di TERESA CARPINO – La nuova proposta della Lega mi ha lasciato l’ennesimo amaro in bocca perché riguarda il mio settore: la scuola. Lavoro come insegnante nella scuola pubblica dal 2005. 18 anni, di cui 14 in Lombardia e 4 in Umbria, nonché qualche periodo all’estero.
Non ho mai insegnato nella mia terra, la Calabria, ma parte della mia famiglia e molti amici sì e conosco bene quindi le realtà delle varie “Italie” che alla fine si riducono sostanzialmente a due e non solo nel settore scolastico: Nord e Sud Italia. Considero il Centro come quel limbo in cui vivi bene ma fiuti qualche disagio nei servizi, che ti ricorda il Sud, solo leggermente però; c’è una sorta di equilibrio di cui, chi non ha esperienza altrove non si accorge.
Nel corso di questi anni al Nord ho sempre sentito aleggiare lo spettro della necessità di differenze stipendiali fra i lavoratori del Nord Italia e quelli del Sud Italia. Battute, discorsi, dissertazioni su quanto la vita al Nord sia cara e al Sud sia una pacchia fantastica, dove con pochi spiccioli si vive da nababbi sorseggiando cocktail sulle spiagge dorate.
Mi piacerebbe che le persone che hanno queste idee vadano a vedere cosa significhi vivere e lavorare nel Sud Italia, col sole in fronte e il mare splendente sì, ma con l’incertezza del domani, col treno che non c’è, con gli asili nidi pari allo 0,01%, con la Sanità disastrata, con le infrastrutture inesistenti, con le strade statali che fungono da autostrade e da corsia verso il Paradiso in maniera molto frequente, potrei continuare all’infinito…E quindi si pensa a differenziare lo stipendio perché al Nord costa tutto di più e al Sud non si pagano le tasse, ecco perché la vita costa di meno! Questo è il pensiero consolidato anche fra i molti meridionali impiantatisi al Nord e che, pur di farsi accettare dal collega del posto, sparano sentenze sui propri conterranei e sulla propria terra.
Ora, la proposta della Lega trova spazio in Parlamento e stavolta, forse, ci riesce ad attuarla. Il governo si è impegnato a valutare la reintroduzione delle gabbie salariali, perché di queste si tratta, dando un primo via libera, alla Camera, a questa scellerata proposta che il partito di Matteo Salvini porta avanti da tempo. Tutti gli altri gruppi Parlamentari di opposizione si sono schierati contro questa proposta di legge e scetticismo trapela anche nei banchi della stessa maggioranza dopo l’approvazione di un ordine del giorno senza essere stata concordata, con gli altri partiti della maggioranza, la linea da seguire per portare avanti questa proposta di legge.
Passare da stipendi uguali per tutti al potere d’acquisto uguale per tutti, tradotto, significa appunto reintrodurre le gabbie salariali, (abolite definitivamente nel 1972 grazie alle proteste sindacali), differenziare quindi i salari in base al costo della vita. Il meccanismo delle gabbie salariali era stato introdotto nel 1945, con un accordo tra Confindustria e Cgil, per tentare di trovare una soluzione all’aumento del costo della vita dovuto all’inflazione, visto che la Lira si stava pesantemente svalutando nel dopoguerra, portando a un aumento generalizzato dei prezzi.
Nel corso degli anni però il sistema generava molte ingiustizie perché, ci si accorse che un lavoratore del Nord Italia poteva guadagnare di più di uno del Sud, a parità di mansioni: a Milano un operaio specializzato nel settore metallurgico guadagnava 21 lire orarie, mentre a Reggio Calabria solo 18,05. Io stessa, quando ero ancora residente in Calabria ma lavoravo a Bergamo percepivo circa 80 euro in meno dei miei colleghi residenti in loco, tutto dovuto all’aliquota Irpef.
E oggi, nel 2023, il senatore Massimiliano Romeo, capogruppo della Lega a Palazzo Madama, afferma che sia «…una proposta di buon senso tornare al sistema degli stipendi adattati in base al costo della vita. Il principio della parità retributiva non verrebbe meno. Parliamo infatti di trattamenti economici accessori, che possono essere così riconosciuti ai dipendenti valutando anche il diverso impatto che l’incremento dei costi dei beni essenziali ha sui cittadini. Si pensi alle grandi città – ha chiarito il senatore della Lega – dove l’inflazione ha degli effetti differenti rispetto ad altre zone del nostro Paese…».
Il senatore dimentica che le grandi città esistono anche al Sud e omette in maniera del tutto sconcertante di dire che anche in quelle città, spesso, non esistono gli stessi servizi che esistono al Nord. Ecco che si può subito tornare al discorso dei Lep (Livelli essenziali delle prestazioni) e citare un piccolo esempio che riguarda gli asili nido di due città pressoché simili: Reggio Emilia e Reggio Calabria, nella prima troviamo 60 asili nido nella seconda soltanto 3!
Oggigiorno le spese familiari sono un problema comune, indipendentemente dalla regione in cui si abita. La differenza sta tutta nei servizi garantiti dagli istituti scolastici tra il Nord e il Sud Italia. Mentre nel Nord esistono maggiori opportunità, come il tempo pieno, in regioni come la Puglia, o peggio ancora la Calabria queste sono ancora limitate. La situazione spesso costringe le famiglie meridionali a dipendere da supporto esterno o da un doppio reddito per gestire le esigenze dei figli.
Il sindaco di Catanzaro Nicola Fiorita ha affermato: «Se ci sono docenti che meritano uno stipendio più alto sono quelli che insegnano in Calabria, in Campania, in Puglia, in Sicilia, in Basilicata. Sono i docenti-eroi che ogni giorno lottano in condizioni disagiate, in contesti sociali difficili, in edifici scolastici inadeguati, per portare avanti la loro missione educativa».
Il sindaco evidenzia le sfide straordinarie che i docenti del Sud affrontano quotidianamente, tra cui l’accesso a sedi impervie, viaggi in condizioni precarie e la gestione di situazioni di potenziale pericolo. «Che sfidano ostacoli, pregiudizi, ostilità per recuperare bambini e ragazzi ad una vita di studi e di legalità». aggiunge.
Ci auguriamo, che il sindaco Fiorita e i parlamentari del Mezzogiorno non si limitino a manifestare indignazione, ma che agiscano concretamente presentando un ordine del giorno per richiedere stipendi più alti per tutti i docenti italiani e, inoltre, incentivi economici per chi insegna nelle aree più difficili del Paese, in questo caso come Italia del Meridione siamo pronti a scendere in campo insieme a loro o ad iniziare un’altra battaglia, questa volta a difesa di tutti gli insegnanti italiani. (tc)
[Teresa Carpino è del Circolo Lombardia di Italia del Meridione]