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L’OPINIONE / Franco Cimino: Dalla vetrina sbagliata alla cattedra giusta

L'OPINIONE / Franco Cimino: «Che bello, sono alla festa di Mario Casalinuovo!»

di FRANCO CIMINO – Conosco la signora Anna Scaturchio da trentacinque anni, or sono da questa estate. La conosco anche se non siamo mai potuti diventare amici. E, però, la stimo molto, come donna e come operatrice economica. E madre. Nell’unica figura che le tre sono in lei, la signora ha dimostrato di essere persona perbene e onesta, corretta ed educata. Imprenditrice intelligente e di successo, una delle prime donne che in Calabria si è affermata nel mondo durissimo, e talvolta aggressivo, dell’imprenditoria “virile”in una regione povera, e perciò sempre in conflitto fra le diverse componenti sociali. L’imprenditrice ha sempre creato negozi di rara finezza ed eleganti, che ha sempre gestito appunto con finezza ed eleganza.

Non solo nella bella cittadina della costa ionica prossima al capoluogo, dove pure ha operato, creando anche lì, per anni, negozi piccoli e belli. Da un po’ di tempo si occupa, e unicamente nella sua città tanto amata, solo di profumi di alta qualità, quasi esclusivi. Di certo, di nicchia, dove ha raggiunto una competenza straordinaria. Con la quale non competerebbe con i migliori in Italia solo perché potrebbe fare loro scuola. Le credo, pertanto, quando difende la sua vetrina dalle accuse e dai sospetti che le sono stati mossi da più parti. Il suo intento era buono, educativo, non “corruttivo”. Dice. E io le credo. Voleva propagandare un nuovo profumo, non quella farina bianca, che somiglia tanto allo zucchero, vedendola, come l’ho sempre vista io, in foto. Questo ha detto, anche alle televisioni, immediatamente rimuovendo quell’allestimento da vero shock, per dirla all’inglese. Francamente, ci starebbe meglio scandalo. Ché di scandalo si tratta. Tante volte si sbaglia nel comunicare. Le persone quasi quotidianamente sbagliano che non sai più quale linguaggio usare e quali argomenti, noi divenuti, come quasi tutti siamo, o permalosi o ignoranti o distratti o superficiali. Sicuramente, molto distratti e indifferenti alle parole. Al loro simbolo e alla sostanze delle stesse.

Invece, le parole hanno sempre un significato e un peso. Enormi. Se accostate a immagini e simboli, ne hanno uno maggiore. Se modulate su toni e su tempi e argomenti particolari, la loro forza é incalcolabile, come i danni che potrebbero creare. Nel commercio questi rischi sono più frequenti. In questo campo la comunicazione è ancora più complessa e difficile. Troppi attori in campo. E troppi gli interessi. C’è, pertanto, un bombardamento continuo e una generalizzazione del messaggio, che si fa fatica a far emergere il proprio. E capita che chi abbia fantasia e intraprendenza ne inventi uno che appaia più efficace. E se l’efficacia non si verifica con quelli, ci si spinge più avanti. E poi avanti, fino a farsi sentire. E se questo deve seguire al rumore che svegli anche i più nottambuli, ben venga. Ché la pubblicità è l’anima del commercio. Come dal detto antico. Il messaggio, di cui allo scandalo, é, al di là della stessa intenzione, sbagliato. Come, a mio avviso lo sono tutti quelli che utilizzano “scandalosamente” i corpi, ora anche maschili, dopo un cinquantennio tutto della procacità femminile. Nella comunicazione generale e in quella commerciale, vale vieppiù quel che io mi sforzo di dire ai ragazzi per quanto riguarda quella interpersonale. Non basta dire bene, essere bravi nell’usare il linguaggio, nella discussione, addirittura non basta neppure avere ragione, se quelle parole, quel linguaggio, quelle espressione feriscono le persone cui sono diretti.

Quella vetrina era sbagliata anche per questo semplice motivo, oltre che per le mille considerazioni esposte, con garbo e dolore insieme, dal Centro Calabrese di Solidarietà, dall’Unicef regionale e dal più noto sindacato di Polizia. La signora Scaturchio ha subito capito, sensibile anch’ella, si è scusata e corretta. Ma la questione non deve esser chiusa così. É mio atteggiamento culturale, derivante dalle tre vocazioni che ho svolto, e ancora svolgo, nella mia vita lavorandovi in esse. E perciò affermo ciò che segue. Da ogni fatto, anche quello più brutto e fastidioso, da ogni incidente, anche il più dannoso e pericoloso, da ogni errore, anche il più grave, da ogni incomprensione, anche la più equivoca, occorre trarre un utile e una lezione. Ambedue insieme. L’utile è anche di carattere morale. Quando ci si accorge che un qualcosa nel nostro piccolo mondo non vada bene o non sia adatto e opportuno quando non dannoso per le persone, occorre intervenire con i miglior mezzi a disposizione. Denuncia sociale, avvertimento culturale, rigore politico. E morale. Sensibilità umana.

La lezione è quella di imparare da tutto. Sempre. Trasformando in positivo ciò che non lo è stato nei fatti consumati. Di positivo, in questo caso, c’è il dialogo tra le parti, e la comprensione di una, in particolare, delle prevalenti perché inoppugnabili, ragioni dell’altra. L’umiltà di riconoscere l’errore e di correggerlo senza furberie e infingimenti. E pubblicamente. C’è, poi, la lezione più grande, che non riguarda solo i giovani, ma quegli adulti che, chiusi nel proprio “perbenismo” e nei salotti della bella vita della piccola provincia, consumano, e a sacchi di farina, proprio quella cocaina di cui si è inopportunamente parlato.

La lezione che tutti dobbiamo apprendere, educatori e giovani in formazione, è che la lotta alle dipendenze (ogni dipendenza non solo quella dalle droghe) deve essere portata avanti con più forza. E in ogni luogo, dalla casa alla scuola, dalle forze di polizia e giudiziarie, alle cattedre di ogni genere. Contrastando le mafie e i mercanti di morte, che fanno affari con la vita dei nostri ragazzi. E con la sicurezza della società, e dei luoghi in cui si nascondono fragilità e insicurezze, solitudini e abbandoni. Questa brutto incidente, perché non sortisca nuova ipocrisia e non fabbrichi parole già bugiarde, sia l’utile ed educante occasione per dire no alla droga. Anzi, per gridare “la droga fa schifo”. E, poi, “schifo maggiore fa chi la vende, avvelenando il sangue dei nostri figli e fratelli. E bruciando le loro vite. Si chieda da parte dei Comuni e della direzione regionale scolastica, a Isolina Mantelli, la donna immensa, e all’Unicef, come alle associazioni impegnate nel sociale, di impegnare le proprie forze per iniziare il nuovo anno scolastico in tutte le scuole con la loro testimonianza sul valore della vita.

E su come ci si salva dalla droga! Insegnerebbero alla Scuola tanto ancora che, sul tema della vita, ancora non conosce. E quel poco appreso non lo sa insegnare. (fc)

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