di FRANCO BARTUCCI – Non piace ai calabresi l’intesa con l’Albania per il trasferimento dei migranti che arrivano nelle coste italiane (Lampedusa e Roccella, in primo luogo). Roccella è allo stremo, ma mostra tutta la grande solidarietà e la fratellanza del popolo calabrese nel soccorrere e accogliere i profughi che arrivano sulle sue coste. Non piace l’accordo (5 anni + 5) perché sa di vera e propria deportazione e non tiene conto delle opportunità che i migranti potrebbero offrire come risorsa lavoro. Manca manodopera, ma si tengono rinchiusi in centri di accoglienza centinaia di giovani (qualcuno persino con laurea) che andrebbero, invece, avviati al lavoro (anche attraverso strumenti di mediazione linguistica e formazione sul territorio). I vecchi – riusciti – progetti di inclusione dell’Unical (quando gli albanesi sbarcarono in massa nelle nostre coste) e di Mimmo Lucano a Riace dovrebbero costituire un modello virtuoso da seguire, ma il Governo preferisce buttare denaro per mantenere rinchiusi i disperati che arrivano dall’Africa e dall’Asia. L’operazione Albania ha un costo enorme: con le stesse cifre si potrebbe avviare un percorso di formazione e inclusione che dia speranza di vita migliore a chi ha dovuto abbandonare tutto, ovvero il niente di niente, nella propria terra.
Il presidente del Consiglio Giorgia Meloni e il suo collega d’Albania Edi Rama hanno sottoscritto un accordo che consente di trasferire i migranti che vengono recuperati dalle navi italiane o dalla Guardia Costiera sui mari che circondano il nostro Paese direttamente in Albania ed in particolare in due centri ancora da costruire per essere identificati dalle autorità italiane nell’arco di trenta giorni. Due campi con una capienza di 1.500 posti cadauno per un totale complessivo di 36 mila migranti da controllare nell’arco di un anno per essere lasciati liberi dopo l’identificazione e ricondotti fuori dall’Albania o rinviati nei loro Paesi di origine e provenienza qualora non aventi diritto. Un accordo con validità di cinque anni rinnovabili.
«Un accordo che manda in frantumi – come ha dichiarato il Cardinale Arcivescovo di Bologna e Presidente della Conferenza Episcopale, Matteo Maria Zuppi – il diritto d’asilo»; mentre a giustificazione del protocollo d’intesa il Presidente Edi Rama ha dichiarato ch’era doveroso accogliere la richiesta di aiuto della Presidente Meloni quale risposta collaborativa per una forma di ringraziamento per l’accoglienza che l’Italia ha riservato all’inizio degli anni novanta ai tantissimi migranti albanesi fuoriusciti dalla loro terra.
La cronaca giornalistica di questi giorni ha riservato sull’accordo dubbi e critiche a livello nazionale con la riserva dell’Unione Europea; mentre i sostenitori della presidente Meloni hanno parlato di un accordo necessario in quanto può funzionare come deterrente a scoraggiare i migranti per avviarsi dai loro Paesi con la meta l’Italia per poi dirigersi verso gli altri Paesi europei.
Un comportamento che rasenta la disumanità di certe forze politiche che hanno dimenticato il valore dell’accoglienza umana nel rispetto di quei valori cristiani che il Vangelo ci descrive. Eppure abbiamo un Santo Padre, Papa Francesco, che fin dal suo insediamento ha affrontato questo delicato problema dell’accoglienza dei migranti ad evitare le stragi nel nostro Mediterraneo con azioni concrete di profonda umanità.
Nel 1992 dalla Calabria ed in particolare dall’Università della Calabria, come nel resto d’Italia, in soccorso di quanto stava accadendo in Albania, ci fu una grande mobilitazione predisponendo un programma di accoglienza nei vari paesi di origine arbëreshë, buona parte dei quali risultavano svuotati con molte abitazioni chiuse, che può essere d’insegnamento oggi al mondo della politica ed alla società stessa italiana per dare un senso umano ed accoglienza a questa nuova generazione di migranti che fuggono per ragioni di guerra e carestie dai loro paesi di origine.
Il Progetto Skanderbeg dell’UniCal in soccorso degli albanesi migranti – Il Consiglio di amministrazione dell’Università della Calabria nella seduta del 3 febbraio 1992, presieduta dal Rettore, prof. Giuseppe Frega, approvava il progetto “Skanderbeg”, presentato da un Comitato scientifico, presieduto dal prof. Pietro Bucci, già rettore dello stesso Atene dal 1978 al 1987, che prevedeva una soluzione di inserimento ed insediamento, nel contesto del territorio regionale, delle migliaia di profughi albanesi che giungevano nel nostro Paese.
A sostenere il progetto oltre alla stessa Università della Calabria vi erano l’Amministrazione Provinciale di Cosenza e la Cassa di Risparmio di Calabria e Lucania; mentre il Comitato scientifico era così composto: Pietro Bucci, Paolo Portoghesi, Renato Guzzardi, Francesco Altimari, Aldo Pugliese, Francesco Solano, Antonio Rossi, Cesare Pitto, Nino Russo, Cesare Marini, Giuseppe Roma, Pina Carso.
Il progetto fu presentato ed illustrato in una conferenza stampa che si svolse il 2 luglio 1992 all’Università della Calabria dal prof. Pietro Bucci e dal prof. Paolo Portoghesi, dell’Università “La Sapienza” di Roma. Parteciparono alla conferenza tutti i componenti del Comitato tecnico-scientifico dello stesso progetto di cui sopra ed una vasta rappresentanza dei cinquanta centri urbani di origine albanese distribuiti su tutto il territorio delle regioni meridionali, dei quali trentuno soltanto in Calabria.
Gli ideatori del progetto prevedevano un recupero urbano di tutti i centri di origine arbëreshë poco abitati, per farne oggetto di insediamento di nuove comunità albanesi, il cui fenomeno migratorio di massa ha assunto nel 1991 una fase drammatica, ben raccontata nel 1994 dal noto regista calabrese Gianni Amelio nel suo film “Lamerica”. La Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università della Calabria per questo film e la sua carriera gli conferì il 28 maggio 1996 la laurea “Honoris Causa” in Dams.
Per potere realizzare i nuovi modelli di assetto urbano, il progetto prevedeva un collegamento con le autorità governative dell’Albania, al fine di concordare interventi ed una programmazione mirata alla formazione delle persone ed all’insediamento delle nuove realtà urbane, come nello scambio delle politiche di rientro per una valorizzazione dell’economi e dello stato sociale del Paese di origine.
L’obiettivo dell’intervento era legato al processo di sviluppo delle naturali vocazioni del territorio e si articolava in un diverso assetto urbanistico del territorio, valorizzando, soprattutto, i settori dell’agricoltura, del turismo, del recupero delle strutture urbane, della selvicoltura, della zootecnia, ecc. Si puntava, inoltre, sulla possibilità di effettuare investimenti assistiti da contributi ed agevolazioni finanziarie statali, regionali e comunitarie; nonché sulla possibilità di utilizzare tecnologie che, contenendo i costi di produzione, rendevano economicamente valide le attività produttive da svolgere. Ancora una condizione essenziale del progetto era quella di puntare sulla possibilità di attivare l’imprenditorialità locale in forme capaci di mobilitare ed associare tutte le risorse umane esistenti in loco.
Era un progetto che dava valore al senso umano delle risorse in loco ed aveva, quale ideatore/Presidente del comitato scientifico, il prof. Pietro Bucci, già rettore dell’UniCal dal 1978 al 1987, un visionario ed un uomo di grande fede ed umanità.
Ma passata l’emergenza, come spesso succede qui in Calabria, non se ne fece nulla, essendo venuta meno a questa lungimirante idea progettuale dell’Università, che forse avrebbe cambiato prospettive non solo di ordine demografico alla società e alla economia calabrese, il dovuto sostegno concreto dalle istituzioni esterne coinvolte.
Una storia che parte dal Rettore Beniamino Andreatta – Peraltro l’Università della Calabria con il Rettore Beniamino Andreatta fin dalle sue origini aveva impiantato delle radici di grande attenzione verso le minoranze linguistiche, inserendo nei piani di studio della Facoltà di Lettere e Filosofia, con il corso di laurea in lingue, i cui corsi partirono con l’anno accademico 1973/1974, una cattedra di lingua e letteratura albanese, con l’attivazione al suo interno dell’insegnamento di Dialetti albanesi dell’Italia meridionale ch’ebbe come primo docente ed in assoluto, come primo titolare di cattedra a livello accademico nazionale, il papas prof. Francesco Solano. Fu la prima Università italiana ad aprire questa importante pagina di storia per la tutela delle minoranze linguistiche, che aveva in Calabria una vasta comunità di popolazione con origine arbëreshë.
Da allora è stata avviata una sistematica ricerca sul campo che dalla Calabria si è estesa poi all’intero Mezzogiorno sul peculiare patrimonio linguistico, letterario e culturale arbëreshë (oltre 200 sono state le tesi di laurea e di dottorato ad esso collegate difese nell’ultimo quarantennio presso l’Unical!) poi proseguita nell’ultimo trentennio con importanti risultati scientifici, all’attenzione del mondo accademico nazionale e internazionale, da parte del suo allievo, il prof. Francesco Altimari, che dal 1991 è subentrato nella direzione della stessa cattedra fondata dal prof. Solano.
Vogliamo ricordare che alla memoria del fondatore di questa cattedra l’Unical ha intitolato nel 2009 l’apposita Fondazione universitaria “F. Solano”, voluta e sostenuta dalla sorella Nina Solano, che si occupa di valorizzare gli studi albanologici e di promuovere la lingua e la cultura degli albanesi d’Italia, ma anche di consolidare i rapporti scientifici e culturali tra comunità arbëreshë e comunità albanesi dell’ area balcanica.
Il Progetto Skanderbeg dell’UniCal sensibilizzò maggiormente la stessa Università ad accogliere studenti provenienti dall’Albania per consentire loro di acquisire la laurea ed anche un gruppo di dottorandi e docenti, alcuni dei quali sono rimasti negli organici dell’Ateneo di Arcavacata e con il passare degli anni ad accrescere i rapporti istituzionali e di collaborazione con l’Università di Tirana e con quella kosovara di Prishitna. Una esperienza che dopo otto anni si applicò anche con il Kosovo e la Serbia per effetto del conflitto bellico nei Balcani. Ma il progetto stimolò pure l’inserimento di molti albanesi in quei paesi e comuni di origine arberesce della Calabria e di altre regioni italiane. Ci fu una vera e propria integrazione.
Una nota particolare merita e va ricordata per il ruolo avuto dal Papas prof. Francesco Solano ch’ebbe l’ardire in quel momento drammatico per l’Albania di predisporre una “Guida alla conversazione italiana” che corrispondeva alla traduzione della “Guida alla conversazione albanese” (La prima in assoluto uscita in Italia), già pubblicata dal prof. Solano nel 1974 e ristampata dalla Regione Friuli Venezia Giulia con il sostegno della Fondazione del quotidiano “La Stampa” di Torino attraverso un’ edizione straordinaria fuori commercio.
Ed è quanto dovrebbe accadere nel nostro Paese nel rapporto di accoglienza dei tanti migranti che arrivano tutti i giorni sulle nostre coste anche in funzione di una migliore integrazione negli altri Paesi Europei sull’esempio di quanto è stato realizzato qualche anno dopo dal Sindaco Mimmo Lucano a Riace, terminato con un inquietante e ingiusto processo penale che va meditato per recuperarne il valore. (fba)