Luca, Annalisa Insardà e Federica Sottile compongono il cast adulto di questa produzione. Ma è il piccolo-grande protagonista Daniele Procopio, che debutta sullo schermo per la prima volta, a catturare particolarmente l’attenzione.
In una notte di Natale, sotto il manto stellato e davanti a un falò ardente sul sagrato, si svolge un intenso dialogo tra un padre e un figlio. Il primo, un emigrante dal cuore diviso, narra la sua vita fatta di dolorose partenze e ritorni struggenti, una vita sospesa in un eterno balletto tra la Francia e il loro paese natale. Il secondo, il figlio, racconta del suo profondo spaesamento, della rabbia bruciante per i periodi trascorsi senza la figura paterna, ma anche dell’incanto puro e luminoso dell’infanzia, trascorsa in un paesaggio che sembra dipinto con i colori vivaci e l’esuberanza della natura. Ma nel cuore di entrambi giace un segreto profondo e tormentato, un segreto che riguarda l’amore ardente e proibito della loro figlia maggiore per un uomo avvolto nel mistero.
Questo enigma, tessuto di silenzi e sguardi non detti, si dipana lentamente, svelando le sue molteplici sfaccettature fino a condurre a una conclusione sorprendente e inaspettata. Ambientato in un vibrante paese arbëreshe della Calabria, ‘La festa del ritorno’ è un’opera poliedrica che intreccia i fili di un romanzo di formazione con quelli di una storia d’amore intensa e appassionata.
Al contempo, è un grido di denuncia verso le difficili condizioni di vita che spingono tante anime del Sud – e d’Italia e di ogni luogo del mondo che spinge i propri frutti a migrare per offrire una vita migliore ai figli e alla famiglia in generale – a lasciare le loro radici in cerca di fortuna in terre lontane. Quest’opera non è solo una narrazione, ma un viaggio emotivo e culturale che attraversa il tempo e lo spazio, risuonando profondamente nel cuore di chi ho letto il romanzo e di chi vedrà il film.
Le dichiarazioni di Praticò
Va detto che abbiamo scoperto per l’ennesima volta l’imminente uscita di un film meritevole grazie alla trasmissione “Dalla A allo Zemeckis” in onda sull’emittente catanzarese Radiociak ed in particolare grazie alla verve, alla spudorata e al contempo signorile sincerità dell’ideatore, conduttore e responsabile della trasmissione per gli appassionati di cinema, Mattia Canino.
In collegamento telefonico Alessio Praticò, sollecitato dalle domande del Canino, ha condiviso la genesi del suo ingaggio: «Fui contattato da Lorenzo per incontrarci e parlare del team del film. Una volta incontrati fu amore a prima vista perché Lorenzo Adonisio è una persona splendida e ci siamo trovati subito con l’idea di cinema che abbiamo in comune. Inoltre son o rimasto molto colpito dal suo garbo, dalla delicatezza e dall’entusiasmo con cui mi ha raccontato com’è nata l’idea del film. Quindi mi sono subito innamorato del progetto, ho letto la sceneggiatura e non ci ho pensato due volte a partecipare al film».
E ancora: «Di Tullio, il mio personaggio, mi ha colpito profondamente la tenerezza. Una tenerezza che nonostante tutto ciò che è costretto a vivere – emblematica la metafora che condivide col figlio e che il figlio stesso più avanti nelle scene gli rimanda indietro come a dire “Ho capito che intendi” (n.d.r.) – e che gli accade, nonostante la lontananza cui è costretto ha un rapporto intimo coi figli e cerca in tutti i modi di essere utile alla famiglia, con dolcissime manifestazioni d’affetto e con la saggia fermezza di un padre che intende crescere “a modo” la prole».
«Nell’immaginario di Lorenzo, quello che esce fuori, è questa Calabria con questi paesaggi che gli appartengono, che sono le radici di tutti noi calabresi, ma che al contempo per come sono rappresentati storia possono essere, e sono, tutti i luoghi del mondo che hanno vissuto e vivono certe dinamiche raccontate nella storia. Solo se hai radici puoi imparare a volare. In questo senso mi sono divertito molto durante il grande lavoro di squadra a trovare quelle sfumature di una vicenda familiare tipica di più parti d’Italia e come dicevo prima di qualunque parte del mondo». (bg)