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LA MORTE DI BERLUSCONI: GLI AZZURRI
CALABRESI TEMONO ORA LA DISPERSIONE

Addio a Silvio Berlusconi

di SANTO STRATI – Da giovanotto rampante, sulle navi da crociera Berlusconi cantava una famosa canzone di Charles Trenet Que reste-il, un suo cavallo di battaglia che conquistava largamente il pubblico. Cosa rimane – c’è ora da chiedersi – dell’ex cavaliere, morto a 86 anni, se non un patrimonio controverso di idee e pensieri innovativi, macchiati per sempre da storiacce di meretricio, e dal vergognoso e imbazzante neologismo che fece il giro del mondo (bunga bunga)? Una bruttissima parentesi che riuscì a cancellare le pur tante meritorie battaglie che hanno cambiato (sicuramente in meglio) gran parte del Paese, pur dividendolo tra berlusconiani e antiberlusconiani. Di questi ultimi, molti hanno fatto fortuna parlando male di Berlusconi e la sinistra becera, quella stessa che non perdonò a Craxi il peccato politico, non è stata (a ragione) indulgente con lo scandalo sessuale che ha distrutto una reputazione, e in più ha caricato di cattiveria le persecuzioni giudiziarie contro il cavaliere, che ha dovuto pure subire l’umiliazione dell’essere diventato ex. 

Il Paese si è schierato in maniera pressoché uguale da una parte e dall’altra e questo vorrà pur dire qualcosa: se per Craxi si parlò di nani e ballerine (copyright Formica) per Berlusconi c’è stata un’ondata di odio vero, spropositato e ingiustificato. La Milano da bere non era solo l’immagine della corruzione allegra che Mani Pulite tentò di demolire: il Paese, in realtà, usciva dall’inflazione a due cifre e conosceva una nuova era di modernità e benessere. Merito di Berlusconi? Sarà la storia a dircelo, non è questo il momento di fare bilanci in chiave di cronaca spicciola tra odiatori seriali e sostenitori adoranti. Adesso è il momento del cordoglio come si deve davanti a qualsiasi salma, anche se di un avversario, è il momento del rispetto di un quattro volte presidente del Consiglio che si è rovinato per il vizio del pelo, buttando alle ortiche i sani principi ispiratori della prima ondata.

La domanda che, invece, possiamo farci, soprattutto in chiave calabrese, è cosa succederà adesso. La Calabria che deve alle scelte precise di Berlusconi ben sei presidenti di Regione (Giuseppe Nisticò nel 1995, Giovambattista Caligiuri nel 1998, Giuseppe Chiaravalloti nel 2000, Peppe Scopelliti nel 2010, Jole Santelli nel 2020, e nel 2021 Roberto Occhiuto) 

è la regione che ha dato moltissimo alla causa azzurra: senza i risultati elettorali calabresi il leader azzurro si poteva sognare di mantenere la quota nazionale lontana dal baratro cui sembrava destinata. E in Calabria Berlusconi ottenne dall’Unical una laurea ad honorem di cui andava molto fiero. S’interessava a distanza della nostra terra perché si fidava dei suoi “colonnelli” che portavano un consenso mai in caduta libera come invece accadeva nelle altre parti del Paese.

Ma gli azzurri calabresi, come il resto di Forza Italia, non sono pronti ad affrontare il lutto e la perdita del Capo carismatico, soprattutto perché gli ultimi sommovimenti interni lasciano prevedere bufera a livello di coordinamento regionale e di correnti. Berlusconi non ha saputo costruirsi un erede a sua immagine e somiglianza (missione pressoché impossibile), né ha lasciato delfini in grado di raccogliere l’eredità forzista. 

Lo scenario più probabile è quello dell’inevitabile dispersione delle squadre azzurre verso altri lidi a destra e a centro destra, quando – nelle prossime settimane le lusignhe di Giorgia Meloni e di Matteo Salvini si faranno più pressanti per raccogliere i “profughi” di un naufragio politico che difficilmente si riuscirà a evitare. 

Senza essere pessimisti, è uno scenario che non riguarda solo la Calabria, ma l’intera penisola. La crisi interna in casa azzurra si respira da troppo tempo perché la scomparsa di Berlusconi non conduca a un redde rationem finale con una lotta senza quartiere tra le varie anime forziste.

In questo frangente c’è da capire quanto peso possa esercitare l’influenza renziana del fantomatico terzo polo mai riuscito a decollare in modo unitario. Calenda dalle nostre parti rimane uno sconosciuto da cui nessuno comprerebbe un’auto usata, mentre c’è un animus renziano che conserva ancora un certo fascino. Cosa resterà  del berlusconismo non possiamo prevederlo oggi. Di sicuro finisce un’era e non è detto che ci siano le condizioni, nel centro-destra, per un risveglio tonico e importante. Lo scopriremo presto. (s)

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