di GREGORIO CORIGLIANO – In vita mia ho beccato due virus, da uno sono guarito, dall’altro no, non potrò mai guarire, perché non ci sono cure, né ho intenzione di guarire. Si chiamano politica e giornalismo.
Dopo lunga e penosa malattia, dal primo, son venuto fuori. Quando e come l’avevo contratto? Seguendo le orme di mio padre che non finirò mai di ringraziare, avevo organizzato il movimento giovanile della Dc nel luogo dell’anima. Era la fine degli anni ’60. Seguendo mio padre e i personaggi politici che arrivavano numerosi per visitare la fiorente sezione del partito che fu di De Gasperi e di Aldo Moro la voglia di impegnare le mie modeste energie mi aveva assalito.
E, così, alla sezione dei seniores, mi sono prodigato di aggiungere quella dei giovani. Seguivamo gli avvenimenti politici con riunioni ogni quindici giorni in quella sede di via Salerno che ospitava anche la Cisl e l’Azione cattolica, in stanze separate, e non tralasciavamo anche la televisione che era a gettoni – cento lire per un’ora di telegiornali e programmi- che ci dava le novità politiche su governo e partiti. Che era una novità in assoluto, visto che era arrivata nel 1954, anche a San Ferdinando.
Il nostro impegno, ovviamente, era per la politica locale e provinciale. In primo luogo, la battaglia pe l’autonomia comunale. Andammo avanti per anni, con dedizione, anche con la lettura dei giornali. Un giorno appresi del congresso provinciale dei giovani diccì, del quale non ero stato informato. Protestai immediatamente con l’allora commissario. Si chiamava Pippo Naro, era di Messina. Lo convinsi e mi invitò a partecipare: fu così che entrai in un giro un pò più grande, fin quando l’anno successivo, per il mio entusiasmo, mi fecero entrare negli organismi dirigenti del movimento.
La mia sorpresa fu quando mi chiesero la corrente di appartenenza. Non ne avevo, ma fui costretto a sceglierne una. Scelsi quella morotea, a fronte di altri che, erano maggioritari, con la sinistra di Base. Delegato fu scelto, Lillo Manti, di Bova Marina, poi consigliere regionale e finanche deputato. Nel frattempo, il mio gruppetto con Oreste Arconte, Matteo Gangemi, Gianfranco Falduto, Nino Parisi, Piero Praticò e tanti altri andava avanti con incontri e dibattiti. Uno stop improvviso, a causa del mio servizio militare, bloccò uomini e cose, salvo poi riprendere, dopo un anno e mezzo. Non è stato facile, però l’entusiasmo ci ha fatto superare ogni ostacolo.
L’istituzione delle Regioni ci aveva facilitato il compito, anche perché avemmo un impegno di grande rilievo nella campagna elettorale che portò la Dc ad avere un buon numero di consiglieri regionali. Vicini a noi erano Lodovico Ligato e Pepè Nicolò ed il deputato Franco Quattrone. Trovata l’occupazione a Reggio mi fu più facile seguire la politica. La mattina, supplente di materie giuridiche ed economiche al Piria, di pomeriggio, al partito in Via Possidonea, per tentare di “ringiovanire” i quadri del partito. Portammo una ventata di novità, ma assolutamente insufficiente a scalzare le incrostazioni decennali.
In compenso andavamo in giro per convegni e dibattiti con Ligato e Nicolò e con Quattrone. Giravamo in lungo ed in largo la provincia senza distrazioni, ma con l’entusiasmo giovanile. Avevamo le chiavi delle segreterie politiche, avevamo fatto un giornalino, grazie al giornalista professionista Ligato, eravamo insomma felici e contenti. Ci eravamo spinti anche su Catanzaro, col movimento regionale che aveva in Mario Tassone il leader indiscusso. Assai spesso il nostro impegno di giovani – volenterosi ed un po’ illusi, serviva anche l’illusione- ci portava a Roma.
Grande fu la sorpresa quando partecipammo, con Manti delegato provinciale, Tassone delegato regionale ed io vice di entrambi, al congresso nazionale, al cospetto del delegato nazionale, Gilberto Bonalumi. Bonalumichiese a Tassone due nomi, per il consiglio nazionale. Il delegato regionale diede anche il mio, ma fui il primo dei non eletti. Un successo strepitoso, comunque: da San Ferdinando a Roma.
Anni ed anni di impegno, riunioni su riunioni, viaggi continui. Avevamo conosciuto anche Fanfani che nel prosieguo degli anni commissariò il movimento giovanile perché il delegato nazionale di allora aveva superato canoni e regole del partito, giovani sì, ma entro i limiti. Lo stesso era accaduto con il segretario provinciale di Reggio, il barone Antonio Nesci. Non sopportando i nostri comunicati di critica ai seniores, non ci fece più entrare alla sede. Avevamo, forse, abusato della pazienza altrui, ma non ci avevano capito, men che meno giustificato.
Abbandonammo per consunzione nostra, ma felici di avere combattuto la battaglia della disperazione. Rimase l’altro virus, questo che mi spinge a scrivere e a ricordare. (gc)