L’OPINIONE / Franco Cimino: E brava Wanda, la donna calabrese al Governo di destracentro del Paese

di FRANCO CIMINO – Metti Un giorno da pecora, la trasmissione cult di Radio Uno, quella delle dure a divertenti ironie e delle fervide provocazioni, con gli agguati dialettici dietro il microfono, metti che invitino un politico di Fratelli d’Italia, metti pure che sia donna e anche sottosegretario di Stato e che abbia un’antica solida amicizia con Giorgia Meloni, la comandante vera e assoluta di quel partito e del governo che presiede, metti che all’improvviso, dopo che si è trattato di migranti e morti in mare, ti infilino la domandina di quelle che hanno sempre fatto venire i brividi ai più accorti, e ti trovi una Wanda Ferro che molti non si aspettavano (non io tra questi).

Una donna spaventata e superdisciplinata, per non dire bigotta, per non dire soldatessa dell’ortodossia di partito, l’ideologista fanatica di una vecchia destra, similarfascista, tutta patria, Dio, (quello terreno, per interderci) e famiglia (quella della donna in casa a cucinare e a far figli, se non soltanto a soddisfar le maschili voglie). Questa donna, molti si attendevano. Da lei, una calabrese, per giunta.

Invece, Wanda li sorprende tutti. Alla domanda su cosa pensasse della dichiarazione dell’onorevole Mollicone, suo collega di partito, nella quale considerava “l’utero in affitto” un crimine peggiore della pedofilia”, lei risponde testualmente: «Non sono assolutamente d’accordo, la pedofilia è uno dei crimini peggiori in assoluto. Nessuno tocchi i bambini».

Quanto alle parole dell’altro suo compagno di Fratelli d’Italia sulle coppie gay, dice:«Anche questo è stato detto in modo sicuramente maldestro. Non è stata un’espressione consona al dibattito». Possiamo dirlo, senza che si sia “maleinterpretati” politicamente, sebbene io sia certo di non poter subire fraintendimento alcuno? Sì, direi di sì, considerate le due cose note a quanti mi conoscono.

La prima è il coraggio di dire sempre ciò che penso, e di fare ciò che sento come necessario e giusto, senza badare alle convenienze e sempre incurante dei rischi. La mia storia politica, così magra apparentemente di risultati “utili” alla persona, è ferma lì a dimostrarlo. E quando si muove, come nelle mie recenti battaglia, si muove per confermarsi. La seconda cosa, risiede nella distanza immodificata tra le nostre idee e posizioni politiche, e in qualche fatto, specialmente quello lontano, per il quale molti amici mi vorrebbero rancoroso verso di lei, che invece mi è sempre stata personalmente pure simpatica.

E con affetto apertamente manifestato, nella stima personale che la leader calabrese di Fratelli d’Italia si è conquistata sul campo della dura fatica della Politica. Ecco, adesso posso dirlo: Wanda è stata brava. Intelligente e coraggiosa. Onesta e innovativa verso un mondo e una cultura ancora troppo chiusi rispetto non ai diritti genericamente o largamente intesi, e talune volte fraintesi, ma alle sofferenze delle persone. Delle donne e dei bambini, in particolare, che dalle feroci polemiche politiche vengono travolti quando non strumentalizzati a fini partitici.

Aggiungo, Wanda Ferro ha mostrato anche sensibilità sul piano personale, ritenendo, come ritengono quanti la conoscono più da vicino, che lei sui temi sensibili sia attenta e solidale con i portatori di questi. Sul piano politico, poi, ha fatto un servizio straordinario a tutti. Al suo partito, che spinge ad uscire dall’angolo, dove vorrebbero tenerlo i fideisti e gli avversari nel contempo.

Ferro fa chiaramente intendere loro che un partito di governo, largamente sostenuto da quel consenso popolare che l’ha portato al governo, e che per giunta è alla guida dello stesso attraverso la propria leader, che è una donna, non può restare all’angolo, pena la sua emarginazione. Soprattutto, da un’Europa avanzata e che cerca una destra nuova, democratica, di stampo europeo. Una destra che possa rassicurare non solo i mercati, ma le democrazie. Quelle, che, affacciandosi alla modernità, trovano problemi vecchi e diritti nuovi su cui misurarsi. Per confermarsi democrazia.

Agli avversari più sinceri e onesti, alla sinistra che vedrà sempre più affermarsi la forza e la determinazione di Elly Schlein, irriducibile campionessa dei diritti, vecchi e nuovi, ha offerto una buona sponda per avviare un dibattito serio e responsabile. Una discussione, la più profonda, che, rifiutando lo scontro ideologico, vada a conciliare il sentire delle minoranze con gli equilibri della società e taluni bisogni, fossero anche desideri, delle persone con i principi fondamentali della nostra Costituzione.

Per tutti questi motivi, dico «brava Wanda, continua su questo terreno senza indugio alcuno». (fc)

L’OPINIONE / Nicola Fiorita: Lavoriamo tutti insieme per l’ex Cinema Orso

di NICOLA FIORITA –L’ordinanza con cui il Tar ha rigettato il ricorso del privato contro il decreto che ha dichiarato l’ex cinema Orso “di interesse particolarmente importante” rappresenta un punto fermo nel percorso che porterà il Comune ad acquisire la proprietà dell’immobile e a destinarlo alla fruizione della comunità.

La lettura attenta dell’ordinanza mette in luce un aspetto estremamente significativo: i giudici amministrativi hanno ritenuto che l’avvio della procedura di apposizione del vincolo sull’immobile si è mosso rispettosamente all’interno delle disposizioni dell’art. 14 del Decreto Legislativo n. 42/2004.

E ancora, scrivono i giudici nell’ordinanza, citando una sentenza del Consiglio di Stato del 2015, “la valutazione discrezionale circa l’interesse culturale dell’immobile non appare irragionevole, pur a fronte della circostanza che il medesimo versi nello stato di rudere”. Si rafforza pertanto il buon diritto del Comune ad esercitare il diritto di prelazione sull’immobile. L’Amministrazione accantonerà la cifra occorrente per l’acquisto già nel bilancio di previsione 2023 e successivamente procederà a deliberare in Consiglio Comunale l’acquisto dell’ex Orso.
Nessuno canta vittoria per il pronunciamento del Tar, si canterà semmai vittoria solo quando l’ex Orso entrerà nella piena disponibilità patrimoniale del Comune e si avvierà una progettazione di qualità per trasformarlo in un contenitore culturale polivalente. Sento di lanciare un appello all’unità a tutte le forze politiche presenti in Consiglio comunale, sia quelle che hanno condiviso il nostro percorso sia quelle che hanno espresso perplessità sulla procedura.
Ora si remi tutti assieme dalla stessa parte per consentire al Comune di esercitare il suo legittimo diritto di prelazione e procedere speditamente all’acquisizione del bene. Non ci saranno vincitori o sconfitti in questa vicenda, ma sarà la città – e in particolare il quartiere Lido – a vincere una battaglia di civiltà e di promozione della cultura. (nf)

L’OPINIONE / Emilio Errigo: Il mare è di tutti i calabresi

di EMILIO ERRIGO – La superficie della terra è complessivamente circa 510 milioni di Kmq, di questi grandi numeri, ben 364 milioni di chilometri quadrati, sono coperti dalla acque degli oceani, mari, laghi, fiumi, paludi, torrenti ed altre risorse idriche. Il volume totale delle acque delle terre sottomarine, chiamati fondi e sottofondi marini è di circa 1,5 miliardi di chilometri cubi. Di questo patrimonio naturalistico il 97% è costituito dall’acqua degli oceani e dei mari, mentre il restante 3% è acqua dolce. Il Mare Mediterraneo ha una ampiezza complessiva di oltre 2.5 milioni di Kmq.

Il biologo americano, William Crome, dopo aver studiato, analizzato e approfondito con ricerche scientifiche comparate, ha lasciato ai posteri questo risultato descrittivo del bene mare. «L’acqua del mare e il sangue sono straordinariamente simili. Il liquido organico delle meduse, dei granchi, degli squali, dei pesci, dei rospi, dei cani, degli uomini ( e donne)contiene gli stessi sali dell’acqua del mare e quasi nello stesso rapporto. Alcuni invertebrati marini, come gli echinodermi, possono addirittura sostituire momentaneamente il loro sangue con acqua di mare. In altre parole: il nostro sangue e quello degli animali non è altro che acqua di mare trasformata. Poiché tutti gli esseri viventi derivano dal mare e sono tutti lontanamente imparentati, ciò non può sorprendere».

La nostra Italia ha un territorio di oltre 302 mila Kmq, mentre il mare territoriale che bagna la penisola italiana è pari a circa 120 mila chilometri quadrati, di queste terre emerse la Calabria ne occupa ben 15.222 Kmq, che vanno ad aggiungersi ai quasi 800 km lineari di lunghezza delle coste, per una estensione/ampiezza, pari o superiori ai 12 miglia ( 1 mgl marini =1862 metri), misurate a partire dalle linee di base, sono costituite da acque marine della Regione Calabria.

Il mare della Calabria è di tutti i cittadini residenti o presenti in questa bellissima e ricchissima Regione Calabria. Che la Calabria fosse riconosciuta universalmente bella dal mare ai monti, non è una novità, tanto che sono in tanti gli scrittori e viaggiatori stranieri, che nel corso dei secoli, hanno scritto e narrato in molti testi pure di pregio scientifico e letterario, dei paesaggi, borghi, alimenti, profumi, gente, carattere, forza, orgoglio smisurato e intelligenza creativa, quest’ultime caratteristiche naturali di chi nato o è figlio di uno dei genitori nati in Calabria.
Il buon sangue non mente si dice!

Non ancora tanto è dato sapere delle vere e ancora non tutte conosciute e valorizzare materie prime presenti in Calabria.
Mi riferisco alle tre più importanti di queste risorse naturali: l’Ambiente, la Biodiversità e gli Ecosistemi.
Eppure non sarebbe dovuto essere sfuggita agli studiosi delle tantissime cose belle esistenti in Calabria, che questi citati beni hanno meritato una tutela , valorizzazione e riconoscimento giuridico, pensate e riflettete brava Gente di Calabria, che negli articoli 9, 41 e 117, della Costituzione della Repubblica Italiana.

Lo sapevate? Ecco allora, che occorra essere consapevoli che le nostre materie prime, vere ricchezze della Calabria, vanno e devono, essere protette, valorizzate, salvaguardare, custodite, godute, difese, diffuse, utilizzate con la stessa intelligenza creativa della quale non difetta il Popolo della Calabria.

Chi scrive questi pensieri notturni, grato a un nobile figlio di questa comune madre terra chiamata Calabria, mi ha voluto far ritornare dopo oltre ben 45 anni vissuti da migrante professionale, affidandomi proprio queste ricchezze, nominandomi per Decreto a firma del Presidente della Regione Calabria, On. Roberto Occhiuto, Commissario Straordinario dell’Agenzia Regionale per la Protezione dell’Ambiente della Calabria, a tutti nota con l’acronimo di Arpacal.

Da oltre due mesi vivo con intensità emotiva, alto senso del dovere, spirito di sacrificio, entusiasmo e orgoglio, questo importante incarico professionale, dimorando in un contesto paesaggistico-ambientale da visitare e godere, scrivo della location di Catanzaro Lido o Marina.

Lavoro psicofisicamente tantissimo e non avverto la fatica, respiro aria pura, mangio bene pesce, crostacei e molluschi freschissimi, pescati dai gentilissimi e simpatici pescatori praticanti la piccola pesca artigianale costiera, la frutta e le verdure fresche non mancano mai e sono alla portata di tutti per qualità e prezzo, il dialogo è assicurato dai commercianti sempre disponibili a venirti incontro, visito durante i we i borghi e palazzi storici della città alta o superiore in altezza, di Catanzaro città, cammino molto con mia moglie (Calabrese), la sera tardi quando gli impegni di lavoro me lo permettono, sul lunghissimo pluri-chilometrico e affascinante Lungomare, di tanto in tanto leggo libri di storia della Calabria e consulto con viva curiosità, le guide e itinerari turistici da programmare per la prossima settimana, assieme agli amici che da ogni parte d’Italia mi vengono puntualmente a trovare per non perdere il contatto relazionale di vera e sincera amicizia.

Ora sul mio dire e scrivere, non me ne vogliono i miei carissimi amici, di Cosenza, Vibo Valentia, Crotone e soprattutto i miei concittadini di Reggio Calabria, ma quando devi esprimere un pensiero, devi essere onesto. Catanzaro lido migliora da anno in anno, da giorno a giorno e da ora in ora. Palazzi moderni e ben rifiniti, centri commerciali che non hanno nulla da invidiare alle altre Cittá del centro e nord Italia, il verde pubblico curato, piste ciclabili, pineta frequentabile, che dire ? Non è che non ci sia sempre qualcosa da fare e perfezionare, ma chi si accontenta…. gode delle bellezze dei territori e del mare.

Scrivere e raccontare la verità delle meravigli emerse e sommerse della Calabria, occorrerebbero enciclopedie ambientali, che dire della biodiversità presente nelle terre sommerse e grotte marine, dei 5 Parchi Marini Regionali, dell’Area Marina Protetta Nazionale di Capo Rizzuto a pochi passi o miglia dalla seconda Patria di Pitagora?

La Calabria è veramente bella tutta, dal confine Nord al Sud, dal Pollino, alla Sila, fino ai boschi sempre verdi dell’Aspromonte e delle Serre, da Tortora, Scalea, da Tropea, a Scilla, proseguendo verso Catona, Gallico, Reggio Calabria , Punta Sant’Agata, Ravagnese, San Gregorio, San Leo, Punta Pellaro, Bocale, Lazzaro, da Saline Joniche a Crotone e giù di li, il Tirreno e lo Jonio, accarezzano le coste lunghe, ampie, sabbiose e incontaminate, non mancano i laghi, fiumi, torrenti e le fiumare, l’acqua portabilissima abbonda e qualche volta si spreca inconsapevolmente.

Certo occorrerebbe più amore verso queste materie prime, da parte di tutti, nessuno escluso ed esclusa, inquinare le acque dei laghi, dei fiumi, il mare, il territorio non è un bel gesto di civiltà, anche perché la nostra vera ricchezza è proprio questo grandissimo dono che ci ha fatti madre natura, l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi della Calabria, il tutto a totale beneficio della salute e qualità della vita, delle presenti e future generazioni. (ee)

(Emilio Errigo è nato a Reggio Calabria, docente universitario, generale della GdiF in riserva, studioso del diritto all’ambiente e dell’ambiente, attualmente Commissario Straordinario di Arpacal)

L’OPINIONE / Raffaele Malito: Elly Schlein ha portato una ventata di freschezza al Pd

di RAFFAELE MALITOChe cosa c’è in Elly Schlein del socialismo, della sua storia, dei grandi temi, delle tante proposte di ammodernamento del sistema politico-istituzionale, delle grandi riforme sociali della sanità universalistica, dei diritti e della dignità  nel posto di lavoro, della difesa dell’ambiente e del patrimonio artistico-architettonico, del superamento di vecchie storture e di barriere etiche che impedivano alle donne di decidere sulla propria vita,  del riformismo, insomma, stella polare, del Psi?

È l’interrogativo che ha posto Sergio Dragone, sciogliendo, con grande generosità, in senso sostanzialmente positivo, il dilemma. Se la nuova segretaria del Pd dovesse recuperare, e farne i temi centrali del suo progetto politico-ideologico, le grandi questioni che hanno caratterizzato, negli anni, l’azione politica del Psi, la risposta all’interrogativo posto da Dragone sarebbe giustificata e coerente.

I temi, assunti da Schlein – sostiene Dragone – come patrimonio del proprio programma politico, sono presenti, come idee-guida, nel Pantheon dei grandi e storici dirigenti socialisti: il nonno, il senatore Agostino Viviani, artefice della legge sull’interruzione della gravidanza, la 104, e la tutela sociale della maternità; l’eliminazione del sistema  sanitario mutualistico per quello universalistico  con il ministro Aldo Aniasi, preceduta da  quella contro la poliomelite, autentica battaglia di civiltà vinta dal ministro della sanità, Giacomo Mancini che si ripeté, da ministro dei Lavori Pubblici, impedendo lo scempio della valle dei Templi e dell’Appia Antica; in tema della difesa  dei diritti e della dignità dei lavoratori, lo Statuto con l’art. 18, punto di grandi controversie  politiche e di scioperi, pensato e approvato da Giacomo Brodolini e Gino Giugni; Infine, per le battaglie storiche delle donne di cui la segretaria del Pd si dichiara leader femminista, il Pantheon socialista ne ricorda alcune protagoniste storiche: da Anna Kuliscioff a Anna Maria Mozzoni, la scrittrice Anna Franchi, la poetessa Ada Negri, Angelica Balabanoff, Lina Merlin che lega il suo nome all’abolizione della legge che consentiva  l’inciviltà della prostituzione  nelle case chiuse.                                                                                                                                         

Il socialismo è stato riformismo proiettato sul presente per cambiare storie storte della società civile, il sistema vecchio dei diritti personali e collettivi, gli assetti economici  arretrati, lo stesso sistema politico-istituzionale ma anche, e sempre, con lo sguardo proiettato sul futuro: in questo senso andava, già nel 1979, Bettino Craxi, quando aveva richiamato l’attenzione della classe politica  proponendo,  con la Grande Riforma, l’esigenza di un cambiamento del sistema politico-istituzionale: radicale, necessario per un’efficiente capacità di governo del Paese. Questione  affrontata a più riprese, con il totale fallimento dei propositi, da varie commissioni parlamentari, quella di Bozzi, di De Mita e l’ultima, bicamerale, di D’Alema.

Il socialismo è dunque riformismo. Che  richiama un filone culturale oltre che politico con il fine di aprirsi al mondo, alla società e ai temi della trasformazione  in ogni settore: dalla scuola alla sanità, dalla ricerca scientifica  alla tutela dell’ambiente fino allo sviluppo sostenibile. 

Quanti dei grandi temi che sono stati il patrimonio del riformismo socialista possono essere assunti -o far parte- del progetto politico-programmatico di Elly Schlein, è impossibile, al momento, e forse, anche nel futuro, prevedere. Di sicuro la nuova segretaria del Pd, un partito al rischio di estinzione, ha portato un ventata di freschezza e di vitalità, di emozioni, che erano spente, di partecipazione che latitava, negli iscritti e  negli elettori astenuti, perché giovane e, soprattutto, perché donna mentre a governare il Paese è un’altra donna.

L’onda travolgente di Elly Schlein sembra essere arrivata proprio a purificare  il partito dalle  sue recenti infezioni: perdita d’identità della sinistra, eccesso di governismo. Oggi il Pd sembra voler cominciare un’altra storia ed  emanciparsi persino dal suo atto fondativo: il manifesto riformista del Lingotto con la vocazione maggioritaria. Manifesta, tuttavia,  uno spirito di apertura e di accoglienza, dando valore a tutte le culture fondative del Pd, socialisti, cattolici democratici, laici liberali, ecologisti, cristiano-sociali, con richiami a pietre miliari identitarie, come “stare dalla parte di chi fa fatica”.

Parla di un mix di giustizia sociale e giustizia climatica riprendendo il magistero di Papa Francesco sull’economia integrale, rilancia le parole d’ordine della difesa della Costituzione, della sanità e del lavoro. Ma il programma del Pd, in questo momento, sembra una rimasticatura di luoghi comuni. Principi  alti e, magari, condivisibili, sostenuti  da strumenti superati e inadeguati: la difesa della Costituzione che non è in pericolo, la sanità che non  è a pezzi nella sua efficacia, ma deve essere sostenuta con nuovi investimenti che la rendano più efficiente, più pronta rispetto alla domanda dei cittadini. Schlein è stata europarlamentare  ma dimentica che c’è una bandiera da impugnare che è quella della ratifica e, poi, dell’adozione del Mes a cui è possibile accedere, con una dotazione di 37 miliardi da destinare a interventi nel sistema sanitario: ecco un tema sul quale sfidare il governo Meloni.

Ma non ne parla. Sul tema del lavoro propone una battaglia su questioni giuste ma che non affrontano gli assetti economico-sociali strutturali. Il salario minimo è un dato di civiltà,  una misura sacrosanta anche per non fare restare indietro l’Italia rispetto ai parametri europei, così come la tutela dei rider per aggredire  il tema dell’occupazione.  Ma l’idea di proibire l’adozione dei contratti a termine rivela una concezione rigida del mercato del lavoro, immaginato solo come lavoro impiegatizio, modello pubblico. 

Lontana, dunque, dal modo in cui sono evolute le dinamiche sociali in un sistema del lavoro fondato sul terziario avanzato. Infatti non una sola parola è dedicata da Schlein al mondo delle partite Iva, considerate  una deviazione dall’ideologia dominante a sinistra. Ignorata è anche l’idea che la riforma del mercato passa dalle misure a sostegno dell’occupazione femminile, visto il gap occupazionale intrecciato con il gap di genere. Insomma il mondo reale sembra estraneo alla narrativa  di un Pd schiacciato a sinistra, ancor più nettamente con i condizionamenti determinati dall’arrivo della sinistra-sinistra di art. 1. Nessuna parola sulle imprese che – non si può negare – sono i soggetti  senza i quali non c’è creazione di ricchezza e di nuovi lavori.

Nessun accenno sui settori strategici dell’economia italiana  sui quali il governo è chiamato a rispondere, mentre il Pd s’interroga sui problemi identitari, puntando tutto, o quasi, sull’attrattività delle fasce disagiate. Il rischio è, così, di imboccare le ristrettezze del socialpopulismo e di subire il condizionamento  del ribellismo dei Cinque Stelle con la difesa acritica del reddito di cittadinanza.     

Il compito che ha di fronte la nuova segretaria e, con lei, l’intero Pd, è d’ immensa responsabilità perché si tratta di dare alla sinistra una strategia e una prospettiva politica  vincente per il governo del Paese. Per ridare al Pd la credibilità e il sostegno della maggioranza degli italiani, occorre ripensare  e rifondare la sinistra, riprendendo il filone culturale e politico del riformismo e la conquista graduale degli obiettivi di ammodernamento del Paese.  

In questo senso  si è speso Aldo Schiavone con il saggio che porta proprio il titolo Sinistra, affrontando il tema del cambiamento e del rinnovamento della sinistra, dopo le mutazioni sociali ed economiche, con nuove idee in grado di riempire il vuoto  di pensiero del tempo che viviamo. Con il tentativo, cioè, di ovviare alla fine della età del  lavoro e, di conseguenza, del socialismo  e dei fatti prodotti dalla svolta del tecno-capitalismo, senza ricorrere a  una serie di piccoli sotterfugi di espedienti, per rimanere a galla.     

«Se la lotta di classe è finita – scrive Schiavone – bisogna allora cambiare la classe cui appoggiarsi, non più gli operai ma gli emarginati, gli sfruttati, i senza lavoro,  gli immigrati di ultima generazione oppure sostituire il genere alla classe. Oppure mettere i diritti di libertà al posto dei diritti sociali. 

Il precariato contro cui dobbiamo fare i conti è fluido, sparso, diffuso, sminuzzato e il nuovo capitalismo se la gioca soprattutto con la tecnica che è incorporea: le merci digitali ma anche quelle materiali viaggiano oltre e sopra i confini, stabiliscono un mercato in cui il lavoro dell’operaio è marginale e probabilmente destinato scomparire sostituito dalle macchine governate dall’intelligenza artificiale, ristretta nel mani di pochi gruppi, più potenti di singoli Stati.                                                                                                           

Ognuno di questi “brandelli del nuovo mondo”, afferma Schiavone, merita ovviamente l’attenzione e il favore della sinistra. Ma nessuno di loro può sostituire l’utopia – e siamo al tema centrale di questa nota – del socialismo, diventare un nuovo sol dell’avvenire, se  non è sorretto da un  pensiero, da un progetto di cambiamento che unifichi l’universo frammentato dei nuovi lavori determinati dalla digitalizzazione, dalla tecnica e dall’intelligenza artificiale  fornendogli un cemento ideale, un consenso di massa e le armi della lotta politica.

Di tutto questo, la  nuova classe dirigente del Pd  ancora non parla. La nuova segretaria l’ha riunita-tutta- attorno a sé, coinvolgendo anche i vituperati capobastone, capicorrente, i cacicchi, perché, in questa fase, ha bisogno di tutti per ridare vita a un partito che era in via di estinzione. E per i grandi progetti e le grandi ambizioni di cambiamento, se ci saranno, occorre aspettare. Occorre una nuova, radicale visione.Non è il momento di stabilire se e quando  ritornerà, in forme nuove, l’utopia del socialismo. (rm)

L’OPINIONE / Giacomo Saccomanno: Gratteri e le Procure devono essere sostenuti

di GIACOMO SACCOMANNO – Gli ultimi provvedimenti giudiziari dimostrano, ancora una volta, la radicazione della criminalità organizzata sui territori e l’inserimento di questa nei gangli vitali delle istituzioni. Gli arresti eccellenti, le connivenze, la corruzione, le estorsioni, il controllo quasi totale del territorio e di tutte le iniziative imprenditoriali ed economiche, sono la più evidente dimostrazione che in Calabria è necessario sostenere le attività dei magistrati ed evitare di voltarsi dall’altra parte.

Le recenti operazioni delle Procure di Catanzaro e Reggio Calabria hanno aperto uno spaccato veramente inverosimile e, comunque, il coinvolgimento di soggetti che sarebbero dovuti stare dalla parte della vera legalità ed, invece, sono risultati coinvolti in operazioni che mai si sarebbe potuto pensare che potessero commettere.

Un plauso, quindi, agli investigatori ed alle Procure interessate che la società e la politica dovrebbero sostenere con tutta la forza possibile. Invece, segnali in questa direzione sono molto pochi e, anzi, per certi aspetti quasi inesistenti. Si comprende che in Calabria vi sono lobby affaristiche trasversali che riescono ad incidere negativamente nella vita amministrativa e nella gestione della cosa pubblica, ma coloro i quali stanno dalla parte della legalità non possono far finta di non vedere o di non sentire.

Per tali atteggiamenti vi è un termine italiano ben preciso, ma si spera che sia solo disattenzione, altrimenti dovremmo veramente preoccuparci tanto! La nostra regione ha bisogno di altri investigatori e di altrimagistrati che possano concludere velocemente le indagini ed impedire che coloro che commettono azioni criminali possanoproseguire per molti anni la loro attività. I reati devono essere perseguiti nell’immediatezza, se si vuole frenare l’azione pesante della ‘ndrangheta e delle lobby.

Il consentire loro la gestione delle risorse pubbliche o la crescita dei territori vuol dire aumentare il loro prestigio e la forza intimidatoria. Ci auguriamo, per il bene di tutti, che le indagini possano essere celeri e si possano concludere velocemente per ripristinare una legalità che si scontra non solo con la vera criminalità, ma anche con una evidente omertà e rassegnazione dei cittadini. Ecco perché bisogna sostenere l’azione delle forze dell’ordine e della magistratura per chiedere azioni celeri e dare dei momenti di fiducia alle comunità, che spesso sono pesantemente vessate e non riescono ad avere una vera e immediata giustizia. (gs)

L’OPINIONE / Filippo Mancuso: Calabria e il Sud affrontino con pragmatismo sfida dell’autonomia

di FILIPPO MANCUSO – Il Consiglio regionale dà spazio al dibattito sull’Autonomia regionale differenziata, prevista non solo nel programma del Governo che ha approvato un testo di legge su cui dovrà pronunciarsi il Parlamento.

È prevista, non solo nei programmi delle Regioni Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna, ma anche dall’articolo 116 della Costituzione (terzo comma) in linea con gli articoli 117 e 119,  che sottolineano la necessità di garantire ai cittadini, ovunque essi risiedano, i diritti sociali e civili.

È il caso di sottolineare che la previsione costituzionale di cui discutiamo, è stata introdotta dalla riforma del Titolo V della Carta costituzionale  adottata a maggioranza dal Centrosinistra nel 2001 (Governo Amato).

E ha preso avvio nel 2017, con la richiesta di trasferimento dei poteri in più materie da parte delle Regioni Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna e, subito dopo,  con gli accordi preliminari delle tre Regioni con il Governo Gentiloni.

 Non si tratta dunque, di un’iniziativa che il Centrodestra ha tolto improvvisamente dal cilindro, con l’intento – come alcuni imprudentemente sostengono – di spaccare il Paese e di ampliare i divari di sviluppo Nord – Sud.

Oggi, il nuovo Governo e la maggioranza di centrodestra – con la condivisione della Conferenza Stato-Regione – danno  avvio all’istituto costituzionale con un disegno di legge perfettibile in Parlamento e aperto a recepire le osservazioni che dai territori saranno avanzate.

Tutto ciò, con l’obiettivo di rafforzare le prerogative delle autonomie, ampliandone i poteri e le competenze, e per ridare un nuovo protagonismo alle Regioni che, dopo più di mezzo secolo, debbono – da Nord a Sud – assumersi, al cospetto dei cittadini, la responsabilità di  governare efficientemente la spesa pubblica, rendendola produttiva e utile per le nostre comunità.

Ben sapendo, naturalmente, che occorrerà garantire incondizionatamente i diritti di cittadinanza su tutto il territorio nazionale.

L’autonomia differenziata dovrà infatti realizzare (com’è infatti già previsto nella proposta del Governo)  il superamento dell’iniquo concetto della ‘spesa storica’ che penalizza – non da ora ma  da decenni – il Mezzogiorno e la Calabria.

Si pensi, per esempio, che nei servizi sociali si va dai 246 euro di Bologna ai 6 euro di Vibo Valentia. Abbiamo un spesa statale per abitante regionalizzata che per l’Istat  nel Centro-Nord è superiore dell’11,5% rispetto a quella del Mezzogiorno.

Il tasso di occupazione giovanile nel 2021 era al 71,4% nel Centro-Nord e al 45,7% nel Mezzogiorno (al 43,7% in Calabria).  Nella sanità in Calabria ci sono 7 addetti su mille abitanti a fronte dei 12 nel Centro-Nord. Ma l’elenco delle inique ripartizioni della spesa pubblica è infinito.

Proprio alla luce di tutto questo, occorrerà definire entro l’anno i Lep,  riguardanti i diritti civili e sociali, e i fabbisogni standard e  stabilire quanto lo Stato deve garantire a ciascuna Regione, quindi finanziandoli!

A tutti i cittadini, ovunque risiedano, come ha di recente ribadito il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, bisogna garantire stessi servizi e analoghi  diritti!

So bene che l’argomento è oggetto di polemiche e di strumentalizzazioni politiche, il più delle volte incentrate su critiche generaliste, quasi come se le sofferenze sociali e civili del  Mezzogiorno siano state provocate dall’Autonomia differenziata.

Pertanto auspico, proprio per rendere significativo questo confronto, che il dibattito odierno non ceda alle speculazioni partitiche, ma verta essenzialmente sul merito delle questioni.

Nello slancio innovativo che deve caratterizzare le Istituzioni di ogni livello,  anche le classi dirigenti del Sud sono chiamate ad andare oltre gli stereotipati piagnistei sullo  Stato patrigno che spesso sono serviti a  giustificare nel Mezzogiorno  pratiche politiche e amministrative spendaccione ed autoreferenziali.

Il Sud e la Calabria, affrontino con pragmatismo, responsabilità e serietà la sfida dell’autonomia differenziata, che è un sfida per modernizzare l’architettura istituzionale del Paese in chiave unitaria ed europeista.

È un  tema che ci riguarda tutti.

Non rappresenta un vulnus al principio dell’unità e indivisibilità della Repubblica sancito dall’articolo 5 della Costituzione È una questione con cui dobbiamo misurarci non demonizzandola, ma semmai proponendo accorgimenti innovativi e vigilando, affinché il Sud e il Paese ne traggano benefici e vantaggi.

La Calabria – che ha oggi una classe dirigente dinamica e intraprendente che si confronta a testa alta nel dibattito nazionale ed europeo recuperando reputazione e autorevolezza – ha tutto ciò che occorre per stare al passo con le accelerate trasformazioni istituzionali, politiche, economiche tecnologiche di questo nostro tempo. (fm)

[Filippo Mancuso è presidente del Consiglio regionale della Calabria]

L’OPINIONE / Pietro Molinaro: Cdm a Cutro, la Calabri ha fatto il suo dovere, adesso tocca all’Ue

di PIETRO MOLINARO – Una posizione chiara, un forte messaggio interno e di autorevolezza verso l’Europa questo il contenuto politico delle norme approvate dal Consiglio dei Ministri che si è svolto a Cutro. Il Governo sul territorio, proprio dove è accaduta la tragedia, ha affrontato con la stessa gravità di quanto accaduto, la vicenda migranti con una forte stretta sia ai “trafficanti di esseri umani” prevedendo per loro pene severe ma anche alle organizzazioni criminali che sono loro partner.

Sono provvedimenti che cambiano l’assetto normativo, potenziano i flussi regolari che sono il vero antidoto all’immigrazione irregolare e danno attenzione ai sindaci che si sono trovati in questi anni a fronteggiare situazioni difficili lungo gli 800 chilometri delle coste calabresi. Adesso tocca all’Europa rafforzare l’azione ed intervenire in sede politica senza liquidare la vicenda con un burocratico  “punto immigrazione”. (pm)

L’OPINIONE / Ercole Incalza: La Gente di Calabria è grande

di ERCOLE INCALZA – Non sottovalutiamo il comportamento della gente di Calabria nel momento del dolore per un evento che ha colpito il senso di convinta umanità posseduto, in genere, dalla maggior parte degli italiani.

La Calabria è la regione che per tanti motivi ha vissuto e vive ancora il dramma di una diffusa emergenza sociale che, in modo tragico, non è solo denunciata da quell’assurdo indicatore del “reddito pro capite” ma anche dal tasso bassissimo della occupazione.

Questo tessuto regionale molto sofferente, molto colpito in queste ore da una tragedia così enorme, mi colpisce e sono convinto colpisca tutti coloro che fortunatamente non vivono direttamente il dramma di dover scappare dalla propria terra, di dover portare in salvo la propria persona, la propria famiglia.

I calabresi sono anche loro fuggiti dalla loro terra e, ancora oggi, come una rilevante quota di gente del Sud, fuggono, ripeto, dalla propria terra.

Fuggono e portano con loro un elevato senso di civiltà; quando ci capita di andare in un Paese dell’Europa, degli Stati Uniti o del Canada e di incontrare calabresi, tutti ci rendiamo conto che la loro fuga era legata ad una sola motivata esigenza:

Non sottovalutiamo il comportamento della gente di Calabria nel momento del dolore per un evento che ha colpito il senso di convinta umanità posseduto, in genere, dalla maggior parte degli italiani.

La Calabria è la Regione che per tanti motivi ha vissuto e vive ancora il dramma di una diffusa emergenza sociale che, in modo tragico, non è solo denunciata da quell’assurdo indicatore del “reddito pro capite” ma anche dal tasso bassissimo della occupazione.

Questo tessuto regionale molto sofferente, molto colpito in queste ore da una tragedia così enorme, mi colpisce e sono convinto colpisca tutti coloro che fortunatamente non vivono direttamente il dramma di dover scappare dalla propria terra, di dover portare in salvo la propria persona, la propria famiglia.

I calabresi sono anche loro fuggiti dalla loro terra e, ancora oggi, come una rilevante quota di gente del Sud, fuggono, ripeto, dalla propria terra.

Fuggono e portano con loro un elevato senso di civiltà; quando ci capita di andare in un Paese dell’Europa, degli Stati Uniti o del Canada e di incontrare calabresi, tutti ci rendiamo conto che la loro fuga era legata ad una sola motivata esigenza: sopravvivere e consentire la sopravvivenza ai propri famigliari, ai propri cari.

Spesso addebitiamo a questa terra una forte presenza malavitosa dimenticando che il sottosviluppo è un brodo ideale per la malavita, ma quel tipo di malavita è supportato proprio dallo stato di crisi socio economica e non da una disponibilità della gente a sposare una simile patologia. Di fronte al dramma che stiamo vivendo in queste ore scopriamo quindi quanto sia errata questa gratuita interpretazione spesso prodotta da forme mediatiche che da sempre hanno sottovalutato la carica sociale ed umana di questa terra.

Ed è proprio in un momento, o meglio in più momenti, in cui si vive la disponibilità dell’accoglienza nei confronti di chi soffre, prende corpo un senso di ammirazione per un popolo, quello di Calabria, che proprio in questi tragici momenti ci insegna per quale motivo la sofferenza sia, a tutti gli effetti, una condizione per annullare il male peggiore della attuale società, cioè quello della “indifferenza”.

In realtà, la terra di Calabria non oggi ma ogni volta che assiste a questi drammi testimonia di possedere una virtù che noi cittadini di questo Paese spesso non possediamo e cioè quello di “non essere indifferenti” e, cosa che mi ha colpito di più, veder piangere la gente di questa terra per un dramma che ha colpito gente che non solo non conosce, gente che viene da terre lontane, gente che possiede solo un denominatore comune quello della sofferenza.

È bene, quindi, che, una volta per tutte, lo capisca anche chi spesso accusa questa terra ed in genere il Sud di diffuso vittimismo; la Calabria, i calabresi non hanno mai utilizzato il vittimismo per rivendicare le ripetute responsabilità di chi ha preferito governare questo Paese privilegiando gli assetti economici maturi e chi ha ritenuto che la offerta infrastrutturale efficiente andava assicurata prioritariamente alle aree che amplificavano in modo rilevante i ritorni di investimento.

Ebbene, di fronte alla tragedia però riceviamo una grande lezione di solida maturità, di elevato senso umanitario, di elevata cultura sociale, di grande apertura al dramma del mondo.

Fermiamoci, quindi, un attimo e non ammettiamo solo la nostra grave ed imperdonabile “indifferenza” ma anche la nostra sistematica incapacità di apprezzare comportamenti che, invece, dovremmo avere il coraggio di diffondere come esempi encomiabili della qualità umana.

Io sono pugliese e, come la Calabria, la gente della mia terra ha testimoniato al mondo un grande senso di disponibilità nell’accogliere il popolo albanese, un comportamento encomiabile e che ritengo senza dubbio di rilevanza storica; per questo motivo, assistendo a questi drammatici eventi di sofferenza per il dolore di altri, mi sento colpevole per la sistematica indifferenza con cui spesso sottovaluto la sofferenza di chi abbandona la propria terra solo per poter sopravvivere.

Approfittiamo di questi momenti per capire noi e per farlo capire ad altri che l’insegnamento che la gente di Calabria ci ha regalato in questi giorni non si conclude con il dramma che stiamo vivendo ma, sono sicuro, rimarrà nel tempo come sistematica denuncia della carica umana di questo grandissimo popolo, una carica umana che spesso abbiamo sottovalutato.

Spesso addebitiamo a questa terra una forte presenza malavitosa dimenticando che il sottosviluppo è un brodo ideale per la malavita, ma quel tipo di malavita è supportato proprio dallo stato di crisi socio economica e non da una disponibilità della gente a sposare una simile patologia. Di fronte al dramma che stiamo vivendo in queste ore scopriamo quindi quanto sia errata questa gratuita interpretazione spesso prodotta da forme mediatiche che da sempre hanno sottovalutato la carica sociale ed umana di questa terra.

Ed è proprio in un momento, o meglio in più momenti, in cui si vive la disponibilità dell’accoglienza nei confronti di chi soffre, prende corpo un senso di ammirazione per un popolo, quello di Calabria, che proprio in questi tragici momenti ci insegna per quale motivo la sofferenza sia, a tutti gli effetti, una condizione per annullare il male peggiore della attuale società, cioè quello della “indifferenza”.

In realtà, la terra di Calabria non oggi ma ogni volta che assiste a questi drammi testimonia di possedere una virtù che noi cittadini di questo Paese spesso non possediamo e cioè quello di “non essere indifferenti” e, cosa che mi ha colpito di più, veder piangere la gente di questa terra per un dramma che ha colpito gente che non solo non conosce, gente che viene da terre lontane, gente che possiede solo un denominatore comune quello della sofferenza.

È bene, quindi, che, una volta per tutte, lo capisca anche chi spesso accusa questa terra ed in genere il Sud di diffuso vittimismo; la Calabria, i calabresi non hanno mai utilizzato il vittimismo per rivendicare le ripetute responsabilità di chi ha preferito governare questo Paese privilegiando gli assetti economici maturi e chi ha ritenuto che la offerta infrastrutturale efficiente andava assicurata prioritariamente alle aree che amplificavano in modo rilevante i ritorni di investimento.

Ebbene, di fronte alla tragedia però riceviamo una grande lezione di solida maturità, di elevato senso umanitario, di elevata cultura sociale, di grande apertura al dramma del mondo.

Fermiamoci, quindi, un attimo e non ammettiamo solo la nostra grave ed imperdonabile “indifferenza” ma anche la nostra sistematica incapacità di apprezzare comportamenti che, invece, dovremmo avere il coraggio di diffondere come esempi encomiabili della qualità umana.

Io sono pugliese e, come la Calabria, la gente della mia terra ha testimoniato al mondo un grande senso di disponibilità nell’accogliere il popolo albanese, un comportamento encomiabile e che ritengo senza dubbio di rilevanza storica; per questo motivo, assistendo a questi drammatici eventi di sofferenza per il dolore di altri, mi sento colpevole per la sistematica indifferenza con cui spesso sottovaluto la sofferenza di chi abbandona la propria terra solo per poter sopravvivere.

Approfittiamo di questi momenti per capire noi e per farlo capire ad altri che l’insegnamento che la gente di Calabria ci ha regalato in questi giorni non si conclude con il dramma che stiamo vivendo ma, sono sicuro, rimarrà nel tempo come sistematica denuncia della carica umana di questo grandissimo popolo, una carica umana che spesso abbiamo sottovalutato. (ei)

L’OPINIONE / Franco Cimino: La Strage di Cutro, la questione migranti, l’Italia sempre divisa

di FRANCO CIMINOSergio Mattarella, il Capo dello Stato, è arrivato in Calabria, puntuale dopo la tragedia in mare. Giorgia Meloni, il Capo del Governo, arriverà oggi, giovedì, in ritardo. Il primo ha visto le quarantasette bare nel palasport, ha parlato poco e solo ai parenti delle vittime e ai pochi sopravvissuti presenti.

La seconda, ha parlato tanto e ha detto poco o nulla, di fatto. Ha parlato di più dall’estero per il viaggio che l’ha portata da New Delhi ad Abu Dhabi, com’è consuetudine dei governanti italiani, ai quali piace parlare dell’Italia quando sono all’estero, così da rendere più piccante la lotta politica. Quest’ultima è stata, per tutti i protagonisti della diatriba, più tragica della tragedia nel mare di Cutro, che è servita come miccia per riaccendere i fuochi dell’ancora attiva campagna elettorale, che, da quelle per le due regioni, conclusasi da poco, e l’altra in arrivo con le europee prossime, sarà destinata a trascinarsi, sempre più infuocata, per oltre un anno.

Fa specie, infatti, che dei circa cento morti e degli altrettanto povericristi salvatisi dalle onde incattivite dai ritardi dei soccorsi, la destra non ne parli e la sinistra li utilizzi come armi improprie. Fa specie anche che la battaglia tra le parti contrapposte si incentri sulla richiesta, pur legittima, di dimissioni del ministro dell’Interno per le assurde e gravi dichiarazioni pubbliche sull’etica della disperazione umana, da una parte e, dall’altra, sulla difesa netta del Ministro, che in mancanza di scuse sue personali o di “rimprovero” dei leader dei partiti della maggioranza, equivarrebbe alla condivisione dell’alto pensiero filosofico di Piantedosi. Fa specie, ancora, che nuovamente, a ruoli invertiti, la politica italiana si divida su questioni drammatiche riguardanti la vita e la sicurezza di esseri umani, come per due anni è accaduto per il dramma pandemia da Covid. Nessuna vera pietà per i morti, per quei tanti bambini uccisi dall’abbandono e dal cinismo. Non solo dagli scafisti. Non solo dai mercanti di carne umana.

Nessuna vera attenzione per i povericristi rimasti in vita. Si va ancora a cercare non le responsabilità per i ritardi e i mancati soccorsi, ma a come ciascun elemento della catena di comando possa escludere la propria. Accuse e contraccuse, insulti intrecciati tra «è colpa vostra» e  «ma dei morti di questi anni, assai più numerosi di questi ne rispondete voi della sinistra». Una vergognosa guerra locale sopra la guerra vera, più feroce delle guerre di tipo militare, che è la fame, le lotte tribali, la crudeltà dei regimi dittatoriali. Specialmente, quelli dominati dalla religione più estremista e ideologica. Questo balletto, che abbiamo già visto, a parti invertite in questi lunghi venticinque anni, finirà presto. Finirà non appena si saranno spente le luci che accompagnano, tra propaganda e cinismo, il valzer della politica intorno alle tragedie tanto gravi quanto assurde. Spente le luci, sparite le bare, richiusi cancelli dei cosiddetti centri di accoglienza, si chiuderà il sipario sul dolore e sulla morte più ingiusta che ci sia. Quest’ultima anche inconcepibile.

Cento morti annegati a cinquanta metri dalla riva del nostro mare buono, non si possono davvero accettare. La ragione non lo consente. Il cuore si ribella. È questa dinamica che rende responsabile lo Stato italiano( governi a prescindere e uomini di governo di certo non colpevoli in quanto persone che decidono) della tragedia di Steccato. Anche della tragedia di Steccato, come lo è stato per situazioni analoghe. Questa è la verità. Inutile giocarci sopra. Io non mi stancherò mai di ripetere che tutto ciò che accade in un determinato territorio, dentro quei confini, anche delle sedi fisiche in cui uno Stato deve occuparsi della sicurezza di ogni essere umano che si trova presso le sue attenzioni obbligate, ricade sulla responsabilità di quello Stato o delle istituzioni che lo rappresentano.

Da questa comune consapevolezza dovremmo tutti partire per avviare una nuova politica sugli arrivi improvvisati e non “autorizzati” nel nostro Paese. Una nuova politica che non distingua la questione migranti da quella dell’accoglienza. Quella dei cercatori di pane da quella dei cercatori di libertà. I fuggitivi dalla miseria dai fuggitivi dalla tirannia e dalle guerre degli altri. Per tutti occorrela stessa risposta, accoglienza. E ricollocazione in tutto il territorio della nostra Europa, governo autentico di una nuova realtà politica che, da una parte voglia essere più ricca e più democratica con il contributo fattivo di uomini e donne provenienti da regioni lontane e dall’oltre mare Mediterraneo. E, dall’altra, alleata agli Stati Uniti e perché no? anche della Cina, voglia essere protagonista di un nuovo piano Marshall, che, nell’arco stretto di un ventennio, possa creare sviluppo e democrazia nei paesi poveri da cui partono i povericristi di ogni razza e nazionalità. Tutto questo bel volume di idee e programmi va fatto con l’Europa in Europa e con l’intero Paese a Roma, nelle sue sedi deputate, il Parlamento e il Governo. E senza perdere tempo in tatticismi e propagandismi, che di tempo ne fanno perdere molto. Convocare un Consiglio dei Ministri a Cutro risponde rischiosamente a quella tentazione.

A quella perdita di tempo. Circa tre ore per gli spostamenti da Roma a Cutro e altri tre per il ritorno, il lungo corteo di pullman e auto blu per trasferire almeno cinquanta persone, tra ministri e collaboratori, dall’aeroporto al piccolo e vecchio municipio di Cutro, l’impegno di un centinaio di uomini delle Forze dell’Ordine per la sicurezza delle autorità e, soprattutto, del presidente del Consiglio, che come i suoi predecessori, è sempre nel mirino di forze ostili al nostro Paese, l’elevato costo economico per questa trasferta, sono fatti davvero inconcepibili. Insopportabili. Irragionevoli. Neppure comprensibili se non nell’ottica di cui ho detto. Brutta cosa, destinata ad acuire le tensioni, ovvero a distrarre la pubblica opinione dai problemi veri in atto, quello proprio dei “ migranti” e dei viaggi della speranza, e quelli più strettamente nazionali, quali la crisi economica aggravata dall’ impazzimento dei costi dell’energia e di tutti i beni di prima necessità. Per non dire del problema dei problemi, la gestione degli esiti della pandemia e la guerra in Ucraina. Se qualcosa di più specificamente calabrese il Governo vorrà fare per rendere più utile la sua presenza a Cutro, ecco, domani lo potrà definire, trattando qui l’altro problema strettamente legato ai viaggi della povertà e della fatica del vivere.

Si riconosca alla nostra regione, tutta, e in particolare ai paesi sulla costa ionica, lo status di territorio sovranazionale del coraggio e dell’accoglienza. E la si ripaghi del grande sforzo che davvero eroicamente hanno compiuti piccoli comuni, le loro popolazioni, e le amministrazioni locali povere di tutto. Ripaghi adeguatamente la loro generosità che non solo ha salvato migliaia di vite umane , ma anche l’onore del Nostro Paese e la faccia di questa Europa sempre in ritardo. Si vari una legge speciale che offra alla nostra regione diverse opportunità nelle politiche di sviluppo che stanno per essere avviate. Una legge che potenzi le sue Università e gli istituti di ricerca, che finanzi un piano per l’edilizia scolastica e per la costruzione e il completamento di infrastrutture che annullino le sue distanze e culturale e fisiche con il resto del Paese. E visto che ci siamo, trovi il modo di finanziare anche il ripiano almeno di una parte dei debiti che i Comuni hanno maturato e non hanno potuto saldare.

E, per non finire, un programma per la gestione dell’acqua attraverso e del suo costo, nonché la costruzione di moderni acquedotti che ne garantiscano la salubrità e la continuità per tutti i diversi territori. Per tutti i comuni. Specialmente, i più piccoli. E quelli che più di tutti si sono spesi per la salvezza di vite umane e per l’accoglienza dei povericristi. E non è finita: il Governo, crei qui, in uno di questi comuni a mare, quel centro nazionale organizzato di interforze civili e militari, di cui si avverte la necessità per affrontare con efficacia e senso politico e umanità la gestione della prima fase dell’emergenza migranti. Un’emergenza che non si arresterà con le risibili quanto cattive proposte di “bloccarli nel loro paese”, di impedire le partenze, o, addirittura, di distruggere le navi prima della partenza con quel pesante carico di scarti umani, che, in quel momento, avranno già pagato i mercanti di morte, i quali si arricchirebbero senza più neanche il rischio e la fatica della traversata. Ecco cosa dovrebbe fare il Governo per non rendere inutile e costosa, anche di credibilità, la sua trasferta cutrese. Ecco il modo migliore per rendere omaggio alle grandi antiche battaglie che Francesco, il Papa, va facendo da sempre a favore dei poveri e degli scartati di ogni parte del mondo.

Fatiche e battaglie, le Sue, che hanno nella fratellanza piena e nell’accoglienza senza condizioni, il loro unico aggancio al senso umano della vita e a quello cristiano che la vita difende sempre. In tutti. Come la dignità di ogni essere umano, da qualsiasi territorio o cultura o religione provenga. Ché l’uomo, per Francesco è sempre uguale a ogni altro uomo. E Dio è solo uno. Che guarda e giudica. Tutti. Specialmente chi si dice credente. (fc)

L’OPINIONE / Santo Gioffré: Quell’aspetto merceologico del Cdm a Cutro

di SANTO GIOFFRÈ – Tenere Consiglio dei ministri, a Cutro, assume la figura merceologica del carico residuale dentro cui la Calabria, per questo governo, sta. Innanzi all’immensa tragedia dove, oltre ad ogni operazione di polizia, nessun migrante ha status e diritto alla sopravvivenza, la Calabria assume, per la sua condizione di retroterra culturale, di violenze di ‘Ndrangheta e di Giustizia abusata ed eternamente emergenziale, lo spazio eterno dentro cui l’immagine mediatica può saziare le convulsioni comiziali di degenerato potere governativo, nato da ogni manipolazione dei diritti fondamentali all’esistenza, come entità sociale e politica, della Calabria stessa.

Lo fecero già una volta, nel 2019, quando il peggior governo reazionario e razzista del dopoguerra, il Conte-Salvini, venne a Reggio Calabria e, portandosi dietro come dote la farsa, emanarono un decreto sulla Sanità Calabrese, i cui contorni, finalità ed obiettivi, alla luce dei risultati e delle conseguenze, in uno stato di diritto, avrebbe dovuto essere, già da tempo, oggetto di commissione d’inchiesta.

Gridare, con megafono inquinato, che quel Consiglio dei ministri, e quel decreto sulla sanità, avrebbero risolto tutte le ventennali storture, che avrebbero indagato e dato giustizia a chi denunciava furti, nella totale impunità, per 2 miliardi di euro nei 15 anni passati, e dato giustizia ai morti causati dal Piano di Rientro, (il 5% in più dal resto dell’Italia), fu la più colossale operazione di manipolazione del sensorio collettivo, sapendo di aver a che fare con un popolo infestato di qualunquismo e dedito all’ignoranza.

Quella discesa in Calabria, terra considerata non in grado di mettere in campo la ben che minima resistenza ad un abuso di democrazia, servì, solo, per mettere in campo un’operazione di grande effetto mediatico e nulla più, ricordando, in ciò, i venditori di tarocchi quando, per attirare la folla nei mercati, mostravano i pappagalli parlanti che estraevano, col becco, i biglietti per ogni cercata fortuna. Ora, tornano, con la stessa finalità.

Considerarci carico residuale di un’Italia che si sta ingrassando con la nostra economia della miseria e i nostri malati per impossibilita di accesso alle cure e che ci impongono, con violenza e minacce a chi dissente, di accettare la loro miserabile verità. Nelle spiagge di Cutro è accaduta l’ennesima strage di uomini e bambini perché, qui, come si fa con i Calabresi, nessuno ha il diritto di vivere perché è, solo, un fastidioso carico residuale di cui il sistema capitalistico, l’egoismo razzial-globalista e consumistico, non ha alcuna pietà. Solo che in Calabria è nata una forza, nelle coscienze e nelle teste, che non vuol essere, più, passiva e succube di nessuno.

Noi ci rifiutiamo di riconoscere alcuno. La Strage di Cutro e la legge sull’autonomia differenziata, sono un punto di non ritorno. Noi gridiamo vendetta e verità per tutta quella Umanità abbandonata ai pesci, a Cutro e per una Calabria condannata alla retroattività civile.

Noi vogliamo sapere la verità e, cioè, se diventiamo soggetti solo se siamo oggetti di polizia e se il diritto all’esistenza debba essere collocato in un altro contesto dei parametri di lotta futura.

Noi, delle parate in pigiama, non sappiamo che farcene. Noi ascoltiamo, per sempre, la litania di quel bambino morto per il freddo tra le braccia del fratello, dopo che per tre ore agonizzò, in attesa che qualcuno, non solo gli portasse aiuto e gli riscaldasse il corpo, ma, soprattutto, il suo cuore. (sg)