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La Fondazione Mediterranea: La Dante Alighieri resti pubblica e non sia svenduta

UniDa

L’Università per Stranieri “Dante Alighieri” rimanga pubblica «senza se e senza ma, e non venga svenduta a cordate cui interessa solo in suo nome e il suo brand». È l’appello lanciato dalla Fondazione Mediterranea, presieduta da Vincenzo Vitale, intervenendo sulla vicenda.

«Nonostante che la Fondazione Mediterranea fosse qualificata a intervenire sulle problematiche – viene spiegato dalla Fondazione – relative alla travagliata vicenda dell’Università per Stranieri Dante Alighieri, in quanto la suddetta sotto il Rettorato del prof. Salvatore Berlingò ha aderito in modo non oneroso alla Fondazione Mediterranea, che peraltro si è sempre spesa soprattutto con la sua attività pubblicistica ed editoriale a sostegno del secondo ateneo reggino, fin ora non lo ha fatto».

«Non ricoprendo alcun incarico nella struttura formativa e non avendo peraltro interessi se non di natura squisitamente culturale – continua la nota – la Fondazione Mediterranea non ha ritenuto opportuno, anche perché non perfettamente informata sulle problematiche interne di gestione, prendere posizione nelle querelle, scadute a volte nel personale, che hanno angustiato recentemente la Dante Alighieri».

«Stavolta è diverso – viene evidenziato –. Dato per accertato che la crisi che attanaglia la Dante Alighieri è senza uscita, anche per il mancato rispetto da parte della nostra città degli impegni doverosamente presi a suo sostegno, posto che la soluzione di una federazione con l’Università Mediterranea è l’unica strada percorribile per mantenere l’autonomia didattica e gestionale, il gioco appare chiaro: i vertici cittadini spingono per una sua cessione agli intessi di cordate universitarie private italiane, interessate solo ed esclusivamente all’acquisizione del prestigioso brand di Università per Stranieri e poco o nulla alla promozione dell’Ateneo e di quel turismo culturale che la struttura è in grado, se funzionante, di assicurare alla città».
«Se la manovra di Palazzo San Giorgio andasse a buon fine – prosegue la nota – la struttura formativa reggina resterebbe un guscio vuoto mentre il suo brand servirebbe a promuovere tutte quelle attività formative on line che non hanno bisogno né di altre sedi operative né di altro personale oltre quello che già anno. Si tratterebbe, in buona sostanza, della svendita di un “bene di famiglia” che non si è saputo far fruttare. Un grande affare per chi acquisisce; una perdita netta e irrecuperabile per chi vende».
«Possibile scambio col salvataggio della Reggina, come ipotizzato da alcuni? – si legge –. A pensar male poco si sbaglia, ci ha insegnato quella volpe di Andreotti. D’altronde di svendite di gioielli di famiglia a lobby e interessi la storia recente politica reggina ne ha già di altri: leggasi il caso del Miramare o quello della demolizione di Piazza De Nava, ceduta a un’un’articolazione periferica dello Stato che ne ha fatto strame. Sarebbe questo un altro caso di quella cattiva politica che sacrifica l’interesse collettivo agli interessi di pochi?».
«Alla Reggina tutti i reggini tengono ma, per il suo salvataggio – conclude la nota – si devono trovare strade diverse da quelle che comportano la cessione a privati, quantomeno lontani se non indifferenti alle sorti della città, del secondo Ateneo cittadino». (rrc)
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