La Festa del ritorno di Carmine Abate, dal libro al cinema

di BRUNELLA GIACOBBEIl romanzo La festa del ritorno di Carmine Abate, edito Mondadori nel 2004, diventa lungometraggio nel primo film diretto da Lorenzo Adonisio, noto direttore della fotografia, uscito nelle prime sale il 13 novembre.

Carmine Abate

Abate è il talentuoso autore italiano, appartenente alla comunità arbëreshe di Carfizzi in provincia di Crotone, che si è distinto nel panorama letterario per la sua vasta produzione di racconti, romanzi e saggi. Le sue opere si concentrano prevalentemente sui temi dell’emigrazione e dell’intersezione tra diverse culture, esplorando le sfumature complesse e gli intrecci umani che emergono dal fenomeno migratorio. Inizia il suo viaggio accademico laureandosi in Lettere presso l’Università di Bari. Successivamente si trasferisce ad Amburgo, in Germania, raggiungendo suo padre lì emigrato. In questa nuova città lavora come insegnante in una scuola dedicata ai figli di emigranti, un’esperienza che ha notevolmente influenzato la sua scrittura.

Nella narrativa di Abate, i temi dominanti si radicano profondamente nella memoria delle tradizioni culturali, scaturiti dalla sua personale esperienza di emigrato e riflesso del suo sguardo sensibile e attento sul mondo.

Queste opere trascendono la semplice narrazione, diventando un ponte tra culture e un omaggio alle radici e alle nuove realtà incontrate lungo il percorso di vita dell’autore.
Motivo per cui dal regista del film e dagli attori arriva forte il messaggio che sì “La festa del ritorno” è la storia di un’emigrazione calabra, ma rappresenta la storia dell’emigrazione italiana all’estero, l’essenza di ogni emigrazione.

Il film di Lorenzo Adonisio

Adonisio è riuscito bene nel tentativo di portare in vita le pagine del romanzo. Curando ambientazioni, atmosfere e dettagli iconici, grazie al doppio ruolo di regista e autore dell’immagine, nonché alla sapiente direzione professionale e umana, riferiscono gli attori, del cast: Alessio Praticò, Carlo Gallo, Anna Maria De Luca, Annalisa Insardà e Federica Sottile compongono il cast adulto di questa produzione. Ma è il piccolo-grande protagonista Daniele Procopio, che debutta sullo schermo per la prima volta, a catturare particolarmente l’attenzione.

In una notte di Natale, sotto il manto stellato e davanti a un falò ardente sul sagrato, si svolge un intenso dialogo tra un padre e un figlio. Il primo, un emigrante dal cuore diviso, narra la sua vita fatta di dolorose partenze e ritorni struggenti, una vita sospesa in un eterno balletto tra la Francia e il loro paese natale. Il secondo, il figlio, racconta del suo profondo spaesamento, della rabbia bruciante per i periodi trascorsi senza la figura paterna, ma anche dell’incanto puro e luminoso dell’infanzia, trascorsa in un paesaggio che sembra dipinto con i colori vivaci e l’esuberanza della natura. Ma nel cuore di entrambi giace un segreto profondo e tormentato, un segreto che riguarda l’amore ardente e proibito della loro figlia maggiore per un uomo avvolto nel mistero.

Questo enigma, tessuto di silenzi e sguardi non detti, si dipana lentamente, svelando le sue molteplici sfaccettature fino a condurre a una conclusione sorprendente e inaspettata. Ambientato in un vibrante paese arbëreshe della Calabria, ‘La festa del ritorno’ è un’opera poliedrica che intreccia i fili di un romanzo di formazione con quelli di una storia d’amore intensa e appassionata.

Al contempo, è un grido di denuncia verso le difficili condizioni di vita che spingono tante anime del Sud – e d’Italia e di ogni luogo del mondo che spinge i propri frutti a migrare per offrire una vita migliore ai figli e alla famiglia in generale – a lasciare le loro radici in cerca di fortuna in terre lontane. Quest’opera non è solo una narrazione, ma un viaggio emotivo e culturale che attraversa il tempo e lo spazio, risuonando profondamente nel cuore di chi ho letto il romanzo e di chi vedrà il film.

Le dichiarazioni di Praticò

Va detto che abbiamo scoperto per l’ennesima volta l’imminente uscita di un film meritevole grazie alla trasmissione “Dalla A allo Zemeckis” in onda sull’emittente catanzarese Radiociak ed in particolare grazie alla verve, alla spudorata e al contempo signorile sincerità dell’ideatore, conduttore e responsabile della trasmissione per gli appassionati di cinema, Mattia Canino.

In collegamento telefonico Alessio Praticò, sollecitato dalle domande del Canino, ha condiviso la genesi del suo ingaggio: «Fui contattato da Lorenzo per incontrarci e parlare del team del film. Una volta incontrati fu amore a prima vista perché Lorenzo Adonisio è una persona splendida e ci siamo trovati subito con l’idea di cinema che abbiamo in comune. Inoltre son o rimasto molto colpito dal suo garbo, dalla delicatezza e dall’entusiasmo con cui mi ha raccontato com’è nata l’idea del film. Quindi mi sono subito innamorato del progetto, ho letto la sceneggiatura e non ci ho pensato due volte a partecipare al film».

E ancora: «Di Tullio, il mio personaggio, mi ha colpito profondamente la tenerezza. Una tenerezza che nonostante tutto ciò che è costretto a vivere – emblematica la metafora che condivide col figlio e che il figlio stesso più avanti nelle scene gli rimanda indietro come a dire “Ho capito che intendi” (n.d.r.) – e che gli accade, nonostante la lontananza cui è costretto ha un rapporto intimo coi figli e cerca in tutti i modi di essere utile alla famiglia, con dolcissime manifestazioni d’affetto e con la saggia fermezza di un padre che intende crescere “a modo” la prole».

«Nell’immaginario di Lorenzo, quello che esce fuori, è questa Calabria con questi paesaggi che gli appartengono, che sono le radici di tutti noi calabresi, ma che al contempo per come sono rappresentati storia possono essere, e sono, tutti i luoghi del mondo che hanno vissuto e vivono certe dinamiche raccontate nella storia. Solo se hai radici puoi imparare a volare. In questo senso mi sono divertito molto durante il grande lavoro di squadra a trovare quelle sfumature di una vicenda familiare tipica di più parti d’Italia e come dicevo prima di qualunque parte del mondo». (bg)

La Festa del Ritorno di Carmine Abate ora è un film

di PINO NANO – La Festa del Ritorno, è il titolo del film tratto dall’omonimo romanzo di Carmine Abate, finalista alla selezione Campiello, per la regia di Lorenzo Adorisio, e una Coproduzione Italia/ Francia tra Alba Produzioni e le società Francesi Gorilla Group e Leon Film. Il film è stato girato a maggio 2022 tra la Calabria e Parigi e ora arriva a Cosenza per il suo primo lancio nazionale.

Il 12 novembre l’anteprima nazionale a Cosenza, al cinema San Nicola, ore 16, alla presenza dello scrittore Carmine Abate e quella degli attori che sono tutti calabresi

La storia del film è bellissima, Carmine Abate aveva già scritto un libro incantato, ma ora la magia del cinema ha trasformato il suo romanzo in un film di grande impatto mediatico, pieno di emozioni e di calore umano, dove primeggiano i colori dei campi calabresi che in primavera sono tra i più belli d’Europa.

La Festa del Ritorno – ci dice Carmine Abate – «è un racconto di formazione che racchiude in sé il rapporto tra padre e figlio, sospeso tra assenze e ritorni e l’incanto che nasce dallo sguardo di un bambino. Una preziosa testimonianza sulla nostra emigrazione». 

Il cast artistico del film è costituito prevalentemente da attori Calabresi: Alessio Praticò, Carlo Gallo, Anna Maria De Luca, Annalisa Insardà, Federica Sottile e per la prima volta sullo schermo il bambino Daniele Procopio.

La sceneggiatura è di Gualtiero Rosella, Annalisa Ruoppolo e Manuela Tovo. Il film, girato in Calabria nelle località di Cirò, Melissa, Carfizzi, Crucoli e Verzino, è una coproduzione italo-francese, ed è realizzato da Alba Produzioni per l’Italia, Gorilla Group e Leon Film per la Francia, in collaborazione con il Ministero della Cultura, Fondazione Calabria Film Commission, Lazio International e con il patrocinio dei Comuni di Carfizzi e Cirò. 

«Il romanzo di Carmine Abate – dice il regista Lorenzo Adorisio – ha tutti gli elementi utili che mi hanno sempre affascinato per raccontare una storia di una terra apparentemente lontana, ma che mi appartiene per tradizione e cultura. Carmine Abate con il suo romanzo ha magistralmente costruito, probabilmente anche lui attraverso un percorso autobiografico, un quadro familiare da contemplare, su cui riflettere. I temi universali trattati sono molti: l’emigrazione, il lavoro, il sentimento di abbandono, la mancanza, la rabbia, il rapporto con la natura, il ritorno, la crescita, la famiglia e la complessità della sua sussistenza. Tutti questi temi s’intrecciano e saranno raccontati attraverso lo sguardo e le emozioni di Marco, un ragazzino di dodici anni il protagonista della storia. La sua identità sarà messa in crisi più volte dagli eventi ed è proprio attraverso le sue emozioni, il suo sguardo vigile ma ingenuo che riusciremo a comprendere meglio la complessità e la difficoltà di crescere, ma anche la fortuna di vivere a stretto contatto con la natura». 

Il film di Lorenzo Adorisio racconta di un piccolo paese “arbëreshë” immerso nella campagna calabrese, dove gli uomini sono costretti a partire per trovare lavoro e mantenere le loro famiglie. È qui che vive Marco dodici anni, in una famiglia di sole donne, il racconto che ne fa Carmine Abate riconferma la statura dello scrittore calabrese. C’è sua nonna, sua madre Francesca, ed Elisa, sua sorella, 20 anni, studentessa all’Università di Cosenza. Il padre Tullio vive in Francia, come dicono dalle sue parti. Lavora in miniera e al paese torna solo per le feste. Marco cresce solo, libero. Passa le sue giornate tra la scuola, gli amici e i vagabondaggi in quel paesino fermo nel tempo, con il suo fedele cane, Spertina.

«È la natura – aggiunge ancora Lorenzo Adorisio – l’altra protagonista della storia. Natura intesa non come forma bucolica ma come forza motrice della vita, fonte inesauribile e di conoscenza e mistero che, purtroppo oggi stiamo sempre di più allontanando dalla nostra esistenza, ignorandola e negandole tutti gli insegnamenti che è in grado di darci. La natura incontaminata, che avvolge il paese dove è nato Marco, sarà ripresa sempre con dei quadri di ampio respiro, sia visivo che sonoro. Sarà la natura stessa a guidarmi nelle inquadrature che ospiteranno i nostri personaggi. Un approccio antropologico rispetterà il dialetto e l’intonazione arbereshe, ma non credo, se non in limitati casi, ci sarà bisogno dei sottotitoli. Troverò Marco e gli altri ruoli di ragazzi disposti a fare gli attori lì sul luogo, mentre per le altre figure mi appoggerò ad attori professionisti. Sono certo con questo film di rispettare i concetti fondamentali dell’opera letteraria di Carmine Abate, riuscire con la cinepresa ad amplificarli e magari a portare alcuni di quei ragazzi anche nelle sale cinematografiche di Roma. Perché no?».

Un figlio e un padre, dunque, protagonisti assoluti di questa pellicola che già si preannuncia un successo scontato.

Un ragazzino che, suo malgrado, decide di crescere in fretta, e prendere il suo posto, per difendere sua sorella. Un’infanzia vissuta libera e impetuosa. Un uomo costretto a emigrare per dare un po’ di benessere alla sua famiglia. Un amore vissuto lontano dal proprio paese, con un segreto da nascondere. La comunità degli albanesi d’Italia, con la loro lingua, e le loro tradizioni. Un paese del sud, immerso in una natura selvaggia, tra la montagna e il mare, dove crescere nella meraviglia di una terra dal carattere forte, piena di sapori, di struggimento e di rabbia. Infine, all’improvviso, uno sparo per rimettere in ordine il caos. Da lì a poco però, gli eventi, spingeranno Marco ad un gesto inconsapevole pur di salvare sua sorella…

Un film bellissimo, struggente, corale, che racconta in maniera superba e magistrale la grande tradizione arberesche in Calabria, ed è quanto basta per consacrare Carmine Abate tra gli scrittori moderni più famosi del momento. (pn)

 

A San Ferdinando l’ultimo romanzo di Carmine Abate

di PINO NANOScritto per la Mondadori, il lancio nazionale del suo ultimo libro Carmine Abate lo ha voluto in Calabria, nella Sala Consigliare di San Ferdinando, il prossimo 3 ottobre alle ore 18, per suggellare forse la bellezza della tradizione che lo scrittore calabrese ripropone in questo suo nuovo testamento romantico.

Poi il giorno 5 a Roma alla Biblioteca Casanatense dove Rosario Sprovieri e Luigi Salvati gli hanno preparato una grande Festa d’autore. 

Torna prepotentemente di scena dunque, nel panorama letterario italiano, lo scrittore calabrese Carmine Abate, e torna questa volta con un romanzo bellissimo, dai toni forti, e dalla narrazione avvolgente, un romanzo dedicato ancora una volta alla sua terra di origine, la Calabria, e il dito puntato su una delle realtà più iconiche della storia dello sviluppo meridionale, il paese di Eranova, alle porte di Rosarno, oggi il paese non esiste più perché al suo posto hanno costruito negli anni il grande porto di Gioia Tauro. 

Un romanzo che si porta dentro la malinconia di chi è emigrato per sempre, e di chi da emigrato continua a tornare nella sua casa di origine per ritrovare quel poco che è ancora rimasto di lui e della sua vita in questo angolo remoto del mondo. Questa volta il suo “Paese felice” diventa Eranova, il paese fantasma attaccato a San Ferdinando, tra Rosarno e Gioia Tauro, e «dove le pietre con cui sono state costruite le case di Eranova, parlano la lingua della leggenda e sono impastate di un magma ribollente capace di travolgere il mondo per come ci viene consegnato».

Il romanzo che segue è di un lirismo unico al mondo, ma solo Carmine Abate è ancora capace di questi voli pindarici e sentimentali, quasi un acrobata dei sentimenti e del ricordo, della tradizione e dell’orizzonte che sta di fronte.

Negli anni Settanta – racconta lo scrittore – Eranova è ancora un paese giovane, fondato nel 1896, quando alcuni massari e contadini si ribellarono al marchese proprietario delle terre in cui vivevano per rivendicare la propria libertà, dare sostanza a un’utopia, edificarla in pietra e carne. Lo sa bene Lina, una studentessa idealista e caparbia come i fondatori del suo paese. 

Fantasia e realtà si fondono insieme, e ancora una volta Carmine Abate riesce a commuovere chi lo legge, trasferendo nel romanzo verità storiche che hanno profondamente segnato la storia dell’intero mezzogiorno.

«Lina, quando Lorenzo la incontra all’università di Bari, ignora il motivo dell’inquietudine che si annida nei suoi occhi verdi, non sa che Eranova rischia di sparire per far posto al quinto centro siderurgico italiano. Lina non si dà pace, e cerca di convincere la gente a lottare contro questa colossale follia, utile solo per riempire le tasche voraci della ‘ndrangheta. Aiutata da Lorenzo, scrive appelli al presidente della Repubblica, al papa, al presidente del Consiglio, a politici e persino a Pasolini, conosciuto in una libreria di Bari, perché blocchino il progetto, prima che sia troppo tardi». 

In questo suo ultimo libro Carmine Abate supera sé stesso, probabilmente è questo il libro cardine della sua maturità di scrittore, ma dipinge il quadro di un’Italia pronta a cedere alle lusinghe del benessere, timorosamente fatalista, in balìa delle emergenze politiche e sociali come nessun altro era riuscito a farlo prima di lui. Cosa che lo scrittore calabrese fa attraverso la sua scrittura di sempre, una scrittura densa, scattante, potente, evocativa, alla sua maniera di sempre, avvolgente, carismatica, come se lui stesso fosse figlio di Eranova, e non di Carfizzi come in realtà lo è, e avesse trascorso la sua infanzia tra gli aranceti che sorgevano un tempo da quelle parti.

Un paese felice è un’abbagliante storia d’amore e di rabbia, di destini individuali e destino collettivo, di “violenza delle memorie” e, nonostante tutto, di speranza. 

«Perché i protagonisti – tutto questo Carmine Abate lo scrive con la fierezza che da sempre segna la sua vita di intellettuale e di scrittore moderno – sono due giovani conquistati dalla forza dell’utopia, che lottano contro i potenti e non rinunciano a portare il loro impegno nel flusso indifferente della Storia. Attorno a loro, un coro di voci possenti e vive che incrociano la storia di un secolo, catturano la nostra coscienza e rendono attualissima e universale la vicenda di Eranova». 

Meraviglioso, a tratti sublime, perfettamente aderente alla realtà di quegli anni, Carmine Abate si riconferma ancora una volta testimone straordinario di una Calabria che muore ogni giorno che passa, e soprattutto cantore superbo di una tradizione antica che è quella del suo popolo e della sua gente, lui arberesch dalla testa ai piedi ancora oggi, e che confessa candidamente come il dialetto calabrese sia rimasta la sua lingua del cuore, dovunque egli sia in giro per il mondo.

Un uomo, uno scrittore, una leggenda.

«Il mio luogo è ormai un pluriluogo, un mosaico di luoghi a me cari, fatto di tante radici, tante lingue, tante culture, tanti sguardi. Sono i luoghi che mi parlano, che mi raccontano le loro storie più segrete. Il luogo centrale, dove sono nato e da dove sono partito, è un piccolo paese arbëreshë della Calabria, Carfizzi, che da sempre è stato il microcosmo multiculturale e plurilinguistico da cui ho attinto a piene mani, è una Calabria in miniatura, che nei miei libri chiamo Hora, Roccalba, Spillace, Carfizzi. Da microcosmo, diventa macrocosmo, universale come la Calabria, una terra bellissima ma ferita, e io cerco di raccontarne sempre la bellezza senza dimenticare le ferite e viceversa. Dentro ci trovo i grandi temi della letteratura di tutti i tempi: la ricerca dell’identità, l’emigrazione, il ritorno, la natura e soprattutto l’amore. Soprattutto, l’amore». 

L’autore. Carmine Abate è di origine albanese ma è nato a Carfizzi. Ora vive tra la Germania, il Trentino e la regione d’origine. Ha esordito come narratore nel 1991 con II ballo tondo, che è stato tradotto anche in Germania e in Albania. Ripubblicato nel 2000 da Fazi, ha vinto il premio Arge-Alp. Nel 1999 con La moto di Scanderbeg ha avuto un grande successo di critica e di pubblico, al quale sono seguiti altri romanzi, Tra due mari (Mondadori, 2002), La festa del ritorno, (Mondadori, 2004, finalista al Premio Campiello), II mosaico del tempo grande (Mondadori, 2005), Vivere per addizione e altri viaggi (Mondadori, 2008), Gli anni veloci (Mondadori, 2009), La collina del vento (Mondadori, 2012), Il bacio del pane (Mondadori, 2013), Il banchetto di nozze e altri sapori (Mondadori, 2016), Le rughe del sorriso (Mondadori, 2018). (pn)

PRAIA A MARE (CS) – Incontro con Carmine Abate

Questa sera, a Praia a Mare, alle 22.30, a Piazza Municipio, sarà presentato il libro Il cercatore di luce di Carmine Abate, edito da Mondadori.

L’evento rientra nell’ambito della rassegna d’autore, giunta alla 16esima edizione. Dialogano con l’autore Isabella Bencardino, consigliera alla Cultura, e Igidio Lorito, giornalista, organizzatore della rassegna d’autore “Praia, a mare con…” (rcs)

 

“Il cercatore di Luce” di Carmine Abate vince il Premio della Montagna Cortina

Il cercatore di luce di Carmine Abate ha vinto il Premio della Montagna Cortina d’Ampezzo.

A decretare la vittoria del romanzo di Carmine Abate è stata una giuria di eccellenza, presieduta da Marina Valensise, insieme ad Angela Alberti, Francesco Chiamulera, Marco Ghedina, Roberto Santachiara, la Famiglia Sovilla, Clelia Tabacchi Sabella.

La serata di consegna del Premio è fissata per sabato 27 agosto 2022, alle ore 18, presso l’Alexander Girardi Hall di Cortina d’Ampezzo.

Il romanzo, edito da Mondadori, è la ricostruzione della vita del pittore Giovanni Segantini attraverso l’iniziale punto di vista di un ragazzo, Carlo, che trascorre le vacanze estive in Scanuppia, montagna del Trentino. Ma è anche la trama intima e collettiva di un intero secolo, l’amore tra l’artista e Bice Bugatti, donna carismatica e compagna fedele.

In un romanzo epico e visionario, Carmine Abate intreccia con maestria la straordinaria avventura esistenziale e artistica di uno dei nostri più grandi pittori, muovendosi in luoghi lontani ma dalla identica, struggente meraviglia: dalle montagne del Trentino alle altezze sublimi di Maloja, all’altopiano della Sila, monumento alla bellezza nel cuore del Mediterraneo.

Noi lazzaroni di Saverio Strati (nuova edizione Rubbettino)

di MIMMO NUNNARI – Torna in libreria Saverio Strati con Noi lazzaroni (Rubbettino editore, pagine 235, euro 16) romanzo pubblicato la prima volta nel 1972, con cui lo scrittore di Sant’Agata del Bianco, scomparso a Scandicci in Toscana, il 6 aprile 2014, raccontò in parallelo l’emigrante, la sua terra d’origine, la Calabria dei baroni, e il Paese dov’era emigrato, la Svizzera, terra ricca e senz’anima.

È lo Strati migliore, indignato, appassionato, che spunta da questo romanzo, con una scrittura potente, a volte dura, ma rivelatrice di condizioni umane, nel microcosmo calabrese, ai più sconosciute: povertà insopportabili, angherie dei padroni, sottomissioni umilianti, rapporti umani e familiari lacerati, vita in case “piene di sospiri e lamenti”, quando l’uomo parte.

Mastro Turi, protagonista del romanzo, racconta: “Ero uomo. Ma che uomo sei se ti manca il lavoro e il mondo si rifiuta di darti una mano?”.

Noi lazzaroni, come tanti altri racconti di Strati, è romanzo sociale. Descrive la vita e la mentalità delle classe meno abbienti e svolge anche un ruolo di denuncia.

La particolarità, di queste narrazioni di Strati, rispetto al filone letterario del “sociale”, che in Italia ha padri come Giovanni Verga – che con il verismo il sociale lo ha anticipato – o Francesco Jovine (Le terre del sacramento), Ignazio Silone (Fontamara) e all’estero Charles Dickens (Oliver Twist) in Inghilterra e Emile Zola in Francia ( “Germinal”) è che generalmente l’autore è esterno al racconto, non si identifica con nessun personaggio, mentre lo scrittore di Sant’Agata è in presa diretta, un tutt’uno tra la storia, il protagonista, il contesto degli emarginati, degli sconfitti, che sognano di migliorarsi e vanno incontro a un destino oscuro. Anche quando scrive del lavoro dei muratori, di regoli, livella, squadra cazzuole, punteruoli, mazzuoli e martelli Strati parla della sua esperienza diretta, della vita che precede quella del futuro romanziere, dell’ex lazzarone che faticava a stare col berretto in mano davanti al padrone.

I lazzaroni erano i sudditi nel paese di mastro Turi: “Siete degli stramaledetti lazzaroni che mi andate contro appena potete… ma state attenti che vi taglio i viveri”.

C’è molto di letteratura meridionale naturalmente in “Noi lazzaroni”, ma c’è quello che Giacomo De Benedetti (maestro di Strati) diceva che era la caratteristica dello scrittore: quell’obiettivo di informare, denunciare, fare emergere situazioni umane nascoste, dimenticate, contrastate per l’avidità dei “padroni”.

Strati è il migliore interprete di questo tipo di letteratura, che gli appartiene, e  non è imitabile, anche perché nel frattempo le condizioni sociali sono cambiate.

In un certo senso i suoi romanzi assumono una valore storico rilevante. Il mastro Costanzo della “Teda” risorge in mastro Turi, emigrato in Svizzera, che torna al paese vent’anni dopo e riaccende il filo della memoria, ma senza molto sforzo, perché tutto sembra essere rimasto come prima. Attraversa l’epoca fascista e la seconda guerra mondiale il racconto: “S’invocava il cielo perché la guerra finisse presto”.

I vecchi, gli indomiti, gli idealisti, che si riunivano in casa di Turi, al paese, esclamavano: “Maledetta Italia pidocchiosa! Guerra, quanto ci impieghi a chiudere la partita!”, e sognavano l’arrivo degli Americani. Strati è uno e due in “Noi lazzaroni”. Dà vita al mondo contadino, che conosce per esperienza personale, e racconta il dopo della vita di emigrato (“la valigia è a portata di mano”) in terre che non accolgono, ma vogliono solo le braccia del meridionale, dell’emigrato, considerato un semplice “strumento” per la crescita e lo sviluppo e nient’altro. Quest’edizione di Noi lazzaroni che ritorna per merito dell’editore Rubbettino che, sta, con una grande operazione editoriale e culturale ripubblicando tutto Strati, ha la prefazione di Carmine Abate.

NOI LAZZARONI
di Saverio Strati
Rubbettino Editore, ISBN 9788849870510

Il libro “Il cercatore di luce” di Carmine Abate vince il Premio Itas

Il libro Il cercatore di luce di Carmine Abate, è tra i cinque vincitori del Premio Itas del Libro di Montagna, per la sezione Vita e storie di montagna.

La prestigiosa giuria del Premio Itas, formata da Enrico Brizzi, Paolo Cognetti, Lorenzo Carpanè, Gian Mario Villalta, Leonardo Bizzaro, Danilo Zanoni, Linda Cottino, Claudio Bassetti, e Luana Bisesti, lo ha scelto tra le 149 opere pervenute da 70 case editrici.

«Nel libro – si legge nella motivazione – viene raccontata un’appassionante storia familiare, a cui l’autore affianca la straordinaria avventura esistenziale e artistica di uno dei nostri più grandi pittori: Giovanni Segantini. Al centro della vicenda vi sono poi tre differenti e suggestive montagne: dal Trentino di Arco e della Scanuppia, paradiso naturale degli urogalli, alle altezze sublimi di Maloja nel Canton Grigioni, all’altopiano della Sila, monumento alla bellezza nel cuore del Mediterraneo».

La cerimonia di premiazione si terrà il 30 aprile, nella Sala rappresentanza del Comune di Trento. (rrm)

“Il cercatore di luce” di Carmine Abate candidato al Premio Strega

Il libro Il cercatore di luce dello scrittore calabrese Carmine Abate è tra i primi libri proposti alla 76esima edizione del Premio Strega.

La candidatura è stata avanzata dal critico d’arte, giornalista e segretario della Fondazione Dante Alighieri, Alessandro Masi, perché «con Il cercatore di luce Carmine Abate conferma – si legge sul sito del prestigioso Premio – la piena maturità espressiva di un ormai lungo percorso nella narrativa italiana di alta qualità letteraria e di ininterrotto riscontro da parte del pubblico dei lettori e della critica».

«Si tratta – si legge ancora nella motivazione – di un romanzo storico, romanzo di formazione, storia famigliare e di impegno civile, in cui l’autore sintetizza diverse modalità di genere narrativo e le scardina tutte dando origine a un modello romanzesco originale e fortemente coinvolgente. Il libro ritorna sui temi che hanno caratterizzato da sempre la sua poetica (e in particolare su quel “vivere per addizione” che sintetizza l’approccio all’emigrazione che Abate ha vissuto sulla sua pelle e ha messo in scena in tanti romanzi) su cui l’autore innesta inedite esplorazioni verso nuove frontiere dove approfondisce i rapporti fra arte, natura, parola e esistenza».

«Per raccontare – si legge ancora – la breve vita abbagliante del maestro del Divisionismo Giovanni Segantini, Abate ne segue le tracce in tutti i suoi febbrili spostamenti alla ricerca spasmodica della luce, alimento indispensabile di una vita e di un’esperienza artistica all’insegna del senso di apertura, di liberazione e di respiro che sulla pagina viene restituita con limpida e coinvolgente partecipazione. Al servizio di temi tanto decisivi e affascinanti l’autore mette una tecnica narrativa consapevole e sicura che gli permette di costruire un meccanismo di precisione in grado di guidare il lettore nei diversi livelli temporali (l’Ottocento, il tardo Novecento, il Ventennio fascista) e geografici (il Trentino, l’Engadina, la Sila calabrese, Milano) in cui si svolge la vicenda. Di particolare rilievo le figure femminili, la Moma calabrese, memoria storica della famiglia dell’io narrante e Bice Bugatti compagna di tutta una vita che con Segantini ha costruito una straordinaria storia d’amore. La lingua di Abate è calda e trasparente, piana e ricchissima, precisa e poetica come la pittura di Segantini».

Prosegue, dunque, il successo del “Cercatore di luce”, che è stato accolto con entusiasmo dalla critica e dal pubblico, arrivando a pochi mesi dall’uscita alla terza edizione. (rrm)

Carmine Abate alla ‘Settimana del Libro italiano” in Austria

C’è anche la Calabria alla Settimana del Libro Italiano, grazie alla partecipazione dello scrittore calabrese Carmine Abate che, nella giornata di domani, in diretta streaming dalla pagina FB dell’istituto Dante Alighieri di Innsbruck, alle 18, parlerà dei suoi libri.

Nello specifico, de Il ballo tondo, ripubblicato negli Oscar Mondadori in questi mesi e del suo libro più recente, L’albero della fortuna (Aboca Edizioni), due libri uniti dal tema della memoria e del rapporto con la Calabria, molto caro all’autore. Presenta Sara Covelli(rrm)

Trent’anni fa il romanzo sugli albanesi di Calabria di Carmine Abate: nuova edizione

Compie trent’anni il primo bellissimo romanzo dello scrittore calabrese Carmine Abate. Quando uscì Il ballo tondo, nel 1991, venne accolto con entusiasmo dalla critica: «Carmine Abate è soprattutto una piacevole sorpresa letteraria. Il suo bel romanzo, Il ballo tondo, racconta per la prima volta la storia degli albanesi di Calabria, e lo fa con lo stesso realismo magico di un Marquez e dei grandi sudamericani». (Bruno Ventavoli, La Stampa, TuttoLibri).
Il ballo tondo, pubblicato da Marietti, sarebbe poi stato rilanciato con successo da Fazi Editore, vincendo il Premio internazionale Arge Alp. Scelto tra i 100 migliori romanzi del Novecento, è da pochi mesi in libreria in una nuova edizione degli Oscar Mondadori e, dopo essere stato tradotto in Germania, Francia, Albania, Portogallo, Kosovo, entro l’estate di questo anno uscirà anche negli Stati Uniti.

Un libro che non finisce di sorprendere, a trent’anni esatti dalla prima uscita: è affascinante il racconto degli arbëreshë di Calabria (Abate fa orgogliosamente parte di questa straordinaria comunità) e permette di conoscere una realtà ancora oggi poco conosciuta, con un racconto pieno di suggestione e di grande respiro. (dl)