di GREGORIO CORIGLIANO – Don Pino, mi mandi la copia della lettera che la notte di Natale di quasi cinquant’anni fa abbiamo letto in Chiesa, noi (allora) giovani di Azione Cattolica. Don Pino – è Don Pino De Masi, oggi monsignore e arciprete della Cattedrale di Polistena, allora vice parroco di San Ferdinando – mi ha risposto dicendomi che avrebbe guardato nel suo archivio e me l’avrebbe mandata.
Non l’ha fatto, ha troppi impegni, da sempre, ai quali si è aggiunto l’insediamento del nuovo Vescovo, mons. Giuseppe Alberti, della Diocesi di Oppido-Palmi, della quale è stato sempre magna pars, con le sue iniziative ed i suoi suggerimenti. Ho trovato io la copia, girando e rigirando nel mio piccolo archivio di casa, dove l’ho trasferito dopo quarant’anni di Rai, tra Via Montesanto e Via Marconi. Mi è venuta in mente questa lettera perchè allora è stata rivoluzionaria, per la ex frazione di Rosarno, comune autonomo due anni dopo. Rivoluzionaria? Certo. «Padre nostro che sei nei cieli e ti sei dimenticato della terra, dacci oggi il nostro massacro quotidiano (allora erano numerosi gli omicidi), le tante migliaia di disoccupati (non è cambiato granché) ed almeno un rapimento (in quegli anni i sequestri di persona erano all’ordine del giorno) tanto l’opera del figlio che dici di ave mandato sulla terra, non è servita a niente, a niente, a niente. E cosi sia».
Chiesa affollatissima, come in tutte le veglie di Natale, silenzio tutt’intorno, sguardi increduli. Lo ricordo come adesso. Don Pino l’aveva ideata e proposta a noi giovani che abbiamo contribuito a leggerla: un modo rivoluzionario che ancora in molti ricordano perché mai si era sentito parlare in Chiesa di omicidi, rapimenti, disoccupazione. Al massimo, dal pulpito dei sacerdoti, pace, salmi, Cristo Crocifisso. Rivoluzionata la tradizione per porre all’attenzione di quanti eravamo in Chiesa i problemi che affliggevano (perché oggi no?) il Mezzogiorno e segnatamente la provincia di Reggio Calabria. La stessa conferenza episcopale se ne era più volte interessata, ma in Chiesa mai, e poi la notte di Natale!
La lettera era davvero ben scritta e spaziava dalla recrudescenza dell’odio civile, ai fatti del Circeo (allora non si parava di femminicidio, alla strage di Vercelli, dalla situazione nelle carceri, agli omicidi bianchi, alla drammatica condizione in cui vivevano gli ospedali. Nel 1975 erano di attualità il Brasile, il Cile, la Spagna, l’Urss: La lettera sottolineava come nella Russi di allora era violato il diritto alla libertà ed alla pace fra i popoli. Era il 1975 o il 2023? Non è mancato i riferimento ai senza tetto ed ai disoccupati, alla crisi dell’allora Leyland Innocenti. Oggi, invece? Il tema che, ovviamente ha destato maggiore interesse è stato quello dei tristi primati della Calabria. L’emigrazione e la mafia, le tangenti.
«I lavori per il quinto centro siderurgico devono ancora incominciare e già la mafia è impegnata ad allungare le mani per i subappalti, per conquistare il predominio nelle assunzioni della manodopera, per imporre le guardianie abusive. Si vive nel terrore dei sequestri, ci sono mani armate di mitra e di tritolo»! Man mano che si andava avanti nella lettura, i parrocchiani, compresi gli emigrati tornati per festeggiare il Natale erano sempre più attoniti. Dopo i primi attimi di smarrimento perché si erano toccati argomenti come la mafia, gli addentellati politici, i subappalti, la gente, dimostrando senso civico e coraggio – nessuno è uscito dalla Chiesa Madre – la veglia è continuata ed ha riscosso l’attenzione di tutti in ossequioso silenzio. Erano stati avvertiti da don Demasi che «le considerazioni dei giovani e dell’intera comunità erano unicamente ed esclusivamente ispirate al messaggio evangelico, lo stesso Padre nostro iniziale è stata una forma di pseudo preghiera per focalizzare l’attenzione sui problemi che sarebbero stati trattati». Quindi la proposta di un Natale diverso, un modo nuovo di fare Natale: «vivere il Cristo che si è fatto uomo per noi, Egli ha un messaggio stupendamente attuale. Ai giovani proponiamo di accettare il Cristo, cioè di lottare, di mutare, di rompere il conformismo, lottando con e per la tua gente. Quante analogie col mondo di oggi».
Cosa è cambiato, poco o molto, o quasi niente? C’è rassegnazione, non c’è l’indispensabile impegno per fare cambiare le cose. Non si reagisce come pur si dovrebbe ad uno stato di abbandono generalizzato. Occorre riflettere davvero e non per celia. Abbiamo chiuso così la lettera: «non ti promettiamo applausi, ma non dichiarare la tua resa, la tua vittoria sarà un passo avanti verso i cieli nuovi che Cristo, vivendo sulla terra, ha inaugurato»! Grazie sempre monsignor De Masi, anche ora per allora. Torna da noi, almeno col pensiero! Dacci il coraggio che ci manca! (gc)